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BRANI LETTERARI SUL VIAGGIO SELEZIONATI DA "IL VAGABONDO"

In questa pagina, di tanto in tanto, inseriamo un nuovo brano (poesia, racconto, ecc.) che ha naturalmente il viaggio quale tema portante. Viaggio fisico, viaggio mentale, viaggio virtuale che sia. Naturalmente sono bene accolte segnalazioni e suggerimenti. Magari li pubblicheremo pure, perché no?
Di seguito un elenco in ordine di inserimento (quello più su è l'ultimo inserito): cliccateci sopra per leggerlo:


 

EDWARD WILLIAM LANE, da "MANNERS AND CUSTOMS OF MODERN EGYPTIANS", 1836

(Tratto da un articolo di Vita Fortunati e Rita Monticelli in "Il viaggio e la scrittura", a cura di Patrizia Nerozzi Bellman e Vincenzo Matera, L'ancora, Napoli, 2001)

Ma, rispetto alla maggioranza delle donne egiziane, bisogna ammettere, temo, che sono molto licenziose. Molte di loro abusano della libertà che hanno; e non sono considerate al sicuro se non poste sotto chiave [...]. È risaputo che esse possiedono un grado di abilità nella gestione dei loro intrighi, che persino i mariti più prudenti fanno fatica a controllare. [...] A volte, lo stesso marito diventa il mezzo inconsapevole per gratificare le propensioni criminali della moglie. Alcune delle storie degli intrighi delle donne ne «Le Mille e una Notte» presentano un quadro veritiero di quanto accade nelle moderne metropoli d'Egitto.

[...] Alcune donne camminano sopra il corpo di un uomo decapitato, senza parlare, per rimanere incinte, ed alcune, spinte dallo stesso desiderio, immergono nel sangue un pezzo di cotone, di cui poi fanno un uso di cui io non oso dire.

 

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DUCCIO CANESTRINI, «HO FATTO»

da "Turistario. Luoghi comuni dei nuovi barbari", Baldini&Castoldi, Milano 1993

Il Madagascar, la Colombia, Sumatra, ecc. * Quelli che dicono «ho fatto» come se quei Paesi li avessero fatti loro. Garibaldi Tours. * Orrendi, come quelli che dicono «mi sono fatto» il tale o la tale. E sono davvero convinti di averlo fatto, quel Paese. Di averlo visto, conosciuto carnalmente, esplorato, penetrato. Solo perché ci sono passati, lasciandovi qualche evanescente traccia del loro - antropologicamente trascurabile - DNA. * La professione di esperienza personale, l'«ostento che ho vissuto», si fondano sull'assioma che chi ci ha fatto (viaggiato, conosciuto ed esperito) è avvantaggiato. * Opinabile. * Il racconto è fondamentale. Non c'è turismo senza gesta. AA.VV., Geografie private. I resoconti di viaggio come lettura del territorio, Unicopli, Milano 1985.

 

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CHARLES AUGUSTIN SAINTE-BEUVE
tratto da "Da Itaca alla luna" di F.Paloscia, ESTE, Milano 2001

I racconti di viaggio son sempre incompleti e infedeli; lo verifichi proprio viaggiando, e a tua volta, se racconti, cadrai nel medesimo inconveniente; a distanza tutto si dimentica, si idealizza; si vedono solo i punti luminosi.

Eppoi involontariamente si dissimula; entra in ballo l'amor proprio: delusioni, tribolazioni, inganni, non ne fai parola, non ne meni vanto, li negheresti finanche a te stesso con la mano sulla coscienza; il mal di mare è passato; ti sei scrollato le pulci di dosso; racconti, l'inno ha inizio. Fan tutti così... a tal punto che l'elogio accademico per ogni cosa mi pare il più connaturato nell'uomo. Accade ai luoghi come alle opere degli uomini: una volta conquistata la fama tutti ci passano e li ammirano; se fosse ancora da conquistare, altri che non hanno un nome potrebbero concorrere con essi.

