197. L'ultimo paradosso. Tutto quanto abbiamo detto finora, si potrebbe dire, forse piu' semplicemente, anche in questo modo. L'"ultimo paradosso" e' che uno sa tutto quello che gli serve per vivere nel momento in cui ha gia' vissuto: la mia esperienza si compie dunque sul gia' fatto; per cio' che devo fare, esperienza ancora non ce n'e'; quando ce ne sara', non ci sara' piu' da fare. Il momento, in cui l'esperienza si concentra e si sa "tutto" quanto c'e' da sapere, e nulla resta piu' da conoscere, perche' tutto si e' gia' conosciuto, e' anche quello in cui si smette di vivere: per il buon motivo che, se ci fosse ancora da vivere, il sapere che abbiamo acquisito non ci basterebbe, ce ne vorrebbe dell'altro, e in nessun caso e a nessuna condizione potremmo prevedere quanto, e dunque saremmo indifesi di fronte alla vita come se non ne avessimo alcuno. La morte quindi coincide dunque con il momento di massima esperienza dell'uomo, perche' dopo di essa - come e' persino ovvio, banale - non potra' essercene altra. Ma questo momento di massima esperienza arriva esattamente quando non c'e' piu' modo di valersene: allora sappiamo tutto quanto c'era da imparare, ma questa facolta' ci e' data unicamente perche' allora non c'e' piu' nulla da imparare. La rappresentazione e' finita: di fronte a noi la vicenda e' completa in tutti i suoi particolari; potremmo ripercorrerla correggendo gli errori commessi, perfezionando la recitazione, migliorando i timbri e i colori. Ma cio' accade perche' abbiamo visto tutta la vicenda dall'inizio alla fine, e qui, ora, siamo in grado di ripercorrerla e di valutarla. Quando il rullo si ferma, tutto e' chiaro. Ma quando il rullo si ferma, l'assoluta chiarezza coincide con l'assoluta oscurita' (variante possibile: l'assoluta oscurita' coincide con l'assoluta chiarezza). Sappiamo tutto (tutto naturalmente, quanto ci e' dato sapere): non possiamo niente. Asor Rosa, "L'ultimo paradosso" - Einaudi