Una società mineraria australiana vuole effettuare degli scavi nella zona abitata da una
tribù di aborigeni, i quali ovviamente si oppongono. Si potrebbe immaginare una trama
alla "Mission" o magari quella di un western, ma qui tutti si
comportano molto civilmente. I dirigenti della società invitano a pranzo gli
aborigeni nel loro grattacielo di vetro e cemento, spiegano loro i motivi degli scavi e
arrivano ad esaudire il loro desiderio di avere una pista di decollo ed
un vecchio aeroplano.
Da parte loro gli aborigeni non sono aggressivi, fanno presenti le loro ragioni e si
affidano ad un tribunale australiano, dove si presentano in giacca, cravatta e doppiopetto.
La genialità del film sta tutta qui: sarebbe stato semplice mostrare la cattiveria,
i sotterfugi, la voglia di conquista, la resistenza, magari lo scontro. E invece tra
tanta civiltà, legalità, persino a volte bontà e comprensione, emerge ancora più netta l'enorme
distanza che separa gli occidentali dagli aborigeni. Una distanza che nessuna
discussione, nessun confronto, niente al mondo potrà mai colmare veramente.
Così in tribunale, dopo il lungo discorso del muto (che parla
una lingua che neanche gli altri aborigeni capiscono, visto che è l'ultimo della sua tribù)
la società mineraria ovviamente vince ed inizia a scavare, ma non troverà il prezioso
uranio che cerca.
Tutto sarà solo servito a disturbare il sonno delle formiche verdi.