Mathesis
Società italiana di Scienze Matematiche e Fisiche
Sezione di CATANIA
IL CONTINUO MATEMATICO (I Parte)

 
E' riportato qui il testo della conferenza tenuta nella Biblioteca Filosofica di Palermo e pubblicata nella rivista Logos, Rivista Internazionale di Filosofia, fasc. II, 1914
 

Che cos'è il continuo matematico? quale ne è la genesi? quale la sua utilità pratica? in che rapporto sta col continuo fisico? Ecco le questioni alle quali procurerò di rispondere brevemente e come meglio me lo permetteranno, oltre che le mie forze, le difficoltà e la grande astrattezza del tema.

 
Tutti conoscono i numeri interi e le frazioni, in una parola: i numeri razionali. Essi costituiscono un insieme denso e numerabile: denso in quanto tra due numeri razionali qualunque cadono quanti si vogliono numeri razionali; numerabile in quanto a ciascun numero razionale si può fare corrispondere un sol numero della successione naturale 1, 2, 3..., che ne indichi p. es. il posto in un certo ordinamento. Vediamo questa possibilità, limitandoci ai razionali assoluti, che supporremo ridotti ai minimi termini. Dato, allora, un razionale a/b noi potremo caratterizzarlo dalla somma a+b dei suoi termini, e scriver prima, nel nostro ordinamento, quelli che corrispondono a una somma a+b più piccola, mentre due razionali corrispondenti alla stessa somma a+b li disporremo nell'ordine naturale di grandezza. Si intende che avremo l'avvertenza di non riscrivere eventualmente i numeri già scritti. Con questo semplicissimo criterio i numeri razionali vengono ordinati così:

0/1, 1/1, 1/2, 2/1, 1/3, 3/1, 1/4, 2/3, 3/2, 4/1, ...

E ognuno può continuare senza tema di ambiguità: ogni razionale avrà un ben determinato posto, vale a dire che c'è il 1°, il 2°, il 3°, ecc. Si dice allora che tra i numeri razionali e i numeri interi si è posta una corrispondenza biunivoca; e appunto in questo senso l'insieme dei numeri razionali e quello dei numeri interi si dicono, secondo Cantor, equivalenti o di egual potenza.

Mi si permetta di fermarmi un momento sul concetto di equivalenza tra insiemi infiniti, giacché esso ha sollevato e continua a sollevare tra i filosofi difficoltà e obiezioni d'ogni specie. Anzitutto, affinché io possa dichiarare che due insiemi infiniti sono equivalenti, basta che in un modo purchessia (e del resto se c'è un modo, ce ne sono infiniti) sia riuscito a stabilire una corrispondenza biunivoca tra gli elementi dell'uno e quelli dell'altro: poco importando se tra i due insiemi si possano anco stabilire di corrispondenze non biunivoche.

Nell'esempio precedente, io posso allineare come segue le due successioni

(I) 0/1, 1/1, 1/2, 2/1, 1/3, 3/1, 1/4, 2/3, 3/2, 4/1, ...

(II) 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10

associando nella mia mente due numeri, che si corrispondono in colonna; e so inoltre che posso prolungare le due successioni quanto voglio, con legge certa e determinata. Dire allora, che i due insiemi (I) e (II) sono equivalenti non significa altro che quanto ora ho detto: né più né meno.

Citiamo un altro esempio divenuto comunissimo: voglio dire che l'insieme dei numeri naturali è equivalente all'insieme dei numeri pari.

Con ciò non s'intende dire altro se non che al numero 1 si può associare il numero 2, al 2 il 4, al 3 il 6; in generale al numero n, il numero 2n.

Il che non toglie che tra gli stessi insiemi (1, 2, 3 . . .) e (2, 4, 6 . . .) si possano anco stabilire corrispondenze non biunivoche, come mostra il seguente schema

1,2 ; 3,4 ; ... ; 2n- 1,2n ; ....

2 ; 4 ; ... ; 2n ;. ....

o quest'altro

1 ; 2 ; ... ; n ; ....

2,4 6,8 ... ; 4n- 2,4n; ....

