Rinaldo
nel giardino di Armida
Un
paradiso pagano fatto apposta per turbare il mondo dell'autocoscienza
Se
Rinaldo è un personaggio famoso dell'epica medievale francese, le cui avventure
sono riprese e ampliate da Pulci, Boiardo e Ariosto, Armida rappresenta invece
una invenzione poetica di Torquato Tasso, che dapprima affascina e in
conclusione commuove. Dell'avvenente maga pagana l'autore si serve infatti
abilmente per giustificare una passione sensuale del cristianissimo capostipite
degli Estensi, che risulta essere appieno scusabile, in quanto si pone in una
condizione di follia amorosa determinatasi ad opera di diaboliche arti magiche.
Rinaldo, già liberatore di molti compagni sedotti dall'incantatrice, non può,
a sua volta, sottrarsi dall'ammaliante corteggiamento di Armida, che lo tiene
imprigionato tra le delizie del suo palazzo e le piacevolezze del suo giardino,
nelle isole Fortunate.
Di
certo ispirandosi all'illustre precedente dell'orto di delizie di Alcinoo (Odissea,
libro VII), il canto XVI della Gerusalemme
Liberata sviluppa pertanto uno dei topoi
più ricorrenti della cultura classica, quello del locus
amoenus. L'incantesimo del luogo
è tuttavia tradito dalle labirintiche strutture delle sue logge, che fanno di
esso un vero e proprio hortus conclusus
e rendono ingannevole ogni percorso. Peraltro il giardino sembra essere un
artificio meraviglioso che la natura ha prodotto, "scherzando", ad
imitazione dell'arte: Tasso ribadisce dunque, con dicitura rovesciata, una delle
nozioni fondamentali dell'estetica antica che contemplava un'arte ad imitazione
della natura.
Il
rigoglio delle piante si traduce in un proliferare di percezioni visive e
uditive che risultano ampliate per effetto delle insistite allitterazioni e
delle ripetizioni (ottava 11 e 12), mentre l'uso del chiasmo (tronco istesso /
istessa foglia; torta vite / orto aprico) pare alludere veramente ad una
dimensione ambientale in cui l'uomo fruisce di uno spazio arredato da elementi
vegetali, per celebrare soprattutto l'immagine di sé, secondo il criterio più
tipico del giardino cinquecentesco.
Il
mondo fatato di Armida si arricchisce peraltro di un tratto esotico: il
pappagallo parlante (ottave 13 e 14) che rievoca il tema catulliano della
"vergine rosa", il fiore bellissimo eppure minato dalla prefigurazione
della caducità (cfr. carme LXII), non senza l'insinuazione di una vena
malinconica, anticipatrice del travagliato sentimento del quale sarà vittima la
stessa maga.
E
infatti Armida possiede tutti i caratteri pertinenti allo statuto della
incantatrice: come l'omerica ninfa Calipso trattiene il proprio amante su
un'isola di beatitudini.
La
sua caratterizzazione antropologica e psichica è inoltre tracciata per
emulazione dell'abito comportamentale di Circe: splendida maliarda e narcisista
che agghinda la propria immagine rimirandosi in un cristallo "lucido e
netto" (ottava 20). L'autoreferenzialità di Armida, dapprima innamorata
solo di se stessa, necessita tuttavia di un rispecchiamento nell'essere che ella
è riuscita a soggiogare, ovvero Rinaldo, e ciò la pone inesorabilmente in una
condizione di fragilità: Rinaldo rappresenta una sorta di immagine speculare
del fascino muliebre, a conferma del potere amoroso esercitato sull'uomo, ma al
contempo diventa indispensabile per il mantenimento della identità della
seduttrice.
In
base a tali premesse si compie l'iter di trasformazione del personaggio: ella
subisce una evoluzione incontrollabile che la fa recedere dal proprio ruolo di
esperta manipolatrice di diaboliche arti magiche e la avvicina gradatamente
all'universo degli affetti e dei sentimenti.
Tasso
ha pertanto immaginato Armida attribuendole le valenze dell'eroina classica in
una sequenza di tappe obbligate: ammaliatrice, sedotta e abbandonata, al pari di
Medea, Arianna e Didone. Un confronto intertestuale tra le Argonautiche
(IV, 355-390) di Apollonio Rodio, il carme
64 (vv.132-201) di Catullo e l'Eneide
(IV, vv.362-392) di Virgilio consente infatti di esplorare nel segno della
tradizione i nuclei tematici più rilevanti che sostanziano i progressivi
comportamenti del personaggio tassiano e si estrinsecano in implorazioni,
promesse, pianti e maledizioni.
In
particolare le ottave 56-60 del canto XVI della Gerusalemme
Liberata interpretano e spesso traducono le medesime espressioni che
valgono a qualificare anche i comportamenti della disperata Didone: entrambe le
eroine assumono sguardo minaccioso ("torva riguarda" / "aversa
tuetur"); rimproverano l'amante di avere un animo crudele e addirittura
ferino ("e le mamme allattar di tigre ircana" / "Hyrcanaeque
admorunt ubera tigres"); sottolineano l'insensibilità dell'amato davanti
al loro dolore ("Forse al mio duolo bagnò almen gli occhi o sparse un
sospir solo?" / "Num fletu ingemuit nostro?"); maledicono
("Nova furia, co' serpi e con la face tanto t'agiterò quanto t'amai"
/ "Sequar atris ignibus"); infine svengono.
Le
vicende delle due eroine differiscono tuttavia nell'epilogo: tragico per Didone
e di salvezza per Armida, il cui tentato suicidio è sventato dallo stesso uomo
amato che riesce persino a convertirla al cristianesimo e che può dunque
salvarla in senso totale. Al contrario di Giasone e di Teseo, amanti fedifraghi,
e dello stesso Enea, Rinaldo è perciò in grado di dare una svolta positiva al
legame interpersonale, anche quando la passione dei sensi è totalmente svanita.
Infatti, a differenza di quanto è accaduto alla maga, la parentesi edonistica vissuta da Rinaldo nelle isole Fortunate si è connotata unicamente nel segno di una voluttà vissuta a prescindere dai sentimenti amorosi. L'eroe è stato sottoposto ad una prova che gli consente di operare un salto di qualità sul piano psicologico: il giardino rappresenta un paradiso pagano caratterizzato da piaceri carnali, ma questi piaceri distolgono Rinaldo dalla propria missione, dai doveri e persino dalla propria identità.
Soltanto
agendo in ossequio ai dettami della virtù, che si oppone drasticamente al
piacere, egli può riaffacciarsi alla dimensione dell'autocoscienza, riscoprendo
una identità di uomo guidato dalla fede e dal coraggio. In tale senso Rinaldo
non è soltanto l'eroe che agisce
nella cornice di un testo epico, ma simboleggia appieno la realtà profonda di
ogni individuo, divenuto consapevole degli
obblighi connessi allo statuto di essere umano, impegnato ad agire in nome
dell'impegno, del rispetto e della responsabilità, per sé e soprattutto per
gli altri.