Articolo tratto da Vita Trentina del 4 settembre 1983


Quarant'anni fa l'8 settembre

Quando fui prigioniero a Czestochowa



L'8 settembre 1943 è ricordato come il giorno più nefasto della storia italiana di questo secolo.
L'improvviso armistizio firmato dall'Italia con gli anglo-americani scatena la rabbiosa reazione dei tedeschi, che si sentono traditi dagli ex alleati e sfogano la loro sorda ira contro i soldati italiani del tutto ignari e allo sbando e contro la popolazione inerme e sbigottita.
Per ricordare, a quarant'anni di distanza, quella tragica pagina di storia, pubblichiamo alcuni ricordi di un ufficiale trentino, il comm. Pompilio Aste di Terlago, che quel giorno venne fatto prigioniero con tanti altri militari italiani e deportato in Polonia e quindi in Germania.

Il motivo che inizialmente ha spinto Pompilio Aste a scrivere questo articolo - tratto da un più ampio diario che in quei ventiquattro mesi di prigionia compilò scrupolosamente e che oggi costituisce un interessantissimo documento storico - ce li spiega lui stesso: "È' noto a tutti che S.S. Papa Giovanni Paolo II coltiva nel cuore una assai profonda venerazione per la Madonna Nera di Czestochowa e non tralascia occasione per esaltarla protettrice universalmente riconosciuta. Ed è altresì noto che il leader di Solidarnosc Lech Walesa ripone tanta fiducia nell'aiuto che da quella Madonna può venirne, che porta - sarà stato osservato - una piccola immagine Sua all'occhiello della giacca. Detto questo, passo ai fatti di cronaca che interessano".

Capitano d'artiglieria in Lubiana (Slovenia) nell'infausto giorno dell'8 settembre 1943, fui catturato, a seguito dell'armistizio sottoscritto dall'Italia, dalle truppe della Germania nazista e avviato, assieme a qualche centinaio di migliaia di soldati nostri, a durissima prigionia.
In cinque giorni di viaggio dentro vagoni piombati, in condizioni di morale e di igiene e di salute indescrivibili, pervenimmo al campo di smistamento di Thorn, su nel Corridoio polacco vicino a Danzica.
Ci si disse che 7000 prigionieri russi avevano avuto sepoltura in fosse comuni che al di là dei reticolati potevamo osservare in un enorme terrapieno. Al comando del lager ebbi modo di incontrare una giovane polacca che era stata mobilitata per lavoro coatto in qualità di dattilografa. Le consegnai qualche "slot" che m'ero procurato cambiando pochi marchi che tenevo nascosti tra stoffa e fodera, pregandola di procurarmi un notes e un pettine da tasca, che avevo smarrito.
Mi portò sollecitamente quanto avevo chiesto, e mi regalò tre piccoli pomidori, per la verità mezzo acerbi, ma ugualmente graditissimi.
Dopo... giorni di caos e di fame, finite le operazioni di immatricolazione, i tedeschi separarono gli ufficiali dai sottufficiali e soldati, che vennero destinati ai campi di lavoro.

