Mario di Obra, del silenzio e delle capre

Ha piantato tutto ed è andato su, alla casa che fu della nonna
Adesso sale le montagne, scrive e sogna il suo piccolo caseificio

Articolo di RENZO M. GROSSELLI da www.ladige.it


Mario Martinelli

Era stato a Londra a fare il lavapiatti. poi aveva cercato il Saskatchewan ma gli avevano fregato tutto e aveva sbandato verso gli States. Poi aveva lavorato a lungo in fabbrica, come papà e mamma. Finché un giorno ha deciso di tornare alla montagna. Ha messo su un recinto di capre, ha cercato e trovato il silenzio e ha cominciato a rileggere la sua infanzia. Sì, proprio nel senso dei libri, da Pinocchio a Taras Bulba, a Michele Strogoff.
I capelli lisci sulle spalle, gli occhi scuri e profondi. E buoni gli occhi. Da Rovereto saliamo verso la Vallarsa. La intravediamo dopo poco. Tutto è così piccolo in Trentino. E sullo sfondo, ecco proprio le Piccolo Dolomiti con la neve. La Vallarsa, sotto, è un budello scavato dal Leno, due scoscese coste di montagna e pianori, sulla destra e sulla sinistra Leno. Noi a sinistra, ecco Foppiano e sopra lo Zugna. «Io ci vado a meditare l´estate. Di fronte vedi il Monte Corno, Corno Battisti, dove presero Cesare Battisti, sulla selletta. Non si è ancora capito come. Forse fu dovuto al fatto che lui era imbevuto di ideali risorgimentali: molti dei suoi uomini saltarono e fuggirono, lui si consegnò. Un suicidio romantico». È secco ancora il bosco e la strada fa le giravolte. L´abitato di Zanolli, 801 metri di altitudine, poi Matassone e sul fondo intravedi i prati di Obra. Che ora sono di neve. «Adesso io ho una capra camosciata da latte e quattro tibetane. L´idea è quella di prendere molte camosciate e fare produzione di latte e formaggio. Ho fatto il formaggio per un paio d´anni. Avevo letto un paio di libri ed andai a Mezzomonte da Elisabetta Monti che mi insegnò».

