IL CAPPOTTO DI PELLICCIA
di Giorgio Broz



Il caldo di metà luglio si faceva sentire, forte ed implacabile anche ai 1800 mt. di malga Pasubio. Uomini e bestie ne soffrivano ed in maniera diversa speravano nella frescura della sera e nei nuvoloni neri che quel pomeriggio salivano da sud, oscurando il sole e, piano piano, avvolgevano tutto. La sera non lasciava intravedere niente di buono. Come era stato forte ed opprimente il caldo, così sarebbe stato forte e potente il temporale che si stava caricando sopra i pascoli aridi e bruciati appena sotto la cascina della malga. L'acqua sperata ed attesa dai pastori di questa terra asciutta stava per arrivare, ma in modo troppo violento ed assieme alla speranza, nei loro sguardi c'era anche preoccupazione. Era presente nell'aria un senso di soffoco e mano a mano che passavano i minuti questa oppressione aumentava. Quasi si potevano immaginare le prime grosse gocce di acqua che tra un po' avrebbero sbattuto sulle giacche facendo rumore.
Il gregge veniva circondato da una rete che teneva le bestie raccolte. Le pecore si lasciavano fare e non opponevano resistenza a questa operazione. Di lì a poco apparivano inquadrate, come un plotone di soldati, pronti a resistere al temporale che sarebbe arrivato. Non passò molto ed assieme a tuoni e lampi, dal cielo oramai nero, iniziò a cadere la pioggia, fredda, obliqua ed insistente. Non fortissima, ma era il fragore dei tuoni a far paura. Un rumore indescrivibile che rimbalzava da una parte all'altra della valle facendo vibrare il terreno e rimbombare il petto. La sera lasciava velocemente il posto al nero di una notte fuori orario e nel fragore del temporale non si udiva più il belare del gregge. Da buon pastore, ricoperto da una mantella che sapeva di brandelli di nailon, anche sotto il diluvio Francesco scese a controllare il gregge che appariva ancora all'interno della rete, inquadrato, con le bestie bagnate, alcune in piedi, altre distese a terra e sembravano tranquille. C'erano anche alcuni giovani asini, mai del tutto domestici, che invece erano irrequieti e non sembravano gradire quel rumore. Un po' perché spaventati, un po' perché abbagliati dai lampi, in tre si misero a correre uno dietro l'altro, come dei pazzi tra le pecore. Sembrava si spaccassero le zampe ed invece saltavano tra i sassi e sugli agnelli inermi, scappando da tutto, rompendo la recinzione per sparire di corsa tra i mughi. In fretta e furia venne un po' sistemata la rete per la notte, non si poteva fare più di tanto, ma quel po' bastava. Francesco ne aveva visti tanti di temporali, ciaveva vissuto sotto anche con pochi ripari e sapeva dei rischi. A causa di una saetta, anni prima aveva perso alcune pecore da quelle parti, ma questa volta non aveva paura. Diceva che i lampi erano lontani, ma i danni, quella sera li avevano fatti certamente gli asini. Era quasi impossibile controllare se ci fossero bestie ferite e con rammarico ritornò alla baita. Non dormì quasi niente ed il pensiero andava al gregge e agli agnelli. Preoccupazioni che di buon mattino si sono concretizzate con il recupero di un agnellino morto e di due giovani pecore ferite. Maggior attenzione venne subito prestata ai feriti. Ambedue avevano rotte le gambe posteriori. Gli arti rotti dagli zoccoli degli asini vennero legati con apposite stecche. Una medicazione grossolana, ma che servì sicuramente a rendere parzialmente autonomi gli animali di lì a 20 giorni. Per l'agnellino morto invece, non c'era niente da fare. Figlio unico di una rara pecora bianco-rossa, aveva 20 giorni e la sua vita finiva così. Francesco sapeva che la madre aveva molto latte e sapeva pure di un'altra pecora, non proprio in carne, che aveva due gemelli. Sapeva anche cosa fare e non si perse d'animo. Il coltello dei pastori è molto affilato, la mano ferma, pratica e veloce. In pochissimo tempo la pelle dell'agnellino maculato era stesa ad essiccare al sole generoso della mattina seguente. Ancora nel pomeriggio uno dei gemelli bianchissimi indossava questo nuovo cappotto. Adattato con qualche sforbiciata degna di uno stilista di moda, legato al collo candido e poi alle lunghe gambe sottili, calzava a pennello.

La bestiolina fu quindi preparata e portata al cospetto della pecora maculata per la poppata.

La natura vuole che le pecore allattino il loro piccolo solo se viene riconosciuto attraverso l'odore. La pecora indugiò un po', lo annusò dappertutto e sembrava indecisa. li piccolo senza timore cercava di attaccarsi alle mammelle gonfie di latte, ma c'era qualche cosa che non andava. Dopo alcune prove la mamma acquisita acconsentì alla poppata e sembrava fosse Francesco ad essere più felice dell'agnellino. Un po' la prolungata assenza di allattamento, un po' la fame che dimostrava il piccolo, ma in definitiva è stato sicuramente l'odore del nuovo cappotto di pelliccia, che ha permesso che l'agnellino venisse accettato dalla sua nuova mamma.




Foto Giorgio Broz



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