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Via alla pagina principale Sesta Giornata, Novella nona

Zavattari, Corteo di cavalieri, particolare degli affreschi nella Cappella di Teodolinda, Duomo, Monza
La novella è introdotta con la tipica rubrica, che sintetizza trama e tema, svolgendo la funzione di prolessi. Non toglie comunque la tensione narrativa, in quanto non è il finale a costituire l’interesse prevalente del lettore, che intende piuttosto conoscere il motto col quale Cavalcanti dimostra di saper gestire le situazioni fortuite, accogliendo in modo creativo le sfide del Fato. Inoltre, nella rubrica, si riscontra anche un’espressione ossimorica, “onestamente villania”, che incuriosisce, con un pizzico di bizzarria, il lettore. A raccontare la novella è Elissa, regina della giornata VI. Ella narra seguendo l’ordine cronologico, facendo coincidere fabula e intreccio: inizia col descrivere le abitudini cittadine, donando ai fatti un’ambientazione non solo fisica ma anche sociale; in questo ritratto urbano, il tempo della storia è fermo, mentre procede lentamente quello del racconto.

Ella presenta poi i personaggi, riuscendo a dare loro caratteristiche umane e psicologiche che una biografia farebbe fatica a trasmettere; racconta infine la vicenda, ricorrendo, per avere maggiore efficacia espressiva, a battute di dialogo. Questa tecnica (scena) mette a confronto diretto provocazione e risposta, creando il clima tipico del contrasto. Questo diverbio innesca l’autocritica di Betto, il quale, comprendendo l’errore e la forza della parola cavalcantiana, riflette sull’importanza della scienza e della cultura.

Nella reazione verbale e gestuale di Guido, alcuni critici hanno riconosciuto un rito di passaggio dalla cultura medievale (periodo buio rappresentato dalle allegre compagnie) a quella rinascimentale che si incarna, invece, in Cavalcanti.
Il salto fisico sarebbe quindi riconducibile anche a un balzo temporale, una vera e propria fuga dalla morte spirituale. (Giulia Giacometti)