VALLARSA NOTIZIE N° 37 - dicembre 2005 pag. 52-55


LA PROCESSIONE DELL'ASSUNTA

Come ogni anno ormai, all'uscita della messa cantata del mattino di ferragosto, Festa dell'Assunta, mi piace soffermarmi un po' ad incontrare e salutare la gente, la "mia" gente: persone alle quali mi sento in quale modo legato da sempre, punti di riferimento fissi della mia vita da vagabondo, volti indimenticati ed indimenticabili che ogni volta mi riportano piacevolmente indietro nel tempo.

E' un'occasione unica, questa, per rivedere un po' tutti, la sensazione di "ritornare" in famiglia dopo un lungo tempo di assenza.
I discorsi sono sempre gli stessi: come va la famiglia, cosa fanno i figli (che non ci sono mai..), ti vediamo sempre "su per i giornai", quanto ti fermi; e quando dico "mah, sto chi tre quatro dì" la risposta è tutte le volte uguale: "oh, alor ne veden..!"
Ma si sa che poi non ci si rivedrà: i "tre o quatro dì" trascorrono troppo in fretta e a volte si riesce a malapena a fare il giro dei pochi parenti rimasti per fare due chiacchiere con calma.
Ad un tratto, in mezzo al gioioso parlottare della gente che indugia sul piccolo sagrato davanti al monumento ai Caduti, mi sento chiamare per nome e riconosco la voce possente e inconfondibile del Mariano che, con una domanda che è un misto tra un invito che non si può rifiutare e un ordine, mi dice: "te vegni ben encoi en procession a cantar le litanie..!!"
E' una di quelle domande che ti danno l'impressione di avere già in sé la risposta scontata: lo leggi nello sguardo di chi la fa, lo avverti dal tono della voce. Le litanie! Certo che vengo a cantarle, anche se non le ricordo più molto bene e anche se la mia voce non è più quella di una volta..!! Ma la processione dell'Assunta è un appuntamento importante per noi di Raossi, anche e soprattutto per noi che a Raossi non ci siamo più. E' un po' un ritrovarsi tutti attorno a quella statua della Vergine che è rimasta immutata nel tempo e che ognuno di noi, o per devozione o per nostalgia, ha sempre portato nel cuore, nel convulso avvicendarsi degli anni e degli eventi della vita.
E così, un po' prima delle tre del pomeriggio, sono di nuovo in chiesa e lì, seduto nei primi banchi, tra l'amico Pino e il Bepo Carlon, mentre attendo che inizi la cerimonia e mentre il Mariano fa le ultime raccomandazioni, mi perdo per un attimo nel mare dei ricordi e mi lascio travolgere da intrattenibili ondate di "flashback", quasi inebriato dall'acre odore dell'incenso che già comincia ad impregnare la calda aria di agosto.
Bianchi fasci di luce irrompono come lame dai vetri multicolori delle finestre laterali, e, catturando nuvole di pulviscoli dorati, incrociano le volute di fumo azzurrognolo che entra nella loro scia dissolvendosi subito in velocissimi disegni surreali.
Tutto è così familiare, qui dentro, come in una casa dove si è abitato per molto tempo. Eppure, quanti anni sono trascorsi! Il Battesimo, la Prima Comunione, la Cresima, gli anni da chierichetto....!!
Proprio davanti a me, nella sua nicchia molto semplice e quasi spoglia, bordata solo da un leggero profilo di marmo chiaro, la statua di Santa Lucia è lì da sempre, reggendo nelle mani un piccolo vassoio contenente gli occhi che, secondo la tradizione, le erano stati tolti.
L'altra nicchia, a sinistra dell'altare maggiore, identica a quella di Santa Lucia e solitamente occupata dalla statua della Madonna, oggi è vuota, perché la statua è stata tolta e posta, immersa in un mare di fiori, davanti alle balaustre, pronta per essere portata in processione.
