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LA CHIESETTA DELLA MADONNA DEL CARMINE A VALLE AVELLANA (MARCHE) Le ricerche qui svolte
sono state condotte su documenti ufficiali dell'Archivio di Stato di Pesaro, in particolare del Catasto Gregoriano, del Catasto Regio e della Repubblica Italiana. Sono inoltre state prese in
esame pagine on-line sull'argomento. Tempo fa, su questa
chiesetta in Valle Avellana, ho consultato pagine web curate da Tarcisio
Giungi e Francesco V. Lombardi. Ha scritto il Giungi: «Da sempre dedicata a
S. Maria, come testimonia anche la pittura murale quattrocentesca e lo stesso
toponimo “la Madonna”, ha visto però mutare nei secoli il titolo: S. Maria,
S. Maria in Silvis, S. Maria in Silva, S. Maria da
Terra Rossa, S. Maria del Monte Carmelo». A proposito della visita pastorale
del 1780, ha annotato ancora il Giungi, «la chiesa di S. Maria in Silva (o Silvis) era meglio conosciuta come S. Maria del Monte
Carmelo». Ora, poiché a chi
scrive non risulta che la chiesetta abbia il titolo storico di Santa Maria in Silvis, vien da chiedersi se il toponimo “la Madonna” non
testimoni piuttosto che essa sia da sempre intitolata La Madonna. Nella
toponomastica delle campagne dell’epoca contadina, specialmente dell’alto
pesarese, il toponimo indica al contempo un complesso di campi coltivati e la
casa annessa e “Madonna” è, nei documenti ufficiali, il toponimo dell’area
immediatamente antistante alla chiesa e alla casa a fianco, dal quale si può
solo dedurre la dedica (meglio: l’intitolazione) alla Madonna, non a S.
Maria. Di tutte le
denominazioni riportate dal Giungi, una non è confortata da alcun riferimento
documentale ed è, paradossalmente, quella data per autentica. I verbali delle
visite pastorali, citati dal Giungi, sono incoerenti, ma nessuno di essi
riporta questa denominazione, in cui l’autore aggiunge tra parentesi il plurale Silvis in alternativa al singolare Silva del documento considerato. Appare anche sorprendente che, tra tutte le
ipotesi prese in considerazione dagli autori, non ci sia quella più verosimile,
considerata quasi un’ingenua deviazione della gente del luogo. Il Lombardi parla
della chiesetta «dedicata a Santa Maria, con l’aggiunta del caratteristico
locativo ‘in Silvis’, che perpetuava la sua antica
denominazione derivante dal latino», ma anche per queste
affermazioni nessun riferimento documentale. In realtà nessuno conosce la storia delle origini di questa, come di tante altre chiese e chiesette di campagna, specialmente se risalenti al periodo pre-tridentino. Ogni ricostruzione celebrativa, un po' come quella virgiliana della fondazione di Roma, è frutto di fantasia e appare storicamente tanto più arbitraria e inaccettabile se fatta sulla base di qualche discutibile considerazione stilistica che lascia necessariamente il tempo che trova. Un vecchio quaderno
delle elementari, probabilmente degli anni Cinquanta del secolo scorso e
rinvenuto in una soffitta a Valle Avellana, si riferisce a un vecchio
registro dei battesimi, probabilmente trafugato. A proposito della chiesa
parrocchiale di S. Giorgio vi si afferma che aveva «due annessi: S. Maria in
Silva (dedicata alla Madonna del Carmine) e S. Bartolomeo» (la nota cappella
ormai crollata del Petroso). Questo fa pensare che la chiesa sia in effetti
dedicata alla Madonna, e S. Maria in Silva (lo stesso nome è presente nei
verbali diocesani) possa rappresentare un toponimo della zona di pertinenza
di S. Giorgio, che include, oltre alla chiesa, terreni e l’annessa casa del
contadino in prossimità della zona tuttora detta Santa Maria. In ogni caso i
documenti diocesani suggeriscono solo ipotesi ambigue. Il Catasto
Gregoriano relativo a Valle Avellana, quadro V (1813), è il primo documento
ufficiale, coerente e attendibile di cui si possa disporre. Esso riporta due
denominazioni di luoghi, uno, già visto, antistante alla chiesa, l’altro più
lontano e defilato, in basso rispetto a essa, ovvero, rispettivamente, Madonna e Santa Maria. Santa Maria è però il nome di un piccolo complesso
di abitazioni e aree private, ben separato dalla chiesa da un’alta scarpata e
da strade vicinali, con una casa del proprietario (così nel Catastino
gregoriano del 1855), oggi crollata, che veniva denominata, anche a memoria
d’uomo, allo stesso modo. Per gli abitanti di Valle Avellana dire Santa Maria
vale dunque, correttamente, riferirsi al rudere di un fabbricato e alla
zona, nelle vicinanze della chiesa, non a un luogo di culto. Ho riflettuto a
lungo sulla possibilità che la denominazione di Santa Maria avesse a che fare
in qualche modo con quella della chiesetta, magari in omaggio a essa. La mia
conclusione è stata che tra le due denominazioni non c’è alcun rapporto,
tranne che sono entrambe rappresentative di una zona dall’alta atmosfera
mistica, oggi spopolata, ma da secoli abitata da gente devota alla Madonna. Santa Maria è
tuttora la denominazione di quel luogo privato, mentre il fabbricato annesso
alla chiesetta della Madonna è classificato, nel citato Catastino gregoriano,
come “Casa da massaro” e nel registro del Catasto
Regio del 1876 “Prebenda parrocchiale di S. Giorgio in Valle Avellana”. Il Catasto
Gregoriano porta anche a un’interessante congettura, che appare verosimile.
