VALLARSA NOTIZIE N° 32 luglio 2003 pag. 48, 49, 50, 51, 52


Galleria di personaggi di Raossi di Vallarsa negli anni '30
Ricordi di una adolescenza trascorsa a raossi nei mesi estivi “ai freschi”. (Parte II)

Adiacente all Albergo, ma sempre casa Angheben, vi erano le abitazioni estive di noi GIRARDI - la mamma Erina era sorella di Desiderio - (il papà Antonio ed i figli Rita e Luciano) e della famiglia di GUIDO ANGHEBEN - pure fratello di Desiderio - con la moglie Oliva di Selva Gardena ed i figli Pia e Mario.

Di seguito, in aderenza, la casa CREPAZ - pure residenza estiva - il capofamiglia ex funzionario dell'Impero austroungarico, la moglie Lidia, il figlio Enrico con moglie e figli. Enrico era professore della Facoltà di chimica dell'Università di Padova - un grande esperto nella chimica industriale.

Proprio di fronte a casa Angheben, la sede del Municipio.

Al pianterreno vi era il FORNO DEL PANE: un forno a legna della prima generazione che cuoceva il pane per tutta la valle. Proprietario ne era "EL BASILIO DA SPECCHERI" (Martini), completamente cieco per infortunio, ma capace di camminare spedito su ogni strada col solo aiuto di un bastoncino bianco. Eccezionale questo Martini! Ogni giorno veniva da Speccheri al forno, si caricava di un gran cestone pieno di pane e sopra sistemava un grande sacco pure riempito di pane e con quel carico, col suo passo cadenzato, saliva a Parrocchia, poi giù agli Speccheri e di lì saliva a Camposilvano, ridiscendeva agli Speccheri e saliva ad Obra su un sentiero scosceso, difficile anche per i vedenti. Come potesse resistere ad uno sforzo del genere - 4 o 5 o più ore di cammino ogni giorno, carico in quel modo, non si può davvero spiegare.
Nel forno lavoravano due "pistori": uno che si chiamava Sega e veniva proprio dalla Sega di Sant'Anna e l'altro era il Candido Lorenzi, di cui parleremo più avanti. Talvolta vi era anche l'aiuto di uno dei fratelli Carloni.

Sempre al pianterreno della sede municipale vi era l'ambulatorio del medico condotto.
"Il CONDOTTO"! Una figura molto importante in una valle così estesa, divisa in due parti dal torrente Leno, con una viabilità difficile.
Un medico che era anche ostetrico-ginecologo (i parti avvenivano sempre in casa con l'aiuto della "mammana"), era dentista, era chirurgo soprattutto per la chirurgia d'urgenza e, ovviamente, clinico.
Il primo "condotto" da me conosciuto è stato il dott. Paolo Rasia dal Polo - veneto - un tipo molto comunicativo, forse non proprio adatto alla funzione: infatti durò pochi anni per poi trasferirsi nel Veneto. Aveva moglie e figli, fra l'altro una signora molto bella ed appariscente, che, a quanto si diceva in giro, aveva una particolare simpatia per il Bepim de la corriera. Ma forse era una malignità, forse.

Al dott. Rasia dal Polo subentrò il dott. ALBERTO DORIGOTTI da Isera, un ottimo medico, competente, premuroso, solerte e pronto nella assistenza ai malati, dotato di una intelligenza viva e di un'invidiabile spirito umoristico.
Abitava nell'appartamento riservato al "Condotto" al secondo piano dell'edificio municipale. La moglie, la signora Pia (dei Baroni dal Bleggio), era davvero una persona squisita che aveva saputo integrarsi in poco tempo nella valle ed affezionarsi ai Vallarseri. I Dorigotti ebbero la prima figlia - Giuliana - dopo dieci anni di matrimonio e fu un avvenimento; di seguito ebbero altri due figli.
Il dott. Dorigotti possedeva una "FIAT balilla" della prima o seconda serie - di quelle col cassonetto posteriore esterno - ma anche una moto Guzzi 250 rossa: con quei mezzi si spostava per tutta la valle e poteva frequentare Rovereto.
Era un ottimo giocatore di scacchi ed infatti invitava don Tarter, il curato di Valmorbia di cui già abbiamo descritto le doti, per delle partite impegnativissime.
Sarebbe stato estremamente interessante sentire dal dott. Dorigotti le sue esperienze di condotto della Vallarsa - purtroppo, dopo il suo trasferimento a Rovereto, dove esercitò come dentista, morì.