Ma da ciò qualcheduno, fraintendendo stranamente il pensiero di Cantor, ha concluso che tra i due insiemi (1, 2, 3, ...) e (2, 4, 6, ..) non è corrispondenza biunivoca, e quindi essi non sono equivalenti! Si pretenderebbe insomma che tra due insiemi non si potessero stabilire che corrispondenze biunivoche, per dichiararli equivalenti, come avviene per gli insiemi finiti; cosicché un insieme transfinito (limitandoci almeno a quelli contenenti una parte infinita numerabile), non sarebbe equivalente neppure a se stesso! Non reca maraviglia, se a questo modo si riesca a coglier Cantor in contraddizione e si arrivi fino a chiamare un assurdo logico il teorema di Bernstein!! Nulla di più semplice di questo teorema. Si può osservare p. es. che dei due insiemi equivalenti (1, 2, 3, ...) e (2, 4, 6, ...), ciascuno è dippiù equivalente (cioè riferibile biunivocamente) a una parte dell'altro. Viceversa, il teorema di Cantor-Bernstein, senza alcun apparente bisticcio, si può enunciare così: Se di due insiemi A e B una parte A1 di A è equivalente a B e inoltre una parte B1 di B è equivalente ad A, i due insiemi A e B sono equivalenti. E se ne son date dimostrazioni quanto mai limpide.

Ora il guaio è che nell'uno e nell'altro esempio il secondo insieme è parte integrante del primo, e per conseguenza la corrispondenza biunivoca si traduce in questo paradosso: il tutto è equivalente alla parte. Inde irae. Ma non è che una vana questione di parole. Che cosa significano parte e tutto? Qui parte e tutto non s'intendon dati per enumerazione dei loro elementi costitutivi; non s'intendon dati estensivamente, ma intensivamente: quando io dico: numero razionale so quel che mi dico, e so che ogni intero è razionale, ma non viceversa; così quando dico numero naturale, so bene di che si tratta, e so che ogni numero pari è intero, ma non viceversa. In questo senso preciso si dice che gli interi sono una parte integrante dei razionali; che i numeri pari sono una parte integrante degl'interi. E la corrispondenza biunivoca tra tutto e parte, cioè tra quei tutti e quelle parti, ha un senso ben definito e non ha né può avere in sé nulla di contraddittorio.

Se poi un insieme infinito sia tale in atto o in potenza; se la corrispondenza biunivoca tra insiemi infiniti rappresenti essa stessa mera potenzialità o attualità: sono questioni di cui io non contesterò l'importanza filosofica; ma sono questioni affatto estranee e perfettamente indifferenti alla Matematica. Sia vera, diciamo così, la tesi empirista o quella idealista, o non siano vere, come forse è più probabile, né l'una né l'altra; la teoria degli insiemi transfiniti avrà sempre lo stesso valore matematico: su questo tutti i matematici son d'accordo, compresi quelli che non tutti i risultati della teoria dei numeri transfiniti, specialmente cardinali, credono accettabili.

Ma torniamo al tema.

L'insieme dei razionali, per quanto denso, non costituisce un continuo: bisogna invece che esso si arricchisca di nuovi elementi, di nuovi numeri. Lasciate che per ora io sorvoli sulle ragioni di questo bisogno e che lasci da parte la questione spinosa se nell'idea di questi nuovi enti si implichi già la nozione del continuo.

Mi preme anzitutto di arrivare il più presto possibile alla costruzione, diciamo pure aprioristica, del continuo numerico. Basta per altro ricordare un fatto noto a tutti, cioè che quando si voglian misurare delle grandezze, rispetto a una unità arbitrariamente scelta, i numeri razionali non bastan più: si fa risalire a Pitagora (-500) la scoperta che la diagonale e il lato d'un quadrato non sono commensurabili. Ma non per questo i Greci furono condotti a concepire il numero irrazionale. Par quasi incredibile: dovettero passare circa 24 secoli prima che i numeri irrazionali venissero considerati in se stessi, indipendentemente dalle grandezze, e formassero oggetto di teorie analitiche, per opera soprattutto di Dedekind, Cantor, Weierstrass.

