Occhi-di-cielo
La prima volta che la vidi fu a Messa, la prima domenica di Luglio.
Io ero arrivato a Raossi il venerdì precedente col TEE da Milano che allora - bontà sua! - fermava ancora a Rovereto d'estate.
E ci ero arrivato da solo, come ormai mi succedeva da qualche anno: finita la scuola (il Liceo Scientifico, per me), qualche giorno per aspettare i risultati ed il fine settimana successivo facevo armi e bagagli e partivo per Raossi.
Era diventata una consuetudine che io aprissi le vacanze estive dei Ferla in Vallarsa, sia perché mi ci ero messo di buzzo buono al secondo anno di Liceo, lavorando ai fianchi mio padre e mia madre in primavera, dicendo loro che, visto che purtroppo la nonna non se la sentiva più di fare da babysitter in vacanza a noi ragazzi (sarebbe morta nell'inverno dello stesso anno), e pertanto noi ragazzi non avevamo più la possibilità di andare a fare le vacanze "lunghe", com'era abitudine.
Onestamente, con il "noi ragazzi" non intendevo esattamente il solito gruppo di giovani parenti, vale a dire mia sorella Liliana, mia cugina Rosanna, ed anche per qualche periodo mio cugino Alberto, ed io, ma intendevo io e basta, visto che Liliana quell'anno aveva maturità da dare e Rosanna ed Alberto già avevano iniziato a lavorare.
Per tutti gli anni precedenti la nonna ci aveva fatto da chioccia dai primi di Luglio a fine Agosto nella casa che avevamo in affitto annuale dai Costa, quelli della macelleria, una bella casetta che il vecchio Costa, che in paese chiamavano il Croato, aveva messo a posto dietro qualche insistenza di mio padre, alla Corte.
Ma quell'anno, il '67, dopo vari tentennamenti dei miei genitori ed insistenze da parte mia, diedero l'assenso che io andassi in Vallarsa da solo, curato e coccolato dai Noriller, che più che albergatori erano amici, all'albergo Vittoria, per almeno un mese (miracolo!), da solo.
Quando fossero arrivati tutti gli altri, ai primi di Agosto: i miei, mia sorella, i miei cugini ed i miei zii, ci saremmo trasferiti in casa.
Da allora, quindi, per diritto consolidato, io facevo da apripista.
Devo sottolineare il fatto che quel periodo era il più bello delle mie vacanze?
Facevo quello che volevo, Maria e Silvana Noriller mi trattavano come uno di famiglia, Franco mi dava consigli di dove andare nelle mie escursioni, ed in quei tre anni di mesi passati da solo in Vallarsa avevo incominciato a conoscere la valle, davvero.
Il secondo anno delle mie vacanze da solo mi ero anche portato da Milano una vecchia canadese a due posti di mio cugino che mi avrebbe permesso di non dover rientrare la sera in albergo, se ce ne fosse stato bisogno, e questo mi avrebbe finalmente permesso di fare quelle escursioni lunghe, impossibili da farsi in una giornata, che erano nel mio programma mentale da tempo. Evidentemente avvisavo prima (ero uno scavezzacollo, d'accordo, ma non incosciente) Silvana che sarei rimasto fuori a dormire in tenda, affinché i 3 carabinieri della Vallarsa e la guardia forestale - di cui nel frattempo ero diventato amico -, non dovessero organizzare battute notturne alla mia ricerca.
Così vivevo in maniera "brada", arrampicando su creste e valloni, esplorando grotte e osservando animali. La guardia forestale - una persona squisita -, saputo della mia passione per la natura, m'incaricava spesso di controlli e censimenti di animali in varie località della valle: non ho mai saputo se i dati che fornivo gli occorressero davvero, o se mi dava solo quegli incarichi giusto per tenermi occupato, visto che ero in giro.
Adesso che ci penso, magari si era messo d'accordo con mio padre, dato che si conoscevano bene, per impegnare un po' il mio tempo di vacanza da "single".
Quel terzo anno da solo ero quindi appena arrivato in Vallarsa, quando la vidi in chiesa, la domenica, seduta dalla parte delle donne, come ancora si usava.
Una massa di capelli neri, un visino rotondo simpatico ed aperto, una figurina minuta e proporzionata, una maglietta sbracciata con appoggiato sopra un golfino - anche se non ce ne era bisogno, data la temperatura - ma, allora, in chiesa ci si andava solo vestiti, come dicevano i preti, in modo "acconcio", un paio di pantaloni chiari.
