Macbeth

di Fabia Zanasi

 

  • Le narrazioni dell'XI secolo, che riportano notizie relative a Macbeth, parlano in termini elogiativi del re scozzese: generoso nei confronti dei poveri e rispettoso verso l'autorità ecclesiastica per tutto il corso dei diciassette anni del suo regno, ossia a partire dal 1040, a seguito della vittoria sul cugino Duncan, morto assassinato.

  • Il punto di vista e il giudizio dei cronisti in merito al personaggio mutano invece drasticamente negli ultimi decenni del XIV secolo, in coincidenza con l'ascesa al trono di Roberto II Stuart, impegnato contro una nobiltà castellana anarchica e prevaricatrice nei riguardi della popolazione amministrata.

  • Pertanto il dispotismo nobiliare costituisce l'elemento vessatorio e inquietante che tiene in allarme sia il potere regio, sia i sudditi. In tale contesto di tensione due ambiti del territorio, il castello e la foresta, diventano descrittori simbolici, per rappresentare gli antitetici poli del conflitto sociale: la chiusa roccaforte dell'oppressione, contro la vastità non circoscrivibile del dissenso popolare.

  • Nella immaginaria rielaborazione che domina le tradizioni folkloriche del basso medioevo, la foresta costituisce uno spazio reale e ideale, libero e inespugnabile, dominato da forze arcane e al contempo naturalmente invasive, come il processo di rinselvimento spontaneo.

  • Quando William Shakespeare accoglie la leggenda di Macbeth, consultando le cronache di Raphael Holinshed, espande i caratteri oppositivi dei luoghi, generando percorsi intercorrenti tra castello e brughiera selvaggia che ricalcano, sul piano della metafora psicologica, le tortuose peregrinazioni di un pensiero oscillante tra logica e irrazionalità.

  • Proprio nella brughiera e in una caverna si formulano i vaticini delle streghe che, all'inizio del primo e del quarto atto, scandiscono la divisione della tragedia in due cicli: l'uno iniziale, durante il quale l'azione esordisce, fino a raggiungere il suo acme nel terzo atto, e l'altro conclusivo, contrassegnato dal sovvertimento dell'azione stessa.

  • "Salve Macbeth, che d'ora in poi sarai re!" (Atto I, scena 3^). The instruments of darkness, gli strumenti delle tenebre, ovvero i demoni tentatori di memoria evangelica, hanno intercettato una vittima predisposta a far sì che l'evento preconizzato si realizzi: da tale momento in poi il libero arbitrio di Macbeth potrebbe coincidere soltanto con la scelta di non commettere il male, ma l'ambizione ha il sopravvento, nell'accondiscendere all'avverarsi della profezia.

  • La morte è il prezzo del peccato, secondo San Paolo, e tale consequenzialità appare davvero quale tema dominante dell'intera tragedia, poiché il delitto genera il delitto e determina la morte dell'anima.

  • Re Duncan, il generale Banquo, la moglie e il figlioletto del nobile Macduff periscono a causa della criminosa volontà di potere di Macbeth, sobillato peraltro dalla spregiudicata assenza di scrupoli della consorte.

  • L'aver rinunciato alla aristotelica unità di luogo consente a Shakespeare di rappresentare sulla scena una pluralità di contesti ambientali e situazionali, identificabili sia sul piano concreto, sia a livello simbolico: le streghe appaiono e spariscono come bolle d'acqua, quasi frutto dell'allucinata fantasia di chi abbia mangiato "the insane root", la radice della pazzia.

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  • I processi rielaborativi di Macbeth integrano le informazioni ricevute dalle fatali sorelle in un cervello ormai offuscato e travagliato: "my dull brain was wrought". E ancora l'ossessione della mente, brain, ritorna come ripresa tematica nel momento in cui Macbeth è preda delle proprie follie visionarie: l'assassinato Banquo ricompare davanti agli occhi dell'uccisore, mentre un tempo, osserva il tiranno, "quando il cervello se ne andava via, l'uomo moriva e tutto era finito". Ma è anche possibile intravedere una traccia indiziaria, una sorta di prefigurazione inconscia del destino incombente e del tragico epilogo.

  • L'ordine del mondo si ricompone, allorché una simbolica adesione ai principi della natura ristabilisce le regole violate; esattamente come le streghe hanno previsto, la foresta di Birnam avanza contro il re, per sconfiggerlo. Coperti da frasche, gli uomini di Macduff si spingono fino al castello di Macbeth, occultando l'entità numerica del loro contingente e cogliendo di sorpresa il nemico. L'antinomia sociale rappresentata dalla coppia castello/foresta si risolve finalmente con la disfatta degli oppressori.

  • L'azione giunge a compimento proprio quando Macduff, figlio di Duncan, rientra sulla scena (atto V), recando la testa mozzata del sanguinario sovrano.
    Peraltro, in questa tragedia, che molti critici considerano il capolavoro di Shakespeare, la caratterizzazione negativa del protagonista è enfatizzata dalle sue azioni criminose, che implicano una ineluttabile ed evidente condanna morale.

  • Tuttavia, allorché il personaggio riflette sulla condizione umana, le sue battute eccedono, per così dire, dalla cornice testuale e assumono una ipotetica validità universale, suscitando nel ricevente, lettore o spettatore, una corrente di forte empatia, non priva di connotazioni ambigue. 

  • "La vita è solo un'ombra che cammina, un povero commediante che si pavoneggia e si dimena per un'ora sulla scena e poi cade nell'oblio: la storia raccontata da un idiota, piena di frastuono e di foga, e che non significa nulla" (Atto V, scena 5^). Citando ancora una volta San Paolo, queste parole risultano essere taglienti come una spada perché hanno, sul piano psicologico, la medesima valenza del delitto: possono uccidere la mente, mettendo in dubbio il senso ultimo della vita stessa.