Vinicio Coletti

Diario digitale

Il fuggiasco

Romanzo
Massimo Carlotto, Italia, 1996


Questo libro, pubblicato nel 1996, segna l'ingresso nel mondo della narrativa di Massimo Carlotto, dopo la fine delle sue lunghe e complicate vicende giudiziarie. Come si sa, Carlotto rinvenne a Padova il corpo di una ragazza appena accoltellata e fu immediatamente accusato dell'omicidio. Seguirono anni di processi, sentenze - a volte assolutorie, altre di condanna - carcere e latitanza, per finire con la grazia concessa dal Presidente della Repubblica Scalfaro.
Questo libro però è un vero romanzo e non racconta che per sommi capi la vicenda giudiziaria, e solo nell'ultimo capitolo, per concentrarsi invece sul periodo della latitanza, della fuga. Dopo un periodo a Parigi, Carlotto vive brevemente in Spagna, poi in Portogallo, per finire infine a Città del Messico. Tradito da un avvocato messicano, tornerà in Italia per costituirsi, scoprendo con sgomento che il mandato di cattura internazionale era rimasto dimenticato in un cassetto.
Tutto il romanzo è ovviamente raccontato in prima persona ed è molto affascinante da leggere, perché, sia pure con uno stile uniforme, alterna momenti lirici ed altri ironici, parla di terribili tragedie e di piccole gioie, di grandi amicizie, brevi amori e tradimenti inaspettati. Il tutto con uno stile distaccato, ironico e soprattutto autoironico, che lo porta a parlare con leggerezza persino delle torture subite da parte della polizia messicana.
Sicuramente questo libro è stato anche un modo per chiudere con un passato ingombrante ed iniziare una nuova vita. Negli anni seguenti, e fino ad oggi, Carlotto ha pubblicato in effetti molti libri ed è divenuto uno dei più noti autori italiani di noir.
Con questo libro, insomma, finisce un latitante e nasce uno scrittore, per la fortuna di noi lettori.


Alcuni brani:
 
Il look per un latitante è fondamentale. Non può essere scelto a caso perché deve coniugare le caratteristiche somatiche e le esigenze di fuga del soggetto con le caratteristiche sociali e culturali del luogo prescelto. In questo senso presentarsi con un travestimento gitano, punk, dark, o tardo hippy alla frontiera svizzera è una pessima idea.
In genere deve essere sobrio, ma soprattutto va rispettata la regola aurea che esige sia il più possibile rassicurante. Deve dare l'impressione ai poliziotti che lo osservano o che lo hanno fermato di perdere solo del tempo, perché è impossibile che uno così sia un poco di buono. Di conseguenza fui costretto a impersonare stereotipi di ambienti sociali molto diversi da quello a cui appartenevo e frequentavo (che in quanto a look lasciava molto a desiderare).
 
Dovevo stare attento però a non imbattermi in turisti padovani; all'inizio non avevo la minima idea della passione sfrenata dei miei concittadini per Pigalle e i suoi peccaminosi locali tutto sesso e lustrini. Ne arrivavano interi pullman; incontrai perfino, alticcio ed eccitato, un mio professore di scienze del liceo noto per essere un bacchettone rompicoglioni. Ci incrociammo mentre stavo uscendo da una tabaccheria, non mi riconobbe solo perché era troppo occupato nel dare di gomito agli amici per attirare la loro attenzione su un gruppetto di puttane.
 
Anche se il Vaticano non l'ha mai ammesso, io sono certo che esiste il santo patrono dei latitanti per caso. Non è efficace come gli altri santi perché opera, come i suoi protetti, in un regime di clandestinità. Fa quel che può. Più di una volta mi ha accordato la sua benevolenza.
 
A Città del Messico ho conosciuto un altro bulimico. Era un cantautore guatemalteco, i militari gli avevano torturato e ammazzato tutta la famiglia. Non cantava più ma la chitarra la portava sempre con sé. (...) È morto nel '90 in una foresta del nord del Guatemala al confine col Messico. In combattimento. Aveva lasciato la chitarra ed era entrato nelle file della guerriglia che difende gli indios dal genocidio.
 
Mi devo essere perso qualcosa in questi ultimi anni, perché tutto è cambiato. Anche i confini non sono più gli stessi. L'estate scorsa, con il mio passaporto nuovo e soprattutto autentico, ho attraversato i confini di mezza Europa. Arrivavo alla dogana con il busto che sporgeva pericolosamente dal finestrino dell'automobile, agitando forsennatamente il documento per attirare l'attenzione. Nessuno lo ha guardato; addirittura in alcune frontiere non c'erano nemmeno i doganieri. Temo di aver latitato nel periodo più difficile del dopoguerra.


Pubblicato l'otto giugno 2010
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