Una notte in Salvata
Do anch'io un contributo ai ricordi, anche se più recenti rispetto a quelli di Giacomo e di altri.
Maurizio (bolzanino di Aste)
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"Dài putei, che è nà zo el sole. L'è ora de tornar su ale Aste" disse Gianpaolo al gruppetto di amici che quasi ogni giorno scendeva al "ponte de Arla" per fare un bagno nella "diga" che avevano costruito con sassi e frasche per far alzare l'acqua del Leno nella buca che c'è a davanti a quel grosso sasso che si vede anche dal ponte.
Raccogliemmo gli asciugamani e, dopo aver attraversato il torrente (che dolore passare scalzi sui sassi!) risalimmo felici verso S.Anna. Alcuni di noi comprarono un gelato al limone (con la stecca di liquirizia), mentre altri si dissetarono alla fontana davanti alla chiesa.
E poi su per la "vècia" (la scorciatoia che inizia subito sopra la cooperativa) fino alle Aste, facendo programmi per la serata.
"Sa fente stasera?" chiese Sandra - "Nente su per i prai a vardar le stelle?" propose Maurizio - "Ma va là, empizem en foc e metem su na polenta" - ribadì Gianpaolo, ma subito Adriana commentò: "Come l'altra volta che l'è fata mola e la è nada zo per tutto el prà dei Bolza e n'è tocà magnar polenta e erba!". Questo ricordo fece ridere tutta la combriccola.
Erano i tempi in cui non c'era la televisione nelle case dei villeggianti e noi ragazzi passavamo la maggior parte della giornata e della serata in paese o nei boschi e prati vicini. Erano i tempi in cui i paesi erano illuminati solo da alcune lampadine, e il nostro "incarico" era di passare al primo imbrunire ad accenderle, aprendo la "portèla" e girando la "ciavèta dela luce". Si faceva il giro del paese ad accendere la luce alla casa della Luisa, poi si saliva "en contrà" e infine su dal Vico.
E le calde serate estive passavano fra una camminata fino al bar della Laura (alla Riva) per mangiare un gelato o solo per stare un po' in compagnia, commentando la giornata o programmando le ormai tradizionali gite sul Carega e sul Pasubio.
"Dai che nem a dormir su en Salvata?" propose Maurizio, il più incosciente del gruppo, risalendo il sentiero verso casa. "Ma sei matto", commentò Gerard nel suo parlare dialetto con accento francese, lui che stava in villeggiatura a Cumerlotti, ma che da sempre faceva parte della nostra compagnia, "l'è già le zinque e fra un poco è strof."
"Saria ben bel però, pensa che bel veder la Vallarsa da lassù" istigò Adriana. "Poderesem nar en tel baito de me nòno" propose Sandra. "Lì ghe en zegno da ndo se vede zo tutta la val" commentò la sorella Claudia.
E mentre salivamo verso le Aste l'idea prendeva piede. "Varda che su no ghe acqua, bisogna portarsela". "Alora portem su en po de bozoni de aqua, e dopo ghe vol anca da magnar." - "E per dormir ghe vol el sacco a pelo o en par de querte. I paioni (materassi) i ghe ben su". "Sperente che el querto el tegna, l'è en par de anni che no va su nisuni" disse Sandra.
Accelerammo il passo per arrivare in paese più velocemente e subito ci dividemmo per tornare a casa a prepararci. Maurizio e Gerarde andarono dal Toni Rippa per sentire se c'era acqua da qualche parte in Salvata. "Ghe ben na sorgiva, ma l'acqua la ghe solo qualche volta e en vegn poca. E po' ghe vol na mez'ora da Mezzana, ve convegn portarvela su.", ci consigliò Toni.
Nelle varie case il commento dei genitori era lo stesso: "Ma se mati? Partir a st'ora per nar en Salvata? Se parte de matina bonora, no en sigual notte!!" Ma alla fine, fra mille raccomandazioni c'eravamo tutti. Alle 6 di sera eravamo in piazza, con tutto il paese attorno che ci elargiva raccomandazioni: "Ghe drio le pile per vederghe?" - "Claudia, te ricordet en do che bisogna girar per nar al baito del nonno, vera?" - "Zerto che no ghe tutte le fascine al quert!"
L'accordo era che per le nove di sera avremmo fatto segnali luminosi dal baito per tranquillizzare i genitori. E così, acclamati come la partenza di una spedizione famosa, ci incamminammo su per il tovo.