Scendendo verso la zona dei Carpazi, la tradotta degli ufficiali e un piccolo contingente di soldati da impiegare nelle cucine e in servizi vari pervenne a Czestochowa e lì si fermò. Con inaudita asprezza di comando (e chi, anche in Italia, non ricorda con quanto tremore nel cuore si doveva sopportare quel modo di comandare a scatti, barbaro, odioso?), i soldati della scorta imposero l'inquadramento (per cinque - zu fünf) il che provocò un inaudito episodio: i nostri soldati prigionieri non furono sollecitati ad ubbidire per sollevare gli zaini e iniziare la marcia - perché non capivano la lingua - scatenando l'ira delle SS che, imbracciato il fucile per la canna, menarono botte da orbi fino a quando quattro poveri ragazzi non furono a terra con la testa fracassata. Troppo tardi mi feci largo dal mio reparto per implorare i tedeschi che volessero chiedere un interprete per scongiurare episodi di tanta ferocia. Poveri ragazzi! La colonna si mosse per il centro della cittadina. Desolszione ovunque! Sapemmo dopo che la nostra destinazione - a circa 5 km. dalla stazione - era la Nord Kaserme, un complesso massiccio caseggiato già usato dalla vecchia Austria.
Eravamo stanchi e debilitati. Nel lento, doloroso trasferimento incrociammo a più riprese delle camionette delle SS armate di mitra. Il trasporto? Gruppi di civili polacchi catturati, costretti in piedi, oscuri e fieri in viso. Mi rammentarono quelle stampe del Risorgimento italiano che illustravano l'ultimo viaggio dei patrioti verso il patibolo.
Di tanto in tanto la scorta tedesca era costretta a concederci un po' di riposo lungo qualche marciapiede: dalle porte delle case prospicienti uscivano guardinghe ma premurose delle donne, per darci o un pezzo di pane o frutta o delle "papiroschi" o, a richiesta, dell'acqua da bere.
Sono stato presente a quest'opera di carità: mentre ci veniva distribuita - certo con cuore fraterno - dell'acqua, un soldato della scorta si tolse il fucile dalla spalla e colpì col calcio la donna all'anca con tanta forza che ancor oggi ho l'impressione di sentirne la botta. Udii la poveretta dire a quell'energumeno con dignità e fermezza pur nel cocente dolore: "Cosa crede lei, noi abbiamo anche un cuore!". E quegli preferì allontanarsi in silenzio lungo la colonna. Giunti a destinazione occupammo le diverse camerate, lieti di essere al riparo tra grosse mura; speravamo di poter trascorrere in quella caserma i mesi d'inverno che era alle porte (e fu un disinganno atroce, perchè dopo poche settimane fummo di nuovo trasferiti).
Dalla finestra al terzo piano contemplavo il paesaggio: un groviglio di tetti e, in lontananza, il campanile slanciato e il tetto della cattedrale che - mi si disse - era il famoso santuario della Madonna Nera.
Campanile e tetto mi sembravano in stile gotico: si stagliavano netti contro l'orizzonte plumbeo (schizzo a penna nel mio diario, ritratto e ora riprodotto). Dopo qualche tempo i nostri cappellani militari, anch'essi prigionieri con noi, fecero sapere al comando tedesco di essere a corto di particole per le Comunioni: fu accordato il permesso di provvedere al rifornimento in questi termini: due tenenti cappellani, accompagnati da un interprete e scortati da due soldati armati, furono inviati al Santuario per chiedere ai padri quanto necessitava. A far da interprete fu scelto il nostro capitano Francesco Delvai da Molina di Fiemme Andarono un pomeriggio, rientrarono dopo due o tre ore. E raccontarono della fraterna accoglienza ricevuta da quei bravi padri, della maestosità e magnificenza del Santuario, dello splendore dell'Immagine della Madonna Nera collocata sopra l'altar maggiore, scintillante d'oro, in contrasto con il bruno del viso serio della Mamma e del Bambino.
Noi ascoltavamo ammirati. Non mancò neppure una dettagliata descrizione che quei fortunati amici ci fecero: voglio dire dell'offerta, da parte dei padri, di una merenda coi fiocchi: pane bianco, speck, birra a sazietà.
Recavano poi un pacchetto per ciascuno di immagini benedette della Madonna con sotto la dicitura in cirillico e ne distribuirono a quanti più poterono.
Qualche tempo dopo, quando da casa mi giunse un pacco e vi trovai anche una scatola di latte condensato, ebbi la possibilità di "incollare" la preziosa immagine su una pagina di quel mio notes-diario che la giovane dei pomidori di Thorn mi aveva procurato. Con quanto orgoglio e devoto rispetto io custodisca ancor oggi quel prezioso dono lo lascio immaginare ad altri.

Con l'approssimarsi dell'inverno dovemmo - con grave rimpianto - lasciare l'ospitale Nord Kaserme e fummo portati a Cholm (oggi Chelm, credo) ancora più ad est, nella pianura del Pripet.
E li toccammo il fondo della miseria e della repressione, quando il comandante tedesco ci prese in consegna e a mezzo interprete ci disse che il campo era stato dichiarato inagibile dalla Croce Rossa internazionale per le gravissime carenze ambientali: pavimenti e tetti delle baracche sfondati, acqua e neve che penetravano all'interno, viveri scarsi, ecc.

Disse anche che se fossimo stati disciplinati ci avrebbe aiutati (udite, udite) a migliorare la situazione. Il giorno dell'Immacolata vi fu una messa vespertina celebrata dal cappellano francescano Padre Potrich da Terragnolo di Rovereto, in un'atmosfera carica di pianto e di fede.
Il tenente dei bersaglieri Federico Tomasi da Villazzano di Trento - buon tenore
- cantò ad un tratto l'Ave Maria di Schubert. In una seconda strofa, parafrasando il testo autentico, cantò: "Prigionieri siam di una terrena, crudele, iniqua brutalità; ma in Te, Maria, troviam la pace, la luce, la libertà".

Oggi, a distanza di 40 anni, vorrei ardentemente poter realizzare un sogno: raggiungere Czestochowa e ripercorrere quella strada portando una montagna di viveri, e bussare a quelle porte e dire a tutte quelle brave persone: "Ecco, quel che mi desti ora ti rendo".

Pompilio Aste


Disegno di Pompilio Aste






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