La statua è molto semplice, senza quegli eccessi ornamentali di gusto discutibile che spesso "arricchiscono" molte sculture. Ha un manto azzurro bordato d'oro, sopra una veste bianca stretta in vita da una fascia rosa che le scende quasi fino a metà coscia. Sul capo, una corona di stelle. Le braccia sono aperte, in un segno di abbraccio materno ed universale. Il viso, liscio e appena rosato, sembra emanare dolcezza e trasmettere serenità. Ho sempre pensato, e lo penso ancora, che questa sia la più bella statua della Madonna del mondo. Dalla vòlta dell'abside, un tempo completamente decorato con grandi Angeli con gli scarponi e successivamente affrescato con un unico fondo beige, scende rassicurante e dolce lo sguardo del Grande Occhio di Dio, dipinto al centro di un perfetto triangolo, simbolo della Santissima Trinità, dai lati del quale si dipartono brevi raggi di luce; il tutto in studiate tonalità monocromatiche, quasi a non volere incutere timori o soggezione.
Alle pareti laterali, sotto le coloratissime finestre, la piccola ma preziosa Via Crucis, suddivisa in sette stazioni per parte, testimonia ancora la grande voglia di rinnovamento che aveva animato negli anni '60 il giovane parroco don Ivo: una interessante opera di 14 formelle in terracotta colorata, assolutamente moderne per quei tempi, e sicuramente anche poco capite, in sostituzione dei vecchi, classici grandi quadri incorniciati, raffiguranti - quelli sì!! - con fotografica chiarezza, le tappe della passione di Cristo.
Per non parlare di quegli strani confessionali, costituiti solo da una semplice porta con grata, incardinata al muro, che, ricordo, suscitarono non poca perplessità e stupore.
Ma erano i segni dei tempi che cambiavano.
Ecco che l'armonium inizia a suonare, ed il suo suono pieno e festoso si attenua appena quando entrano le voci limpidissime e cristalline delle ragazze che cominciano a cantare.
Dalla sacrestia, avvolti in un sottile velo di fumo azzurro e, come sempre, inciampando e spingendosi a vicenda, escono quattro chierichetti seguiti dal parroco che veste i paramenti solenni delle Festività più importanti.
Ed immediatamente, in un rapidissimo ed improvviso ricordo, mi balena davanti agli occhi la piccola figura canuta di don Cumer, su, in cima a quei quattro gradini del vecchio altare, dove una volta il prete si faceva la messa per conto suo, con la schiena rivolta alla gente, ed ogni tanto si girava per un attimo e allargando le braccia diceva: "Oremus" per poi tornare alle sue formule latine sciorinate misteriosamente davanti al tabernacolo.
Ma don Cumer, o "don Bepo", con molta semplicità e molto senso pratico, "condiva" e completava i testi sacri della Messa anche con le sue uscite in dialetto e noi chierichetti riuscivamo (dovevamo) capire al volo quello che voleva, perché i suoi ordini erano secchi, chiari ed espliciti: "dàme chi l'acqua.." - " pian con quel turibolo!" - oppure: "sòna 'l campanelo"- e ancora: "porta da l'altra el messale!!"
Poi vennero don Ivo, don Eugenio, poi altri ... ma io me n'ero già andato.
Le note dell'armonium, ora, sono diventate dolci e melodiose e il Mariano, con gli occhi chiusi ed una voce potentissima accompagnata dal ritmico dondolìo della testa, intona i salmi che aprono le funzioni.
Una volta si cantava dietro l'altare maggiore, in "cantoria" o "coro". Le messe cantate e le Funzioni del pomeriggio (i Vespri) erano una vera scuola di canto, e già a quel tempo c'era lui che suonava, il Mariano, che si alternava, in una simpatica gara di bravura e generosità, all'altro Mariano, quello della Costa. Tutti e due giovani ed entusiasti, vivevano le cerimonie festive con un impegno ed una carica che mi affascinavano e suscitavano in me ammirazione e passione. Cantavamo con loro, noi ragazzini, e con gli altri cantori più vecchi, con il "Gigio Redi" che declamava a modo suo, in un incredibile latino adattato al vallarsero, le interminabili Epistole (lettere) di San Paolo ai Corinzi e agli Efesini.
