Caro Gesù,
comincerò col dirti che non ti ho mai scritto una lettera natalizia, neanche da bambino: lettere per le quali ho avuto sempre una particolare diffidenza:
sia perché sono segno di un vischioso sentimentalismo che contrasta subito con la serietà dei Natale (una festa tra le più drammatiche secondo i Vangeli), sia perché lettere suggerite dai grandi e fatte fare ai bambini, con una dose non piccola di falsità.
Credo infatti che quasi tutte queste lettere, indirizzate a Te, Gesù Bambino, nascondano uno dei primi gesti nei quali gli stessi fanciulli non credono, pur stando volentieri al gioco: fa comodo ed è di loro interesse.
Lettere dunque che potrebbero segnare l'inizio del non credere, da parte di molti: a protezione di molti interessi. Certo, non di tutte si potrà dire così, ma così si deve dire del costume che è un'autentica parodia della festa.
Spero dunque di non avere a che fare con simili bambinerie. Ti voglio dire subito perché ricorro, anche pubblicamente, a questo espediente di una lettera natalizia, indirizzata proprio a te, povero Cristo, che, nato appena, "tutta Gerusalemme si turbò".
La lettera è il genere più confidenziale di ogni scrittura; di solito si scrive una lettera a un amico quando non se ne può più di fare a meno, quando si ha l'anima gonfia; o si hanno cose che non si sanno a chi dire: allora non c'è che l'amico del cuore.
Del resto tutta la mia vita e tutti i miei scritti sono stati un colloquio ininterrotto con qualcuno; ho scritto che lo stesso Dio, per me, è "il tu necessario e inevitabile": magari un Tu senza risposte.
Ma forse questo che ora ti dico, è il motivo principale: è che sono giunto a un'età di sentirmi finalmente fanciullo. A invecchiare bene, a saper invecchiare, si entra In uno stato tale di infanzia e di libertà, che è come scoprire le cose di nuovo, nella loro realtà più vera.
Qualcosa che potrebbe far pensare all'infanzia precisamente evangelica: "Se non tornate fanciulli, non entrerete nel Regno".
Si tratta quindi non di restare bambini, ma di "tornare" fanciulli; come dire che le bambinate non piacciono neppure a te, o divino amico. Come dire: altro è la fanciullaggine, altro è la semplicità "seconda", la semplicità conquistata, che poi coincide con la giovinezza dello spirito e con la libertà del cuore.
Ora io ho paura che questi nostri modi di festeggiare il Natale siano appunto delle bambinate, cui nessuno crede; compreso ii riferimento a certe cerimonie e a certi discorsi, che si fanno, a volte, nelle chiese.
Eppure tu vieni, Gesù: "Maranatà", ultima parola dell'Apocalisse. Vieni sempre, Gesù. E vieni per conto tuo, perché vuoi venire, perché devi venire. È così la legge dell'amore.
E vieni non solo dove fiorisce ancora un'umanità silenziosa e desolata, dove ci sono ancora bambini che nascono; dove non si ammazza e non si esclude nessuno, pure nel poco che uno possiede, e insieme si divide il pane.
Vieni anche nelle case del ricco, come sei entrato un giorno in quella di Zaccheo che pure era un corrotto della ricchezza.
Vieni anche in queste famiglie senza più bimbi: non come Il bimbo di gesso dei nostri ridicoli presepi, ma quale una vita nuova, che sia come il nuovo vino che fa esplodere i vecchi otri.
Precisamente perché convinto di queste cose e certo che tu, comunque, non ci abbandoni, pensando al tuo dramma e a questa nostra condizione di solitudine e squallore, così mi son messo a cantare un giorno:
"Noi siamo tutti lontani, smarriti, né sappiamo chi siamo e cosa vogliamo.
Ma tu vieni, Signore. Vieni sempre, o Signore."
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