Senza che i governi centrale e locali facciano niente per evitarlo
Spesso bruciano vivi nelle baraccopoli come è accaduto nel casertano e a Roma
Lega e AN mettono a fuoco un campo a Milano
Il 3 gennaio scorso a Orta di Atella, in
provincia di Caserta, due giovani sposi di etnia rom, Cristina di 15
anni e Nicolae di 14 sono arsi vivi nella loro baracca, nel campo
nomadi che ospita la piccola comunità rumena; venti baracche piazzate
sotto i piloni dell'asse di supporto Nola-Villa Literno, al confine con
l'area industriale di Pascarola di Caivano (Napoli), tra rifiuti e
campagne, lontani dai centri abitati, senza luce e senza acqua. A
causare la tragedia l'incendio divampato forse da una candela o da un
mozzicone di sigaretta mal spento (al momento gli inquirenti escludono
l'incendio doloso), una piccola miccia che ha bruciato il legno della
casupola ricoperta di bitume per evitare le infiltrazioni di acqua. Non
era ancora l'alba quando nell'accampamento si sono resi conto di quanto
stava avvenendo, gli abitanti delle baracche limitrofe sono riusciti a
mettersi in salvo, mentre tutta la comunità ha fatto quanto ha potuto
per tentare di domare l'incendio. Hanno usato la poca acqua che avevano
nei bidoni, le coperte, il terreno, ma invano. Quando sono arrivati i
pompieri di Aversa e Afragola, per i due ragazzi non c'era più nulla da
fare. Li hanno trovati carbonizzati, abbracciati nel loro letto.
Un mese prima, in analoghe situazioni, erano morti soffocati altri due
giovanissimi rom, Sale di 17 e Ljuba 16 anni, sposati da un mese, per
l'incendio provocato da una stufa in un campo nomadi alle porte di
Roma. Mentre il 31 dicembre, per la stessa ragione, un vasto incendio
ha distrutto quasi completamente il campo di via Triboniano alla
periferia di Milano.
E quando non ci sono gli incidenti a dare fuoco ai campi ci si mettono
i razzisti, come è avvenuto il 23 dicembre scorso a Opera, comune a Sud
di Milano, dove dietro la regia politica della Lega razzista e xenofoba
e i fascisti di AN, si sono vissute scene da Ku Klux Klan. Almeno un
centinaio di persone, armati di taniche di benzina, hanno dato fuoco a
7 tende e divelto le altre 6 che la protezione civile aveva approntato
per ospitare una settantina di rom, 35 dei quali bambini, sgombrati da
Milano una settimana prima da un terreno di proprietà di Ligresti,
azionista di Rizzoli e Corriere della Sera. E poi, come guerrieri
barbari dopo la battaglia hanno sparso i trofei bruciacchiati nella via
principale della cittadina.
Una vera e propria spedizione squadristica fascista e razzista, aizzata
e preventivamente rivendicata, megafono alla mano, dai capogruppo della
Lega Nord Ettore Fusco e quello di AN, Pino Pozzoli, durante la seduta
del consiglio comunale interrotta da circa 400 "cittadini" vocianti e
assatanati che sventolando le bandiere della Lega e di AN hanno
subissato di improperi il sindaco diessino per la decisione di ospitare
provvisoriamente il campo nomadi, al termine del quale si è staccata
l'orda fascio-leghista partita per l'operazione "rogo". Ma ancor più
grave è che tale odioso raid è avvenuto con il colpevole e tacito
consenso delle istituzioni e delle "forze dell'ordine" che non hanno
fatto nulla per fermare gli squadristi e ancor meno per punire i
mandanti politici e gli esecutori. Il solo fatto che il prefetto di
Milano, Gian Valerio Lombardi, ha minimizzato il rogo di Opera come
"atti vandalici", dimostra che per il rappresentante del governo dar
fuoco a un'intera tendopoli di "zingari" non è poi un reato tanto
grave.
Del resto del fatto che i rom vivono come bestie nessuno a livello
istituzionale, non se ne fa carico né lo Stato, né il governo, né gli
enti locali. Istituzioni e politicanti borghesi della destra e della
"sinistra" di regime sono tanto solerti a lanciare fulmini e anatemi su
rimozioni di crocifissi e accuse di antisemitismo se qualcuno brucia
una bandiera israeliana quanto vergognosamente indifferenti alle
disumane condizioni di vita cui vengono costrette queste minoranze
etniche, e d'accordo con gli stereotipi e i pregidudizi ostili ai rom.
