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Via alla pagina principale Sesta Giornata, Novella decima

Boccaccio compone “il Decameron” nel periodo in cui è costretto a tornare a Firenze, reduce dal fallimento della banca del padre. Qui ha modo di inserirsi nella cultura toscana e diventa popolare per il suo spiccato ingegno e senso dell’umorismo. È un periodo di crisi per la civiltà medievale italiana che vede il diffondersi della peste. Alla organizzazione comunale subentra quella signorile e si rivela l’instabilità della società mercantile. Boccaccio fugge metaforicamente dalla peste e dalla morte del Medioevo e si dedica al compimento del suo capolavoro, “il Decamerone”, un calco fedele della società in cui vive, ambientato appunto negli anni di diffusione della peste.

Per quanto riguarda i temi e lo stile è considerato il primo scrittore “realista” della nostra letteratura, e la sua opera principale, composta da cento novelle, è la narrazione dell’intera vita, senza esclusioni. L’autore si allontana da ogni antica norma religiosa e illustra concretamente l’umanità nelle sue varie forme. Egli non si propone una finalità morale, didattica o dimostrativa, a differenza del poema di Dante e di ciò che avveniva nella tipica tradizione narrativa dell’epoca.

L’oggetto principale delle novelle del “Decameron” è l’uomo, che, nel corso dell’esistenza, affronta situazioni imprevedibili e deve utilizzare la sua astuzia, dimostrando di sapersela cavare in  ogni occasione. I personaggi del Decameron divengono gli artefici della propria vita, responsabili solo di fronte a se stessi, non più verso Dio. Loro guida sono l’intelligenza, l’ingegno, la capacità di reagire in tutte le più impensabili circostanze. È questo il caso di frate Cipolla, uomo di chiesa, dotato di molta astuzia e sempre pronto a trovare un escamotage, una soluzione che lo aiuti quando è in difficoltà. Cipolla sa essere anche molto sfacciato ed è forse un personaggio simpatico allo stesso Boccaccio, il quale, figlio d’un mercante, valorizza queste qualità, atte ad agire non secondo regole moralistiche, ma per comodità ed utilità.

Nel Medioevo è ancora diffusa una mentalità molto superstiziosa. Nella novella è riscontrabile infatti lo stereotipo del provincialotto ingenuo, molto legato alla religione, che, a causa della sua ottusità, non riesce ad accorgersi della beffa di fra Cipolla, nonostante essa sia evidente.

Durante tutto il corso della novella, Boccaccio fa riferimenti e paragoni con i grandi signori di città. Egli menziona spesso persone realmente esistite e dunque non inventa nomi inesistenti, soprattutto se la vicenda si svolge a Certaldo, sua città natale. La novella dedicata a frate Cipolla contiene infatti diversi dati comprovabili, dal punto di vista storico. Un paio di volte è nominato Sant’Antonio abate, eremita egiziano, i cui seguaci, nel '300, avevano fama di impostori e divulgatori di false reliquie. Contro la confraternita intervenne più volte anche la curia romana: fu condannata da Gregorio IX. Davanti al nome del santo è posto l’appellativo “barone”, secondo la venerazione del tempo. Tratto iconografico che rende distinguibile Sant’Antonio è l’effigie del maiale, simbolo delle tentazioni del demonio. L’immagine, successivamente, divenne il segno di protezione accordata agli animali domestici. Lippo Topo, citato dallo stsso frate, è un personaggio proverbiale, mentre di Guccio Imbratta esiste una memoria risalente al 1305. Sono anche ricordati illustri personaggi, quali Salomone, il saggio re degli Ebrei, il filosofo greco Aristotele e quello romano Seneca. Vi è pure un riferimento ai Baronci, la famiglia più brutta di Firenze, di cui Boccaccio stesso ci racconta altre avventure, nella sesta novella della sesta giornata.

Pisanello, Apparizione della Madonna ai Santi Antonio Abate e Giorgio, National Gallery, Londra

 

Dunque Boccaccio celebra la sobrietà e la semplicità antica e giudica i propri tempi corrotti e guastati dal lusso, sempre più perseguito a causa del fervere delle attività commerciali. In molti passi del Decamerone, l’autore esalta il lavoro del mercante, ma in questa novella non manca di sottolinearne anche le implicazioni negative.

Quella di frate Cipolla è una delle più festose e divertenti novelle del Decamerone, il cui protagonista è appunto un frate che burla in modo divertente gli ingenui paesani di Certaldo. Due giovani tentano di metterlo in difficoltà, organizzando uno scherzo; ma questo non lo scompone, anzi lo spinge a cercare stratagemmi imprevedibili.

È importante osservare come Boccaccio si soffermi in descrizioni fisiche del personaggio, utilizzate da lui solo quando i tratti somatici riprendono alcuni aspetti del carattere.

Con questa novella Boccaccio, oltre a far divertire il lettore, elogia qualità come arguzia e intelligenza che aiutano a non trovarsi in difficoltà nelle vita e a non rimanere bloccati al primo inconveniente. (Francesca Rappocciolo)

Nella novella sono presenti vari stereotipi popolari, a cui Boccaccio dà voce. Ad esempio: avere i capelli rossi era indice di malignità; essere paragonati alla famiglia fiorentina dei Baronci voleva dire essere brutti; essere popolani significava essere di una “rozza onestà” ovvero ignoranti ma più onesti degli altri proprio a motivo della rozzezza. È  presente poi lo stereotipo del pellegrino, protagonista anche del capolavoro di Choucer. Boccaccio presenta anche un  culto pagano quale benedire gli animali di campagna, rito che sopravvive anche oggi. L’abilità dell'autore sta poi nel fondere l’esistenza di personaggi inventati con la biografia, seppur accennata, di persone vissute realmente. La novella è comica ma nello stesso momento fa riflettere, perché ci fa capire che al mondo c’è gente che, per interesse personale, cerca sempre di prevalere e approfittare di persone oneste e spesso ingenue. Una tematica importante del testo verte sull’arte della parola: si può rigirare a proprio favore un problema con l’uso delle parole  e del senso implicito. Altro insegnamento fondamentale è capire che la cultura è un valore prezioso: è bene possederla e saperla usare correttamente. (Giorgia Grandi)