Sul piazzale, sotto la Canonica, sul costone della Valle, un poco discosta dalle case del paese, LA CHIESA; costruita in memoria dei caduti della grande guerra, era piuttosto spoglia e fredda - la arricchì ad un certo punto don Giuseppe Tarter, il curato di Valmorbia, di cui già si è detto in precedenza, con degli affreschi su tutto il perimetro in alto e sull'abside.
Proprio sulla volta dell'abside aveva raffigurato degli angeli, con l'altezza di un uomo, muniti di grandi ali bianche e con le vesti bianche, dotati però di scarponi chiodati di tipo militare, proprio per ricordare i soldati caduti. Sui muri laterali altri angeli i cui volti riproducevano quelli di ragazze di Raossi che don Tarter aveva preso come modello.
I miei ricordi riguardano la frequentazione della chiesa alla Messa della domenica per fare il chierichetto o, quando il sagrestano Francesco lo permetteva, per suonare la campana di mezzogiorno. Ci si divertiva aggrappandosi alla corda della campana e facendosi trascinare più in alto possibile. Sopra la chiesa, sul lato sinistro dello stradone, la casa dei "MOSCONI" una famiglia numerosa, molto laboriosa. Di essa ricordo uno dei figli, robusto, alto circa due metri, prima militare, forse carabiniere, e poi corazziere del re.
Quando veniva - di rado - in licenza e portava la divisa di corazziere, con quel chepì colorato e con le nappe dorate, con quegli stivaloni, alti, lucidissimi, con gli speroni al tallone e la sciabola portata con l'avambraccio, noi ragazzi ci facevamo intorno per farci raccontare come viveva a Roma, nel Quirinale, con il Re e la Regina.
Adiacente alla casa dei Mosconi, la Famiglia Cooperativa, un negozio dove si trovava di tutto, dagli alimentari, agli arnesi da lavoro, dalle sgalmere ai piatti e scodelle e ad altri mille articoli.
Era gestita da un amico "l'ERNESTO", un giovanotto premuroso e gentile con tutti.
Più giù, sullo stradone in discesa, ma già "alla Corte", la macelleria del "CROATO" dove imperava il vecchio Croato, buon commerciante, aiutato dal figlio detto "il CROATELO" che aveva la mano destra priva delle dita, amputate per un incidente di lavoro. Il Croatelo era un uomo piuttosto piccolo di statura, vivace, spiritoso - o almeno cercava di esserlo - pronto alla battuta, capace di buoni rapporti con tutti.
Sempre sullo stradone, sul lato sinistro, una casa di una persona di cui non riesco a ricordare né il nome, né il soprannome. Ricordo però che aveva un asino, molto intraprendente, che ogni tanto scappava dalla stalla e se ne andava per le vie del paese. Il padrone lo doveva rincorrere, affannato. Una volta lo rincorse fino a Parrocchia dove l'asino aveva una compagna.
Ripartendo ora dallo slargo della fontana, laddove si diparte la strada per Costa e percorrendo il lato destro dello stradone, si ritrovava per prima la casa della "MALIA TALIANA" e del "CECI" (Cesare); non avevano figli, tenevano una o due capre in una piccola stalla al pianterreno e noi ragazzi ci divertivamo a farle imbestialire. La "Malia italiana" era una donna intraprendente, ciarliera con quella sua parlata veneta; era oriunda della Val Leogra, al di là del passo Pian delle Fugazze, forse di Sant'Antonio o di Valli del Pasubio o di una delle numerose frazioni di quella valle ed era arrivata in Vallarsa con altre donne "taliane" che venivano per guadagnare qualche soldo nell'aiutare nei periodi di gran lavoro come la fienagione o altro.
Il "Ceci" - uomo mite e dimesso - l'aveva conosciuta in una di quelle occasioni e lei - si diceva - si era fatta sposare. Adiacente alla casa della "Malia", era quella di Ezio Stoffella, figlio del "Didattico" di cui si è parlato: una casa di vacanza usata solo d'estate.
La casa successiva era quella dei "RIGO", una mamma vedova che viveva con i due figli: "il PRIMO" e "il LUCIANO".
PRIMO era un giovane molto dotato ed infatti, dopo le elementari a Raossi, proseguì negli studi (non so bene quale scuola frequentò e se conseguì qualche titolo); lo persi di vista dopo l'adolescenza - anche lui partecipava ai nostri giochi - e lo ritrovai, parecchi anni dopo, ad Arco, responsabile della biblioteca comunale, nel palazzo del Casinò. Non mi meravigliai della posizione che aveva conseguita perché sapevo bene della sua intelligenza e del suo amore allo studio.
La casa successiva era quella dei "NADAI" (Raoss). La famiglia era numerosa: il padre Vigilio era falegname ed aveva sposato la Valeria, figlia dello Scarugia dalla Piazza. Più giovane di noi ma vivace e pieno di vita uno dei figli "l'ALFREDO" - partecipava volentieri ai nostri giochi. Divenne poi autista della Società Atesina che gestisce - fra le altre - anche la linea Rovereto - Parrocchia o più avanti, e l'Alfredo fu assegnato proprio a quella linea.