Poi, nelle pause, o durante le coloratissime prediche di don Cumer, facendo attenzione a non far scricchiolare le assi del vecchio pavimento, da dietro le tendine di velluto rosso della cantoria, si "cucava" giù per la chiesa, facendo scorrere lo sguardo sui primi banchi, per vedere se c'era la ragazza che ti piaceva.
La gomitata del Pino (che mi accorgo essere rimasta invariata da quando giocavamo ad indiani sulla Gran Cobbe) mi distoglie dai pensieri e dai ricordi, riportandomi alla realtà, mentre gli ultimi salmi sfumano nell'aria. "Varda che scominzia la processíon... sito vegnù per cantar o per dormir?!?"
Quattro giovani si avvicinano alla statua della Madonna e, lentamente e con molta attenzione, la sollevano e la prendono in spalla. Siamo pronti. Il Mariano fa segno che si comincia e, mentre il corteo si avvia verso l'uscita della chiesa, intona le prime note delle litanie. "Kyrie eleison, Christe eleison..."
Per qualche attimo la statua della Vergine ondeggia un po', mentre i quattro portatori cercano le posizioni migliori per garantire un equilibrio stabile e sicuro.
"Santa Maria, ora pro nobis; Santa Dei Genitrix, ora pro nobis..."
Il sole di ferragosto ci investe con tutta la sua pienezza all'uscita della chiesa. Le campane suonano a festa. Lungo la salitella che dalla chiesa porta allo stradone principale mi giro un attimo a guardare: uomini e donne che conosco da sempre, volti e figure che gli anni hanno segnato, che il tempo ha trasformato, ma che ci sono ancora. Assorti, ognuno con i propri pensieri, nei colorati abiti estivi, tutti salgono lentamente, aggrappati con convinzione a questa ormai anacronistica professione di fede che qui, nel nostro paese, conserva ancora la forza e il fascino di un tempo.
E mi viene da pensare a quelli che non ci sono più.... e sono tanti. Questo appuntamento estivo diventa inevitabilmente come un "contarsi", una sosta annuale per fermarsi un attimo, guardarsi attorno e constatare, nel bene e nel male, gli effetti del tempo.
"Mater divinae gratiae, ora pronobis; Mater amabilis, ora pro nobis..."
Mi accorgo di cantare a squarciagola, con tutta la voce che ho, e so che questo non va bene. Il cantare deve essere sempre equilibrato, educato, mai sforzato. Ma qui mi lascio prendere dall'entusiasmo e le regole che io stesso insegno ai miei coristi sono oggi completamente disattese! Guardo dritto negli occhi il Mariano che procede eroicamente camminando all'indietro e sembra incitarmi con lo sguardo: "sì, sì, canta, canta!!!"
Queste litanie mi sono sempre piaciute, per il particolare intreccio di voci che propone questa armonizzazione, per la solennità che riescono a conferire ad ogni invocazione, e per quel senso di piena serenità che mi trasmettono mentre le canto.
Probabilmente a qualcuno possono risultare invece una noiosa tiritera senza senso, calata inopportunamente in un afoso pomeriggio d'agosto.
La formula è quella classica: ad una invocazione cantata in gregoriano, il coro risponde con tre invocazioni a quattro voci; il tutto distribuito nel corso dell'intera processione e intervallato da momenti di silenzio o di preghiere, in modo da far coincidere il rientro in chiesa con il canto delle ultime invocazioni delle litanie. Dopo anni e anni di processioni, il Mariano ormai sa calcolare perfettamente i tempi e ogni punto del percorso segna un riferimento preciso.
"Virgo potens, ora pro nobis; Virgo clemens, ora pro nobis.."
Un tempo, quando tutte le case erano abitate, la gente addobbava le finestre con le cose più belle che aveva: copriletti, tappeti, coperte colorate e vasi di fiori. Oggi molte finestre sono chiuse, molte case vuote. Qua e là, solo qualche drappo, qualche pianta fiorita. Alzo lo sguardo sulla statua della Vergine che passa, con le braccia aperte, su questa strada così uguale ma così diversa dai tempi in cui ero un bambino, e il nodo in gola è inevitabile. Passiamo sotto la nostra vecchia casa, la "mia" casa, dove sono nato.
