Oggi in oltre 50 città distribuite in tutto il mondo,
decine di milioni di persone manifestano contro la guerra. Si tratta della
più oceanica dimostrazione pacifista di massa che mai si sia verificata
nella storia. Una mobilitazione senza precedenti, per l'imponenza della
partecipazione, la molteplicità dei paesi coinvolti, la diversità delle
lingue e delle culture, le diversità sociali e politiche fra coloro che
aderiscono, tutti accomunati dalla bandiera multicolore simbolo della
pace.
A molti - al nostro Presidente del Consiglio, per esempio -
questa manifestazione appare soltanto come una conferma del fatto che
tanta gente vive «con la testa fra le nuvole», mentre ad altri tocca
l'ingrato compito di pensare alla lotta contro il terrorismo
internazionale. Altri ancora guardano alle sfilate di oggi col sorriso
ironico di chi è convinto della totale irrilevanza di dimostrazioni come
queste, rispetto alla ben più incisiva efficacia delle truppe che si
accingono ad invadere l'Iraq.
Agli uni e agli altri sfugge un aspetto
che ben presto, invece, si rivelerà essere della massima importanza, fino
a costituire forse il fenomeno in assoluto più significativo del
delicatissimo passaggio storico che stiamo vivendo.
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Per
secoli, si potrebbe dire da sempre, la forza vincente, capace di imporre
dovunque e comunque la propria superiorità, è stata quella delle armi. Per
secoli, la risorgente opposizione alla guerra, in nome di ideali di
tolleranza e collaborazione, non è riuscita ad andare al di là
dell'appello morale, nobile quanto inefficace, o della pura e semplice
testimonianza. Perfino i grandi filosofi, da Platone a san Tommaso, da
Hobbes a Hegel, avevano alla fine riconosciuto che la guerra resta lo
strumento risolutivo per dirimere i conflitti internazionali e che la pace
(per dirla proprio con Platone), «non è altro che un nome, mentre nella
realtà delle cose c'è sempre guerra di tutti gli stati contro tutti gli
stati».
Per secoli, all'ingenuo idealismo di isolate voci che gridavano
nel deserto, si è opposto il corrusco fragore di armi sempre più
distruttive.
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Con tutta la sobrietà necessaria nel formulare
giudizi di questo genere, si può affermare che siamo giunti ad una svolta,
di portata veramente epocale. Al di là di molti altri aspetti, le
manifestazioni di oggi dimostrano infatti che, in tutto l'Occidente, si è
aperto un divario nettissimo fra i popoli e i governi, fra cittadini che
reclamano il rispetto di diritti inalienabili e comitati di affari, non
sempre puliti, che pretendono di gestire senza controlli né
condizionamenti quelli che dovrebbero essere gli interessi della
collettività, e che invece sono spesso soltanto gli interessi di
ristrettissime oligarchie. Ciò che sta emergendo, insomma, non è un
singolo, sia pure importante, problema di sintonia fra la politica e la
«gente». E' in gioco, piuttosto, una questione di fondo, che riguarda
l'esistenza stessa della democrazia nel mondo occidentale, e dunque anche
in tutto il pianeta.
Comunque la si voglia intendere, e in qualunque
modo sia stata storicamente concepita, l'essenza della democrazia risiede
in una forma di governo nella quale coloro ai quali sono affidate le
decisioni agiscono in nome e per conto dei governati, ne raccolgono gli
orientamenti, tendono a realizzarne gli interessi materiali e ad
assecondarne le scelte di valore.
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Una democrazia nella
quale i governanti non godano del consenso dei governati, nella quale sul
tema fra tutti più importante si assiste ad una diametrale divaricazione
fra il popolo e coloro che dovrebbero essere i suoi rappresentanti,
semplicemente non è più una democrazia. E' un sistema nel quale i
cittadini sono trasformati in sudditi, mentre coloro che sono investiti
della delega a governare si comportano come detentori di un potere del
quale non debbono rispondere a nessuno.
Inquadrata in questa
prospettiva, la manifestazione di oggi non è affatto «soltanto» una
mobilitazione contro la guerra. E' una mobilitazione per una democrazia
sostanziale, per il rispetto dell'autodeterminazione, per la difesa dei
diritti di cittadinanza, infine per una libertà fatta non di parole, ma di
opportunità concrete.
Altro che patetica e inefficace.
La bandiera
multicolore della pace che sventola oggi in tutto il mondo, è il modo più
incisivo per rivendicare che dovunque - in Iraq e in Occidente - si possa
avviare davvero la realizzazione compiuta della democrazia.