Una sorella di Alfredo, molto brava ed assennata, sposò il Pierino Darra - figlio di un muratore venuto ad abitare a Raossi, in una casa poco discosta da quella dei Nadai. Pierino gestirà poi, assieme alla moglie un avviato ristorante "da Pierino" in via Barattieri a Rovereto e continuerà a scrivere belle poesie per il piacere dei roveretani.
Nella stradina sovrastante abitava "la CAMILLA" (Rigo) una bravissima ragazza che aiutava la famiglia. Anche lei, dopo le elementari a Raossi, continuò gli studi e si diplomò maestra elementare - una ottima maestra che insegnò anche in Vallarsa e continuò la tradizione della Maestra Angelina.
Di seguito, l'osteria del "MEO" della quale non ho però ricordi precisi - forse perché era, in qualche modo, la concorrente dell'osteria dell'Albergo. So che ad un certo punto fu chiusa. In una delle case successive abitava "la VALERIA" (Valeria Lorenzi) vedova con due figli: il CANDIDO e il GINO.
La Valeria veniva giornalmente a casa mia per aiutare la mia mamma nelle faccende domestiche. Faticava per allevare i due figli.
Il Candido, per un certo tempo, fece il panettiere "el pistor" nel forno di Raossi, poi partì da Vallarsa e si arruolò nella legione straniera: combattè con la legione in Indocina, fino alla sconfitta dei francesi. Per quanto ne so, fu ferito gravemente in battaglia, rimase invalido e continuò a vivere in Francia.
Il Gino, più giovane, partecipò sempre ai nostri giochi anche se lo prendevamo un po' in giro per la sua leggera balbuzie. Era vivace e pieno di trovate e proponeva giochi anche rischiosi.
Durante l'ultima parte della guerra '40-45 fu arruolato nella Polizia Trentina e prestò servizio anche in Vallarsa. Non ebbi più in seguito sue notizie.
Di seguito sullo stradone, la casa del BEPI PORTALETTERE di cui già abbiamo parlato e poi quella del FAUSTINO. Il Faustino era il barbiere del paese ma anche calzolaio.
Tre calzolai in un piccolo paese come Raossi: ma quando si fa tanta strada a piedi e si lavora su quei ripidi pendii occorrono scarpe buone! Faustino era un tipo ameno; mentre faceva la barba o i capelli - a modo suo - si informava sulle vicende familiari dei compaesani e le raccontava poi arricchendole di particolari inediti.
Seguivano, lungo la discesa, ad una certa distanza, le case della "Corte". Salvo quanto ricordato più sopra, non ho altri ricordi sufficientemente chiari della gente della Corte, se non di alcune persone come il "PINO COPO" o il "BALARIN".
Il "PINO COPO" era un ragazzo un poco più adulto di noi: col padre ed il fratello faceva il trasportatore ed il meccanico. Più tardi si attrezzò con un camion. Più lucidamente ricordo "el BALARIN", un personaggio unico, allegro, poeta a tempo perso, con una numerosa famiglia sulle spalle.
Aveva una mula - con la quale faceva trasporti pesanti con una carretta pesantissima; le parlava come ad una persona amica e la mula, bardata con un gran fiocco rosso sul muso, sembrava comprenderlo.
Mio padre e mio zio Guido si servivano di lui quando, per le nostre gite sul Pasubio o alla Cima Posta, partivamo prima dell'alba, seduti su quella carretta ballonzolante, riparati da coperte e si andava in quel modo fino alla Streva per iniziare, di là, la salita sulla montagna. Il Balarin guidava la mula e ci faceva cantare.
Amante del buon bicchiere, era un frequentatore abituale dell'osteria di mia zia Pia e non di rado il vino bevuto risultava eccessivo, per cui il ritorno a casa diventava piuttosto complicato.
Possedeva un bosco situato in alto, proprio a ridosso del Corno Battisti dove, al riparo di una roccia, aveva costruito una baracca di legno nella quale alloggiava nei mesi d'estate per lavorare nei boschi sottostanti.
Raccoglieva l'acqua che cadeva a goccia da una sorgente sul roccione sovrastante la baracca e se ne serviva. Il Balarin era dotato di una vena poetica e scriveva brevi poesie che teneva raccolte in una grossa agenda tascabile che gli serviva da diario. Annotava tutti i giorni i suoi pensieri, ma anche i conti di casa - entrate e spese - e gli avvenimenti che lo interessavano con eventuali commenti.
Quando alcune pagine del diario rimanevano vuote, la scritta trasversale ne dava la motivazione: "ganzega del fieno" (per 3 o 4 giorni i lavori, e quindi il diario - erano stati sospesi anche a causa di libagioni piuttosto abbondanti) oppure "sagra di Foxi" od altre ricorrenze simili.
Il percorso dei miei ricordi finisce qui anche se, come ho accennato nell'introdurlo, altre persone ed altre situazioni di quell'epoca - 60 e 70 anni fa - mi sono tornate alla mente. E' certo, d'altra parte, che quanto raccontato in questo scritto, contiene imprecisioni, errori ed omissioni che credo si possano scusare.
Luciano Girardi
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