Vinicio Coletti

Diario digitale

Trattato di funambolismo
(Traité du funambulisme)

Manuale

Philippe Petit, Francia, 1999


Philippe Petit, autore di questo trattato, è un personaggio a dir poco originale. Appassionatosi fin da giovane all'arte del funambolismo, intraprese una serie di traversate a grande altezza che lo resero subito molto noto. In una di queste imprese, ad esempio, camminò su un cavo teso tra i due campanili della cattedrale di Notre Dame a Parigi.
Ma l'evento che lo rese definitivamente celebre fu la camminata del 1974 tra le torri gemelle di New York. Petit di era appassionato alle torri fin dall'infanzia, quando su una rivista aveva letto del progetto che riguardava la loro costruzione. Aveva poi seguito i lavori, recandosi più volte sul posto per rendersi conto delle difficoltà ed alla fine, dopo anni di preparazione meticolosa, si introduse furtivamente nelle torri. Durante la notte i suoi collaboratori riuscirono a tendere un cavo d'acciaio da 200 kg lungo i 43 metri che separavano le torri ed alle 7.15 del mattino Petit iniziò la sua camminata. Camminò per 45 minuti, si fermò più volte, si stese sul filo, rise ai poliziotti che erano saliti sulla torre sud per fermarlo e che non sapevano come fare a prenderlo, visto che lui continuava a percorrere il filo avanti ed indietro.
Alla fine Petit uscì dal filo e fu arrestato, ma dopo qualche giorno le accuse contro di lui furono abbandonate ed il giudice lo obbligò solamente a tenere uno spettacolo gratuito per i bimbi di New York. La Port Authority, che gestiva le torri, gli rilasciò addirittura un lasciapassare perpetuo che gli dava accesso alle torri in qualunque momento.
Negli anni seguenti Petit fece altre clamorose traversate e si traferì in una cittadina vicino New York, dove vive tuttora.
L'impresa delle torri gemelle è stata raccontata nel documentario Man on Wire, di James Marsh, che ha vinto l'Oscar 2008 come migliore documentario.
Questo trattato è teoricamente un manuale che spiega come diventare funamboli, ma non va preso alla lettera.
La brevità del testo e delle note fanno sì che non possa certo essere considerato un vero manuale tecnico, anche se il libro ci racconta comunque molte cose, tra le quali soprattutto la poesia del funambolismo.
Ecco, forse possiamo definirlo così: un manuale poetico dedicato a chi vuole librarsi tra cielo a terra, avendo a cuore una sola cosa: la propria libertà.


Alcuni brani:
 
Il filo non è ciò che s'immagina. Non è l'universo della leggerezza, dello spazio, del sorriso.
È un mestiere.
Sobrio, rude, scoraggiante.
 
Esiste dunque un'infinità di cordami.
A chi si consacra alla maestria di funambolo spetta il compito di scoprirli, confrontarli, scegliere quelli le cui proprietà s'accordano con le sue aspirazioni. Imparare ad annodarli. Essere esperto nel tenderli.
Acquisire questo sapere richiede tutta un'esistenza.
 
Capire la corsa è accordare il vento della camminata al soffio del cavo, senza porsi domande.
La corsa non è il modo per andare rapidamente da un'estremità all'altra del filo.
La corsa, ah ah! È il riso del funambolo.
 
Controllate il respiro durante il percorso, continuate fino a farlo scomparire attraverso l'estremità del filo, così come era venuto.
La respirazione si farà lenta, distesa, lunga come un filo.
Diventerete corpo unico con l'installazione, solidi come una roccia.
Ci si sentirà oggetto d'equilibrio, Si diventerà il cavo.
A chi ha costruito questo equilibrio senza difetto, fragile, fugace, sembrerà di possedere la densità del granito.
 
Il funambolo dev'essere inventore.
Jean François Gravelet, detto Blondin, preparava un'omelette sul filo, stappava una bottiglia di champagne e brindava alla folla. Riuscì perfino a fotografare, a metà traversata, la gente che lo guardava sorvolare le rapide del Niagara.
 
Uomo dell'aria, tu colora col sangue le ore sontuose del tuo passaggio fra noi. I limiti esistono soltanto nell'anima di chi è a corto di sogni.
 
La caduta sul cavo, l'incidente lassù, l'esercizio mancato, il passo falso; tutto ciò deriva da una perdita di concentrazione, da un piede male appoggiato, da una fiducia esagerata in se stessi.
Non dovete perdonarvelo. Il funambolo è spettatore della sua stessa caduta. Con gli occhi spalancati, volteggia attorno al filo per ritrovarsi aggrappato con un braccio o appeso per le gambe. Senza mai abbandonare il bilanciere, deve trovare lo slancio per rialzarsi e riprendere al più presto, e con un impeto maggiore, il movimento interrotto.
Il più delle volte scrosciano gli applausi, nessuno ha capito.
 
Possiedo la saggezza di colui che una volta è caduto; quando mi si dice che un funambolo s'è sfracellato al suolo rispondo:
"Ha avuto ciò che si meritava".


Pubblicato l'otto settembre 2010
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