Frequentemente, quando si parla di montagna, compare una
nota di rimpianto per un mondo che è stato e non è più, per un modo
di vivere ritenuto a misura d'uomo, per dei valori considerati
importanti e che si ritiene siano andati perduti. A differenza di
quanto avviene in altre aree o in altri settori, il mutamento viene
considerato equivalente ad un peggioramento. Prevale il desiderio di
conservare anche se, molte volte, non sono ben chiare le strategie
necessarie per arrivare allo scopo. In altri termini è diffusa la sensazione che la civiltà
alpina abbia raggiunto un proprio culmine in un non meglio precisato
passato e che da quel momento in avanti non vi possa essere che un
peggioramento.
Vi sono molti indizi relativi al fatto che questa
visione pessimistica quasi fatalistica dei problemi della montagna,
si fa strada e si consolida in un periodo storico in cui il ruolo
della montagna si fa riducendo fino a diventare, in molti casi,
trascurabile. L'indicatore più semplice di tale evoluzione è
l'andamento demografico.
Anche se nell'ultimo secolo vi sono aree
delle Alpi in cui si assiste ad aumenti della popolazione prevalgono
di gran lunga le zone in cui questa diminuisce. Va subito osservato
che non è la prima volta che la popolazione residente nelle aree
montane si riduce, vuoi in termini assoluti vuoi in relazione a
quella residente in altre aree.
Si assiste, infatti, nelle Alpi
come in altre aree geografiche a fluttuazioni cicliche per cui,
sotto il profilo demografico a periodi di contrazione ne seguono
altri di espansione e viceversa. Tali andamenti sono collegati con
due grandi fattori: i posti di lavoro in loco ed il livello di
qualità della vita.
Risulta in particolare interessante osservare
come le epoche di forte incremento della popolazione corrispondono a
periodi in cui sotto il profilo economico, la civiltà alpina ha
saputo produrre modelli originali, nel mentre le epoche in cui si
assiste ad una contrazione dei residenti sono quelle in cui, dal
punto di vista economico e sociale, vi è un'imitazione dei modelli
sviluppatesi altrove. Non è questa la sede per esaminare nel
dettaglio le caratteristiche dei modelli di sviluppo di successo.
Tuttavia almeno un elemento va richiamato. Tale elemento è
costituito dall'idea di limite. In proposito si può osservare che,
da un certo punto di vista, l'idea di limite rappresenta l'essenza
stessa della vita in montagna. Nelle valli è limitato l'orizzonte,
vi sono limiti altitudinali per le diverse coltivazioni, vi è un
limite fisico alla possibilità di scambi anche fra aree che in linea
d'aria sono estremamente vicine e via di questo passo. Orbene si può
sostenere che quando si è riusciti a trasformare i limiti in
opportunità c'è stato sviluppo, mentre quando gli stessi sono stati
trasformati, per ragioni tecniche e /o culturali in vincoli assoluti
vi è stata stagnazione. Così, ad esempio, l'esser riusciti ad
utilizzare i limiti derivanti dagli inverni rigidi e nevosi, in
funzione della pratica degli sport invernali, ha portato allo
sviluppo turistico di molte zone delle Alpi. Per contro quando i
limiti orografici, climatici e sociali non hanno costituito un punto
di partenza per un percorso innovativo, ma si sono trasformati in un
vincolo sentito a torto o ragione come immodificabile, è
puntualmente arrivato il declino demografico, economico,
sociale.
Per molti nostri contemporanei, in realtà, nella società
attuale ed ancor più in quella futura non esiste alcun limite che
non possa esser agevolmente superato. Se così è, la montagna in
quanto tale è superata in conseguenza della "visione del mondo" che
la stessa invoglia ad adottare ancor prima che sotto il profilo
demografico, economico e sociale. Ed allora la nostalgia
della"montagna" del passato è un vuoto rimpianto di valori privi di
senso. Valori che sono solo di inciampo per le "magnifiche sorti e
progressive" che sicuramente ci attendono. Ciò che conviene fare
allora non è nient'altro che cercare di eliminare il più in fretta
possibile qualsiasi differenziazione, omologando dal punto di vista
sociale, economico e per quanto possibile anche dal punto di vista
fisico, la montagna alle vicine pianure.
Ci si può chiedere,
tuttavia, se sia veramente così. Se l'inquietudine, che talvolta
assale improvvisa di fronte ai mutamenti per certi versi
sconvolgenti cui assistiamo quotidianamente, sia solo un residuo del
passato o non rappresenti anche un presentimento di ciò che potrebbe
accadere in un futuro assai più vicino di ciò che sarebbe, forse,
auspicabile. Quest'idea nasce dalla constatazione, ovvia ma non
banale, che comunque la terra è un sistema finito, le stesse
capacità dell'uomo sono finite, che molte scelte sono irreversibili
e quindi, nonostante tutto, le probabilità di incontrare limiti
comunque invalicabili in un dato periodo di tempo aumentano di
giorno in giorno.
Se così è non vi è, allora, dubbio che è
proprio nelle aree in cui i limiti sociali, ambientali ed economici
sono più evidenti, vale a dire nelle zone di montagna, che possono
essere sviluppate prima che altrove soluzioni atte a garantire un
tipo di sviluppo equo e duraturo. Certo questo non è né un risultato
scontato nè un obiettivo facilmente raggiungibile, ma le opportunità
in questo senso sono probabilmente maggiori, nonostante le
apparenze, oggi di qualche decina di anni fa.
Vi è una condizione
perché ciò sia possibile. E' necessario per le comunità locali avere
la possibilità e la capacità di darsi regole adeguate. Questo non in
un'ottica di chiusura o di localismo, ma di salvaguardia delle
specificità e di miglioramento dell'efficienza complessiva. Un
piccolo esempio può essere illuminante in proposito. E' noto come il
burro migliore sia quello ottenuto in malga. Se fatto bene conserva
il profumo degli alti pascoli e non è che un lontano parente del
burro normale ottenuto centrifugando latte e siero. Orbene oggi il
burro di malga è fuorilegge. Una normativa della Unione europea ne
vieta la vendita in quanto ottenuto da panna non
pastorizzata.
Tale norma ha uno scopo igienico e risulta
ragionevole se il burro è ottenuto in aree relativamente calde, ma
in malga è già la freschezza del clima che impedisce lo sviluppo di
germi patogeni. Allora o si riesce a modificare una norma che nelle
specifiche condizioni alpine non ha alcun significato o produrre e
vendere burro nettamente migliore di quello usualmente in commercio
sarà un reato. Va da sé che è possibile vivere (magari con un po' di
sapore in meno) anche senza il burro di malga, ma se l'esempio viene
trasferito ad altri e più rilevanti problemi si vede facilmente
quale può essere, attualmente, l'ostacolo maggiore ad una
rivitalizzazione della montagna.
Rivitalizzazione che, per quanto
sopra osservato, è utile non solo per chi in montagna vive, ma per
l'intera società contemporanea ed anche per le generazioni
future.