VALLARSA NOTIZIE N° 31 - dicembre 2002 pag. 48, 49, 50, 51


Galleria di personaggi di Raossi di Vallarsa negli anni '30
Ricordi di una adolescenza trascorsa a raossi nei mesi estivi “ai freschi”.

Ho voluto scrivere queste memorie, così come ora sono presenti nella mia mente e quindi, dopo 60 anni e più, possono risultare, di certo, inesatte e incomplete.
Non ho ritenuto di verificarle con altri; mi è sembrato che dovessero essere messe in carta così come sono fissate nella riserva dei ricordi.

Mentre ripensavo quel passato, molti altri avvenimenti e molte altre persone di quel periodo si sono affacciate alla mia mente; ho ritenuto però di limitare la traduzione in iscritto ad un ambito - Raossi - e ad un periodo - dagli 8 ai 14/15 anni - ben determinati.

Il percorso segue la strada statale 45 del Pasubio - nel paese di Raossi - dalla frazione “Piazza” alla frazione “Corte” e cioè da est verso ovest!
La “Piazza”: quella frazione che inizia con il capitello di San Rocco - protettore della frazione - ma anche del paesetto di Foxi - tant'è che quando ricorreva la festa di San Rocco, il 16 agosto, occorreva dividersi fra la “sagra” della Piazza e quella dei Foxi.

La Maestra Angelina (Angelina Robol): certamente la migliore maestra mai conosciuta - intelligente, colta, con eccezionali capacità didattiche tanto che i suoi allievi - quelli della scuola pluriclasse di Raossi (dalla prima alla quinta elementare) - al termine della scuola scrivevano non solo con “bella scrittura”, ma soprattutto con contenuti che nemmeno i licenziati delle prime classi del ginnasio o delle magistrali di città erano capaci di esprimere.
Viveva alla “Piazza” con la vecchia madre e poi, dopo la morte di questa, da sola in una piccola casa a due piani, stretta fra le altre case della frazione, ma tutta linda, ordinata, accogliente. Grande amica di mia madre, spesso dovevo assistere alle loro conversazioni, rinunciando al gioco o a qualche altro passatempo.
Si dedicò anche all'intera Comunità di Vallarsa, eletta nell'Amministrazione Comunale; fu stimata ed apprezzata, ma non ebbe molte vere soddisfazioni.
Di fronte alla casa della Maestra Angelina, in un'altra piccola casa prospiciente la strada, abitava IL PICCIRILLI.
Uno strano personaggio - almeno così a me sembrava - piccolo di statura, meridionale (non so se napoletano o siciliano) sposato con una donna vallarsera, molto chiusa in casa forse per disposizione del marito. Credo che avessero un figlio che io però non ho conosciuto.
Il Piccirilli vestiva “da città” cioè con una certa ricercatezza: ricordo il suo vestito completo bianco un po' sdrucito ma portato con molta dignità, come ricordo le sue scarpe a due colori bianche e marrone e la sua camminata da passeggio con bastoncino.
Certo non lavorava; forse viveva di pensione.

L'ADRIANO - quello con un occhio di vetro a causa dello scoppio di una granata nel lavoro di recuperante sul Cosmaion, ed ancora perseverante frequentatore delle balze del Pasubio in cerca di piombo, di ottone e di altri materiale da rivendere poi, a fine settimana, al “Briata”, l'azienda di Rovereto che acquistava quei materiali.
Con il ricavato e con qualche altro lavoro l'Adriano sosteneva la famiglia e poteva disporre di qualche lira per un buon bicchiere all'osteria con gli amici.
I due figli, Diacono - un po' guascone che sposò poi la bella figlia del Bepi portalettere (la ragazza più bella del paese) - e Livio, tutto diverso, più tranquillo, lavoratore, ma anche di compagnia. Tutti e due i ragazzi, da coraggiosi recuperanti, seguivano il padre sul Pasubio. Era un lavoro duro, faticoso, e soprattutto rischioso, dato che si trattava di raccogliere proiettili per lo più inesplosi, disinnescarli e portarli a valle.
I recuperanti vivevano per tutta la settimana in baracche di legno - appena attrezzate per viverci - sul Cosmaion - un contrafforte del Pasubio - mangiando della polenta e del formaggio o qualche salume, per scendere a valle il sabato e vendere i materiali raccolti.