Mai come in questi momenti così intensi e forti avverto la mancanza e insieme la presenza, quasi fisica, di mia madre. Lassù, su quel piccolo poggiolo dove aveva esposto il suo copriletto più prezioso, lei mi teneva al collo bisbigliando sottovoce un'Ave Maria; e io, ricordo, arruffandole i capelli ed aggrappandomi alla sua catenina, mi sporgevo a guardare questa stessa statua portata in spalla da altri uomini, seguita da altra gente. Il ricordo si rinnova ogni anno, vivo, palpabile, lacerante. La mia casa!
Passiamo cantando: "Speculum justitiae, ora pro nobis" . E' difficile contenere l'emozione e il canto mi si blocca in gola: solo un anno fa, anche mio padre era lì, ai bordi della strada, seduto come un re sul suo ultimo "trono" a rotelle, incapace ormai di camminare, a seguire, con lo sguardo velato di lacrime, questo corteo. Oggi non c'è più.
Le Ave Marie recitate tra un canto e l'altro dalle donne che seguono il coro, restano sospese per un po' tra le case e poi si sciolgono nell'aria calda ed umidiccia del pomeriggio di agosto. Poi, attimi di silenzio, in cui si sente solo lo scalpiccio dei passi sull'asfalto e il brontolìo di qualche motore tenuto al minimo al passaggio della processione. Le espressioni della gente "costretta" a fermarsi ai bordi della strada sono diverse: c'è chi ostenta sopportazione, chi ha stampata in faccia la smorfia dell'ironia, chi tradisce una intrattenibile impazienza, chi invece si fa il segno della croce ed ha un'aria assorta e seria. Immagino sia difficile, da fuori, capire il significato e il valore di questa processione e quindi non mi meraviglio dei vari atteggiamenti.
Io vivo questo "evento", piccolo e forse insignificante per molti, come un salutare e benefico ritorno al passato, un tenero ed affettuoso ritrovare le mie radici; ogni volta riscopro il legame profondo che mi unisce a questa terra, a questa gente e a queste tradizioni. Riscopro l'insopprimibile senso di appartenenza alla mia valle.
Con attenzione, in mezzo al turbinare di questi pensieri, guardo il Mariano che si sta sbracciando, camminando all'indietro per vedere tutti in faccia noi che cantiamo. Si asciuga il sudore che gli imperla la fronte e ci ripete l'intonazione: la-la-la.... "Vas honorabilis, ora pro no bis.. "
Stiamo arrivando alla Piazza dove, all'altezza della chiesetta di San Rocco, passando prima tra le case, ci si girerà per il ritorno. Ogni tanto viene intonata qualche vecchia canzone della Madonna. Quelle canzoni semplici, armoniose, belle e coinvolgenti che si cantavano una volta nelle chiese e che ora, non ho mai capito perché, non vengono più cantate: Mira il tuo popolo, Nome dolcissimo, E' l'ora che pia, Dell'aurora tu sorgi più bella..; canzoni che, ancor di più, suscitano nostalgia e ricordi.
E' dunque il crogiolarsi nei ricordi, unito a questo modo di vivere la fede paesano, popolare e forse sempliciotto, quello di cui abbiamo bisogno ogni tanto per riconciliarci con il nostro frenetico vivere di ogni giorno? Forse sì. Forse questa ora di intimo raccoglimento nella semplicità di una tradizione religiosa che non vuole morire, ci appaga e ci rasserena. Ci sembra quasi di trovarci per un pò in una dimensione diversa, in questo annuale incontro col "sacro", già per sua natura indefinibile, ma proprio per questo carico di fascino e di magia.
In mezzo alla stretta della Piazza, dove le case si stringono ancor di più l'una addosso all'altra, con le facciate che si guardano a distanza di pochi metri, il nostro cantare si amplifica, acquista potenza e sembra divenire più solenne e maestoso.