Una metà dei luoghi famosi va ridimensionata, solo una metà rimane divina. La tomba di Virgilio è una sciocchezza, ma il Posillipo è splendido.

 

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EDITH WARTON
tratto da "Da Itaca alla luna" di F.Paloscia, ESTE, Milano 2001

Neppure la scoperta di eventuali lacune compensa il viaggiatore per la consueta minuziosità delle descrizioni; e l'ultima salvezza dall'onniscenza dell'autore resta l'arrivare ai luoghi da visitare percorrendo strade diverse dalle sue. Per chi pensa che una delle attrattive maggiori del viaggiare in paesi altamente civilizzati consista proprio in queste fughe estemporanee dal prevedibile, troverà ancora qua e là, anche in Italia, qualche miglio sfuggito alle misurazioni delle guide turistiche.

 

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MATILDE SERAO, da "RICORDI DI PALESTINA. UN VIAGGIO NEL PAESE DI GESÙ", 1899

Vi è un viaggiatore comunissimo, che s’incontra dappertutto, il quale passa da un’attività instancabile, sempre coi segni della più vivace curiosità sul volto, che compie le gite più faticose, che si azzarda nei luoghi più rischiosi, che stanca la pazienza di qualunque compagno di viaggio, che si fa maledire da qualunque cicerone, e che ritorna costantemente, da tutti i punti del globo, da lui minuziosamente visitati, manifestando la soddisfazione più sincera. Se, cortesemente, voi gli chiedete conto delle sue impressioni, egli vi comunicherà, con la massima importanza, e come se vi rivelasse una profonda verità segreta, scoperta solo da lui, che le trattorie sono care a Parigi, che Londra ha una ferrovia metropolitana, che la corsa nei vaporino sul Canal Grande di Venezia costa due soldi, che i battelli russi sono meno celeri di quelli austriaci, e che tutta l’acqua di Oriente non è potabile; nonché altre simili novità preziose e acute, che la sua sagacia ha ritrovate, nei suoi viaggi, a prezzo di fatiche, di tempo, e di denaro. Questo viaggiatore, innocuo, del resto, e talvolta anche simpatico nella sua frivolezza, è numeroso come gli astri del firmamento: ed ha la più completa rassomiglianza con uno dei suoi eleganti bauli,tanto che a me sembra, che rientrando in casa egli si vada a collocare tranquillo, immobile, in un cantuccio oscuro, fino a che un nuovo viaggio non mobiliti i suoi bauli e lui.

Un viaggiatore, meno comune, ma non raro, è colui che domanda continuamente il pittoresco, in ogni breve tappa del suo vagabondaggio: i suoi occhi e la sua fantasia hanno sete di linee, di colori, di tinte sempre sorprendenti: egli chiede alla campagna, alla città, al mare, alle chiese, alle persone, di meravigliarlo, ogni sera e ogni mattina. Il suo non è un cervello, ma una galleria di quadri: il suo spirito non è che un panorama, di cui egli desidera sempre cambiare le immagini. Più tardi, poi, quando egli vorrà percorrere, di nuovo, con la mente, quello che vide, questi quadri, non legati fra loro da un’idea, non congiunti dalla logica di un costante pensiero, dal filo di un sentimento, si confonderanno, sovrapponendosi: fuggito il rapido piacere del senso visivo, non legato lo spirito a una espressione intima, questi ricordi di viaggio si disperderanno: e vano sarà stato il suo lungo errare, di paese in paese.