“EL CALIER DE LA PIAZA” uno dei “MONCI”: un vecchio saggio che lavorava in un botteghino aperto sulla strada principale al pianterreno della sua casa. I suoi famigliari - I Monci appunto - erano i proprietari dei prati della “Pozza” lungo la strada degli Speccheri, dove spesso andavano a giocare con il loro consenso. Comunque, gran lavoratori, irreprensibili.

“EL DOLFO” quello amputato a tutte due le gambe, all'altezza delle ginocchia, rimaste congelate nella guerra di Albania. Godeva di una buona pensione che gli serviva, oltretutto, per alimentare il vizio del bere, ma forse anche per superare le conseguenze della sua grave menomazione. Proprio quel vizio gli impediva talvolta di tornare a casa alla sera con le sue consuete stampelle. Ed era proprio il suo amico Adriano che lo portava “a biloio” (sulle spalle) dall'osteria della Pia dell'Albergo fino a casa.
“EL SCARUGIA” (Robol) Fratello della maestra Angelina - uomo probo - gran lavoratore, agricoltore esperto ed apicoltore. Un gran capofamiglia: la figlia maggiore, la Valeria, andò sposa ad uno dei “Nadai”, altra famiglia dabbene di cui farò cenno più avanti.
Della sorella - particolarmente intelligente ed istruita - non ho ricordi precisi.

“EL LONGO” abitava nell'ultima casetta della Piazza, un poco isolata - lo ricordo come un uomo allegro, sempre disponibile e servizievole, amico di tutti.

Dopo la “piazza”, Raossi, il paese capoluogo della Vallarsa, con il Municipio, la Stazione dei Carabinieri, il Medico condotto.

All'inizio del paese, il grande edificio, costruito nel subito dopo guerra, non so per quale scopo preciso. Nel periodo a cui mi riferisco, era adibito in parte a scuola elementare, in parte a caserma dei Carabinieri, in gran parte a Ricovero per inabili e minorati psichici.
Poco più sotto, giù dove cominciano i prati della “brancobe”, la casa del Costaraoss, stradino dell'ANAS. Suo figlio Dionigi - “EL NISIO” - era mio amico, un ragazzo piuttosto timido, riservato, laborioso: con lui andavamo fino giù al letto del Leno per giocare saltando sui sassi nell'acqua fluente e, purtroppo, talvolta cadendovi dentro.

