VALLARSA NOTIZIE N° 29 dicembre 2001 pag. 35 - 40


LA CINA LUNGO LA VIA DELLA SETA
di Walter Lorenzi e Lucia Marana



La Via della Seta non è un'unica strada, ma un groviglio di percorsi che attraversano l'Asia, dalla Cina al Medio Oriente fino al Mediterraneo.

Un tempo, queste piste polverose, che attraversano ancor oggi, benché asfaltate e meno polverose, aspri passi montani, vallate e deserti erano percorse da carovane di commercianti, che, carichi di seta, spezie e pietre preziose raggiungevano le coste mediterranee. Anche i "nostri" commercianti erano attratti da quell'oriente prezioso e sconosciuto, il più famoso è certamente Marco Polo, che da Venezia giunse fino a Pechino, e raccontò le avventure di questo lunghissimo viaggio nel libro "Il Milione".
Il nostro viaggio ha ripercorso un tratto della Via della Seta, da Pechino a Kashgar e ritorno: diecimila chilometri di avventure!

DA PECHINO A LANZHOU, CAPOSALDO DELLA VIA DELLA SETA



Pechino ore sette e un quarto, in un piazzale contornato di bancarelle, pentoloni ribollenti, brodi fumanti e cuochi che scodellano zuppe per la prima colazione, è l'ora del tai-chi, la tradizionale ginnastica - kung-fu - meditazione. Movimenti sospesi, quasi una danza. Immediatamente vicino, davanti al Mc Donald, sempre ore sette e un quarto, ma con l'odore delle patate fritte, in luogo del tradizionale tai-chi, i cinesi del nuovo millennio ballano il walzer sulle note del "Bel Danubio blu" di Strauss!
Pechino è una città in progress, i cartelloni propagandistici - enormi foto-montaggi il cui denominatore comune è la presenza sullo sfondo di grattacieli e ciminiere fumanti - sono una presenza ossessiva, smisurati ed ovunque, nelle stazioni, come spartitraffico, nei grandi magazzini: un vero e proprio arredo urbano.
Pechino sembra una metropoli occidentale, la cintura periferica assomiglia in modo preoccupante alle degradate periferie delle nostre città industriali. Lo sviluppo urbano sembra coincidere con l'idea di verticalità, e i quartieri di hutong, - le tradizionali case con cortile - che poco corrispondono all'idea di sviluppo verticale dei manifesti propagandistici, vengono demoliti. Sotto l'azione dei bulldozer gli hutong divengono sempre più orizzontali, fino a lasciare il posto allo slancio dei grattacieli. Ma è in ciò che rimane dei vecchi quartieri, veri e propri labirinti architettonici, che la città ha un'atmosfera che la distingue: tetti "a pagoda" che si arricciano verso l'alto, fumo denso dei ristoranti, carretti colorati dei fruttivendoli, stradine di terra battuta, cortili con le piante di fico e biciclette parcheggiate: una poesia!
A poca distanza c'è piazza Tian'anmen, enorme lastricato grigio, tutto in ordine, folla disciplinata, niente scarpe impolverate, barbe lunghe o giacche consunte: qui passeggia la Nuova Cina, con la cravatta ed il cellulare, consumatrice bramosa di prodotti tecnologici avanzati. E' una Cina che accusa la cultura del passato di essere responsabile del sottosviluppo del paese, ed in nome della "magnifica causa della modernizzazione" ciò che è vecchio viene sradicato per far crescere il nuovo. (E non sono solo i vecchi quartieri a farne le spese: basta pensare alla grave questione delle minoranze buddiste del Tibet e a quella musulmana dello Xinjang.)
La Città Proibita è formalmente intatta, a completa disposizione. E' difficile però immaginare l'atmosfera che regnava un tempo negli enormi cortili e nelle sale imperiali: la folla si accalca attorno ai banchetti dei souvenirs, fa la fila per le toilettes. Sembra di essere in un luna park dove sia stata ricostruita la Città Proibita: manca solo qualcuno vestito da Puyi con cui farsi fotografare.
Il viaggio in treno lungo la via della seta ha un sapore mitico, forse per il retaggio di leggendarietà con cui lo si vive.
I treni a lunga percorrenza partono sempre di sera, e l'atmosfera delle stazioni a quest'ora sfiora l'inquietante. Le sale d'aspetto: vi si accede solo previa presentazione del biglietto di viaggio alle "autorità" (corpulenti donne in uniforme), e controllo a raggi x dei bagagli. Saloni enormi, spogli, vetri offuscati e soffitti gocciolanti. Capienza un migliaio di persone: molto suggestivo! Luci basse, dominante arancione. Ci imbarcano sul treno, le 'autorità", urlando con tono davvero minaccioso, mettono rigorosamente in ordine persone e bagagli. (Ricordandoci di queste "autorità" ce le figuriamo sempre con una frusta sotto il braccio!).
La mattina scopriamo il paesaggio, c'è nebbia, è la nebbia cinese delle cartoline, nella quale si intravedono i carri tirati dai buoi, i contadini con il cappello a cono e le biciclette sulla strada che fiancheggia la ferrovia. La nebbia si dissolve ed i colori sono sgargianti: gialli e verdi i campi di soia, viola i cavoli e arancio gli alberi dei cachi e le pannocchie nei cortili.
Ci avviciniamo a Lanzhou, il paesaggio si incupisce, diventa quasi monocromatico quando attraversiamo le molte città industriali, delle quali si vede molto la parte industriale e poco la parte cittadina. Il treno rallenta, è la periferia di Lanzhou, le ciminiere in piena efficienza conferiscono alla zona un'atmosfera (in tutti i sensi!) inconfondibile. Tutto silenzioso, quasi minaccioso, non una persona in giro e i fumi che si vedono sembrano ancora più pericolosi.



