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Via alla pagina principale Sesta Giornata, Novella nona

Tutta la novella si svolge a Firenze, in uno spazio decisamente realistico e riscontrabile nelle fonti storiche riguardanti l’antica topografia fiorentina.

Vengono addirittura menzionate strade, chiese e monumenti come, ad esempio, Orto San Michele, chiesa vicino alla quale abitavano i Cavalcanti; Corso degli  Adimari, odierna via Calzaiuoli; il Battistero di San Giovanni, la chiesa di Santa Reparata, oggi chiamata Santa Maria del Fiore, le colonne di porfido e soprattutto le arche.

Il poeta Guido Cavalcanti tra le arche a S. Giovanni

Questi monumentali sarcofagi in pietra, che facevano realmente parte del sepolcreto medievale situato tra Santa Reparata e il Battistero, sono un chiaro richiamo della scenografia del cerchio VI dell’Inferno dantesco. In questo cerchio Dante colloca gli eretici, tra i quali spicca Cavalcante Cavalcanti, condannati per l’eternità a vivere in arche roventi. Proprio questo funereo sfondo è la chiave del motto cavalcantiano: la brigata e tutti coloro che consumano il loro tempo in piaceri frivoli, sono uomini già morti nello spirito, benché ancora in vita col corpo; il poeta, invece, rappresenta il ragionamento vivo, la filosofia.

Questo concetto di morte vivente non è nuovo, ma per trovarne le origini, ci imbattiamo per l’ennesima volta nell’Inferno di Dante: ora però nel canto III, quando il poeta definisce gli ignavi “Questi sciagurati che mai furon vivi” (v.64).

Notevole è il valore che lo spazio occupa in questa novella, la cui accurata descrizione offre uno spaccato di vita fiorentina, facendoci immaginare la vivacità delle strade, la ricchezza degli abitanti e la loro voglia di stare insieme, per dedicarsi a piaceri vani.

Cavalcanti vuole distinguersi da coloro che Boccaccio definisce “uomini idioti e non letterati”, per questo necessita di una solitudine che l'autore comprende: infatti egli lo stima uno degli “uomini scienziati”. (Giulia Giacometti)