Morì nella prima primavera del '45, fucilato nel piazzale della caserma Cesare Battisti a Trento, condannato a morte per aver disertato dal Corpo di Polizia Trentina nel novembre o dicembre del '44. Era stato alla macchia, sui monti della Vallarsa per qualche mese, convinto che la guerra sarebbe finita prima della fine dell'anno, poi indotto dai maggiorenti del paese e da un ufficiale tedesco della Polizia Trentina di stanza a Raossi, si era ripresentato al Comando di Trento nella fiducia di subire una punizione, come gli era stato promesso. Fu invece incarcerato, privato del cibo fino a ridurlo uno scheletro, condannato a morte e, appunto, fucilato davanti al battaglione della Polizia Trentina schierato.
Sulla destra della strada, “L'Albergo Vittoria”, l'albergo dei miei zii, gestito appunto da PIA e DESIDERIO ANGHEBEN.
Casa madre degli Angheben, una famiglia di tradizionali postiglioni della Valle - gestori dei servizio postale prima sotto il regime austriaco, poi con l'Italia. Gestivano anche un servizio pubblico di trasporto fra Rovereto e Raossi con carrozze e cavalli fino al primo dopoguerra e poi con una sorta di autocorriera ad 8 o 10 posti. Subentrò poi una società veneta - la SITA.
All'ufficio postale, che serviva l'intera Vallarsa, prestarono servizio i diversi Angheben fra i quali mia madre ERINA, fino al 1919, quando non avendo optato per le Poste Italiane, preferì la pensione ex regime austro-ungarico, poi mio ZIO GUIDO, mio cugino BRUNO, successivamente le sorelle Angheben, prima la ELDA, poi la MARIOTA, fino a qualche anno fa.
All'Ufficio postale convenivano, oltre agli utenti, i due portalettere della valle:
il BEPI PORTALETTERE che portava e raccoglieva la posta in tutti i paesi della parte bassa della Valle: Foxi, Anghebeni, Sant'Anna con le frazioni come la Sega, gli Staineri e le altre e poi la Riva con i Cuneghi ed i Cumerlotti fino a Matassone. Un percorso che il Bepi faceva in bicicletta tutti i santi giorni - esclusa la domenica - d'inverno e d'estate, pedalando con fatica o spingendo a piedi la bici sulle salite o lasciandola correre nelle discese come, al ritorno da Matassone giù fino a Sant'Anna.
L'altro portalettere, il GIOS, percorreva ogni giorno la parte alta della valle: Parrocchia, Piano, poi giù fino a Speccheri e poi su fino a Camposilvano, giù di ritorno a Speccheri e su ad Obra e, talvolta, alle frazioni come il Geche od Ometto. Un percorso faticosissimo. Morì improvvisamente di fatica, un mattino d'estate, in fondo ai prati di Piano, mentre si accingeva a scendere a Speccheri.
Torniamo ora all'Albergo Vittoria - il luogo più frequentato della valle, anche per la sua posizione di faccia al Municipio.
Nei giorni feriali si poteva bere un buon bicchiere nella cucina dove “LA PIA” preparava il pranzo o la cena o sbrigava le faccende domestiche. Lì, nella cucina, si giocava anche a carte su uno o due tavoli. Alla domenica ci si serviva delle due salette adiacenti alla cucina o del locale osteria al pianterreno.
L'albergo - osteria era frequentato da tutti i notabili della valle, dall'ex Podestà “EL PANOCIA”, al TALDO da Sant'Anna, al VALERIO DAI SPECCHERI, al REMO STOFFELLA dalla Parrocchia, proprietario dell'Albergo Alpino, al “MERCHELE” (il signor Aste) dai Cumerlotti - era l'esattore del Consorzio elettrico ed aveva un piccolo ufficio a Raossi, viaggiava con una vecchia motocicletta che ogni tanto, per via di qualche libagione, doveva lasciare a Raossi, in custodia dal suo amico Desiderio, che non disdegnava certo anche lui il buon bicchiere.
In qualche domenica d'estate - quando in municipio si faceva l'asta dei boschi - l'osteria era affollatissima e le sorelle Angheben si facevano in quattro per servire tutti i clienti.
Nell'estate, l'Albergo Vittoria ospitava dei villeggianti - anche 20 persone o più - villeggianti affezionati alla Vallarsa, ma anche alla famiglia Angheben.
Ricordo la famiglia Luini di Milano, col signor Leone, la signora Amelia ed i figli Oscar e Lidia che frequentarono la Vallarsa per qualche decina d'anni; ricordo i signori Taverna di Pavia, i coniugi Scaramuzzetti di Milano - gran ballerini - lui alto e magro - lei una bella donna piena di brio.