Alla "noghèra gobba" (piegata da una slavina secondo i vecchi del paese) girammo a sinistra e di buon passo iniziammo allegramente la nostra camminata. Dopo un'oretta, alla prima "polsaora" (tradizionale posto di sosta nella salita verso Mezzana) la fatica iniziava a farsi sentire, sia per la stanchezza della giornata passata fra giochi, lavori nei campi e "nuotate" al Leno, sia per il peso degli zaini. Forse tutto quello che avevamo portato era eccessivo? Una piccola sosta e avanti verso la meta.
Più si avanzava nel bosco ormai buio e meno si parlava. Il fiato serviva a camminare. Io nello zaino, oltre al mangiare e al sacco a pelo, portavo 4 litri d'acqua. La marcia iniziò a rallentare, ma una volta usciti dal bosco nei prati sotto Mezzana ormai ci sentivamo vicini e in poco giungemmo al passo.
Una breve sosta per scambiare due chiacchiere con alcune persone di Ala che avevano la casetta lassù e ripartiamo. Però nella salita avevamo impiegato più del previsto.
"Ghe manca en quart ale nove, no so se ghe la fem a rivarghe per tempo." - "Me mama la se preoccupa se no la vede i segnai, no la voleva gnanca lassarme vegnir!" disse Sandra.
"L'è meio che el Gerard e el Gianpaolo, che i ga la gamba longa, i vaga envanti en pressia e e i faga segnai, po' arivem noialtri e zò ale Aste no i sene ascorze!" propose Adriana.
E così i due partirono a passo spedito mentre noi avanzavamo assieme, per stare al passo anche dei più lenti. Camminavamo al chiarore delle stelle, aiutati nei punti più bui dalla luce dalle pile. Un'esperienza bellissima. Ci sentivamo parte della natura e ascoltavamo in silenzio i rumori del bosco e dei nostri passi sul sentiero. Ad un tratto alla nostra destra un forte belato ci fece sobbalzare. "Dai Gianpaolo! Piantela de far el monega! Te m'hai smaria!" - urlò Adriana. Allora anche noi ci mettemmo a belare: "Beeehh, Beehhh!" E dal buio rispondeva un altro "Beeeehh". E ad un certo punto, con un balzo scese sul sentiero una pecora seguita da altre due, che subito si diressero verso Mezzana. E tutti giù a ridere per il malinteso. "Zerto che el pareva propri en scherzo de to fradel" - "Ma l'era propri la stessa voze del Gianpaolo".
"Sandra, me par che sia chi che bisogna girar su per nar dal nonno" disse Claudia alla sorella. "Me sa de sì", rispose questa, "se vede anche l'erba pestada en do che è passà el Gerard". E così girammo su per il prato seguendo la traccia lasciata dagli altri. Arrivati in cima abbiamo chiamato Gerard per farci indicare la strada. Una volta giunti al baito, lasciamo gli zaini nel piccolo spiazzo lì davanti e ci dirigemmo verso la grossa roccia da cui si vede la valle. "Ste atenti che ghe da far en salto per passar sul zegnato. Atenti a no sbrisciar e a no cascar zo!!" ci avvisò Gianpaolo. Pian piano passammo tutti sulla grande roccia a strapiombo. Fortunatamente era notte e non vedevamo il precipizio circostante. Ai nostri occhi comparve la bellezza della valle immersa nell'oscurità, e le fioche luci dei paesini. Subito la nostra attenzione fu richiamata da una grossa luce sotto di noi. Alle Aste (l'avremmo saputo al ritorno) tutto il paese si era radunato nel punto più alto, vicino alla casa del Vico in attesa dei nostri segnali. E commentavano in vario modo: "No i ghe la fa, i se fermerà su en Mezzana a dormir". - "Te vederai che i è lì che i ven de volta". - "I doveria esser za arivar, che sia suces qualcos?"
"Vardè, i fa i segnai!!!", urlò poi qualcuno, "smorzè la luce che ghe vedem meio" - "Si, si, l'è proprio la luce de na pila. Come se la vede sì bem ,che la par en lampion" - "Dai empiza el faro che ghe rispondem" Infatti i paesani si erano muniti di un grosso faro da 500 W e lo usarono per farci segnalazioni di risposta.
Rassicurati in questo modo i genitori dopo una mezz'ora ci siamo dedicati a guardare da lì il resto della valle. "Quelle luci l'è i Anghebeni e quella lì vizina l'è la luce del Casel: stasera i balla, tasè che forse sentim la musica"- "Dopo ghe la luce dei Foxi" - "Varda el Pasubio come tel vedi bem contro el cielo" - "Senti che paze"
"Mi gaveria en po de fam!!" - "Anca mi!" - "Dai che nem a magnar." E ritornammo con cautela verso il baito.
