"Com'è bello rivivere emozioni che da tanto tempo si erano relegate nei più reconditi cassetti della memoria". Così scrivevo nel pomeriggio dello scorso 13 giugno sul registro dei visitatori del piccolo museo della Civiltà Contadina della Vallarsa, che siamo andati a visitare in occasione della chiusura dell'anno sociale 2001/2002.
Una stanza arredata ad aula di scuola elementare con i vecchi banchi col bus per el bozet de l'inchiostro e gli imancabili nomi incisi col temperino. Una cattedra col mappamondo ed il gioioso sorriso della maestra Tobia (ha insegnato per 18 anni a Raossi), dopo tanti anni di pensionamento, tornata per un momento al suo posto lavoro....
La stanza del marangon col banco di lavoro con la morsa, le vecchie pialle a mano, ora soppiantate dalle più veloci rumorosissime multiple che segano, oliano, sagomano, forano conforme l'impulso dato dal computer, i trovelini per i buchi, morsetti, martelli, seghe, seghetti e segacci tutto in bell'ordine sulle pareti.
La stanza del caglier col deschetto ripieno di lesine, taglierini, forme per fare le scarpe a mano, su misura e lo spago intriso di pece.
La cucina con tutto il suo pentolame, el fogolar, i secchi di rame per andare a prendere l'acqua alla fontana cola zerla.
La camera da letto con i lisci mobili scuri, le candide lenzuola e le culle di legno a dondolo. Quanta tenerezza in quelle semplici cose!
Io, scolaro anteguerra, nipote di un maestro-calzolaio, ho avuto l'impressione che nella mia memoria si fossero improvvisamente aperti dei cassetti dove giacevano riposti tanti miei ricordi e immediatamente sono ricomparsi, quasi, quasi li avessi vissuti solo ieri.
Più sotto, la storia dell'agricoltura fatta a forza di braccia, dall'alba al tramonto, con la sola sosta per un frugale pasto all'ombra di un albero. Quando il frumento e l'orzo si battevano sull'aia con le apposite verghe per liberare il grano dalla spiga; l'uva si pigiava nella mostaora con i piedi nudi; il fieno si falciava col fer da segar con ampi movimenti delle braccia e la lama veniva battuta con un martello su un apposito sostegno e affilata con la pietra che si portava nel coder ripieno d'acqua, appeso alla cinta dei calzoni. Quando il fieno si portava a spalla nella gerla o nei linzoi ed il mosto nella bigoncia, quando in poche parole, il pane si guadagnava realmente con il sudore della fronte.
E' stata un'esperienza emozionante, degna di essere ricordata!
Giuliano Pandini
Presidente del Movimento
Pensionati della Sacra Famiglia
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