Al primo piano dell'edificio erano sistemati - si fa per dire - gli uffici comunali.
Degli impiegati ricordo, un po' vagamente, il segretario comunale BAGATTINI, specie perché il figlio Arrigo e la sorella Clelia - pressoché nostri coetanei, facevano parte della nostra compagnia di ragazzi.
Ricordo meglio invece l'OSVALDO "el cossor del Comun" (il commesso comunale): l'Osvaldo era un Gios - della famiglia che descriverò un poco più avanti. Un personaggio simpatico ed allegro, soprattutto gran cacciatore. Per la caccia perdeva la testa e per questo era un motivo di battute, di poesiole:
"E' l'Osvaldo un cacciatore - di grandissimo valore - la sua fama è nazionale - il suo tiro micidiale - ecc. ecc. "
ma anche di scherzi simpatici. Andava spesso a caccia con mio cugino Bruno Angheben che non, riusciva a portare nella bisaccia nemmeno un uccellino, neanche per caso - figurarsi le lepri - gli sfuggivano davanti - .
Una volta anzi, durante una battuta, il Bruno, vedendo muoversi un cespuglio e ritenendo di poter finalmente catturare una lepre, sparò nel ' cespuglio e, per miracolo, non colpì in pieno l'Osvaldo, appostato appunto dietro quel cespuglio; i pallini gli forarono il cappello...

Proseguendo sulla strada, dalla parte sinistra, dopo la casa del Municipio, si trova l'Asilo di cui non sono in grado di dare notizie.

Più avanti, la casa "del ROCCO" (Rocco Zoner): un contadino laborioso, indefesso, con una numerosa famiglia da mantenere, interessato anche ai problemi del paese.
Il figlio Tullio aiutava il padre nei vari lavori ma trovava il tempo di stare anche con noi ragazzi. Nel cortile dei Rocco, ogni anno, al tempo giusto, si trebbiava il grano con una grande trebbiatrice installata nel cortile. Si trebbiava per tutta la Vallarsa; noi ragazzi ci si divertiva nel saltare dal terrazzo al primo piano sui grandi covoni di grano sottostanti, naturalmente sgridati dai trebbiatori.

Di fronte alla casa del Municipio, quella dei GIOS: col nonno Francesco - ex falegname che faceva diligentemente il sacrestano nella chiesa di Raossi e con la nonna Maria - una donna intraprendente, loquace, facile all'amicizia - ed il figlio portalettere del quale già ho fatto cenno. Figlio del portalettere, il Mario, un buon ragazzo, a cui piaceva molto stare in compagnia. Un altro figlio dei Gios - mi pare si chiamasse Enrico, ma non ne sono sicuro - ricordo però che era molto malfermo in salute; stava in casa, non lavorava. Un altro figlio fece carriera militare e credo che riuscì ad affermarsi tanto da arrivare al grado di generale.
Infine l'Osvaldo "el cossor" che ho già ricordato più sopra.

Proseguendo lungo la strada, sul lato destro, la casa dei "GIAZINTI" (gli Arlanch).
Il padre, contadino, boscaiolo, recuperante sul Pasubio ma anche - e soprattutto per quanto lo ricordo - cantore baritono, ma non nella chiesa di Raossi, ma in quella principale di Parrocchia - non ne ho saputo mai la ragione. I figli Olivo e Giovanni erano anche loro recuperanti sul Pasubio con tutte le fatiche, i disagi ed i pericoli che quel lavoro comportava. Quando, al sabato, tornavano in paese, si univano alla nostra compagnia. Più tardi divennero operai della SIRTI, una azienda installatrice e manutentrice delle linee telefoniche speciali fra Roma e Berlino. L'altra figlia era impiegata nella Città del Vaticano.

Adiacente alla casa dei "Giacinti", in successione, la casa della "ROSINA" (Rosa Lorenzi) - per me la "zia Rosina". Vedova da tempo, gestiva il negozio di alimentari e di sale e tabacchi, al pianterreno della casa. Una donna dolce, amabile, piena di buon senso. La andavo a trovare tutti i giorni. Suo figlio MARIO faceva il sarto con un piccolo laboratorio al piano superiore - un bravo sarto, molto amico del Bruno Angheben e delle sue sorelle. Mario si sposerà ed avrà due figli: Federico e Rosa. Rimarrà vedovo - poi lascerà la Vallarsa per trasferirsi prima a Valdagno, come dipendente della Marzotto, poi a Torino con altro incarico ed infine, separato dalla seconda moglie torinese, a Mori, vicino alla figlia.
La sorella ADELINA, simpaticissima, allegra, capace di battute e di scherzi spiritosi e soprattutto scrittrice di bei versi in lingua o dialettali anche sui personaggi della Vallarsa. L'altro fratello ADOLFO frequentò, fin da ragazzo, il seminario e si fece sacerdote. Un prete di profonda fede, che visse la sua vocazione in maniera esemplare: fu padre spirituale del sanatorio del clero di Arco. Don Adolfo fu il sacerdote da me scelto per celebrare il mio matrimonio. Egli tornava frequentemente a Raossi per stare un poco con la sua famiglia ed i suoi compaesani.

Proseguendo sullo stradone, dopo la casa della "zia Rosina", si trova la fontana dove si prendeva l'acqua per le case che ancora non ne erano fornite, si abbeveravano i cavalli del Desiderio, dove i ragazzi si divertivano facendo spruzzare l'acqua lontano, addosso agli uni o agli altri. Da quello slargo parte la strada per Costa, altra frazione di Raossi e inizia pure la discesa dello stradone.

