Mi è stato chiesto di scrivere un articolo per "Vallarsa Notizie" sulla mia attività in montagna in giro per il mondo e che in questi anni mi ha portato ad arrampicare dalle montagne dell’Himalaya, alla Patagonia e da quelle Africane del Madagaskar, alla California e a quelle dell’Artico Canadese.
Traversata con gli sci della penisola di Cumberland nell’artico Canadese
Ho accettato volentieri e cercherò così di raccontare brevemente alcune avventure vissute in quelle terre lontane, ma vorrei però soffermarmi anche su dei momenti intensi e felici che le montagne della Vallarsa mi hanno fatto e continuano a farmi vivere.
E’ proprio nel gruppo del Carega e del Pasubio infatti che ancora ragazzino ho cominciato a muovere i primi passi per i sentieri e i dirupi spesso da solo e con un po di incoscienza tipica dell’età adolescenziale.
Per fortuna ho incontrato subito degli amici più grandi e soprattutto più coscienziosi ed esperti di me che mi hanno insegnato a muovermi in sicurezza e che mi hanno dato la possibilità di vivere le mie prime esperienze alpinistiche, tra loro Claudio Angheben e Maurizio Aste. Dalla Vallarsa alle Dolomiti il passo è stato breve e grazie alla presenza a Rovereto di un gruppo di alpinisti di valore assoluto, ho avuto la fortuna di iniziare ad arrampicare subito con personaggi del calibro di Sergio Martini, Giuliano Stenghel, Graziano "feo" Maffei ed altri. Con maestri di tale livello l’evoluzione tecnica, mentale e culturale è stata una logica conseguenza.
La voglia di immergermi nella natura anche durante la stagione fredda mi ha portato a praticare l’arrampicata su cascate di ghiaccio e lo sci estremo, attività quest’ultima che proprio nei Vaj del Carega mi ha regalato molti bei momenti.
Sulla cascata di ghiaccio
Nel 1996 durante gli allenamenti per la scalata di una delle più alte montagne della terra (il Manaslù m. 8167 in Himalaya) proprio con gli sci, in una sola giornata sono salito e sceso dalla vetta del Carega per quattro volte consecutive percorrendo itinerari come il Vajo dei Colori, il Vajo Bianco, la Pissavacca, il Vallon dei Cavai, il Boale dei Fondi e due canali estremi del Fumante.
Arrivare, come in quel caso, al più completo stato di rilassamento a fine giornata e con gli occhi pieni di luce e di gioia è per me il più bel premio che la natura può concedermi.
Sento molte persone che si lamentano del fatto che la Vallarsa ha poco da offrire, ma io su questo non sono per niente d’accordo. Certo, qui non ci sono discoteche o impianti da sci, mega-alberghi o industrie che creano ricchezza ma ci sono invece degli spazi incontaminati che possono ancora far vivere pienamente ad un giovane o ad un adulto i propri sogni di libertà ed espressione in mezzo alla natura.
Sarebbe bello che quei agazzi oggi tanto bravi ad usare un computer o a manovrare una Play Station conoscessero anche la bellezza che deriva dal dormire in un bosco e dal camminare sulla neve, la fatica che impone e la gioia che deriva dallo scalare una delle montagne della nostra valle.
E’ per questo che mi auguro che in questo senso la Vallarsa non cambi mai. Certo ci sono tante cose che possono e devono migliorare, ma spero che l’ambiente naturale nel quale siamo immersi non debbamai soffrire, come in passato, di interventi dell’uomo che niente hanno a che vedere con la nostra cultura e le nostre tradizioni.
Arrampicata su roccia
Nel 1995 dopo aver aperto in Dolomiti e sulle Alpi mumerose vie nuove su roccia e su ghiaccio, mi sentivo ormai pronto per un’ esperienza extraeuropea e così insieme ad altri due cari amici, Walter e Demis, riuscii ad aprire una via nuova su roccia su una montagna mai salita in Terra di Baffin nell’Artico Canadese.
L’anno dopo, nel 1996, un grande successo in Himalaya: la salita senza ossigeno di uno dei quattordici 8000 della terra, il Manaslu alto 8167 metri, in compagnia del grande Sergio Martini, una soddisfazione immensa..., il sogno impossibile di ogni alpinista di alto livello era per me diventato realtà. Nemmeno il tempo di esultare, durante la discesa la morte per sfinimento del nostro amico Japponese.... una dura lezione che mi ha fatto riflettere molto sul significato e sul vero senso di queste "imprese".
Poi ancora vie nuove su roccia in Dolomiti e nel 1997 un tentativo innovativo ad una grande parete in Madagaskar, che però fallisce, fino ad arrivare all’anno scorso quando partivo da solo con i miei 90 kg. di bagaglio per l’estremo sud dell’Argentina: la Patagonia.
Il risultato di quell’esperienza è stata una via nuova in solitaria e una ripetizione di prestigio nel gruppo del Cerro Torre, ma soprattutto una grande esperienza personale e la soddisfazione di "avercela fatta" contando solo su me stesso.
Qualche mese fa infine la traversata di 300 km con sci e slitta e un amico di Parma, di un territorio dell’Artico Canadese a 40 gradi sottozero. Più di 150 km sul mare ghiacciato, l’attraversamento di stupendi paesaggi, la conoscenza di persone con usi e costumi diversi dai nostri. Persone spesso più povere di noi economicamente, ma ricche spiritualmente, ancora attaccate alle loro terre e alle loro usanze, ricche di semplicità, di saggezza, persone ospitali e generose.
Al di là dell’altezza e della difficoltà delle montagne che ho scalato, al di là dei prestigio sportivo che se ne ricava, è questo uno degli aspetti più belli dell’alpinismo in giro per il mondo: l’incontro con realtà e persone diverse da noi e dal quale si può imparare molto e che mi dispiace sempre lasciare quando è ora di tornare a casa.
Penso che avvicinarsi a quelle persone e a quei luoghi estremamente ospitali in punta di piedi e con umiltà, in definitiva ti offre proprio questo: un sentimento di comprensione profonda e di reciproco rispetto con le persone e con la natura che così ti apre lo scrigno dei suoi segreti e te li regala. Niente altro!
Le stesse intense emozioni e le sensazioni di comprensione della natura le ho sempre provate e continuo a provarle anche sulle montagne della nostra Valle; dall’ultima via nuova, aperta qualche giorno fa sulla parete sud del Cornetto ("Alce Nero parla" 200 m. difficoltà 8° grado) alle domeniche estive di venti anni fa, quando partivo da solo alla scoperta dei Vajo dei Colori o della Vai delle Prigioni con quindici panini nello zaino (dico 15!), sognando di essere sulle Ande o in Himalaya, macinando chilometri a piedi senza incontrare anima viva e tornando a casa tardi e affamato (nonostante i panini) con la mamma preoccupata ma felice di vedermi sano e salvo.
Ora la mamma non c’e più.... E con essa anche altre persone a cui volevo bene.
Sono sicuro che l’andare in montagna mi ha aiutato ad andare avanti, anche se non passa nemmeno un giorno che io ripensi a loro con nostalgia.
L’alpinismo in definitiva mi ha dato la possibilità di esprimermi e soprattutto di fare qualche cosa di bello e che forse renderebbe orgogliosi i miei cari che non ci sono più.
In Patagonia al cospetto del Cerro Alto
Luca Campagna
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