Salivi lentamente
di Nadia Sartori
Salivi lentamente lungo la strada; strada, non si può certo chiamare strada quel viottolo ricoperto d’erba con piccole margherite che fanno capolino qua e là con ai bordi delle timide violette e dei non ti scordar con quel loro colore azzurro tenue che addolcisce il cuore.
Salivi lentamente quel viottolo con la tua gonna lunga ed ampia dal colore indefinito; sopra portavi sempre quel grembiule nero tempestato di fiorellini rossi e come copri capo non un vezzoso cappellino.
Ti ricordi quando andavamo in città quanto risi nel vedere quella "Signora" col cappello verde con piume e veletta, "Che buffa, sembra un gallo". Dissi "Zitta", mi rimproverasti tu con quella voce melodiosa e severa nello stesso tempo. No, tu portavi sempre un fazzoletto grigio-nero legato dietro la nuca con un nodo piccolo piccolo, che lo calavi sempre a mezza fronte per nascondere forse i tuoi capelli che raccoglievi in una treccia: erano lunghi e belli i tuoi capelli quando la sera gli scioglievi per spazzolarli, li ammiravo estasiata, quelli ormai grigi luccicavano come l’argento, ma gli altri erano di un nero corvino mai visto; di giorno però li giravi sempre in tondo fino a formare un "cruccolo" che fermavi con tante forcine dietro la testa.
Salivi lentamente quel sentiero, molto lentamente, la tua figura appesantita dagli anni e da molti chili in più avanzava adagio come volesse scandire ad ogni passo lo scorgere dei giorni, il passare dei mesi, il trascorrere degli anni: nonostante ciò il tuo portamento era eretto, quasi regale, con le mani annodate dietro la schiena il tuo petto si alzava ed abbassava ad ogni tuo respiro come un mantice che sembrava non dovesse fermarsi mai.
Salivi lentamente quel sentiero, eri quasi arrivata in cima, la fatica si faceva sentire sempre più, il tuo viso piccolo e rotondo bagnato da piccole gocce di sudore luccicava sotto i raggi del sole, quante lacrime sono rotolate silenziose lungo le tue guance, il tuo collo sino a fermarsi nell’incavo del tuo seno ormai cadente. Il tuo viso segnato da mille rughe che si sovrappongono ed incrociano le une alle altre come tante strade senza inizio e senza fine, era abbronzato d’un matton simile alla terra appena arata, il tuo naso piccino e i tuoi occhi rotondi , neri come notti magiche, riflettevano i monti innevati, i prati appena falciati, i filari di viti con grappoli d’uva maturi e i piccoli paesi sperduti nel verde.
Salivi lentamente quel sentiero con la gonna lunga, il corpo appesantito, il viso rugoso, ma per me eri bellissima, una regina della Vallarsa sei stata ed io sono onorata d’averti accompagnata sino alla fine della strada e averti vista sparire in un campo di papaveri.
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