Era attenta alla funzione, ma si guardava anche in giro, a volte: io ero disattento alla funzione e guardavo lei. I nostri sguardi si incrociarono due volte, durante quella mezz'ora.
Al "ite, missa est" ero già fuori, a sedermi sul muretto di fianco, con fare noncurante.
Lei uscì assieme a due donne, ad una bambina ed ad un uomo, che classificai come madre, sorella e padre, oltre a quella che credevo fosse la nonna.
Me la guardai ben bene, finche non scomparve al culmine della salita della chiesa, andando verso la cooperativa: in un attimo arrivai in alto anch'io e così vidi che il gruppo si avviava verso la Corte. Bene! Quello - semmai fosse necessario -, era ancora di più il mio regno.
Mi avviai verso l'albergo, con calma.
Tanto sapevo già a chi chiedere chi fosse quell'angelo bruno, ma quello non era il momento.
La tabaccaia Pina, con la quale ero in confidenza, fortunatamente sapeva molte cose del paese. Quello comunque non era il momento di chiederle qualcosa perché era domenica mattina, ed il negozio - lo sapevo - sarebbe stato sempre trafficato di gente che comprava giornali, sigarette ed altro. Ed al pomeriggio di domenica il negozio era logicamente chiuso.
Avrei aspettato Lunedì, anche se speravo di rivederla prima, quella visione bruna: magari al pomeriggio dalla lattaia, a prendere il gelato.
Mi appostai tutto il pomeriggio dalle parti della lattaia, ma non la vidi.
Cenai con poco appetito e dopo aver fatto un giretto me n'andai in camera a leggere uno dei libri che mi ero portato da Milano.
La mattina dopo, contrariamente alle mie abitudini che mi facevano alzare prestissimo per andare in giro per la valle, poltrii a letto fino alle 9:00, tanto che Silvana mi chiamò dalla tromba delle scale, con la paura che fossi ammalato. Nulla di tutto ciò: ero sveglissimo e stavo benissimo.
Lasciata passare una mezz'oretta dopo colazione - i giornali arrivavano con la corriera e Pina aveva clienti fino verso le 10:00 -, mi avviai verso quel negozietto all'angolo della strada per la Costa, con l'intenzione di comprare il giornale anch'io, tanto per avere la scusa di fare domande.
Ero appoggiato al piccolo banco del negozio e stavo appunto per chiedere a Pina chi fosse quella ragazza che non avevo mai visto, quando sentii dietro di me la porta che si apriva.
Era lei.
Pina la salutò con: " Ciao, popa, come stai? ".
Ed io avevo risolto il mio problema.
E continuò: " Il papà e la mamma, sono tornati a casa? "
" Sì ", rispose lei " sono partiti presto stamattina perché devono aprire il negozio ".
Così sentii la sua voce: esile e gentile: bella, insomma.
Con un coraggio che non mi conoscevo le chiesi: " Ma allora sei qui da sola? ". E subito dopo, con un barlume atavico di educazione, dissi: " sono Massimo, uno dei milanesi ".
Pina interloquì " ormai Massimo è mezzo vallarsese anche lui. "
" Lo so chi sei, ti ho già visto l'anno scorso. " rispose lei, ammiccando " E no, non sono qui sola, sono con mia nonna e mia sorella. " aggiunse.
Rimasi stupito del fatto che lei mi avesse visto l'anno prima e che io non avessi visto lei, ma contemporaneamente ebbi modo di guardarla bene in faccia e scopersi quei fantastici occhi azzurri, tanto sorprendenti che le dissi d'impulso " Ma hai gli occhi del cielo! ".
Lo so, lo so, mi ero impappinato: volevo dire che aveva gli occhi color del cielo, insomma, ma l'avevo detto di getto ed era venuta fuori così.
Lei ebbe un piccolo sorriso privato, come hanno tutte le donne di fronte alle goffaggini degli uomini, e disse: " grazie " e ridendo aggiunse " è un bel modo di chiamarli così. "
Vista così da vicino era ancora più bella del giorno prima.
Un nasino piccolo e proporzionato, una bocca larga ma che stava bene nel suo viso, un bel collo lungo, anche se era piccolina - del resto, vicino a me, che ero già alto 1,94 m., erano tutti piccolini - e poi scendendo con lo sguardo, c'erano altri deliziosi dettagli anatomici che tralascerò.
Ma erano gli occhi che catalizzavano l'attenzione: del colore ne ho già detto, ma credo sia difficile spiegare adeguatamente quanto fossero profondi, attenti, seri e ridenti allo stesso tempo.
