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Sesta Giornata, Novella decima
La novella di frate Cipolla, narrata da Dioneo, è la decima della sesta giornata. Il Decamerone di Boccaccio è strutturato in un modo tale che ad ogni giornata corrisponda una tematica principale sulla quale sono incentrati tutti i racconti dei dieci giovani. Una volta a testa ogni ragazzo diventa re o regina di una delle dieci giornate e sceglie l’argomento da affrontare. Elissa, il cui nome ricorda l’amore infelice, è la regina della sesta giornata, le cui novelle si basano su motti di spirito e risposte pronte e acute. Le novelle di questa giornata sono molto brevi, tale brevità è dovuta alla necessità di catalizzare il focus narrativo in una battuta conclusiva tipica del motto, il cui nucleo è appunto la parola e la risposta astuta.
Rispetto alle altre della medesima giornata, la novella di frate Cipolla è più lunga e articolata. Per questo motivo si differenzia dalle altre, anche se può comunque essere considerata una novella di motto espanso (secondo la definizione di Alberto Asor Rosa), in cui le battute argute e l’astuzia sono costantemente presenti lungo tutto lo sviluppo della vicenda.
Il personaggio principale della novella è appunto frate Cipolla, ben delineato nelle sue caratteristiche fisiche e nei tratti peculiari del suo carattere. Egli è descritto come un uomo basso, “di pelo rosso e lieto nel viso”. Nella credenza popolare medioevale, il colore rosso dei capelli denota malignità ed astuzia volta ad ingannare i più ingenui. A questa caratteristica del frate si contrappone quella di un volto che esprime allegria e giocosità. È un frate socievole, sempre di compagnia, che ama divertirsi con gli amici. Pur non avendo cultura, si mostra molto abile nell’arte della retorica e, sentendo le sue orazione, chiunque non l’avrebbe semplicemente stimato, “ma avrebbe detto esser Tullio medesimo o forse Quintiliano”, i quali nel Medioevo rappresentavano i personaggi più importanti in ambito retorico. Inoltre tutti gli abitanti di Certaldo lo stimano ed è amico o buon conoscente di quasi tutti i suoi compaesani. È un personaggio visto con simpatia dal narratore che se ne serve per far divertire il lettore. Cipolla è di per sé una persona semplice ed istintiva, la cui caratteristica principale è quella di utilizzare diversi espedienti quando è in difficoltà e di non farsi mai cogliere impreparato dalle situazioni. Riesce sempre a cavarsela soprattutto grazie alla sua abilità istrionesca; senza scomporsi,affronta ogni circostanza inventando anche trovate linguistiche e servendosi della retorica, grazie alla quale “inganna” e incanta la folla ingenua. Le sue parole acquistano credibilità agli occhi del popolino in quanto pronunciate da un uomo di chiesa, poiché l’uomo medievale è molto legato alla religione.
Frate Cipolla ha un assistente di nome Guccio Imbratta, a cui sono attribuiti anche altri appellativi come Guccio Balena e Guccio Porco. Probabilmente si tratta di un uomo di corporatura abbastanza imponente e sempre molto sporco. Anche caratterialmente questo personaggio è presentato come “cattivo” nel senso di vizioso e pieno do difetti. Egli non è apprezzato neppure da frate Cipolla che gli attribuisce nove qualità negativa a tal punto che se anche soltanto una di queste fosse appartenuta a famosi personaggi come Salomone, Aristotele o Seneca, sarebbe stata in grado di annullarne le qualità positive tra cui saggezza, ragione e moralità. Il personaggio di Guccio è presentato inizialmente secondo due frasi consecutive volte ad evidenziarne la negatività: “era tanto cattivo, che egli non è vero che mai Lippo Topo ne facesse alcun cotanto[…]“.
-Il fante mio ha in sé nove cose tali che, se qualunque e l’una fosse in Salomone o in Aristotile o in Seneca, avrebbe forza di guastare ogni lor vertù…-“ (BOCCACCIO, Decamerone ). La prima delle due consecutive ammette due interpretazioni; secondo alcuni commentatori significa che neanche Lippo Topo ne combinasse di altrettanto grosse; secondo altri, che identificano Lippo Topo in un pittore di scarso talento, la frase indica che Lippo Topo non ritrasse mai un uomo dappoco come Guccio.
Successivamente l’assistente di frate Cipolla è descritto da quest’ultimo con un elenco di nove aggettivi posti in rima a tre alla volta( “ -… egli è tardo, sugliardo e bugiardo;negligente, disubbidiente e maldicente; trascutato, smemorato e scostumato;…-“).
Frate Cipolla nel parlare di Guccio lo deride e ne ridicolizza anche i propositi di prendere moglie e le sue convinzioni di essere bello. Il frate, indirettamente, subito dopo aver spiegato che l’assistente lo aiuta molto, gli attribuisce il difetto di essere invadente e lo fa in modo scherzoso, dicendo che lo aiuta a tal punto da rispondere persino al suo posto, per paura che il frate non ne sia capace da solo.
La figura di Guccio rappresenta lo stereotipo dell’uomo vizioso e sciocco che si lascia dare ordini dalle persone meno ingenue di lui, e utilizza la parola a scopi sicuramente meno astuti rispetto a quelli di frate Cipolla. Vi è infatti un parallelismo tra questi due personaggi, l’uno ( frate Cipolla) più astuto che inventa storie e si serve della parola per sbalordire il popolo, utilizzando un linguaggio sicuramente più alto rispetto a Guccio Imbratta, il cui scopo è quello di sedurre la cuoca Nuta che ha caratteristiche molto simili alle sue; è unta, grassa e brutta come Guccio. Questa donna, a cui Guccio affettuosamente propone una liberazione dalla prigionia di stare al servizio degli altri, è descritta in modo forse più ammirevole di Guccio e frate Cipolla stesso: essa rappresenta il tipico stereotipo della fantesca e il suo ritratto è speculare a quello di Guccio Imbratta. Ogni parola della sua presentazione ha qualcosa di ripugnante. Nuta è contraddistinta persino da “un viso che parea de’ Baronci” i quali erano la famiglia più brutta di Firenze. Intorno a Nuta si sviluppa l’immagine di una cucina talmente ricca di particolari, da ricreare un ambiente molto espressivo e grottesco. A completare il quadro dei personaggi, vi sono i due giovani astuti che architettano lo scherzo ai danni di frate Cipolla e il popolo di Certaldo disposto ad ascoltare e a credere alle parole del religioso, lasciandosi prender in giro e pagandone poi di persona le conseguenze. (Francesca Rappocciolo)