LANZHOU - URUMQI: VERSO LA REGIONE AUTONOMA DELLO XTNJIANG UIGUR

Lanzhou, ore sette e trenta: comprare il biglietto ferroviario per Urumqi èun'impresa. La fila chilometrica ad un tratto si blocca: dietro la vetrata degli sportelli vediamo i bigliettai, in uniforme e con la gavetta dei tagliolini: scenografica pausa breakfast!
Ore dieci e trenta: finalmente il biglietto! Economico, hard seat e ventiquattro ore di viaggio! Il treno è sgangherato, diesel, lento e rumoroso: molto suggestivo!
Ci stiamo allontanando dalla Cina "paese di centro", qui ci sono il deserto e le scritte arabe, e sui volti meticci della gente i tratti cinesi sfumano: quasi ci assomigliamo.
"Im not chinese, I'm uigur", sostiene con decisione un ragazzo, quasi per rassicurarci. "Xinjiang isn't China" dice, e parla delle rivolte indipendentiste di Kashgar, della violenta repressione del governo di Pechino e dei contingenti militari stanziati nella regione.
Tiriamo fuori la carta geografica della Cina e diventiamo l'attrazione del treno: vengono a vederci perfino dagli altri vagoni! (Ci sentiamo buffi con tutte le nostre scartoffie!). Il nostro percorso è motivo di conversazione: ogni nostra tappa è il luogo di provenienza di qualcuno, e naturalmente è beautiful! Il ragazzo "I'm not chinese" ci fa da interprete, è una Lonley Planet orale, sa perfino i prezzi degli alberghi! E non perde occasione per criticare il governo cinese: per l'intolleranza verso le minoranze etniche e religiose, per gli esperimenti nucleari, quelli missilistici e squisitezze del genere.



