EN PRETE
di Rolando Piazza

Sono partito dalla mia Valsugana che ero ancora un ragazzino, ho lasciato il piccolo paese di Castelnuovo per la mia missione, forse allora non n'ero molto sicuro, ma poi passo dopo passo ho capito che quello era il mio cammino.
La mia famiglia è ricca e benestante, ma io parto ugualmente.

Certo è stata lunga la strada, come quella che ho fatto a piedi per arrivare fino a Trento, ma alla fine sono giunto alla mia meta.

Così come allora ho respirato a fondo, prima di varcare la soglia della curia, ora che sono qui sulla porta del Duomo di S.Vigilio, cercando di calmare il mio cuore che batte forte.

Allora era un ragazzino che parte per un'avventura, ora tra pochi minuti sarò prete.
Dunque non sarò più io a decidere la mia sorte, ma il Signore m'indicherà la strada che dovrò percorrere.

Parlo almeno di cose spirituali, perché dove sarà il mio compito sarà il Vescovo a decidere.

Speriamo che il Signore lo illumini e che mi faccia rimanere qui a Trento, dove ho molti amici in nelle parrocchie, da S.Apollinare a S.Maria, e poi io stò bene qui in città posso incontrare tanta gente colta e illuminata, perché in fondo i contadini li ho visti da piccolo e mi ricordo ancora com'erano rozzi e puzzolenti, difficile discutere di letteratura e filosofia con chi la mattina deve alzarsi per badare alle capre.
Certo siamo tutti creature del Signore, ma siccome queste  mi sembrano così diverse, almeno potrei stare con persone di rango, rimanendo qui in città.

Il Vescovo mi conosce bene, sa benissimo che non mi adatterei ad una vita rurale e rozza come in queste valli del trentino o del tirolo si è usi a vedere.

E quindi eccomi qua, in questa domenica di fine settembre dell'anno del Signore 1912, servo del Signore e suddito dell'Imperatore Francesco Giuseppe, e fedele estimatore degli insegnamenti che l'Imperatrice Maria Teresa ha lasciato a tutta l'Austria.
Anche l'Adige che scorre lento mi sembra indicare un futuro tranquillo, qui magari ad insegnare.

Finalmente il gran giorno è arrivato, sono qui nella sala d'aspetto per essere ricevuto dal Vescovo in persona.
Entrate!!

Mi tremano le ginocchia sotto la tonaca.

" Figliolo, c'è una parrocchia che ti aspetta, purtroppo il parroco di lì è deceduto qualche giorno fà, e dunque tu andrai per la sua sostituzione a Sant'Anna di Vallarsa, nel basso trentino, verso l'Italia."
" Ora non mi sovviene dove e come sia precisamente questa Valle arsa, ma Don Luigi che di lì proviene t'indicherà come arrivarci e cosa troverai."
" Sia fatta la Volontà del Signore".

E' sarà la Sua volontà, però caro Vescovo non sai nemmeno tu dove sia stà valle.
Don Luigi comincia a raccontare che bisogna andare fino a Rovereto e poi di lì, da sotto al castello parte la stradina, che pian piano sale lungo la valle, disegnata in basso dal torrente Leno, che la percorre per intero.

La valle è contornata da splendide montagne, dallo Zugna al Carega, dal Pasubio al Col Santo.

Vi sono innumerevoli paesini e frazioni, come disegnati da mano divina sulle pendici più ripide o sui pianori coltivati.
La gente è laboriosa e timorata di Dio.

Per Don Luigi sembrava il paradiso in terra, ma a me i dubbi erano sempre più grossi, Vallarsa, già il nome.
Valle bruciata, valle degli orsi, valle degli stranieri, nemmeno Don Luigi sapeva dirmi il significato.

La notte non mi sembrava più fatta per dormire, ma per sognare paesi che cadevano dai monti, contadini ignoranti, montagne aride ed altro.
Ma il giorno appresso partire era un dovere, salutai tutti quelli che non volevo lasciare e m'incamminai per Rovereto.

Don Luigi mi affermò che a Calliano alle caserme militari potevo chiedere se qualche carro doveva andare  in Vallarsa, e se così fosse chiedere un passaggio.

Così nel tardo pomeriggio a Calliano mi assicurarono che si, il giorno successivo dei carri partivano proprio per la Vallarsa.

I miei piedi capirono anche loro dell'esistenza del Signore.

La cena con un pezzo di pane nero e del lardo salato non è stata certamente paragonabile alla mensa del seminario o della curia, e penso che questo sarà niente in confronto a quello che mangerò da domani dai montanari.
In compenso almeno il vino era buono, ed abbondante.
           