Spesso, nelle sere d'estate, i villeggianti convenivano anche da Parrocchia sulla terrazza dell'albergo e ballavano al suono di un grammofono o della fisarmonica del “BRICCIO” da Piano, un uomo rimasto cieco per lo scoppio di una granata fatta brillare per una festa di nozze.
Sopra all'albergo, dove c'era l'orto coltivato dal Desiderio, nell'apposito campo, si giocava a bocce: vi convenivano gli appassionati come il Parroco della Parrocchia DON PANIZZA, “IL GUERRA” dal Piano - albergatore, gran bocciatore con incredibili tiri al volo, don GIUSEPPE TARTER, Curato di Valmorbia.
Su quest'ultimo personaggio vale la pena di soffermarsi un momento, per la sua originalità. Non portava mai la veste talare come tutti gli altri sacerdoti dell'epoca, ma una sorta di clargjmen all'inglese ed un cappello a tese larghe. Occhiali a serra naso, che gli davano un apparenza particolare. Pittore molto noto per gli affreschi nelle chiese, comprese quelle della Parrocchia e di Raossi, ma anche gran giocatore di scacchi, tanto da frequentare il Caffè degli Specchi di Trento dove convenivano i più forti scacchisti della provincia. Possedeva un'automobile - una Fiat uno - che aveva interamente ridipinta di un colore verde pisello e arricchita con dei fiori di montagna dipinti sulle portiere. Ricordo un episodio che dà l'idea dell'originalità del personaggio: siamo a Parrocchia, all'uscita dalla Messa, concelebrata con don Tarter; egli mette in moto la sua auto e noi ragazzi - due o tre - riusciamo a salire sul portabagagli a cassonetto sul retro dell'auto. Don Tarter parte imboccando la discesa verso Raossi ma s'accorge dei ragazzi arrampicati sul cassonetto; apre la portiera con la macchina in moto, scende per sgridare i ragazzi mentre l'auto se ne và dritta contro la porta metallica del deposito dell'acquedotto. Non occorre raccontare il seguito…
Nell'Albergo abitava la famiglia Angheben: “il BRUNO”, figlio del Desiderio e della Pia, bell'uomo, alto, ragioniere, prima impiegato del Comune e poi Segretario Comunale, possessore di una grossa moto Ariel colla quale percorreva in lungo e in largo la Vallarsa, attirato anche da qualche bella donna.
Si sposerà poi con Anna Arlango, della famiglia Arlango da Anghebeni, parenti degli Angheben. Anna, morirà in un incidente d'auto pochi anni dopo. Bruno, in seguito, si risposerà.
Le altre figlie erano “la ELDA” impiegata all'Ufficio postale, che andò sposa ad Orazio Arlati, prima impiegato del Municipio di Vallarsa e poi della Società Montecatini in Piemonte; “la MARIOTA” che succedette alla Elda nella conduzione dellUfficio postale, un'impiegata premurosissima, e infine “l'ANITA” che sposò poi il Brigadiere dei Carabinieri, Comandante della stazione di Raossi, Salvatore Marzeddu, sardo di Santu Lussurgiu, trasferito poi, maresciallo, in Toscana. Una famiglia molto unita che aiutava i genitori nella gestione dell'albergo, da tutti conosciuta e stimata.
Davanti all'Albergo e all'Ufficio postale vi era la fermata delle corriere, quelle che portavano anche la posta.

La corriera del primo mattino partiva da Parrocchia per Rovereto, guidata dal “BEPIM DE LA CORRIERA” un autista molto abile, un po' spericolato, che nell'estate, tornava, intorno alle 8 e 30, per la corsa da Rovereto a Recoaro, una corsa chiamata “l'express”; faceva ritorno da Recoaro intorno alle 17 del pomeriggio per Rovereto, per poi tornare a Parrocchia intorno alle 19. Nella sosta a Raossi trovava il tempo per far visita alla bella signora moglie del medico condotto Rasia dal Polo.
Ma davanti all'Albergo si fermava anche la corriera giornaliera Tiene - Schio - Rovereto, a Raossi verso le 9.30, e poi il ritorno da Rovereto a Tiene con fermata a Raossi intorno alle 16. Un collegamento diretto fra il Trentino ed il Veneto che ora non c'è più e che avrebbe molta importanza.
L'autista della corriera di Tiene era, di regola “el CARLO” o “el CARLETO”, (Carlo Bergomi da Schio), un uomo allegro, molto gentile con tutti. Alla partenza da Raossi, dopo aver fatto rifornimento d'acqua appositamente preparata dal Desiderio, ripartiva non senza dire “Ciò, adeso andemo in Italia”.

Luciano Girardi




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