Tant'è che se i loro campi bruciano, per incidente o dolo, con o senza
vittime, al massimo sono tragici fatti di cronaca, su cui né Prodi né
Napolitano ritengono di dover andare a dire sul posto qualcosa. Una
colpevole e vigliacca indifferenza che è già costata all'Italia una
accusa di "segregazione razziale" nei confronti dei popoli rom e sinti.
Un paese, come l'Italia, che costringe uomini donne e bambini a vivere
in condizioni così pietose e drammatiche non può dirsi civile. E le
responsabilità degli enti locali e centrali sono pesanti. Basta vedere
come i comuni scelgono di localizzare i pochi e bruttissimi campi
attrezzati in cui segregare i rom. Bisogna cercarli lungo le ferrovie,
le tangenziali, i canali, le periferie più abbandonate, lontani dalle
linee di trasporto, dai servizi, dai negozi, dalle scuole. Lontani dai
luoghi della "gente per bene". Per non parlare dei campi spontanei,
dove baracche costruite assemblando e riciclando i materiali più
eterogenei si alternano a sgangherate roulotte su discariche a cielo
aperto, senza luce, acqua e servizi igienici, tra ratti grandi come
gatti. E che dire dei brutali e continui sgomberi notturni che sbattono
gli "abusivi" da una discarica all'altra, come fece Rutelli da sindaco
di Roma, che nel 2000 organizzò lo sgombero a manganellate di un campo
di rom bosniaci in previsione del Giubileo?
Di fatto per i rom vige l'apartheid, condannati nella condizione di
cittadini senza diritti di cittadinanza. Non solo per gli insediamenti.
Anche se nessuna legge vieta loro di prendere i mezzi di trasporto,
entrare nei negozi, andare a scuola, frequentare i servizi sanitari,
gli zingari vengono guardati con diffidenza, fastidio, disprezzo. Ci
sono medici di base che rifiutano l'iscrizione di rom o, come ripiego,
fanno frequentare loro l'ambulatorio solo in determinati giorni. Non
pochi sono i gruppi di genitori "benpensanti" (leggi, razzisti) che
magari si riempiono la bocca dei valori cristiani e che hanno
scioperato perché i rom non frequentassero le scuole dei loro rampolli.
Se un rom cerca lavoro deve nascondere la propria appartenenza etnica,
altrimenti il lavoro scompare d'incanto.
È in questo clima putrescente che sono costretti a crescere i bimbi rom
nel nostro paese, ed è questo clima che partorisce tassi di morbilità,
di mortalità, di analfabetismo, di disoccupazione da terzo mondo e che
non ha paragoni con il resto della popolazione. Eppure da parte delle
istituzioni si continua a latitare, a nascondere, a giocare la tecnica
dello "scarica barile" non assumendosi la responsabilità politica di
fare chiarezza su questo popolo, sulla loro cultura e usi, e
soprattutto sul motivo che li spingono a venire nel nostro paese, ossia
la povertà e le "pulizie etniche" durante la guerra nella
ex-Jugoslavia, e soprattutto, non facendosi carico di una politica di
accoglienza degna di questo nome.
I rom infatti non sono "molti, moltissimi", non dilagano e non ci
invadono, come invece sobillano i politicanti reazionari e fascisti
anche in questi giorni. Anzi sono pochi, pochissimi. Dati di alcuni
anni fa, li stimavano in appena il due per mille della popolazione
italiana, di cui 70/80 mila cittadini italiani e 20/30 mila cittadini
stranieri, provenienti, per l'essenziale da varie parti della ex
Jugoslavia. Quasi metà di questo piccolo popolo ha meno di 15 anni,
meno del 3% supera i 60 anni, e i tassi di morbilità e mortalità sono
alti fra gli adulti e altissimi tra i bambini, proprio a causa delle
pessime condizioni di vita a cui sono costretti.
E se la destra fascista e xenofoba ha campo libero nel cavalcare, anche
a livello elettorale, la caccia ai rom è perché la "sinistra" borghese
glielo ha permesso e glielo continua a permettere. Fino ad ora il
governo Prodi, che a parole dovrebbe essere aperto alle diversità, non
ha dato nessun chiaro segnale di rottura con le politiche razziste e
xenofobe del governo del neoduce Berlusconi. E l'indifferenza con cui
sono stati accolti i gravi fatti di Roma, Caserta e Opera confermano
questa tendenza.
Per incidere realmente sulle attuali condizioni di vita di rom e sinti
in Italia è fondamentale mettere al centro la questione dei diritti e
della lotta alla discriminazione. Occorre mettere al centro del
dibattito politico la battaglia per una giustizia sociale, per il
diritto alla casa, al lavoro, alla salute, alla scuola, valida per
tutti, cittadini italiani e immigrati, rom e sinti compresi.
10 gennaio 2007
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