Sul lato sinistro, la casa degli "STOFFELLA" cioè, come noi la si chiamava, la casa del "DIDATTICO" - il direttore didattico della valle. Una casa più signorile - di altro tono in confronto alle altre. Il "Didattico" era un'autorità indiscussa - severo e riservato com'era; la moglie, detta anche "la Didattica" era completamente sorda, ma egualmente allegra e divertente. Le figlie: Irma - un poco strabica - si sposerà a Milano, Lina invece rimarrà in Vallarsa, zitella, pur essendo piacente e con comportamenti "cittadini".
Gli altri figli erano Sandro - impiegato alla cassa ammalati a Rovereto - proprietario di una bella motocicletta, amico del Bruno e del Mario, l'altro Ezio, maestro molto stimato ed apprezzato a Volano che aveva una casa di vacanza di faccia a quella dei genitori. Mio padre volle, un'estate, che andassi a lezione da lui, di aritmetica.

Più avanti, sullo stesso lato destro dello stradone , la casa dei RIGO, con "il CIRO" - ciabattino "calier" capacissimo nel suo mestiere - anch'io ebbi dei robusti scarponi "cole broche" fatti da lui. Il Ciro era una persona arguta, pronta a cogliere i vari aspetti della vita ed a parafrasarli con vero umorismo. Viveva nella casa col fratello Federico, muratore, tutto diverso dal Ciro, piuttosto chiuso e burbero. Quella però che interessava noi ragazzi era la figlia del Federico, Antonietta, un po' più grande di noi, con un seno veramente prorompente.

Più giù la casa dei "CARLONI": di loro ricordo i due ragazzi che spesso giocavano con il gruppo, ma erano molto impegnati per aiutare la madre vedova nel lavoro di campagna "sulle Prache", un versante del monte Trappola, a monte del paese. Rimasi impressionato dalla notizia di alcuni anni dopo, che uno dei due si era suicidato con una fucilata.
In una casa isolata, proprio su quel versante del monte, dove si arrivava per un sentiero in forte salita, abitava "la CARLONA" - non conosco o non ricordo il nome vero. Era parente dei "Cartoni", era tedesca e parlava con grande difficoltà l'italiano. Come vivesse lassù, non lo so dire.
Seguiva, sempre sul lato sinistro della strada in discesa, la canonica: vi abitava "DON GIUSEPPE CUMER", un santo prete nel vero significato del termine. Un poco originale, ma intelligente e generoso, pieno di fede e di carità evangelica, viveva da solo, in assoluta povertà, da solo si preparava il cibo (un minestrone per tutta una settimana), si lavava la biancheria, si rattoppava i vestiti. Riceveva volentieri, anche se con ritrosia, da qualche parrocchiano, un po' di frutta o le uova o altro.
Lui era nativo dei Cumerlotti e, per qualche settimana, in estate, teneva con sé uno dei nipotini per aiutarlo nello studio. Era riuscito a costruirsi, da solo, una radio a galena; si infilava la cuffia e ascoltava musica o altre trasmissioni, non senza esprimere poi il suo giudizio. Era stato uno dei fondatore della Cassa Rurale di Raossi e continuava a tenerne la contabilità con molto rigore. Con gli utili della cassa aveva fatto costruire il campanile della chiesa, partecipando lui stesso ai lavori.
Alla Messa della domenica, quella cantata, teneva un'omelia fin troppo lunga e circostanziata, cercando di dimostrare l'attualità dei Vangeli, anche servendosi di arditi paralleli fra le parabole evangeliche e le situazioni dell'epoca. Ricordo ad esempio che, per rendere viva la parabola del buon samaritano che "scendeva da Gerusalemme a Gerico", faceva riferimento alla discesa "dal Monte di mezzo agli Speccheri".
Poiché era anche "il curatore d'anime" di Camposilvano, dove si recava con frequenza, oltre che per la liturgia domenicale, possedeva una motocicletta - una vecchia MAS - che guidava con una certa spericolatezza.... Alla partenza, infilava un telo impermeabile che lo copriva completamente, un gran cappuccio e occhiali da motociclista e quindi, con non poco sforzo, metteva in moto e partiva con gran fragore.
Aveva dotato la moto di due grandi sporte sopra la ruota posteriore e, poiché la moto perdeva olio dal motore, aveva agganciato sotto il motore, due o tre barattoli di latta che raccoglievano l'olio.
Ricordo che il dott. Dorigotti - il medico condotto - se era chiamato a Camposilvano, si informava, prima di partire, se, per caso, non fosse in viaggio sulla stessa strada, don Cumer, preoccupato com'era di evitare un probabile scontro. Il buon curato infatti era spesso soprapensiero e distratto durante la guida.
La vita e le opere di don Cumer dovrebbero essere ricordate in una pubblicazione, per conservarne la memoria .

Ho voluto scrivere queste memorie, così come ora sono presenti nella mia mente e quindi, dopo 60 anni e più, possono risultare, di certo, inesatte e incomplete.
Non ho ritenuto di verificarle con altri; mi è sembrato che dovessero essere messe in carta così come sono fissate nella riserva dei ricordi.

Luciano Girardi




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