Ma, io conosco un viaggiatore diverso da tutti gli altri, uomo o donna che sia, giovane, vecchio, povero, ricco: un viaggiatore sentimentale e bizzarro, che obbedisce singolarmente a una curiosità esclusiva, unica, assorbente. Costui, a traversa ai costumi ed ai paesaggi, oltre le foggie e i colori, oltre le leggende della fantasia e le memorie della storia, chiede qualche cosa di più intimo, ai paesi che lo vedono apparire, singolar pellegrino del cuore. Costui, viaggiando, mentre trascura certi aspetti di cose e di persone, che sembrano più importanti, ne ricerca altri più umili, meno interessanti: mentre resta poco tempo in una grande città, si attarda due giorni nell’albergo di un villaggio: mentre non penetra in un museo, è attirato da una fiera campestre: mentre non sa estasiarsi dove tutti si estasiano, ha un grido di ammirazione per qualche cosa che non attira nessuno. Questo viaggiatore silenzioso, capriccioso, ostinato, preso dalla sua singolar ricerca, è colui che vuol vedere palpitar l’anima dei paesi che attraversa. Ogni paese ha un’anima, lo sapete. Dove essa risiede, mai? Chi lo dirà? Inafferrabile e pure reale: fuggitiva e pure onnipresente, fluttuante, fluida, l’anima di un paese è, talvolta, negli occhi delle sue donne, in una sua via, in un paesaggio, a una cert’ora, in un frammento di statua, in un’arme arrugginita, in una canzone, in una parola. È un fiore, talvolta, l’anima di un paese.

 

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CARLO GOLDONI, "LE SMANIE PER LA VILLEGGIATURA", 1773
citato da Duccio Canestrini in "L'insostenibile retorica del paradiso", 1998

L'innocente divertimento della campagna è divenuto a dì nostri una passione, una mania, un disordine. Virgilio, il Sannazzaro e tanti altri panegiristi della vita campestre hanno innamorato gli uomini dell'amena tranquillità del ritiro; ma l'ambizione ha penetrato nelle foreste: i villeggianti portano seco loro in campagna la pompa ed il tumulto della Città, ed hanno avvelenato il piacere dei villici e dei pastori, i quali dalla superbia de' loro padroni apprendono la loro miseria"

 

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IBN BATTUTA, XIV Secolo
citato nel romanzo di Luis Sepulveda, Un nome da torero, 1994

Lasciai Tangeri, mia città natale, il 13 giugno 1325 (secondo il calendario cristiano). Avevo ventun anni e giustificai la mia decisione con le ragioni del pellegrino. Così lasciai i miei genitori, i miei fratelli, le mie mogli, i miei figli, i miei amici e i miei beni. Partii con la stessa solenne tranquillità dell'uccello che abbandona il nido. Solo l'Altissimo, il Clemente, il Degno delle novantanove Virtù conosceva la direzione dei venti che mi spingevano

[...]

Durante i miei viaggi che non hanno ancora fine - solo l'Insondabile sa che cosa cerco e se un giorno mi sarà dato di trovarlo -, ho conosciuto tre specie di viaggiatori. Prima ci sono i devoti pellegrini. Che il Generoso vegli su di loro. Poi vengono i sereni commercianti, che seguono le tracce delle carovane. Che il Perfetto abbia cura dei loro beni e li moltiplichi. E infine ci sono coloro che sospirano contemplando il vago orizzonte del mare. Strani uomini senza alcun attaccamento ai beni che Dio dispensa loro. Preferiscono dipendere dalla sua volontà durante le terribili tempeste che godere dell'amorosa ospitalità del bazar. Le loro anime trovano maggiore pace nello spaventoso ruggito del vento che nella pia voce dell'imam quando dall'alto del minareto annuncia l'ora della preghiera. Che il Misericordioso allevi le loro pene e le mie, perché sento che questi sono miei fratelli

[...]