Difficile dimenticare quella notte passata a cercare di dormire su quei pagliericci militari, in mezzo a muli, schioppi cannoni, botti di vino, soldati che russano come dei treni e quante bestemmie !!!

Per fortuna la mattina mi salva sempre, partiamo con un carro trainato da due cavalloni con delle zampe enormi.

Dietro al carro non chiedo nemmeno cosa ci sia caricato, si sentono ad ogni sobbalzo della strada rumori di tegami, ferro e quant'altro, speriamo che non esploda qualche granata nascosta in una padella.

Dopo breve tragitto eccomi a Rovereto, cittadina colta, si frequenta l'Accademia ed il teatro, ma a passarvi su questo carro mi sembra ancora più vergognoso il mio stato che mi faccio prestare una mantella militare che mi protegga dagli sguardi.

Superiamo S.Marco e siamo subito sotto al castello, i militari si fermano per far riposare i cavalli prima della salita e per abbeverarsi in un'osteria con le botti di vino fin fuori sulla porta.

Io guardo la città da una parte e questa strada che comincia a salire dall'altra, chissà mai se tornerò al mondo civile o se faro la fine del mio predecessore.

Ripartiamo e dopo poche curve di questa salita, un'apparizione santa mi fa chiedere al militare di fermare il carro, sulla roccia di fronte una chiesetta come dipinta, ma invece vera,  sembra sospesa nel vuoto del burrone dove sotto passa il fiume, il Leno mi ricordo.

Il militare mi dice: "L'accompagno c'è un sentiero che scende in mezzo al bosco, attraversiamo il torrente e siamo all'eremo."
Mentre scendiamo in mezzo agli arbusti ed al pantano a cause delle piogge scorse e dall'umidità provocata dal torrente, il militare mi racconta che la chiesetta è consacrata a S.Colombano, ed è costruita dove trovo riparo per avvicinarsi a Dio l'eremita.

Anche lui fuggi dal mondo civile per fermarsi qui, in un luogo disperso dal mondo per meditare e pregare, io devo andare oltre.
Affascinante comunque questo posto, chiuso, stretto soffocato dal verde di questa valle, il rumore roco del fiume spezzato dal grido degli uccelli.

Ritornati al carro riprendiamo il nostro cammino, qui la strada comincia a salire in modo violento, non si vedono più case, il torrente è sempre più in basso, guardare sotto la strada fa sempre più male.
Ci fermiamo a Spino per qualche minuto il tempo di abbeverare i cavalli, scorgere qualche vecchio che ci guarda di nascosto dalle finestre, una donna esce su un poggiolo in legno che mi sembra alquanto pericolante, e ci saluta con un sorriso.
Devo insistere per ripartire perché il soldato già si voleva fermare ancora un po',in cerca di altri sorrisi o forse più.

Deve conoscere bene la strada però il militare, perché adesso è proprio ripida e case non ce ne sono proprio più.

Finalmente arriviamo ad un punto in cui inizia la discesa, ma il soldato mi dice:" Dobbiamo fare un salto a Pozzacchio  al Valmorbiawerk, per lasciare delle cose", e così si continua a salire.

Arrivati a Pozzacchio   i militari sono molti di più, ci sono dei grandi lavori in corso più avanti, vado a vedere.

Si stà costruendo un forte completamente scavato nella roccia, la montagna e bucata e da li continuano a buttare fuori carriole di materiale di scavo.
Qui di fronte c'è una bella caserma, bevo un sorso di vino con un soldato che mi racconta come sopra a quei grossi crateri,  che ospiteranno dei cannoni, verranno messe delle cupole rotonde di ferro, che ancora sono a Calliano e non si sà come faranno ad arrivare fin quassù.

Da lì in cima si vede la Vallarsa con i suoi campi coltivati, i suoi paesi, le sue montagne tutto intorno, come diceva Don Luigi, sembra quasi bella di quassù.
Forse è il vino e questa brezza che mi asciuga il sudore sulla fronte, che mi fa vedere le cose più belle di quello che sono.

Infatti ripreso il cammino, dopo una ripida discesa, si riprende a salire, la polvere a riattaccarsi alla faccia, la valle sempre più fitta, ed il Leno sempre più in basso.

Valmorbia poi la spiega lunga su questa valle, campi e vigneti rubati alle pendici della montagna, una fila infinita di muretti di sassi per guadagnare un po' di piano.
Non si vede nemmeno dove finiscono, ma credo che l'ultimo sia in mezzo al Leno.