DA URUMQIA KORLA: LE OASI INTORNO AL DESERTO DEL TAKLIMAKAN

Urumqi, stazione degli autobus a lunga percorrenza. Enorme cortile sterrato circondato dai grattacieli. Gli autobus, non proprio freschi di revisione, sono carichi di bagagli, sistemati sul tetto a regola d'arte, imbrigliati in una ragnatela di corde a prova di curve e sobbalzi.
Il nostro è un autobus-cuccetta, si sta stesi e ci si gode il panorama dal finestrino. Partiamo, ci sfila davanti la periferia di Urumqi, uno spettacolo di gente, di polvere e di camion, poi il buio. Attraversiamo il deserto, e in piena notte ci fermiamo a mangiare; è l'una, e in questo autogrill c'è una gran atmosfera.
Caseggiato basso, tutto una vetrata, all'interno i cuochi si muovono tra fuochi, fumi, brodi bollenti e tagliolini, fuori un gran vento caldo e molta polvere. Notte di luci, fumo e fuochi di cucina, lo schermo azzurrognolo di una televisione e qualche stella: incantevole.
Alle due si rompe la pompa dell'olio: siamo bloccati in una valle deserta, montagne nude e il greto di un fiume in secca. I tentativi dell'autista sono inutili, è mattina, e la pompa dell'olio giace inerte su una coperta! Scopriamo che poco distante c'è un autogrill, all'esterno copertoni, carcasse di camion e taniche di gasolio: probabilmente c'è anche il servizio officina. Se non fosse per le persone e l'odore di pecora in brodo sembrerebbe disabitato. La cosa più singolare è il letto dei gestori, all'aperto, un effetto surreale da copertina dei Pink Floyd: ci sono anche le lampadine nude accese in pieno giorno!
E ' ormai sera quando si ferma un autobus, arrivano i meccanici con la coppa dell'olio ed i viveri:
un assalto! Due anziani compagni di viaggio portano un'enorme anguria sull'autobus, e, sfoderati i coltelli, la squartano letteralmente. Le fette vengono divorate con avidità, il sonoro è irriproducibile, i materassi inzuppati e le bucce fuori dal finestrino. Partecipiamo anche noi al banchetto, mimetizzandoci alla perfezione!
Tutti assistiamo alla performance dei meccanici, è quasi notte e ripartiamo. Notte fonda, strada franosa e siamo ancora fermi! La mattina abbandoniamo l'autobus e fermiamo un camion, reperto da museo, supercarico, media dei quindici all'ora: dobbiamo fare mille cinquecento chilometri! Siamo onorati di essere partecipi della vita quotidiana di un camionista. Trasporta merce da Urumqi a Kashgar, e conosce molto bene la strada e le sue risorse.
Nel locale dove ci fermiamo a mangiare, la figlia della padrona prepara i tagliolini a mano: uno spettacolo! Cucina in penombra, rosso sgargiante dei vestiti, luccichio di orecchini ed un'abilità straordinaria nel far volteggiare in aria le matasse di pasta.
Pomeriggio in mezzo al deserto: sabbia, rocce colorate, luce accecante e l'abbiocco postprandiale del nostro amico! Pausa siesta.
Attraversiamo una delle prime oasi, pioppi, orti, frutteti, un vasto corso d'acqua, e proprio qui l'autista si ferma ancora, si allontana verso il fiume:
bisogni, bidet, sciampo, torna al camion, bacinella, lava i calzini, stende il tappettino e rivolto alla Mecca prega.
E' il tramonto, e il nostro amico ci chiede i soldi del trasporto. Attraversiamo un paese, piatto e sparpagliato, dalle case lungo la strada avvenenti donnine ammiccano ai passanti: il camion è fermo un'altra volta! Fortunatamente è solo per un saldo!
Procediamo lentamente, troppo, e all'ennesima fermata ci congediamo. Al volo saliamo su di un veloce autobus pubblico, la strada è un po' tortuosa, e l'autista dell'opinione che "tanto di autobus ne fanno ancora". L'autobus arriva, salvi! Siamo a Korla, città inquinata, aria densa, neon delle insegne nella cappa di smog ed un calore innaturale.

KORLA - KASHGAR: IL TRENO DELLE MERAVIGLIE!