Dal predetto quadro V di Valle Avellana si può notare che la chiesa in
oggetto si trovava nel 1813 nelle vicinanze di una quindicina di abitazioni,
nove delle quali raggruppate in due agglomerati, Ca’ Catelano
(cinque abitazioni) e Santa Maria (quattro abitazioni). Santa Maria è l’agglomerato
più vicino alla chiesa. Questo può portare a due ipotesi: 1 – Che la chiesa
fosse il luogo di culto per gli abitanti dei dintorni, dipendente dalla
Chiesa parrocchiale di S. Giorgio; 2 – Che, in quanto tale, la chiesa poteva
essere denotata con l’espressione, semplicemente indicativa, di “Chiesa di Santa
Maria” (dall’agglomerato residenziale più vicino), appellativo comune ai
verbali delle visite pastorali. Se si aggiunge che il bosco sottostante è
denominato “Selve del monte”, si potrebbe giustificare, azzardando molto,
l’appellativo non ufficiale di Chiesa di S. Maria in Silva (più letteralmente
“in Silvis”). Riferendosi però tutte a un
agglomerato civile, nessuna di queste denominazioni può essere quella
del titolo della chiesetta, ma costituirebbero solo sue denominazioni convenzionali
relative al luogo di appartenenza. L’unica sostenibile, in base ai documenti, appare Chiesa
della Madonna del Carmine, divenuta probabilmente una cappella dipendente
dalla Chiesa parrocchiale di S. Giorgio da quando questa fu costruita (non
più di quattro o cinque secoli fa), nel caso sia più antica di questa, e dedicata alla Madonna (meae Dominae dicata, nell’ipotesi, tutta da verificare, che risalga ai
secoli del latino). Peraltro i verbali diocesani, relativi alle visite
pastorali dopo il Concilio di Trento, in rapporto alla denominazione della
chiesetta sono di un’incoerenza significativa, che tradisce il tentativo di
colmare lacune plurisecolari, forse precedenti ai Decreti Tridentini. Al fine della
denominazione della chiesetta il Catasto Gregoriano non è più di tanto
utilizzabile, perché le chiese non vi erano riportate col titolo, ma solo segnalata con
croci e lettere maiuscole dell’alfabeto, e, nel predetto quadro V, S. Giorgio
è siglata con A, l’annessa canonica con B e la distanziata chiesetta di cui ci occupiamo con C. Va detto, invero,
che la cartina militare di Sassocorvaro assegna
alla località antistante alla chiesa il nome di S. Maria, che sembra
contraddire il Catasto, ma il rapporto scalare della mappa è piuttosto
piccolo e non c’è spazio per tutti i toponimi locali, come quello di Madonna, presente invece nel Catasto.