Occhi-di-cielo era un vero splendore!
Iniziammo a parlare un po', con la Pina che interveniva, forse solo per aiutare due timidoni come eravamo a fare conoscenza.
Uscimmo dal negozio e le chiesi: " Che fai oggi? "
" Oh, niente di particolare: aiuto un po' la nonna per il pranzo e con mia sorella, ma oggi pomeriggio non faccio niente. " mi rispose.
Era solo una constatazione od una spinta a chiedere qualcosa?
" Ti va di fare un giro assieme? " proposi allora speranzoso.
" Certo. " mi rispose, radiosa.
" Ci troviamo alle 2, davanti a casa mia? Sai qual è, vero, alla Corte? " chiesi ancora.
" Si, so qual è la casa dei "milanesi" " rispose sorridendo " Va bene lì. "
Con questa promessa, sorrise ancora e si incamminò piano verso la cooperativa e verso casa sua, girandosi una volta, forse per vedere se mi ero fermato a guardarla. Ed infatti aveva ragione.
Quando arrivò, puntuale, (io era da mezz'ora, più o meno, che girellavo vicino a casa) si era cambiata: una maglietta bianca e pantaloncini rossi.
Mi diede l'impressione di una mela dell'Alto Adige, rossa e succosa.
Ci incamminammo verso la Costa, per la scorciatoia che passava dietro casa e che si ricongiungeva sulla strada poco oltre la curva delle panchine.
Il ghiaccio ormai era rotto: la conversazione veniva facile.
Ci scambiammo notizie, così venni a sapere che suo padre era di provenienza vallarsese, mentre sua mamma era roveretana, o di qualche frazione vicina: la casa a Raossi era della nonna, ma solo da poco tempo l'avevano rimessa in ordine per poter usare d'estate.
Infatti, l'anno precedente, la casa non era ancora ristrutturata completamente e occhi-di-cielo con i suoi erano solo venuti in Vallarsa per controllare lo stato di avanzamento dei lavori.
Quindi le sue erano state solo delle "toccate e fughe" in Vallarsa: ecco perché non l'avevo vista! Mi sembrava infatti impossibile che non avessi notato uno splendore del genere! e della cosa mi ci ero crucciato parecchio il giorno prima.
Placato il mio ego, continuai ad ascoltare con interesse quanto mi stava dicendo.
Occhi-di-cielo andava alla scuola professionale con buon profitto ed era del tipo studioso, una specie di studenti che mi stupiva sempre: io francamente non facevo parte di quella categoria, anche se il mio profitto al Liceo non era affatto male.
Ascoltavo con piacere la dolce cantilena che hanno i roveretani quando parlano italiano, così diversa dalla mia cadenza milanese, con la quale facciamo scempio della pronuncia delle vocali, cosa che fa invariabilmente ridere i trentini.
Arrivati alla Costa, proseguimmo sul sentiero che porta al Rio Foxi, sempre parlando.
Ci sedemmo proprio sul ciglio del greto del Rio, con le gambe che si muovevano nel vuoto, vicino ai cespugli di rododendri che costeggiano il sentiero.
Osservavamo il paesaggio aspro del greto, intervallato dalle catene che avrebbero dovuto formare delle cascate se ci fosse stata l'acqua (ma in tanti anni in Vallarsa, in Rio Foxi l'acqua l'ho vista un paio di volte soltanto, d'estate), e rimanemmo un po' in silenzio, per pensare a quanto ci eravamo detti, e poco dopo tutta la nostra attenzione fu presa da una coppia di lepri nel greto che entravano ed uscivano dalla loro tana.
Per Occhi-di-cielo era la prima volta vedere delle lepri in natura ed era tutta attenta, girandosi spesso verso di me sorridendo, per rendermi complice della sua esperienza.
Passammo il pomeriggio a guardare le lepri, e ci accorgemmo che potevamo anche parlare fra di noi, sottovoce.
Le raccontai di me, di cosa facevo a Milano, in che cosa credevo, cosa speravo.
Mi raccontò di sé, delle sue speranze, delle sue gioie e delle sue paure.
Fu un pomeriggio splendido.
Quella sera, poi, ci trovammo per mangiare un gelato.
E quella fu la prima delle tante passeggiate che compimmo quel mese.
A Piano, a Speccheri, verso il Sommele, ad Anghebeni, a Riva passando dalla Busa, le nostre passeggiate insieme scandivano la nascita di un'amicizia, che neanche tanto lentamente si andava trasformando in un amore.
