MARIA LIBARDI

Di Gabriella Stanchina, dal BLOG di Nedda Gottardi http://neddagottardi.splinder.com/


Racconta Gabriella:

... sono andata a trovare Maria Libardi al ricovero. Ha 92 anni e benché provata nel corpo, non ho potuto non meravigliarmi della sua straordinaria memoria e lucidità. Mi ha raccontato un'altra storia di quegli anni difficili, io l'ho trascritta e te la riporto come lei me l'ha narrata: "Nel 1942 ero maestra elementare a Camposilvano, un paese in altura, nelle estreme propaggini della Vallarsa. Un giorno arrivarono in paese 60 partigiani dal Veneto. La proprietaria dell'unico albergo li fece chiamare e di nascosto offrì loro un pranzo. A metà del pranzo si diffuse la notizia che il Comando tedesco era arrivato in paese per una perquisizione. I partigiani fuggirono, ma quando il comandante entrò nell'albergo trovando tutti quei piatti mezzi vuoti, intuì la situazione. "Chi è stato qui?" chiese e di fronte al silenzio della donna disse: "Ora rastrelleremo il paese casa per casa e se troviamo un partigiano diamo fuoco al paese!" Il capofrazione, che svolgeva il ruolo di sindaco, venne da me e mi disse con angoscia: "Signorina Libardi, solo lei qui è in grado di parlare tedesco, venga, andiamo dal Comandante, è la nostra ultima speranza". Ero impaurita, e ancora più paura provai quando mi trovai di fronte al Comandante, che mani sui fianchi e scuro in volto, guardava dalla finestra quel paese per lui straniero. "Cosa vuole?" mi chiese rudemente. Io mi feci coraggio e in tedesco risposi "Signor Comandante, sono l'insegnante del paese e vengo a nome di tutti gli abitanti a spiegarle la situazione. Posso assicurarle che in questo paese non esiste un solo partigiano. Glielo giuro sulla mia coscienza e davanti a Dio. Mi crede, signore?". Sentendo parlare la propria lingua, il Comandante abbassò le braccia e rispose: "Sì, a lei credo. Ritiro l'ordine di bruciare il paese".
Dopo la guerra per questo gesto ricevetti una medaglia d'oro e il Drappo di San Vigilio. Tutti in paese si aspettavano che io ostentassi le onorificenze ricevute, ma io pensai: "Il paese non l'ho salvato io, è stato il Signore che si è servito del mio tedesco". Ho messo la medaglia in un cassetto e non l'ho più guardata. Per qualche giorno sono rimasta in casa per evitare una notorietà che non volevo. Poi ho fatto celebrare una Messa di Ringraziamento a Dio che aveva risparmiato le nostre case dalla distruzione."


Gabriella continua il racconto:

... finisco di raccontarti il mio incontro con Maria Libardi, riportandoti le sue parole che tracciano il percorso, travagliato e affascinante insieme, di una educatrice vera: "Io sono nata in Austria da genitori sfollati a causa della guerra. Mia madre mi ha partorito tre giorni dopo essere giunta alla casa di sua sorella, la zia austriaca che finirà per allevarmi. Mio padre, soldato, nel novembre del 1917 tornò a casa in permesso e fu l'ultima volta che lo vedemmo: morì di peritonite a 28 anni. Mia madre, vedova venticinquenne, perse per sempre il sorriso. Quando alla fine della guerra mia madre scelse di tornare in Italia io non volli separarmi dagli zii: mi rifugiai in solaio finché mia madre non fu partita e così rimasi in Austria fino al liceo. Successivamente gli zii decisero di trasferirsi in Belgio, nella speranza di sfuggire alla povertà e alla fame. Io desideravo continuare gli studi e fui inviata a Trento, in Collegio dalle suore: furono anni difficili, dovetti imparare l'italiano, le suore si comportavano con estrema durezza nei nostri confronti, una volta finii all'ospedale per denutrizione. Ma non persi mai la vivacità e l'ironia e spesso mi "vendicai" con piccoli dispetti che facevano ridere le mie compagne e disperare la direttrice. Superato l'esame, cominciai subito a insegnare. L'attività intrapresa dagli zii in Belgio era andata in rovina a causa della guerra: li feci venire in Trentino dove li mantenni fino alla loro morte con il mio stipendio: restituii semplicemente tutto l'amore che avevo ricevuto da loro. Frequentando la facoltà di Magistero a Firenze venni in contatto con il metodo pedagogico di Rosa Agazzi, la nostra più grande educatrice insieme a Maria Montessori, e lo applicai ovunque fui chiamata a insegnare. I principi di tale metodo erano: saper ascoltare, non ricorrere a castighi, saper convincere con carità e pazienza. Spesso, prima di essere promossa a vigilatrice, mi trovai a insegnare in pluriclassi di più di 50 alunni: affidavo ai ragazzi più grandi il compito di seguire i piccoli nell'apprendimento della scrittura: in tal modo li facevo sentire valorizzati e aumentavo la coesione della classe. Riguardo al precetto delll'ascolto, devo dire che in tanti anni non ho mai sentito i bambini pronunciare una stupidaggine, sono gli adulti che qualificano così le domande impertinenti dei bambini a cui non hanno tempo o capacità di rispondere. In 42 anni non ho mai castigato nessuno. Ho spiegato, persuaso con dolcezza e pazienza. Il mio alunno più discolo, quando si è laureato mi ha dedicato la tesi con queste parole: "Alla mia maestra elementare Maria Libardi, dedico questo lavoro in ricordo del suo ammonimento: ricordati che nella vita si devono affrontare anche le cose che richiedono grandi sacrifici"."
Maria Libardi, anche ora che ha bisogno di una sedia a rotelle per potersi muovere, continua a insegnare tedesco ai bambini ricevendoli nella sua stanzetta al ricovero. Conserva con cura gelosa e attenta e mostra a tutti le lettere e cartoline che riceve, in particolare dai suoi ex-alunni e dalle loro famiglie. ...






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