La cartina, peraltro, non contrassegna le chiese con la denominazione, ma con
delle croci, mentre riporta per esteso quella delle proprietà private, come,
appunto, Santa Maria. “Santa Maria” è allora da considerare la probabile
denominazione assegnata per convenzione all’intera località, dal nome della
vicina area privata così denominata. La cartina, peraltro, non ha scopi
civili, tanto meno religiosi, quindi poco probante in rapporto al nostro
argomento. Tuttavia da essa si può ricavare un’ipotesi, anche questa senza
supporti documentali. Si potrebbe pensare che il toponimo “Santa Maria” si
riferisca all’intera località e che la parte sottostante all’altura dove si
trova la chiesa, privata e libera dal bosco, fosse denominata Santa Maria extra silvam,
mentre quella soprastante, che si trova tuttora ricoperta di querce, Santa
Maria in silva. Di qui si può ricavare
l’espressione Chiesa di Santa Maria in silva, che però non costituirebbe comunque il suo titolo, così come l’espressione Chiesa di Valle Avellana non è il titolo
della chiesa parrocchiale di Valle Avellana. Se però consideriamo
il Catasto Regio del 1876, di sei anni successivo alla fine dello Stato
Pontificio, le cose cambiano in modo risolutivo. Il registro di questo
catasto annota per esteso anche i nomi dei luoghi di culto. Il documento
catastale segue di sedici anni il plebiscito che segna il passaggio della
zona dallo Stato Pontificio al Regno di Sardegna e all’immediatamente
successivo Regno d’Italia: un’inezia anche per la memoria d’uomo, quindi quel
che il documento riporta sulle denominazioni che ci interessano è da considerare
attendibile, oltre che per lo Stato Italiano, anche in rapporto
all’ufficialità della Chiesa di allora, benché tra i due notoriamente non
corresse buon sangue. Ebbene, il predetto registro dei fabbricati denomina la
chiesa parrocchiale di Valle Avellana “Fabbricato
per il Culto Chiesa sotto il titolo di S. Giorgio in Valle Avellana” e,
subito sotto, la chiesetta di cui ci occupiamo con la denominazione “Fabbricato per il Culto Chiesa sotto il
titolo della Madonna in Valle Avellana” (rispettivamente col numero
seriale di 4 A e 5 A). Nessuna traccia di altre denominazioni. S. Maria in Silvis è dunque un’ipotesi recente, forse suggerita
dai verbali diocesani, che certamente può avere attrattiva nell’immaginario
collettivo, ma che non ha riscontri documentali. Il foglio 5 del
Catasto della Repubblica Italiana, databile negli anni Quaranta del secolo
scorso, quindi probabilmente una prosecuzione del Catasto Regio, conferma
tutto questo e riporta precisamente, su quel terreno antistante alla chiesa,
la denominazione “Ca’ Madonna”, che corrisponde a quella bisecolare del
Catasto Gregoriano, e per la mulattiera che congiunge la strada principale di
Valle Avellana al Trabocco, passando proprio dietro alla chiesetta, il nome
di Strada vicinale La Madonna. Per la predetta località privata sottostante
la mappa riporta la denominazione di Santa Maria. Stando alle prove documentali,
dunque, non possono esservi dubbi: il titolo storico della chiesetta è
senz’altro Madonna (del Carmine) e quello di Santa Maria in Silvis un comprensibile falso. Non c’è allora da stupirsi se, come
annota il Giungi, i Valleavellanesi continuano a
chiamarla col suo vero nome, diffidando di quello posticcio. Oggi
la chiesetta, già ridotta in grave stato di degrado, è stata ristrutturata,
diversamente non sarebbe sopravvissuta e il suo crollo definitivo e
irrimediabile sarebbe stato fatale in tempi brevi. Ma è difficile respingere
il pensiero che, nonostante il ringiovanimento di facciata, sia morta lo
stesso, magari non di vecchiaia, piuttosto per eutanasia. La “Casa da massaro” (Ca’ Madonna) è diventata una casa per ferie e,
accorpata alla chiesa, fantasiosamente ribattezzata "Eremo" (la
falsa analogia del complesso con l’eremo del monte Carpegna, che però lo è
per davvero, è evidente), ristrutturata per chi compra relax. è vero che ogni proprietario fa a
buon diritto, nei limiti del consentito, ciò che crede coi suoi beni, ma se
per “chiesa” s’intende anche una comunità di fedeli, il discorso cambia.
Oltre a quella giuridica, c’è infatti una proprietà morale, che non sempre
coincide con la prima, ma che va ugualmente rispettata. Questo rispetto sembra essere
mancato. Allora la provvidenziale ricostruzione
potrebbe non bastare a cancellare un pensiero inquietante: che l’opera di
sciacallaggio che il Lombardi denuncia si sia protratta ben oltre il periodo
cui l’Autore si riferisce, non più nei confronti di poveri resti umani, non più
alla ricerca di «improbabili», ma di autentici tesori. La chiesetta è stata
infatti spogliata della sua opera d’arte ritenuta quattrocentesca, che mi piace denominare Madonna del falco, per il falchetto tenuto in mano dal Bambino, sostituita da
una crosta. fmb |
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