Ma dirò subito, per rassicurare, che non ho intenzione di esporre tutte queste teorie: andrò invece per le più spicce per venire alla nozione di numero irrazionale.

Prendiamo le mosse da Ö 2: non se ne può fare a meno, giacché esso è il primo numero irrazionale considerato dall'umanità! Se è vero che non esiste alcun razionale il cui quadrato sia 2, non è men vero che con procedimenti usati fin dai tempi di Platone, si posson trovare dei razionali il cui quadrato differisca da 2 di tanto poco quanto si vuole, in più o in meno.

Un procedimento infinito, cosiddetto di estrazione approssimata di radice a meno di 1/10, di 1/100, di 1/1000, ecc., permette con tutta semplicità di trovare la serie decimale indefinita

1, 4 1 4 2 1 3 5 6 ...

Essa può esser continuata quanto si vuole con legge assolutamente certa, vale a dire che essa è perfettamente determinata in tutte e singole le sue cifre. Si noti che essa non ha, non può avere, nessun carattere di periodicità.

Ebbene, estendiamo, a dritto o a torto per ora, il concetto di numero, e chiamiamo numero irrazionale una serie decimale così fatta.

I numeri irrazionali saranno per noi serie decimali indefinite non periodiche, delle quali, giova ripeterlo, potremo calcolare quante cifre vorremo.

Questa non è altro in fondo che la teoria di Weierstrass, sotto una forma particolarissima, legata, cioè, al nostro sistema di numerazione decimale. Codesto suo carattere troppo peculiare potrà guastare, non nego, dal punto di vista teorico puro, per motivi d'ordine logico. Ma il vero è che in pratica, specialmente nell'insegnamento, non basta farsi i conti con la Logica: bisogna pur farseli con la Psicologia, ed è quello che spesso si dimentica. Da questo punto di vista, la teoria degl'irrazionali, che ho accennato, riesce la più semplice e la più suggestiva perché‚ col sistema di numerazione decimale si ha familiarità fin da bambini. Io so per prova che trattando così gl'irrazionali nella scuola media mi son procurato addirittura la riconoscenza dei miei studenti; e spero che anche i soci della Biblioteca filosofica mi siano un tantino grati d'aver loro risparmiato la pena di sentire teorie più astratte!

Definiti così gl'irrazionali, potremo considerare i razionali come serie decimali finite o come serie decimali indefinite ma periodiche. L'insieme dei numeri razionali e irrazionali, cioè dei decimali finiti e dei decimali indefiniti, periodici o no, si chiamerà l'insieme dei numeri reali.

Notiamo subito un fatto di grande importanza: l'insieme dei numeri reali non è numerabile.

Esso ha potenza superiore a quella dell'insieme dei numeri razionali. Permettetemi ch'io vi dimostri questa proprietà, che credo interessante anco dal punto di vista filosofico, molto più che la dimostrazione sarà semplicissima.

Potremo limitarci a dimostrare la proposizione per i soli numeri reali compresi tra 0 e 1: se questo insieme non è numerabile, neppure sarà numerabile l'insieme di tutti i numeri reali, essendo evidente che un insieme, di cui una parte integrante non è numerabile, non può esser numerabile. (E' facile provare del resto che i numeri reali tra 0 e 1 si possono mettere in corrispondenza biuninvoca con l'insieme di tutti i possibili numeri reali. Geometricamente, basta dimostrare che la retta, come insieme di punti, è equivalente a un segmento. Si supponga infatti il segmento parallelo alla retta data e si costruisca su di esso una semicirconferenza: considerando il fascio di raggi uscenti dal centro della semicirconferenza, si vede subito che questa e la retta data si corrispondono biunivocamente. Proiettando poi i punti della semicirconferenza da un punto della semicirconferenza complementare si stabilisce pure una corrispondenza biunivoca tra la semicirconferenza e il segmento dato, e quindi infine tra il segmento e la retta)

Secondo la nostra definizione, i numeri reali tra 0 e 1 saranno serie decimali finite o no: supponiamoli per un momento numerabili e quindi ordinabili secondo una certa legge, in modo che ci sarà il 1°, il 2°, il 3°, ecc.

Immaginiamo allora di scrivere questo insieme ordinato:

1) 0,a1 a2 a3 ...