Ore tre, notte fonda, il treno per Kashgar è pieno, famiglie al completo, cassette di frutta e pelli di pecora. Ci sistemiamo fra un vagone e l'altro, anche noi ammucchiati con i nostri bagagli.
Lo staff del personale, rigorosamente in uniforme, è molto corposo. Ci sono gli addetti alle pulizie, un'ossessione, quando arrivano, con le loro mini scope ed una frequenza quasi maniacale, è meglio non esserci, se si vuole evitare di essere investiti dalla marea di polvere, bucce e cartacce che viene trascinata di vagone in vagone! Poi gli addetti ai carretti bibite: già le vendite sono alquanto ridotte per la presenza in ogni vagone del bollitore dell'acqua (tutti bevono tè), ma proprio trascinare il carrettino ignorando i passeggeri! Infine i capovagone, pingui ed untuosi personaggi che sembrano usciti da un film sulla mafia cinese! Nel loro stanzino privato si appartano con le donne dello staff o con le passeggere più amichevoli, che finiscono poi a vendere bibite con l'uniforme del capovagone!
Manovra losca: il capovagone ha chiuso lo stanzino del bollitore... e via con le bibite! Ora, personale e neoassunti hanno un gran daffare!
La ferrovia corre attraverso il deserto, il treno è sigillato, eppure la sabbia inonda il vagone e riduce la visibilità al proprio compagno di viaggio: tutto molto fotogenico. Si avvicina il capovagone, indica la macchina fotografica (sappiamo che non si possono fotografare i treni) e ci fa cenno di seguirlo. Manda a chiamare le donne più procaci dello staff, le fa accomodare nel suo stanzino e lui, in mezzo, sigaretta, birra sul tavolo, camicia sbottonata... vuole una fotografia! (Sono in molti a trattenere le risate!).
Siamo vicini a Kashgar, il treno è vuoto di gente e pieno di sabbia, tramonto infuocato e qualche cammello.



KASHGAR

Periferia di Kashgar: casette basse, porte e finestre verniciate di azzurro, peperoncini rossi nei cortili; intorno i campi coltivati. Ci sono molti fruttivendoli en plain air: bancarella colorata, ombrellone di stoffa e letto multiuso: per la siesta, come tavolo e come espositore per le primizie!
La città è un gran bazar, vediamo ogni sorta di mercanzia, frutta, rame, carbone, calce e tappeti. Le strade pullulano di trattorie: pentolone del plov, forno del pane, quarti di pecora freschi di macello e vicoli resi quasi impraticabili dal fumo dei barbecue. Le case sono splendide: mura spesse, interni freschi e preziosi, le stoffe dorate appese alle pareti brillano nella penombra.
Il mercato di Kashgar: ogni domenica, centomila persone, con relative mercanzie arrivano in città:
camion, carretti, trattori, pecore, asini, verdura, frutta, cappotti e stivali. Un caleidoscopio etnoantropologico di cui fanno parte cinesi, tagiki, kirghizi,uigur e... t-shirt immacolate, scarpette da trekking e calzoncini corti high-tec: i turisti!
Tutti vendono di tutto, è un enorme, polveroso centro commerciale all'aperto. Il clou è la zona della compravendita degli animali:
rimescolarsi di bestie, padroni, trattori e bambini. C'è un gran daffare: contratti da stipulare, qualcuno da convincere, pecore da tosare e pecore da sgozzare. E' ora di pranzo, e i ristoranti allestiti appositamente o fortunosamente per l'occasione sono proprio singolari. Come in quei locali dove si vede nell'acquario il pesce che si mangerà di lì a poco, qui, prova inconfutabile della freschezza dello spiedino sono le pelli di pecora ammucchiate sotto il bancone!
Tra greggi da sistemare e compratori a cui badare, sono in molti a rinfrescarsi al banco dei meloni, soprattutto i kazachi (con stivaloni, giacche lunghe e sciarpa in cintura). Tutti si servono, e muniti di coreografico coltello - lama venti centimetri - affettano abilmente la propria porzione. Un gran succhiare, tempi da record , bucce sottilissime e mani gocciolanti che nessuno esita ad asciugarsi sulla pecora più vicina!
Al tramonto comincia il rientro, luce dorata, ancora camion, carretti, animali, gran vociare, clacsons e strade congestionate: tutto finisce in un gran polverone.

DI NUOVO VERSO PECHINO

Alla stazione ferroviaria ci si arriva con l'autobus e trovare l'autostazione è un'odissea: ognuno ha la propria opinione riguardo dove questa si trovi. Arriviamo in taxi, si fatica a credere che la stazione sia ancora la stazione: autobus impolverati e uffici in disuso. Biglietterie, sale d'aspetto, c'è una finestra rotta: poltrone impolverate, un'uniforme appesa, una tazza da tè e le bandierine rosse della Repubblica Popolare Cinese. Strane sensazioni. L'autobus ci scarica davanti alla Kashgar Railway Station, e preso il treno per Pechino ricomincia l'avventura!






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