"È
colpa della luna, quando più si avvicina alla terra, rende gli uomini folli" (Shakespeare,
Otello, atto 5°, scena II).
Il dramma Salomè, scritto
nel febbraio 1893 in lingua francese da Oscar Wilde, per Sarah Bernhardt,
elabora costanti riferimenti alle simbologie lunari dei miti orientali, alla
scoperta degli inquietanti aspetti dell'identità femminile in grado anch'essi di
rendere folli, come la luna shakespeariana.
Molteplici sono le fonti sacre,
storiche o letterarie in base alle quali Wilde ha potuto esplorare la partitura
narrativa della vicenda prescelta: i Vangeli di Matteo (14,1) e di Marco
(6,12), le Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio, Atta Troll di
H. Heine, oppure Hérodias di G. Flaubert. Tuttavia la fonte principale
per redigere il dramma Oscar Wilde l'ha dovuta risvegliare a partire dalle
proprie componenti psichiche: non è certo incidentale il fatto che Aubrey
Beardsley, l'illustratore della edizione inglese della Salomè, in alcune tavole,
abbia effigiato Erodiade e la figlia con le sembianze dello stesso Wilde.
L'intreccio testuale è semplice ed ambientato in uno spazio scenico
essenziale: "un'ampia terrazza nel palazzo d'Erode si apre verso la sala dei
banchetti; alcuni soldati sono appoggiati alla balaustra; sulla destra una
imponente scalinata; sullo sfondo una antica cisterna circondata da una parete
di bronzo verde; la luna splende particolarmente luminosa".
Fin dalle prime
battute scambiate tra il Giovane Siriaco e il Paggio di Erodiade s'ingenera un
ambiguo parallelismo che mette a confronto la fascinosa bellezza di Salomè e
l'ammaliante parvenza lunare e al contempo sottolinea il pericolo insito nella
contemplazione di entrambe per quanti soggiacciono all'amoroso
incantamento.
Peraltro le similitudini che precisano le sembianze lunari non
sono mai univoche, ma mutano a seconda di chi guarda: ora è "una donna che si
leva su dalla tomba" (Paggio), oppure "assomiglia a una monetina" (Salomè) o ha
la faccia "di una demente" (Erode); soltanto Erodiade può affermare che "la luna
assomiglia solo alla luna", ma d'altra parte ella è ben consapevole dei rischi
di pazzia associati alla contemplazione dei suoi raggi, perciò li
rifugge. Colori e trasparenze seleniche sono altresì evocate nelle immagini
che ritraggono Salomè: "Come è pallida la principessa! Mai l'ho veduta così
pallida. Sembra il riflesso di una rosa bianca in uno specchio d'argento"
(Giovane Siriaco).
Ma il simbolismo satellitare, riflettore della luce
solare, si riverbera a propria volta in tutti gli esseri umani gravitanti nella
sua orbita. Per questo la stessa Salomè, innamoratasi di Johanaan, il profeta
che condanna l'adultero connubio di Erodiade con il tetrarca Erode, esclama:
"certamente è casto come la luna". La principessa ha riconosciuto a prima vista
le magiche valenze di quella verginità difesa da Artemide che nel mito greco ha
esiti inequivocabilmente mortali. Gli sguardi proibiti sono altrettanti nunzi di
morte: si suicida il Giovane Siriaco che troppo ha ammirato la principessa ed
ella esegue a piedi nudi, proprio sul suo sangue, una danza fatale. Otterrà come
ricompensa la testa di Johanaan per poterne invano baciare la castità
lunare.
Oscar Wilde fornisce una traccia per interpretare il dramma, quando
rivela che Salomè è "una Santa Teresa che venera la luna". In quest'ottica è
dunque possibile supporre una rivisitazione di miti isiaci assai diffusi
nell'ambito culturale semitico e connessi a forme di potere femminile a
carattere iniziatico. E che la posta in gioco sia il potere è possibile
verificarlo, allorché una donna, ovvero Erodiade, è in grado di servirsi della
figlia per costringere il tetrarca, suo malgrado, a giustiziare uno scomodo
antagonista nonché l'implacabile accusatore della lascivia della
regina.
Rimane in ogni caso misterioso il rapporto che lega, per
rispecchiamento, la figura lunare di Salomè ad Oscar Wilde: l'immaginazione
poetica dell'artista ha forse illuminato e guidato una sensibilità troppo
fragile lungo un pericoloso nonché seducente percorso di conoscenza.