2) 0,b1 b2 b3 ...

3) 0,c1 c2 c3 ...

...................

...................

Costruiamo ora un nuovo numero reale così: come cifra intera, diamo 0; come 1a cifra decimale, se a1 è la prima cifra decimale del 1° numero reale dell'insieme precedente, diamo a1+1 oppure 0 se a1=9; come seconda cifra decimale, diamo b1+1 oppure 0, secondoché la 2a cifra decimale b1 del 2° numero decimale è diversa da 9 oppure no; e così via. È evidente che questo nuovo numero reale, pur essendo compreso tra 0 e 1, non può far parte dell'insieme precedente, contro l'ipotesi che in esso trovassero posto tutti i numeri reali compresi tra 0 e 1. Dunque, l'insieme dei numeri reali compresi tra 0 e 1 non è numerabile. Con questa osservazione, che è più importante per la filosofia dell'infinito che non per la filosofia del continuo, si può dire, col Picard, che si è fatta una specie di breccia nell'infinito.

Ma vediamo ancora qualche altro carattere, che distingua l'insieme dei numeri reali da quello dei numeri razionali. Si chiama valor limite d'un insieme numerico ogni numero l tale, che per quanto piccolo sia il numero positivo e tra l - e e l +e cadano sempre numeri dell'insieme; con meno precisione, si può dire che intorno a l si addensano infiniti numeri dell'insieme. Ora non sempre un insieme contiene ogni suo valor limite. P. es. Ö 2 è valor limite per l'insieme dei razionali, ma non è compreso in esso. Si dimostra invece facilmente (essendo una conseguenza immediata del concetto di numero irrazionale) che l'insieme dei numeri reali contiene ogni suo valor limite; non solo, ma ogni suo elemento, ogni suo numero, è, reciprocamente, valor limite di numeri dell'insieme: questo insieme è, come si dice con una parola, un insieme perfetto.

Come l'insieme dei numeri razionali, l'insieme dei numeri reali è poi connesso o concatenato; vale a dire che dati due numeri qualunque a e b dell'insieme (a<b) e dato un numero positivo e piccolo a piacere, si potranno trovare n numeri x1, x2, ... xn dell'insieme, tali che si abbia

a<x1<x2<x3...<xn<b,

e che inoltre la differenza tra un numero qualunque della catena e il precedente sia più piccola di e .

Siamo ora in grado di dare la definizione del continuo aritmetico: esso è un insieme numerico perfetto e concatenato. Il continuo così definito è il continuo lineare o unidimensionale. Bisogna, intanto, convenire che questo continuo così concepito debba in certo modo urtare contro le idee comuni e soprattutto contro quelle dei filosofi.

Osserva giustamente il Poincaré, che il continuo aritmetico non è altro che un insieme di termini disposti in un certo ordine, infiniti di numero, è vero, ma esterni gli uni agli altri; mentre nell'ordinaria concezione si suppone che tra gli elementi del continuo interceda una specie di intimo legame, che fa di essi un tutto, in cui, per usare una immagine geometrica, il punto non è anteriore alla linea, ma la linea anteriore al punto. Della famosa formula filosofica: il continuo è l'unità nella molteplicità, soltanto la molteplicità è rimasta, ma l'unità è scomparsa. (Poincaré, La Science et l'Hipothése, p. 30)

Ma bisogna, d'altra parte, notare che questa formula vaga, non servirebbe proprio a nulla in Matematica, giacché non ne potrebbe uscire un continuo di nessuna specie!

La dottrina aritmetica del continuo è nata in quel periodo di critica profonda delle basi della Matematica, che cominciò nella seconda metà del secolo passato: periodo in cui il sentimento animatore è la più grande diffidenza verso l'intuizione. Alle nozioni vaghe della continuità spaziale, si vuol sostituire qualcosa di preciso; e si costruisce così la scala continua dei numeri reali, alla quale, poi, per quanto possa parere un controsenso, si cercherà di far corrispondere la serie dei punti d'una retta, affinché quest'ultima, considerata come un sistema continuo acquisti quel carattere preciso, che non riesce a trovare nell'intuizione. Insomma, i matematici compresero bene che solo nel campo aritmetico si poteva costruire una nozione del continuo, non solo precisa, ma esente da qualunque contraddizione.

