Se fossi al posto di
Jean-Pierre Jeunet, il regista di questo film, sarei molto ma molto preoccupato, perché è davvero difficile
per chiunque, dopo aver raggiunto la perfezione, rimanere allo stesso livello qualitativo. Ma partiamo dall'inizio.
Questo è uno di quei film che ho perso alla sua uscita nelle sale cinematografiche, un paio di anni fa, senza un particolare
motivo. O forse sarà stata la pubblicità che lo faceva passare un po' come un film per bambini o la scena più ripetuta
nei trailer, l'unica che sembra presa direttamente da
Delicatessen, uno dei film precedenti di Jeunet. Fatto sta che
non mi capitò di andarlo a vedere. Ne avevo però sentito parlare piuttosto bene e così quando l'ho visto in un negozio
in edizione DVD a due dischi, ho deciso di comprarlo.
Meraviglia. Emozioni. Risate. Lacrime. Cos'altro si può chiedere ad un film? Ho letto di recente su un sito di cinema
molto frequentato che Amélie è finito direttamente nella lista dei cinquanta migliori film di tutti i tempi. Per me, che ne
vedo pochi, è nella lista dei primi cinque. Vediamo di capire perché, anche se è molto difficile dare voce alle emozioni,
razionalizzare i sentimenti. Ma dopo averlo visto non meno di quattro volte in una settimana, mi sento autorizzato
ad una piccola analisi senza pretese.
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La trama di per sé non è particolarmente complicata, visto che segue la vita di Amélie dalla nascita lungo la sua
fanciullezza solitaria, fino al giorno in cui, per una serie di
circostanze casuali e grazie forse alla sua voglia di complicare le cose semplici, trova infine l'amore.
La fanciullezza di Amélie ed il suo ambiente familiare sono descritti da una ironica voce narrante, come in uno stralunato
documentario sociologico dove il padre, medico, non l'abbraccia mai e la madre, insegnante, è assolutamente nevrotica, ma anche
dove il sogno già prevale sulla realtà, con macchine fotografiche che provocano incidenti, pesci rossi suicidi e turiste del
Québec con la passione per il volo. E tanta solitudine.
Troviamo poi Amélie giovane donna, che lavora in un café di Montmartre, frequentato da persone forse ancora più surreali
dei suoi immaginari amici d'infanzia. Trova per caso dei ricordi infantili e si mette sulle tracce del proprietario, ora
adulto, decidendo in qualche modo di uscire dalla solitudine dedicandosi agli altri. Fa tante buone azioni ma in un modo
così complicato da essere una specie di agente segreto della bontà, spia a fin di bene, impicciona per dare sollievo.
E soprattutto, laddove un diffuso luogo comune vorrebbe l'intelligenza appannaggio dei cattivi e la stupidità dei buoni, Amélie
agisce con intelligenza e bontà, organizza stratagemmi complicati ed apprezza allo stesso tempo le piccole gioie
che la vita sa offrire a chi è in grado di riconoscerle. E quando nota maleducazione, burbera arroganza, voglia di
esercitare potere e dominio sugli altri, Amélie sa anche far emergere il lato zorresco della sua personalità e passa all'azione,
questa volta per punire l'egocentrico di turno, senza eccedere, certo.
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Poi un giorno incontra per caso un uomo di cui s'invaghisce al primo sguardo e per conquistare il quale, lottando contro
la sua timidezza un po' masochista, mette in campo il meglio del suo armamentario organizzativo, ulteriormente complicato
dal caso che ci mette opportunamente lo zampino. E tutto finisce bene, naturalmente (se fosse finito diversamente
avrei organizzato dei sit-in di protesta sotto la casa di Jeunet).