Camminare insieme su sentieri che conoscevo quasi a memoria me li faceva scoprire di nuovo, come se li percorressi per la prima volta: parlando, tenendo per mano Occhi-di-cielo riscoprivo e facevo riscoprire a lei la Vallarsa, che non aveva frequentato spesso la valle negli anni precedenti, ed i suoi ricordi erano tutti di quando era bambina.
Furono passeggiate corte, all'inizio, perché Occhi-di-cielo aveva comunque la necessità del rientro a casa dalla nonna per pranzo e per cena, e la ritirata dopo cena era comunque abbastanza presto: verso le 22.
Ma furono le passeggiate insieme che fecero da contrappunto alla nascita di un sentimento fra noi.
Il secondo fine settimana che ci frequentavamo arrivarono i suoi a passare il sabato e la domenica con le figlie: li conobbi e dopo aver parlato un po' con loro, chiesi il permesso che Occhi-di-cielo, qualche volta, potesse fare una passeggiata con me senza tornare a casa per il pranzo.
Non mi risposero subito: immagino che logicamente chiesero un po' in giro se ero uno di cui potersi fidare, ed evidentemente le informazioni che ricevettero dovettero essere positive, perché la domenica sera suo padre mi disse che sì, andava bene, ma solo un'escursione di un giorno una volta alla settimana: era molto di più di quanto mi aspettassi, francamente, visto che Occhi-di-cielo era effettivamente parecchio giovincella.
In quei giorni avevo l'acuta sensazione che il crescere della difficoltà o della lunghezza dell'escursione che facevamo fosse direttamente proporzionale alla crescita della nostra conoscenza, della nostra sintonia e della nostra complicità.
Occhi-di-cielo, nonostante la giovane età, era tranquilla e riflessiva, e spesso sembrava lei la maggiore d'età fra noi due, ma questo - l'avrei scoperto col tempo - è una costante nelle relazioni fra ragazzi giovani.
Una mattina prendemmo la corriera ed arrivammo al Passo, per poi tornare a piedi fino a Raossi. Nelle tre ore che impiegammo per ritornare alla base (sì, d'accordo: 3 ore sono troppe per fare 9 chilometri e poi per due ragazzi giovani ed in forma: ma bisogna considerare anche le soste per ammirare il paesaggio…) ci confessammo cosa provavamo l'uno per l'altra.
" Ma tu ti sei accorta che ho una cotta per te? " chiesi a voce bassa, dopo aver cincischiato con le parole per almeno mezz'ora.
" Sì, l'ho capito. "
" E tu, hai capito che io non faccio che pensare a te? " mi rispose Occhi-di-cielo.
Ci guardammo sorridendo, stringendoci di più le mani.
A quell'età, e ho l'impressione molte volte anche dopo, non è l'esplicitazione di un sentimento che lo rende più forte o presente, o reale: lo rende solo - come dire? - codificato; detto ed accettato.
E questo non sarà certo canonico, ma di sicuro fa bene all'ego ed al cuore.
La Vallarsa era nostra amica: Occhi-di-cielo ed io ce la sentivamo amica.
Guardavamo le pochissime trote che stazionavano nelle pozze sotto la cascata sopra la Busa e ci sembrava bellissimo il loro nuotare in 2 palmi d'acqua; raccoglievamo qualche ranuncolo nel pratone sotto i Campanili del Cherle ed erano ai nostri occhi i più belli che avessimo mai visto; avevo portato Occhi-di-cielo a vedere da lontano i camosci sotto il Passo dell'Omo, e ci parevano una meraviglia assoluta della natura.
E' certo che guardavamo la valle con occhiali dalle lenti rosa, ma non mi ricordo di aver mai più ricevuto una sensazione così viva e struggente dall'osservare la Vallarsa.
Il tempo fu soprattutto bello in quel mese, e ciò ci permise di camminare molto, tenerci per mano, esplorare, parlare di mille piccole sciocchezze private.
Quando invece il tempo era bigio o comunque non invitante a passeggiate lunghe, stazionavamo dalla Pina, a parlare di altre piccole sciocchezze, o prendevamo la corriera per andare a Piano al bar in fondo, per ascoltare un po' di musica nella saletta di fianco.
O più semplicemente rimanevamo a giocare un po' a carte sul muretto dopo la cappelletta di San Rocco alla Piazza.
Ai primi di Agosto arrivò tutta la mia banda da Milano, ci trasferimmo in casa alla Corte, ma questo non fermò nulla fra Occhi-di-cielo e me.
Anzi.
Massimo Ferla
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