Qui appunto il continuo, come nota il Russell, trionfa di tutte le antinomie: basta dar veste aritmetica agli argomenti di Zenone per persuadersene facilmente. Farò qualche rapido cenno. Lasciando da parte il movimento, ci limiteremo a considerare una variabile x, tra 0 e 1. L'argomento della dicotomia prenderà allora questa forma: tutti i numeri tra 0 e 1 presuppongono tutti quelli tra 0 e 1/2; tutti i numeri tra 0 e 1/2 presuppongono tutti quelli tra 0 e 1/4 e così via. Ma questa specie di regresso all'infinito è qui affatto innocua e non ha nulla d'illegittimo. Se la definizione d'insieme di tutti i numeri reali compresi tra 0 e 1 presupponesse la definizione dell'insieme dei numeri reali tra 0 e 1/2 e quest'ultimo presupponesse la definizione dell'insieme dei numeri tra 0 e 1/4 e così via; si avrebbe una definizione per ricorrenza certamente illegittima, perché la definizione non sarebbe mai compiuta. Ma così non è: la definizione dell'insieme dei numeri reali tra 0 e 1 è subito data non appena si conosca il significato dei termini numero reale, zero, uno e tra. Né l'insieme dei numeri reali tra 0 e 1/2 è logicamente anteriore all'insieme totale dei numeri reali tra 0 e 1.

L'argomento più famoso e più grave di Zenone, l'Achille, si può dire confutato da Giorgio Cantor, che ha fatto vedere la possibilità di stabilire una corrispondenza biunivoca tra gli elementi d'un insieme infinito e quelli d'una sua parte integrante: possibilità, che, come abbiam visto, non contiene in sé nulla di contraddittorio.

L'argomento, invece, della freccia (che vola ed è sempre in riposo) non contiene nulla di teratologico; giacché si riferisce a un fatto elementarissimo, che in veste aritmetica il Russell esprime cosi: ogni valore d'una variabile è una costante. Nel caso del moto, insomma, l'argomento di Zenone nega che ci sia un quid come sarebbe uno stato di moto; nel caso generale d'una variabile continua, si può considerare ch'esso neghi l'infinitesimo attuale. E in ciò nulla di male, giacché la continuità non implica per nulla l'affermazione d'un infinitesimo attuale. La vecchia controversia tra infinitisti e limitisti è definitivamente chiusa a favore di quest'ultimi; ed è strano che alcuni filosofi ne discutano ancora.

Esaminiamo infine la famosa questione: è il continuo composto di elementi? Il continuo numerico, che è un'insieme d'infiniti numeri, per la definizione stessa, consta di elementi o numeri. In questo senso, quindi, la risposta è affermativa.

Ma se per elemento del continuo, si vuole intendere un continuo elementare, concepito come un infinitesimo attuale, dobbiamo rispondere di no; giacché un intervallo infinitesimo, appartenente p. es. all'insieme dei numeri reali tra 0 e 1, è sempre un intervallo finito; è un continuo come un altro, che nessuna ragione può farci considerare come più semplice o più elementare del continuo costituito da tutti i numeri reali compresi tra 0 e 1. Insomma, il continuo numerico, che non è numerabile, è però ordinabile, inquantochè possiamo p. es. pensare i numeri reali tra 0 e 1 nel loro ordine naturale; ma come serie così ordinata, ogni termine non ha un consecutivo immediato.

In conclusione, del continuo si possono affermare insieme le due cose: è composto, non è composto di elementi; ma in due sensi differenti, quindi senza alcuna contraddizione. (Russell, The Principles of Matematics, pagg. 346-354)

Il continuo lineare, che abbiamo definito, si può dire un continuo metrico, giacché in esso entra la definizione di distanza o quanto meno di differenza numerica. Inoltre, è un continuo in certa maniera relativo; essendochè la nozione di valori limiti d'un insieme, che possono appartenergli o pur no, ci porta in qualche modo a postulare fuori dell'insieme considerato un altro insieme continuo (metaforicamente uno spazio), del quale il primo insieme faccia parte.

