“Libri da ardere” è il terzo libro pubblicato da Amélie Nothomb
nel 1994 ed è anche finora il suo unico testo teatrale.
Tre personaggi interagiscono nella casa di un maturo professore universitario:
Marina, una studentessa all'ultimo anno, il Professore e Daniel, il suo giovane
assistente. Fuori c'è la guerra e si ode di tanto in tanto il rumore dei
bombardamenti. E' inverno, fa molto freddo e manca il combustibile per le stufe.
Così Marina fa una proposta scandalosa, oscena: visto che la casa del professore
è piena di libri, che siano questi ad essere bruciati. La proposta viene subito
rifiutata con sdegno, ma alla fine anche Daniel e il Professore cedono all'istinto
di sopravvivenza e soprattutto alla logica diretta e naturale, anche se
iconoclasta, di Marina.
Forse è esagerato per la brevità di questo testo, ma è evidente che su questo
tema si potrebbero intavolare infinite discussioni sul rapporto tra natura
e cultura, tra corpo e mente, tra la necessità di conservarsi in vita e quella
di conservare il sapere accumulato nei millenni trascorsi, tra la sofferenza che
provoca il freddo e quella che provoca, alla mente, l'essere privata del suo
nutrimento.
Lo stile del testo è scorrevole e divertito, soprattutto quando ci sono da
inventare i nomi degli autori ed i titoli dei libri da bruciare, dei quali
viene attentamente valutato il valore letterario prima che si possa
procedere alla loro distruzione.
Questo è il primo libro non dichiaratamente autobiografico che mi trovo
ad affrontare, di questa autrice, ma ci sono vari dettagli che
indicano un possibile riferimento alla sua vita. Tanto per cominciare,
la protagonista femminile, Marina, è magra, anoressica, come anoressica
è stata davvero Amélie nella sua adolescenza e prima giovinezza.
Inoltre, per sua ammissione, negli anni in cui frequentava
la Université Libre de Bruxelles, non si sentiva molto a suo agio
in quell'ambiente, aveva spesso freddo e si recava, per scaldarsi,
nella biblioteca universitaria. Alla fine sviluppò persino una certa
avversione per la letteratura, e Marina nel libro ad un certo punto
esclama: "Mi avete fatto leggere tanti libri inutili!"
D'altra parte è ovvio che ogni autore si ispiri largamente al vissuto
per costruire le proprie opere e anche quando ciò non avviene
in modo esplicito, la trama della propria vita fa capolino tra
le righe.
Azzardando un’interpretazione molto personale, il personaggio
di Marina ci fa anche immaginare che questo testo sia stato scritto
in un momento in cui l'autrice si sentiva sola e rifiutata,
per una serie di eventi, crudeltà, invidie e
macchinazioni che definire romanzesche sarebbe poco.
Alcuni brani:
IL PROFESSORE. Lo so, Marina. Non ho più niente da ardere.
MARINA (guardando la libreria). E quelli?
IL PROFESSORE. Gli scaffali? Sono di metallo.
MARINA. No, i libri. Silenzio imbarazzato.
DANIEL. Non è roba da ardere, Marina.
MARINA (con un sorriso candido). Ma sì, Daniel. Bruciano benissimo.
IL PROFESSORE. Se ci mettessimo a bruciare i libri, allora davvero avremmo
perso la guerra.
MARINA. La guerra l'abbiamo persa.
IL PROFESSORE. Su, via, piccola cara, lei è molto stanca.
MARINA (con un sorriso allegro che le dà un'aria incantevole). Non faccia
finta di non saperlo. E' il nostro secondo inverno di guerra. L'inverno scorso,
se ci avesse detto che ce ne sarebbe stato un altro, lei avrebbe concluso:
"vorrà dire che avremo perso la guerra." Per me, la guerra era già
persa allora. L'ho capito il primo giorno di freddo.
IL PROFESSORE. E' perché lei è troppo freddolosa. Si capisce: quanto pesa? Ottanta libbre?
MARINA. Ne peso duemila, ma non libbre: libri. Quelli che lei brucerà per riscaldarmi, Professore.
DANIEL. Smettila, Marina.
MARINA (con voce dolce). La natura è ingiusta. Gli uomini hanno sempre sofferto il freddo
meno delle donne. Grazie alla guerra ho capito che era questa la più grande differenza tra i sessi.
Così, adesso, voi credete che io abbia perso l'amore per i libri. Io invece credo che non siete
mai stati capaci di amarli veramente: li avete sempre visti come materia per le vostre dissertazioni,
e quindi per la vostra carriera.
IL PROFESSORE. Adoro lo sguardo limpido con cui questa ragazza ci insulta.
MARINA Non è abbastanza.
IL PROFESSORE. Come? Gliene sto dando due al posto di uno, piccola delinquente.
MARINA. Lei è pazzo, Professore. Un Kleinbettingen vale più di due Sterpenich.
DANIEL. D'accordo! Bruciamo Il ballo dell'osservatorio! Così anche lei se lo andrà
a rileggere in Facoltà.
IL PROFESSORE. Impossibile. Non posso leggere quel libro in pubblico dopo il male che ne ho detto.
DANIEL. Ah! E davanti a me non la imbarazza?
IL PROFESSORE. No. Parto dal principio che ogni assistente considera il suo maestro un imbecille.
Così davanti a lei non credo di avere niente da perdere.
DANIEL. Mi stupisce! Mi era sempre parso il contrario: che ogni professore considerasse il suo assistente
un imbecille.
IL PROFESSORE. Ma è vero anche questo. Come lei ben sa, il principio di non contraddizione in psicologia
non vale. E questo disprezzo reciproco mascherato da rispetto pieno di ammirazione è uno dei tratti
più affascinanti della relazione tra professore e assistente.