La generosità di Dio ha conservato i miei ricordi e ha ispirato le parole belle e misurate con cui Ibn Giuzayy le trascrive. La vita continua a sembrarmi un grande mistero sublime, ma la volontà dell'Insondabile non ha voluto che mi fermassi se non davanti a una sola delle porte che proteggono i suoi segreti. Fu molti anni addietro, mentre godevo dell'ospitalità e degli omaggi di Muhammad ibn Tughlùq, sultano dell'India. Che il Magnanimo conservi la sua venerazione e umìli i suoi detrattori. Eravamo nella sala delle novantanove colonne del palazzo di Giahànpanàh a osservare il meticoloso lavoro di alcuni artigiani. Gli uomini dovevano rivestire con piccolissime piastrelle l'interno di una cupola. Iniziarono dai lati e, pian piano, le tessere avanzarono verso il centro, incastrandosi a perfezione, fino a lasciare solo il minuscolo spazio necessario per l'ultimo tassello. Allora gli artigiani interruppero il loro lavoro per lodare la perfezione di Dio. E io capii che nessun viaggiatore, per quanto lontano possa giungere, è privo della protezione dell'Altissimo, del suo sguardo che tutto vede e della sua memoria che tutto conserva. Anche i pellegrini che non hanno più fatto ritorno, i commercianti le cui carovane sono state inghiottite dal torrido deserto, i naviganti che hanno smarrito l'orizzonte del mare, tutti coloro che non hanno sepolture bagnate dai pianti straziati delle vedove, sono tessere di un mosaico, creato dalla volontà di Dio, che si sono lasciate portare dalla sua mano infallibile in cerca del luogo adeguato, del posto esatto. Molti avranno trovato la loro simmetrica eternità in terre che a nessun altro uomo sarà concesso visitare, perché così ha disposto il Magnifico. Altri, come me, indegno della perfezione, non hanno trovato il posto giusto, ma un giorno la sua infinita generosità riunirà le parti disperse. Allora il mosaico sarà completo e gli spiriti tormentati godranno dell'ordine del Generoso, del Pietoso, di Colui che è colmo di Misericordia e di Virtù...

 

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AL-MUQÀDDASI, DA "AHSAN AL-TAQÀSÌM FI MA‘RIFAT AL-AQÀLÌM" (La miglior divisione per la conoscenza delle regioni), X Secolo
(traduzione di Francesco Gabrieli, 1967)

Sappi che parecchi scienziati e visir hanno composto opere su questo argomento, ma la maggior parte se non la totalità dei loro scritti si fonda sul sentito dire; mentre nel nostro caso non c'è stato paese in cui non siano entrati, senza perciò trascurar di studiare ed esaminare [sui libri] quanto ci restò direttamente ignoto. Così questo nostro libro è venuto a formarsi di tre parti: una, ciò che direttamente abbiam visto, una seconda ciò che abbiamo udito da persone degne di fiducia, e una terza che è quanto abbiam trovato nei libri composti su questo ed altri argomenti. Non c'è stata biblioteca di re che io non abbia frequentata, non opere di una data setta che non abbia sfogliate, non credenze di una gente che non abbia conosciute; non gente devota con cui non mi sia mescolato, non sacri oratori cui non abbia assistito, sì da venire a capo di quanto desideravo su questo argomento. Con trentasei diversi nomi sono stato chiamato e apostrofato: gerosolimitano, palestinese, egiziano, maghrebino, khorasanio, faqìh, sufi, santo, devoto, asceta, viaggiatore, cartolaio, ecc. ecc., per i diversi paesi in cui mi son fermato, e i diversi luoghi che ho visitato. Non c'è avventura che capiti a un viaggiatore che io non abbia largamente provata, fuorché il mendicare e il commettere grave peccato: ho fatto il faqìh e il maestro di scuola, l'asceta e il devoto, ho dato lezioni di diritto e di belle lettere, ho predicato sui pulpiti, ho fatto il muèzzin sui minareti, l'imàm nelle moschee, il concionatore nelle moschee cattedrali; ho frequentato le scuole, fatta propaganda nelle assemblee, parlato nei salotti; ho mangiato la «harisa» con i sufi, la zuppa con i cenobiti, la polenta coi marinai; sono stato cacciato via la notte dalle moschee, ho percorso le steppe, errato nei deserti. Ora ho praticato sincera astinenza, ora ho consumato ostensibilmente cibi proibiti. Mi sono accompagnato agli asceti del Libano, e sono stato in compagnia dei potenti sovrani; ho posseduto schiavi, e ho portato la cesta sul capo. Sono stato più volte a un pelo dall'annegare, ho subito assalti di predoni, ho servito i cadi e i grandi, ho parlato ai sultani e ai visir; mi sono accompagnato per le vie ai malviventi, ho venduto la mercanzia sui mercati, sono stato tenuto in prigione, preso per spia. Ho visto la guerra dei Rum con le galere, ho sentito il notturno battere dei batacchi di chiesa, ho rilegato volumi per mercede, ho comprato acqua a caro prezzo, ho camminato tra il vento torrido e le nevi... E tutto questo abbiam detto perché il lettore del nostro libro sappia che non l'abbiam composto a vanvera, né digesto per interposta persona, e sappia distinguerlo dagli altri. Quanta differenza tra chi ha sofferto tutte queste traversie, e chi ha composto la sua opera nell'agio, sul sentito dire! Ho speso in questi viaggi più di diecimila dirham, oltre alle negligenze in cose della Legge Sacra che si sono insinuate in me: non c'è stata larghezza concessa da una delle scuole rituali di cui non abbia fatto uso... solo senza mai uscire dai precetti dei capiscuola, né ma ritardare la preghiera canonica oltre il suo tempo prescritto.