Ma la trama da sola non può dare l'idea di cosa sia questo film. Per cominciare, i personaggi, tutti
posseduti da qualche piccola ed innocua mania, sono descritti con pochi ma poetici colpi di pennello, come nel
quadro impressionista che uno di loro dipinge e ridipinge da vent'anni. Ed il loro mondo interiore, i sogni, i desideri,
sono sovrapposti e mescolati alla realtà (ma senza confusione), con una dolcezza così struggente da lasciare
ammutoliti. Nonostante sia pieno di parole, di racconti, di affabulazione, è come se il film comunichi
direttamente con gli strati più profondi della corteccia cerebrale, con le nostre emozioni più intime.
E il bello è che tutto ciò non appare per niente artificioso, la storia scorre fluida e coinvolgente, ed è solo
dopo averlo visto varie volte che si inizia a notare il sapiente uso del colore, la musica di
Yann Tiersen
(che meriterebbe da sola un commento) sempre in sincrono con le emozioni, i piccoli effetti sonori, perfettamente descrittivi, le
pazzesche angolazioni di ripresa ed i rocamboleschi piani sequenza. E poi le accelerazioni, l'uso del rallentatore (chi
ha detto che il tempo è un concetto oggettivo?), i primi piani esasperati, il cinema nel cinema, l'uso del bianco e nero,
le citazioni di eventi dello sport francese, i documentari immaginari con la voce del giornalista autentico: tutto
è fluido ed apparentemente naturale, perché tutto converge nel complotto del racconto, della storia.
A pensarci bene, ci sono qui più effetti speciali che nei recenti film americani di fantascienza, ma mentre
questi ultimi finiscono per sembrare purtroppo dei cartoni animati, in Amélie gli effetti sono trasparenti,
invisibili.
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Una storia a parte sono le voci. Nel DVD in vendita in Italia è possibile scegliere tra audio in
italiano (con o senza sottotitoli) e audio originale in francese (purtroppo con sottotitoli italiani non
eliminabili). Inutile dire che, se appena conoscete un po' di francese, conviene ascoltare l'audio originale e se per
caso non lo conoscete, imparatelo! Ne vale la pena, non fosse altro che per vedere questo singolo film.
Per me poi, che adoro la voce umana in genere e femminile in particolare (sarà questa la mia piccola mania innocua?),
è stato particolarmente toccante non solo vedere il sorriso e lo sguardo della giovane
Audrey Tautou, la meravigliosa protagonista,
ma anche ascoltare la sua voce ("Monsieur Quincanpoix, c'est un fantôme!"). Ed a questo proposito va detto
che il secondo disco incluso nella confezione è un vrai coffre aux trésors per chi apprezza il film, contenendo
un'intervista a Jean-Pierre Jeunet, i provini di Audrey Tautou e di altri due attori, gli errori durante le riprese, una galleria
fotografica e tante altre cose, tutte assolutamente consigliabili da vedere.
Poi dopo aver visto e rivisto tutti i contenuti del secondo disco, potrete ritornare al primo per rivedere per l'undicesima volta
il film, ma questa volta attivando il commento del regista. Si vedrà così una versione un po' accorciata del racconto, con
sovrapposta la voce di Jeunet (sottotitoli in italiano) che spiega molti dettagli delle riprese. Ma non c'è fretta per questo,
perché si rischia, capendo troppo, di perdere un po' della poesia della storia.
Per finire, e per sintetizzare il mio entusiasmo, vi dico che se fossi un imprenditore organizzerei il test Amélie:
si fa vedere il film al candidato all'assunzione e lo si riprende con una telecamera. Se mostra reazioni, se ride, se piange,
è normale e si passa alla fase successiva, mentre se resta impassibile o fa il sardonico, via! fuori! Mica normale, questo qui...
Durante una presentazione al pubblico e rispondendo ad una domanda Jeunet ad un certo punto ha dichiarato, come
Flaubert, che "Amélie c'est moi", ma noi spettatori non possiamo certo lasciare che l'autore rivendichi la
sua immedesimazione con il personaggio. Et si Amélie c'était moi?
Vinicio Coletti, 26 novembre 2003
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