Abbiamo già sollevato, per altro, il dubbio che l'introduzione del numero irrazionale postuli implicitamente la nozione del continuo.

Spetta a Giorgio Cantor stesso il merito di aver definito il continuo in modo intrinseco, indipendentemente dall'idea di limite e da qualunque considerazione metrica: un continuo, cioè, semplicemente ordinale. Questa è stata considerata come una delle conquiste più importanti della filosofia delle matematiche. (Couturat, Les prencipes des Mathématiques, p. 91)

Vediamo brevemente qual è il procedimento di Cantor.

Un insieme si dice ordinato quando i suoi elementi son disposti in un certo ordine di successione in modo che: 1° di due elementi qualunque m1 e m2 si possa dire quale precede e quale segue; 2° se di tre elementi m1, m2, m3, l'elemento m1 precede m2 ed m2 precede m3, dovrà potersi dire che m1 precede m3. Due insiemi ordinati M ed N si dicono simili quando tra i loro elementi si può stabilire una corrispondenza biunivoca, in modo che essendo m1 e m2 due elementi qualunque di M, n1 e n2 i loro corrispondenti in N, la relazione tra m1 e m2 nell'ordine di successione di M sia sempre la stessa della relazione di n1 e n2 nell'ordine di successione di N. Diremo, per brevità, corrispondenza biunivoca ordinata una tal corrispondenza.

Pensando tutti i possibili insiemi simili a un insieme ordinato M, ci forniamo l'idea di ciò che Cantor chiama tipo ordinale di M derivante dal fare astrazione dalla particolar natura degli elementi di M (non dal loro ordine).

Un primo tipo ordinale considerato da Cantor è quello delle progressioni, cioè il tipo dell'insieme ordinato dei numeri naturali: 1, 2, 3, 4, ....

Questo tipo è indicato con w , mentre il tipo dell'insieme inverso .... 4, 3, 2, 1 è indicato con *w .

Un secondo tipo ordinale, il tipo h , è quello dei numeri razionali più grandi di 0 e più piccoli di 1, disposti in senso crescente. È da notare la differenza profonda tra questo ordinamento dell'insieme dei numeri razionali compresi tra 0 e 1 e l'ordinamento del medesimo insieme stabilito nel principio del nostro discorso.

Nel primitivo ordinamento di tipo w , ogni numero dell'insieme ha un consecutivo immediato; nell'ordinamento di tipo h , invece non è così.

L'insieme di tipo h può essere caratterizzato come segue: 1) è un insieme ordinato numerabile; 2) non ha né primo né ultimo termine; 3) è dappertutto denso. Il che vuol dire, come è stato dimostrato, che ogni immaginabile insieme soddisfacente alle tre condizioni ora dette si potrà porre in corrispondenza biunivoca ordinata con l'insieme dei numeri razionali tra 0 e 1 (gli estremi esclusi).

In un insieme infinito ordinato M si chiamano poi serie fondamentali ascendenti o discendenti delle parti di M di tipo ordinale w o *w .

P. es., nell'insieme ordinato

... 1- 3/4, 1- 2/3, 1- 1/2, 1, 1+1/2, 1+2/3, 1+3/4, 1+4/5, 1+5/6, ..., 2, 2+1/2, ...,

la parte

1+1/2, 1+2/3, 1+3/4, ...

è una serie fondamentale ascendente; mentre la parte

..., 1- 3/4, 1- 2/3, 1- 1/2

è una serie fondamentale discendente.

Se {av} è una successione fondamentale di M, p. es. ascendente, e se esiste in M un elemento m0 tale che: 1) m0 ha posto più elevato di qualunque elemento di essa; 2) essendo m un elemento qualunque di M, precedente m0 , da un certo posto in poi gli elementi della successione {av} seguono tutti m; allora m0 si dirà un elemento principale di M.

Con meno esattezza, si può dire che m0 è il primo elemento dopo tutti gli elementi della successione fondamentale ascendente {av} e così se {bv} è una successione discendente, sarà pure elemento principale di M un elemento, se esiste, che è il primo a precedere tutti gli elementi di {bv}. Così, nell'esempio precedente, gli elementi 1 e 2 sono principali per l'insieme.