 

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JOHANN WOLFGANG GOETHE
tratto da "Da Itaca alla luna" di F.Paloscia, ESTE, Milano 2001

"Vogliano perdonarci gli amici se in avventure mi troveranno parco di parole; quando si viaggia, si afferra di passata quel che si può, ogni giorno porta qualcosa di nuovo, e si va in fretta anche nel ripensare e nel giudicare ciò che si è visto. Ma qui si entra in una scuola davvero grande, dove un sol giorno parla di tante cose, che di parlare di quel giorno basta l'animo. In verità, chi si fermi qui per anni farebbe bene a osservare un silenzio pitagorico". chi si fermi qui per anni farebbe bene a osservare un silenzio pitagorico".

 

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SENECA
tratto da "Da Itaca alla luna" di F.Paloscia, ESTE, Milano 2001

«Scegli pure questo o quel paese per essere tranquillo, troverai dappertutto motivi di distrazione.
Ma il luogo non contribuisce molto se l'animo non si aiuta da sé.
Infatti Socrate, a un tale che si lamentava perché dai viaggi non aveva ricavato vantaggio alcuno, rispose: "te lo sei meritato, perché tu viaggiavi in compagnia di te".
Che serve infatti passare il mare e cambiar paese? Se vuoi liberarti da quello che ti tormenta, non occorre che tu sia altrove, ma che tu sia un altro».

 

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GIACOMO LEOPARDI, "PENSIERO XXX", postumo

Come suole il genere umano, biasimando le cose presenti, lodare le passate, così la più parte de' viaggiatori, mentre viaggiano, sono amanti del loro soggiorno nativo, e lo preferiscono con una specie d'ira a quelli dove si trovano. Tornati al luogo nativo, colla stessa ira lo pospongono a tutti gli altri luoghi dove sono stati.

 

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PAUL MORAND, DELLA VELOCITÀ, da "Viaggiare" 1994
(traduzione di Donata Feroldi)

 