Sapore di blues e sinfonie spirituali

Nel 1988 Mario Martinelli in una antologia poetica aveva pubblicato una sua poesia. Ad un certo punto diceva così: «Il sapore di un blues/ o di un jazz/ & Sinfonie Spirituali per l´Orecchio/ ed è sempre un Altro Spirito che comanda/ ora il viso è fatto pietra/ il mio corpo in contatto/ è fatto di buchi».
Scendiamo un poco e siamo alle Aste, 687 metri, poi su a Cumerlotti, 695. La Riva e il Maso Gèche, dove si dice sia nato il padre di Josip Broz, il maresciallo Tito, quindi un chilometro ed ecco Obra a 939 metri. «A fine ´800 la scuola ospitava 50 scolari, oggi gli abitanti sono 110, in tutte le frazioni». Proseguiamo solo per vedere Ometto a 998 metri. Là la strada finisce. In neve. Qui Mario ha combattuto negli anni scorsi la sua battaglia. Volevano rifare uno stradone, tagliare tutti i prati. Era inutile. Anzi, era solo una speculazione. Hanno messo su un comitato, hanno fatto venire su i politici. E alla fine Grisenti ha detto: «Ok, questa strada è assurda». Qualche anno prima qualche altro amministratore aveva portato qui a Obra, sulla strada del cielo, più di 100 appartamentini che ancora non sono allacciati alle fogne, che non hanno portato nulla alla valle, che sono lì, perduti tra i prati. A dire di quanto l´uomo possa essere stolto. O corrotto.
«Guarda i miei monti! Di fronte c´è il Pasubio, con i due denti, italiano e austriaco. E qui ecco il Corno». Un gruppo di case, entriamo, una stanza con cucina e bagno, è il bunker di Mario Martinelli. La vicina ci porta subito caffè e grappa, sono ospitali i montanari. Sulle pareti molto materiale bellico, scovato in mille passeggiate, tanti libri, cassette e foto.
«Padre e madre operai alla manifattura Tabacchi, eravamo due figli. Io ho fatto la Ragioneria». Lavori? «De tut! Stagionale agli skilift, lavapiatti a Londra, pasticcere. Alla fine ero rappresentante e mi misi anche in società con un amico. Nel 1993 scappai, andai in Canada e mi fermai tre mesi. Era il mito di Neil Young, il Saskatchewan... ma mi fregarono tutto a Toronto e andai da una cugina di Minneapolis». L´ultimo lavoro fu alla Sandoz, dal gennaio 2000 alla fine del 2004, laboratorio microbiologico.
Ma dal gennaio del 1998 Mario era risalito in montagna. «Nel 1997 capii che dovevo prendere una decisione. I medici dissero che rischiavo e c´era la casa della nonna Alma Broz a Obra. Stavo viaggiando verso la morte e dal 1998 sono venuto qui. Fisso». Nel 2003 il lavoro divenne part time, nel 2004 il lavoro finì. «Il ritorno alla montagna ora è definitivo». Ma non è selvaggio, tu hai l´auto, il cellulare. «Mi sarebbe piaciuto anche il selvaggio. Ma se un mese fa non avessi avuto il cellulare sarei morto». Ancora la salute.
Tu hai le capre Mario, perché? «Le ho prese nel 2000. Ne ho avute anche una ventina perché el cavrón l´era sempre en calór». E mostra le patróne Mario, i bossoli della prima guerra mondiale di cui sono ancora pieni i monti di Vallarsa. «Questa è italiana, questa austriaca. E questa è francese. Anche i francesi arrivarono qui ad un certo punto. Io ero tutti i giorni sul Pasubio... poi la battaglia per la strada, abbiamo messo su un comitato. E la lettura. Ho riletto tanti libri che avevo letto da ragazzo: da Pinocchio a Michele Strogoff. E il silenzio. Il massimo della libidine è starmene qui in casa, fuori che nevica ed io con la mia fornella a legna e un libro in mano. Il mio silenzio. È la somma di tutto. La prima volta che fui a Londra mi convertì al buddismo tibetano, feci mia quella dimensione. Entrare dentro di me, incominciare a sentirmi, a capire ciò che sono».
Ma non solo il silenzio: «I primi anni qui non si sentiva più un gallo. Allora andai a comperarlo, assieme a quattro galline e li diedi al Paia, il mio amico qui accanto. Ora sento cantare il gallo tutte le mattine».
Non sta bene di salute Mario Martinelli, debbono mettere mano alla sua macchina, sostituirgli un pezzo. Ma non c´è dramma in lui. Lui ha la serenità della montagna dentro in questa Vallarsa che è forse l´angolo più puro del Trentino, la bellezza secca che porta al pianto. «Il primo anno salii sul Monte Corno più di 50 volte. Negli anni successivi anche lo Zugna, il Monte Jocolle e la Cima Caréga». A volte, al vecchio albergo di Obra giungono i ragazzi della Bresciana. «Io li accompagno su». E una volta, che lui ne accompagnò 54, la ragazzina «colassò». La cosa è raccontata nel libro «Il verde contrafforte», Edizioni Stella 2005. È uno dei tre libri che Mario Martinelli ha pubblicato con l´editore Nicolodi. Gli altri due sono «Il signor Broz» e «Finalmente l´inverno». «Ho pubblicato perché mi ha incitato l´amico Mauro Frisanco. Eravamo giunti sino ad una editrice friulana. Ma l´editore mi disse: "Farò di te un Mauro Corona trentino"». E Mario lo piantò in asso. Lui non è il Mauro Corona de noàntri, lui è l´uomo del Corno e dello Zugna, l´uomo che venne fregato prima di giungere nel Saskatchewan, l´uomo delle capre e del silenzio. I suoi libri sono puri. Sono semplici, come lo sono l´acqua e il cristallo. Parole e disegni che danno la pace. La pace dei monti e degli animali e del bosco e delle cose. E anche, delle poche case.
Aveva già pubblicato in passato Mario. Le foto-poesie con Loreno Setti. Quindi il libricino, 10 centimetri per 6, dal titolo «La leggenda dell´arcobaleno oppure rock poesia». Già, c´era la Beat Generation nella sua vitta. Qualche secolo fa. Oggi ci sono le capre.
«Le cavre? C´è un mio amico di Rovereto che qui vicino ha 80 capre e il latte lo porta a Lavarone. Da qualche anno accarezziamo l´idea di ripristinare el casèl in Vallarsa. Una volta ce n´era uno in ogni paese, ora non c´e ne sono in tutta la valle». Perché? Perché? Perché? Perché Mario le capre, il caseificio, il silenzio e la solitudine? Perché? «Anche per recuperare quei quattro valori semplici che c´erano una volta».
Non ti manca una compagna? «Ho avuto varie compagne nella vita, l´ultima volta ho convissuto per cinque anni. Ora sono sette anni che me ne sto da solo... e sono riuscito a farne senza. Sai, da bòcia sognavo la bàita en montagna e i libri, lo sognai quasi da subito». Miti letterari? «Anche, poi certo venne Hemingway, venne la Beat Generation. Ma ora non mi danno più niente, l´incanto si è seccato». E cosa leggi allora? «Di tutto. Ad esempio ho ripreso in mano i grandi romanzieri russi, da Tolstoi a Dostojevskij».

Verrà l´acqua a bagnarci

Lasciamo la casa. Camminiamo in un altro di questi marzi impazziti, più di 25 gradi Celsius una settimana dopo che il termometro qui aveva segnato 11 gradi negativi. È bello stare qui. È bello esserci. La vita è bella. Alla fine del sentiero, un belato. Lui chiama la capra e viene la capra coi suoi capretti. Viene la capra. E si parlano con Mario. Che si scusa con lei: è stato in ospedale, l´ha dovuta affidare ad altri. «Ma torno ora, sono qui».
E sotto si svolge la Vallarsa, secca ancora e splendida e trentina. Ma verrà anche l´acqua. Presto verrà l´acqua a bagnarci.





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