ERIK URSICH "Electronic Diffraction Patterns" (CD enhanced - Punch Records - 2008)
Review on DARKROOM

Erik Ursich, autore italiano nonostante il nome ci suggerisca il contrario, gode di una discreta notorietà nel circuito underground grazie alla sua etichetta Vacca Stracca, ma forse il pubblico internazionale lo conosce meglio per la sua release del 2004 "Kanashii", stampata solo in vinile dalla Punch. Sempre per la medesima label esce questo "Electronic Diffraction Patterns", lavoro diviso in cinque lunghe tracce che innalzano un inno ai suoni del passato ottenuti attraverso una strumentazione analogica, senza usare computer o software: Erik è senza dubbio un grande appassionato di quegli antichi marchingegni che segnarono gli anni '70, quei presunti ordigni elettronici che vediamo nei vecchi film e che a quei tempi significavano il trionfo della scienza (filmata spesso però in bianco e nero!). A ripensarci adesso viene quasi da ridere, ma le frequenze alte e rumorose, sinonimo di una mente artificiale, rimangono intatte nella memoria di molti come colonna sonora di un periodo affascinante, fatto di immagini di omini in tuta bianca, colori psichedelici e pensieri lunari a buon mercato. Tairy Ceron, titolare della Punch e grande cultore degli anni '70, sarà letteralmente impazzito all'ascolto di quest'album, che vuole ricreare esclusivamente quelle diffrazioni e quelle atmosfere generate tra enormi pannelli pieni di manopole e collocati in ambienti asettici. La memoria corre al grande cervellone Hal 9000 del film "2001: Odissea Nello Spazio" o - volando più in basso - ai tastieroni dell'Enterprise di Star Trek. Il disco è un'opera di ricostruzione e recupero senza compromessi, con riferimento alle prime sperimentazioni elettroniche a partire da Walter/Wendy Carlos, passando per varie colonne sonore di roba fantascientifica apparse già alla fine degli anni '60: vengono riproposti essenzialmente i brusii, i piccoli rumori, le modulazioni e le diffrazioni, evitando (come di regola) le melodie e la ritmica (eccetto per un tratto del pezzo "Stati Di Interazione Cromodinamica Perturbativa"). Il lavoro si chiude con un video di immagini astratte, generate per lo più a partire da effetti visivi puramente 'vintage', mentre gli stessi titoli conducono al linguaggio eccessivo di una scienza che al tempo si voleva rendere - per forza e per gusto del mistero - criptica. Rispetto a lavori simili (vedi Karl Runau), forse Erik pecca di manierismo arrivando a creare un disco quasi anonimo, tanto è aderente alla finalità preposta. Forse l'esercizio e la passione per il tema trattato possono rendere "Electronic Diffraction Patterns" un album ormai fuori dal tempo e di difficilissima comprensione per un utente troppo giovane. Ma il fascino di sentir 'palpitare' o 'gocciolare' quegli assurdi suoni analogici è grande per chi riesce ancora a ricordarseli, e soprattutto per chi quel periodo l'ha vissuto.

Michele Viali