"Gerard, ti e la Sandra empizè el foc che scaldem i wurstel, entanto che mi e el Gianpaolo parem fora i bissi dal baito" disse Maurizio. "No ghe sarà miga bissi, vera?" disse Adriana preoccupata. "Zerto" - rispose perfidamente Maurizio - "i se sconde en fra i sassi dei muri e i ven for de notte a zercar zorzi, ma ades i paro fora mi! Stà via dala porta che i ven fora de corsa e i te salta adoss". - "Mi no dormo li dentro" asserì terrorizzata Adriana. "Varda che fora l'è pezo, ghe quei pu grossi" ribadì Gianpaolo comprendendo lo scherzo iniziato da Maurizio. E i due si entrarono nel baito con i bastoni, battendo sui muri e sui materassi.
Poi tutti davanti al fuoco a scaldarsi e mangiare i panini, mentre alcuni wurstel si abbrustolivano sul caldo dei sassi intorno al fuoco. Sopra di noi un cielo stellato bellissimo.
A fine cena mezzo litro di vino, un piccolo sorso a testa. Illuminati dalla luce tremolante delle fiamme, circondati dall'oscurità più buia rotta solo dallo scoppiettio del fuoco e dai versi di qualche uccello notturno. Passammo diversi minuti così, in contemplazione. Poi qualcuno intonò sommessamente un canto di montagna. Eravamo tutti intonati davanti a quel fuoco, nessuno riuscì a steccare, nessuno dimenticò le parole delle canzoni: Inno del Trentino, la montanara, Valsugana e tante altre, fino al Signore delle Cime che ci commosse come non mai, cantato in quell'atmosfera così intima.
"Putei, l'è za le doe passae!" - "Schezit? No me son gnanca nascorta!" -"Nente en let zente?, che gaveria anca en po de fret" - "Se sicuri che no ghe sia bissi?"
E così, alla luce delle pile ci infiliamo nei sacchi a pelo, ma il sonno tarda ad arrivare, è stata una giornata molto intensa. I ricordi riaffiorano. Parliamo ancora per un'altra oretta. Ancora qualche "Ghera na volta en biss che el neva su e zo da na corniss…" per spaventare Adriana e poi la stanchezza ha il sopravvento.
Alla mattina presto ci sveglia un insistente ticchettio sulle lamiere del tetto. "Piove? Ma se stanotte l'era sì bel?" - "Gianpaolo, va a veder fora" - "Figurate, stò si bem chi al calt"
"Vo mi", disse Maurizio, "che gò da far anca na zifolada". Fuori dal sacco a pelo, infila velocemente pantaloni, maglia e scarponi. Apre la porta del baito e trova un muro di nebbia. Non si vede neppure a due metri. La nebbia sale dalle vallette sottostanti e si muove velocemente spinta dal vento freddo. Cade una pioggerellina fredda anche se siamo in agosto! Ma la cresta fra Mezzana e il Zugna è così, il tempo cambia rapidamente. Velocemente Maurizio ritorna nel baito con le notizie. "Sa fente? Le le sei e fora ghe en tempo da ciodi". La poesia della sera si è dissolta. "Tornete zo a casa?"
"Poderessen nar en Zugna a far colaziom e dopo vedem come se mette el temp." propone Gerard. Proposta subito accolta. Prepariamo gli zaini, controlliamo di non aver dimenticato nulla, verifichiamo ancora una volta che il fuoco sia spento bene e, chiusa la porta del baito, ci avviamo verso il Zugna, avvolti in k-wai, giacche a vento o mantelle. Arriviamo al rifugio prima delle sette ed è ancora chiuso. Attendiamo all'esterno e quando il gestore apre ci accoglie con stupore e mentre prepara delle cioccolate calde per noi vuole che gli raccontiamo tutta la storia.
Con qualcosa di caldo in pancia si sta meglio e, quando verso le nove il tempo migliora e smette di piovere decidiamo di tornare a valle. Rifacciamo la strada per Mezzana e poi giù per i boschi, sui sentieri resi scivolosi dalla pioggia. Arriviamo alle Aste a ora di pranzo, fradici e infreddoliti. I genitori vogliono sapere tutto. E poi ci raccontano di come la sera prima tutto il paese fosse con gli occhi verso il Zugna per vedere i segnali.
Ci laviamo, mangiamo e riposiamo. Nel pomeriggio ci si trova in contrà. "Sa fente domam?" - "Se poderia nar a Cima Posta" - "Si dai, nen zo en coperativa a far en po de spesa e doman matina alle quatro partim."
Maurizio Tonolli (di Bolzano, abitante alle Aste in estate)
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