Posto ciò, si dirà che un insieme ordinato M è perfetto quando ogni elemento di M è un elemento principale e quando a ogni successione fondamentale di M corrisponde un elemento principale in M.

Ecco ora la definizione puramente ordinale del continuo lineare: è un insieme ordinato M, che è: 1) perfetto; 2) contiene un insieme numerabile S dappertutto denso in M, cioè tale che tra due elementi arbitrari di M esista sempre qualche elemento di S. Il tipo di quest'insieme è da Cantor indicato con Q . Si dimostra facilmente che qualunque insieme soddisfacente alle due condizioni ora dette si può mettere in corrispondenza biunivoca ordinata coll'insieme dei numeri reali tra 0 e 1 (e quindi anche con l'insieme di tutti i numeri reali).

Come si vede, non entra più alcuna nozione metrica nella definizione del continuo come serie ordinata. Si può del resto far vedere che i due continui metrico e ordinale differiscono di fatto. P. es. l'insieme di tutti i numeri reali compresi tra 1 incluso e 2 escluso e di tutti quelli compresi tra 3 e 4 inclusi, è un continuo nel senso ordinale, ma non nel senso metrico. Un altro esempio ingegnoso è il seguente.

Consideriamo l'insieme ordinato di tutti i numeri reali compresi tra 0 e 1, intendendoli al solito rappresentati da serie decimali, finite o infinite, periodiche o no. Immaginiamoli ora riscritti in un altro sistema di numerazione, p. es. in un sistema diadico, vale a dire in un sistema di base 2, nel quale perciò le cifre saranno soltanto 0 e 1. Chiamiamo S l'insieme dei numeri reali tra 0 e 1 rappresentati nel sistema decimale; S ' l'insieme degli stessi numeri rappresentati nel sistema diadico: è evidente che i due insiemi sono in corrispondenza biunivoca ordinata, bastando considerare come corrispondente a un numero di S il suo trasformato in S '. Torniamo a leggere ora i numeri di S ' nel sistema decimale (o in un altro sistema non diadico): otterremo un insieme S ", che è simile sempre a S , e costituisce perciò un continuo nel senso di Cantor; ma non è un continuo metrico. Esso infatti non è connesso, non contiene che una parte di tutti i numeri reali compresi tra 0 e 1, giacché mancano quelli che contengono cifre decimali diverse da 0 e 1; non solo, ma non è denso in nessun luogo. È un vero cambiamento di carte in mano! (Ai numeri 0,25 e 0,50 di S corrispondono ordinatamente i numeri 0,01 e 0,1 in  S " :dei numeri compresi tra questi due ultimi, 0,011111... = 1/90 sarebbe il massimo; e quindi tra i numeri 1/90 e 1/10 di  S " non cade alcun numero.)

A proposito del continuo ordinale, mi piace segnalare una questione di grande interesse filosofico, proposta dallo stesso Cantor.

Un insieme si dice bene ordinato quando ha un primo elemento e quando ogni sua parte ha sempre un primo elemento. Segue subito da questa definizione, che in ogni insieme bene ordinato un elemento, che non sia l'ultimo, ha un successivo immediato. È evidentemente un insieme bene ordinato l'insieme dei numeri naturali (1, 2, 3, . . .). L'insieme dei numeri razionali positivi, compreso lo zero, disposti nell'ordine naturale di grandezza, è un insieme ordinato, ma non bene ordinato; esso però diventa bene ordinato disponendo gli elementi col criterio già esposto in principio. Ora si presenta naturale la domanda: il continuo lineare (p. es. un segmento di retta) è bene ordinabile? Si può cioè assegnare un criterio per bene ordinare, p. es., tutti i numeri reali da 0 a 1? La questione si deve ritenere insoluta: la pretesa dimostrazione della bene ordinabilità del continuo, fatta da Zermelo, poggia sul cosiddetto postulato delle infinite scelte, che non sembra però ammissibile.