Anche la chiesa vista da prima del paese sembra che sia ruzzolata dalle montagne sovrastanti e che si sia fermata lì, per volere del Signore.
Poi però entrati nel paese tutto sembra più calmo, la chiesa e di un bianco luccicante, il suo camposanto sembra un tutt'uno con la casa di Dio, ed anche all'interno è bella e ben curata.

Ancora un poco di discesa, prendo fiato anche io come i cavalli, all'improvviso dopo una curva la valle si apre, tutto spiana e appare un paesino Anghebeni, siamo arrivati.
Qui attaccati alla solita fontana, saluto il militare che mi indica tra le case la stradina che devo prendere, e mi mostra anche al di là della valle un paese ed una chiesa.
Sant'Anna eccola là.
Il militare mi regala una fiasca di vino, ricambio con un rosario e lo guardo ripartire fra la polvere, aspetto un momento, che non voglia di ritorno la sua fiasca di vino.
Invece no, scompare lontano dietro alle case, spero che quel rosario lo aiuti e lo protegga.
     
Inizia anche a piovere, e si scivola su questo sentiero ciottolato, con la mia valigia, mantella sotto braccio e fiasco di vino in mano.

A metà del sentiero sento arrivarmi da dietro un uomo che tiene alla briglia un asino, quand'è vicino, quasi urlando dice: " Meti su la valis, e meti su anca el cul su l'asen valà, che finalmente vedo en prete che beve vin anca zo da l'altar. Per en bicer te porto fin a Sant'Ana."

Ho capito poco, ma mi ha caricato di peso in groppa all'asino, compresa valigia e mantella, il fiasco no, forse dava peso eccessivo all'animale e comunque dietro di me l'uomo stava provvedendo a ridurre il peso superfluo della fiasca.
Attraverso di nuovo il Leno su un ponte di legno e mi trovo a Sega, intravedo un molino ed un a segheria spinte dall'acqua che giunge da una roggia.


Ancora salita, ma dopo breve eccomi a Sant'Anna.

Il vecchio se ne và, il fiasco è dimezzato.

Sono solo come un cane, davanti alla chiesa, piove e fa freddo, il fiasco bagnato mi scivola di mano e disegna una macchia rosso sangue per terra, che arrivo alla mia futura parrocchia.

Entro in chiesa, vedo sopra all'altare un magnifico affresco della Madonna con in braccio in bambino Gesù, difronte a Lei Sant'Anna con San Gioacchino.
Stò ancora ammirando questa semplice chiesa che vedo una vecchia nei primi banchi  che si alzà e mi si avvicina, mi prende sotto braccio e mi porta fuori alla luce.

" Deve eser el novo prete lu!"
" I podeva anca avisar che l'arivava ancoi, avarea dato na spaza alla calonega almanco."
" Zerto che de pù zoveni no ghe nerelo da mandar, se ghe mete i oci adoso quele quatro zitele."
" Vaben, nem a meter su na scudela de brodo caldo"
" Varda chi sti embriagoni, anca le bale for da la cesa i fa adeso, senti che spuza de vin che g'he, vergognosi."
Non ho fatto in tempo a parlare, ero arrivato in Vallarsa.
 
Ma Signora, provo ad insistere mi parli almeno in italiano, che io la possa capire.

" Tei popo, parla 'talian anca ti zo per mesa, che parle en latin per no farve capir da nesuni, perciò ste voi star chi, sarà ben meio che te empari ti el valarser, che non noi el latin"

Sono passati due anni, e ancoi son nà zo a Rovereto perché g'hera na funzion grosa anca con el Vescovo, ma finì fora i nosi salmi, mi ho ciapà subito su le me straze, e son parti via de bala.

Na becera de vin, ormai per tradizion en piaza podestà, e po' su a caminar a paso svelto.
En orazion en San Colomban che el me protegga.
Do ciacere co le comari de Valmorbia, e dopo per far prima, taio zo verso el maso, na rinfrescada ai pei en del Len, e su alla Nave e po a Sant Ana.

Che bel sentir el rumor del Len che l'accompagna el me fià, i osei che canta al ritmo dei me pasi, le nuvole che squerze el sol le fa cambiar color alle montagne.

Giusto a filo per sonar le campane, per ciamar a raccolta 'nde stà picola cesa, veci e zoveni, omeni e done che i stà chi a scoltarme, co la mesa en latino, e la predica de scondon en valarser.

No credo che el Signore Dio el ghe' n abbia en per mal.



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