«Prima di tutto, prodighi le sue cure alla lentezza, - raccomanda al capo dell'ufficio delle Comunicazioni, suo sottoposto, il direttore dell'UAT (Ufficio antituristico). Bisogna uccidere la velocità, questa assassina. Torcerle il collo, a questa forma attuale dell'eloquenza. I motori fanno rumore, come le persone che non hanno niente da dire. Dunque, amico mio, conto su di lei per restituirci una Francia vivibile, svuotare le cisterne di benzina, mettere sabbia nelle turbine, rompere il cemento delle aree d'atterraggio. In tre mesi bisogna diventare, con gli stranieri, più inospitali degli antichi cinesi e smetterla di trovare dei compatrioti dappertutto. Se la gente vuol recarsi da qualche parte, andrà a piedi, così vedrà le guglie di Chartres venirle incontro a poco a poco dal fondo della Beuce, al posto di esserci sopra in un decimo di secondo; si recherà a Fez saggiando il sentiero con il proprio bastone e non sarà più al bar dell'albergo poche decine di minuti dopo aver lasciato, il bar sottostante degli Invalides; non sarà informata su ogni cosa e ignorerà che Fez è a duecento chilometri nell'entroterra; continuerà a credere a Hugo e, con l'aiuto degli ottanta rematori della galéa capitana, andrà via mare da Fez a Catania! Non dimentichi di far incenerire le guide, le carte, i Baedeker. Voglio che nostra civiltà si difenda, al posto di andare a strizzar l'occhio a ogni angolo di strada, di correre, con la mano stesa, dietro al cliente; manca poco che si spedisca Versailles in Bolivia per evitare ai boliviani la fatica del viaggio. Avanti e faccia presto!

   - "Faccia presto!" Lei ama ancora la velocità, signor direttore. Ma non per gli altri!

   - Io l'amo in sé. Ha la bellezza nera, lucente della pistola, dicevamo, al tempo in cui tappavamo con la mano le trombe jazz del Giudizio Universale, per impedire alle democrazie di dormire.

   - Oggi il suono è stato superato; è lui che ci corre dietro.

   - I superatori del suono saranno superati dai superatori della luce. La velocità è una strada disseminata di morti. E' una sete perenne, che nulla placa, un supplizio omesso da Dante. Nulla è più triste di un domani da record, che porta in sé l'annunzio del proprio decesso; ogni omologazione è una partecipazione. La velocità è un breve delirio, più corto dell'amore. Di re della velocità è cosparso il suolo. La velocità è l'ultima incarnazione di Shiva, che gira su se stesso all'infinito, fino a non vedere più niente, fino ad abolire l'idea stessa di velocità.

Non è una proiezione verso l'esterno, ma uno slancio astratto, vuoto come l'egoismo, che si nutre solo di se stesso. E' il ripiegamento supremo, la solitudine, la notte.»

 

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ADONIS, "LINGUA PER LA DISTANZA", da "Canti di Mihyàr il damasceno", 1961
(traduzione di Valentina Colombo)

 

Ieri sotto le orbite sono partito sotto la polvere

ho udito la nostra eco

ho udito l'abbattersi dei confini.

 

Sono ritornato ed è stato detto che laggiù avrei dimenticato,

dallo stupore, i miei passi.

I miei passi? Al contrario, è come se li vedessi

muoversi liberi tra le arterie e i polmoni

disegnando curve, condotti incerti e confusi

tra le pieghe dei fianchi e nella pelle

in un baratro che non li vede

è come se li vedessi tornare.

 

Passeranno, e voi non li noterete, i miei passi

tra di noi v'è una lingua per la distanza le cui parole tutti ignorano tranne noi.

 

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HERMAN HESSE, "SOLITUDINE", da "Il viandante"

(traduzione di Fernando Solinas)

 

Porgo volentieri l'orecchio alla pioggia e al vento

e vago nelle calde oscurità del bosco.

Da tutti i voli di nubi voglio sapere

quali sono le loro speranze e i loro scopi.

 

Per me è una consolazione, come giramondo,

guardare qua e là attraverso le finestre di abitazioni straniere,

e la vita, le gioie e i dolori altrui

considero in silenzio e porto via con me.

 

Ma di notte, quando impietose e dure

le alte stelle guardano il mio giaciglio,

mi raccolgo in me stesso e vedo con orrore

come il mio stesso cuore mi è diventato straniero.

 

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FERNANDO PESSOA, da "IL LIBRO DELL'INQUIETUDINE"

Viaggiare?

Per viaggiare basta esistere

passo di giorno in giorno come di stazione in stazione

nel treno del mio destino

affacciato sulle finestre e sulle piazze

sui gesti e sui volti

sempre uguali e sempre diversi

come in fondo sono i paesaggi

 

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