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La novella è ambientata nel clima di una cultura prettamente cortese. Questo lo capiamo da diversi aspetti, innanzitutto il lessico che, fin dalle prime righe, è molto elevato; troviamo infatti espressioni come “cuori gentili” o “giuderdoni". La sintassi raffinata prevale in tutto il racconto, sia nel dialogo dei due personaggi principali, sia nei discorsi del narratore. Poi lo comprendiamo dagli atteggiamenti dei personaggi che riflettono le scelte tipiche di chi aderisce a questa visione di vita: infatti le regole di un amore cortese (codificate nel “De amore” di Cappellano) sembrano essere costantemente rispettate. Il protagonista sperpera in modo incondizionato il proprio danaro, pur di omaggiare l'essere amato.  Peraltro l’amore di Federigo per Monna Giovanna è basato su una conoscenza prevalentemente visiva; si tratta soprattutto di un amore visto come espressione della gentilezza d'animo. Tuttavia, nella conclusione della novella, a tale visione dell’amore si accosta la moderna prospettiva del vincolo coniugale: il matrimonio visto anche come una specie di patto, più che come un esclusivo atto d’amore, volto al consolidamento dei rapporti mondani e all’oculata amministrazione del denaro. Quest'ultima è una prospettiva che ci fa anche comprendere il punto di vista dei contemporanei di Boccaccio a riguardo delle relazioni interpersonali.

Un altro punto su cui poter riflettere, potrebbe essere l’impoverimento della vecchia nobiltà che, costretta a mantenere un alto tenore di vita per perseguire i propri scopi (in questo caso il tentativo di conquistare la dama), finisce per rovinarsi economicamente.

Inoltre sono rilevabili le grandi contraddizioni di questo ceto che, dimostrando eccesso di cortesia, rischia di andare alla deriva. Infatti il falcone, che è l’unico simbolo della vita passata, dedita alla caccia e al lusso, viene sacrificato. Ed è inoltre paradossale che, per onorare la dama, Federigo non riesca ad esaudire il suo desiderio.

In scena possiamo distinguere due comportamenti diversi: l’eccessiva liberalità che porta allo spreco dei beni da parte di Federigo, rappresentante della classe nobiliare, e l’accorta amministrazione patrimoniale della donna, appartenente alla borghesia.

Particolare dal ciclo di affreschi nella torre dell'Aquila del Castello del Buonconsiglio (XV sec.), Trento

Per quest’ultima il denaro ed il suo mantenimento è molto importante, mentre per il primo è secondario. Nei riguardi di questi due modi di vita il narratore non rimarca una preferenza; li apprezza entrambi: l’eccessiva cortesia dell’uno e lo spirito economico dell’altra. Questo è riscontrabile nella conclusione, poiché si effettua una scelta coerente, fondendo le diverse concezioni: Federigo mantiene i suoi valori, diventando però un ottimo massaio.

In un certo senso, Boccaccio crea una specie di nuova classe ideale, nella cui civiltà si fondano gli antichi e i nuovi ideali, essa è dunque basata su una giusta amministrazione dei beni, sul rispetto degli altri esseri umani, sul controllo delle passioni e sulla raffinatezza comportamentale.

Un altro tema qui presente, molto ricorrente in tutto il Decamerone, è quello della Fortuna, non vista come in Dante quale  ministra di Dio e dunque identificabile nella Provvidenza, ma proprio come caso fortuito. Distinguiamo peraltro il tipico conflitto fra la sorte avversa e l'ingegno. Quest’ultimo sembra, nel contesto di questa novella, avere la meglio, infatti, grazie all’intelligenza di Monna Giovanna, i due protagonisti riescono a sopravvivere, nonostante le disgrazie loro capitate, traendo addirittura positivo insegnamento. (Debora Pessarelli)

Miniatura dal codice, De arte venandi cum avibus,  Biblioteca Apostolica Città del Vaticano