Il corteo si snoda lentamente, quasi a non voler porre fine a questo singolare e antico "stare insieme". Si passa di nuovo davanti al monumento ai Caduti, alle Scuole Elementari.
Scorrono velocissime ma nitide le immagini nella mia mente. Ancora ricordi: il viso austero della Maestra Angelina, il grande abete in fondo al piazzale, il pezzetto d'orto che qualche maestro voleva insegnarci a coltivare, le ricreazioni, le corse, le prime "morose"...; rapidi flash che appaiono e scompaiono su sfondi colorati del verde antico dei prati, dei gialli-ocra degli autunni vallarsesi, del bianco luminoso e soffice di lunghe nevicate...
"Turris eburnea, ora pro nobis; Domus aurea, ora pro nobis...."
Forse devo stare più attento e vagare meno con i pensieri. Mi accorgo che sbaglio ancora qualche nota e mi sento quasi in colpa quando il Mariano mi fissa come uno che si aspettava da me qualcosa di più concreto e costruttivo. Ma da un anno all'altro è facile dimenticare.
"Ti végneme drio a mi" - mi dice ogni volta Pino con una buona dose di autoironia, sapendo bene lui stesso che gli riesce molto meglio fare il Direttore della Cooperativa che non cimentarsi nell'arte canora! Tuttavia al suo fianco, chissà perché, mi sento più sicuro.
Il sole ancora alto sopra il profilo del Monte Zugna innonda di luce la statua di Maria che a tratti ondeggia leggermente sopra le teste dei portatori.
Passiamo tra le case, allineate come vagoni di un treno e affacciate sullo stradone che attraversa il paese in tutta la sua lunghezza. Quando arriviamo all'altezza della vecchia canonica le campane cominciano a suonare per accogliere solennemente la statua della Madonna che rientra in chiesa. Le ultime invocazioni mariane si levano più forti dalle nostre voci e si fondono con i rintocchi argentini e festosi che vibrano nell'aria del tardo pomeriggio. Al bordo della strada, sulla curva che immette alla discesa verso la chiesa, il mio amico Renato, nella sua impeccabile divisa di Comandante dei Vigili Urbani, saluta, in una perfetta posa da manuale, il passaggio della processione. Se non fosse in servizio sarebbe qui con noi a cantare.
L'ultimo tratto, i passi trattenuti, le camicie sudate, poi la chiesa ci riaccoglie, satura di fumo d'incenso e del profumo dolciastro dei fiori, mentre il canto delle litanie sta giungendo alla fine: "Regina pacis, ora pro nobis.. ". E Lei, la Regina, sembra davvero promettere pace e benedirci, con quelle mani alzate, mentre viene riposta sul piedistallo al lato dell'altare. L'ultimo canto è ancora per Lei: un canto al quale partecipano tutti, in un grande coro popolare dal quale sgorga il significato più profondo di questa processione: sentirsi tutti figli, più o meno degni, di quella stessa Madre.
E lo si avverte in questo cantare insieme spontaneo, senza pudori, nostalgico, vero, carico di pathos e di emozioni. Poi, un po' alla volta, la chiesa si svuota.
Fuori qualcuno ha preparato biscotti, bibite, tartine, salatini, vino. Nella luce obliqua del pomeriggio la gente ora chiacchiera, mangia, beve, sorride, si scambia saluti.
Ma tutto questo ha già il sapore del commiato, ha l'aria un pò triste del "tutto finito", e mentre ascolto distratto qualcuno che mi parla di ormai dimenticate avventure giovanili, mi rendo conto che a Raossi l'estate termina qui, oggi, in questo dopo-processione semplice e veloce. Domani, dopodomani, tra due giorni, ognuno tornerà alle proprie città, al proprio lavoro, alla routine di ogni giorno.
Mi incammino per la lieve salita. In cima mi giro ancora un attimo a guardare la gente. Questa splendida "mia" gente. Arrivederci al prossimo anno. Alla prossima processione. Speriamo...!!!


Ferdinando Lorenzi





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