LA MISCELA IDEALE DELL'ECOTURISMO
(Articolo di Franco Carlini su il manifesto del 12/09/2001)
L’anno prossimo, il 2002, è stato dichiarato dalle Nazioni Unite
all’ecoturismo. La decisione venne presa nel 1998 e ora diviene operativa,
ma non senza generare diverse perplessità. Uno studioso dell’argomento,
Jackie Alan Giuliano, ha recentemente riaperto il problema con un intervento
sul sito Internet Environment News Service. A nessuno del resto sfugge la
circostanza che l’ecoturismo è meglio del turismo consumista e
devastatore, ma i confini tra i due modelli non sono così netti e la nuova
etichetta potrebbe rivelarsi uno sgradevole inganno. La stessa definizione
non è chiarissima e Giuliano propone come la più convincente quella
avanzata dall’associazione per l’ecoturismo dell’Estonia. Essa suona
così: “L’ecoturismo è un viaggiare responsabile che conserva l’eredità
naturale e culturale e contribuisce al benessere delle comunità locali”.
A molti la ricetta è apparsa la soluzione ideale per mettere assieme la
voglia-bisogno prorompente di noi occidentali ricchi di andare alla ricerca
delle autenticità di natura e di cultura che le metropoli più non ci
offrono e insieme di offrire alle popolazioni dei paesi più poveri la
possibilità di uno sviluppo economico rapido, al tempo stesso rispettoso
della loro storia e del loro ambiente. Queste proposte tutte volenterose e
ragionevoli, si sono fatte largo e sono ormai praticate da milioni di
persone ogni anno, anche per reazione al fallimento e ai disastri generati
dal turismo di massa senza scrupoli. In altre parole se 20 anni fa si poteva
ancora progettare una città fittizia e devastante come Cancun (Yucatan,
Mexico) – che a sua volta si ispirava a quell’altra pacchianeria
messicana sull’altro oceano, Acapulco – oggi quelli non sono più
modelli interessanti e si procede invece, sempre nello Yucatan o nel vicino
Belize, con altri sistemi: villaggi di capanne dall’apparente scarso
impatto ambientale, su spiagge preservate e non ridotte a piccole strisce,
con poche discoteche e anche quelle non troppo vistose.
Che si tratti di un progresso non c’è dubbio e sarà giusto
rallegrarsene, ma con molta cautela tuttavia: intanto perché il modello di
turismo leggero e compatibile non è affatto genralizzato; in genre esso
viene spinto sola là dove, come in Messico appunto, i danni precedenti sono
troppo vistosi da non poter essere dimenticati. Altrove, purtroppo, le
megacostruzioni di complessi alberghieri vecchio stile proseguono
bellamente; qualche esempio: il sorgere ininterrrotto di casermoni a cinque
stelle a Petra in Giordania, lo sconvolgente successo della Rimini egiziana
Sharm El Sheikh, con vacanze tutto compreso da meno di un milione per otto
giorni e sette notti; persino sulle intonse coste della Libia di Gheddafi,
nei pressi delle città romane di Leptis Magna e di Sabratha i segni di un’intensa
attività edilizia-alberghiera sono ben visibili da quando l’embargo è
caduto e gli investimenti stranieri sono di nuovo possibili.