 

Accennerò soltanto che si sono costruiti dei continui lineari di specie superiore al continuo cantoriano di tipo Q ; come il continuo di du Bois Reymond, e i segmenti non archimedei di Veronese e di Hilbert: segmenti che non possono essere messi in corrispondenza biunivoca ordinata con un comune segmento. Un esempio classico di segmenti cosiffatti si ha nell'insieme dei punti d'un quadrato ordinati come segue. Preso un lato AB del quadrato come lato di riferimento, di due punti P e Q si dirà che Q segue a P se Q è più distante dal lato AB che non P; se invece P e Q appartengono a uno stesso segmento parallelo al lato AB, s'intenderà che essi si seguono in uno dei due ordini naturali del segmento AB (p. es. da sinistra a destra). Si dimostra che questo insieme di punti non si può mettere in corrispondenza biunivoca ordinata con i punti di un comune segmento, p. es. con i punti del lato AB. (Manca, infatti, un insieme numerabile dappertutto denso rispetto all'insieme definito dei punti del quadrato; giacchè se S è un qualunque insieme numerabile di punti contenuto nel quadrato, non tutte le corde del quadrato parallele al lato AB possono contenere punti di S (se no, S cesserebbe di essere numerabile); e quindi, presi due punti su una corda non contenente punti di S, tra essi punti non può cadere alcun punto di S, che perciò non è dappertutto denso nell'insieme definito. E poichè manca una delle condizioni che caratterizzano il continuo ordinale, l'insieme in parola non si può mettere in corrispondenza biunivoca ordinata con esso continuo.)
Geometricamente parlando, però, questi continui non sembrano per ora che pura curiosità, sebbene trovino qualche analogia in questioni di Analisi (teoria della crescenza).

Mi fermerò un momento sui continui a più d'una dimensione. Analiticamente parlando, non c'è nessuna difficoltà a definire p. es. un continuo a due dimensioni. Si abbiano due continui metrici unidimensionali; p. es. quello costituito da tutti i numeri reali compresi tra a e b e quello costituito da tutti i numeri reali compresi tra c e d ; e si considerino come elementi (punti) d'un nuovo insieme A tutte le coppie ordinate (x, y) formate con un numero x del primo continuo e un numero y del secondo: l'insieme A è un continuo a due dimensioni. In generale un continuo a due dimensioni è un insieme numerico a due dimensioni perfetto e concatenato. Similmente si definiscono i continui numerici a n dimensioni.

Dal punto di vista ordinale, però, la definizione dei continui pluridimensionali si presenta meno semplice. Grosso modo si può dire che un continuo ordinale a due dimensioni è una molteplicità ordinata in cui gli elementi sono continui ordinali unidimensionali. È questo un campo in cui resta ancora molto da fare.

Non si può, però, tacere una delle più belle scoperte di Cantor, vale a dire che tutti i continui sono equivalenti, qualunque sia il numero delle loro dimensioni. In altre parole, un segmento rettilineo, un quadrato, un cubo, uno spazio a n dimensioni e anco a una infinità numerabile di dimensioni, in quanto insiemi di punti, hanno la stessa potenza, cioè sono tra loro riferibili biunivocamente. Questo risultato venne a urtare contro le concezioni classiche, in virtù delle quali si credeva, che se la linea è un insieme infinito di punti, la superficie doveva essere un insieme infinitamente più infinito; e così via. La verità paradossale dimostrata da Cantor, assunse poi un aspetto più impressionante, quando il Peano, quasi per aggravare lo scandalo, ideò una curva, cioè una serie semplice di punti, che riempie un intero quadrato! Il vero è che sull'infinito e sulla questione delle dimensioni si avevano idee troppo vaghe. La scoperta di Cantor ha una grande portata matematica e filosofica, giacché mostra che nella nozione di numero di dimensioni d'uno spazio o d'un insieme non si tratta per nulla della numerosità, diciamo così, degli elementi, ma del loro ordine, della loro distribuzione: il numero delle dimensioni è appunto una proprietà ordinale e non cardinale.

Si può vedere in certa maniera nel finito e nel discontinuo. Se ho dei dadi, p. es., io potrò disporli in una serie semplice, ma anche in una serie doppia. Così le case d'una scacchiera, che sono in tutto 64, sono ordinate in due dimensioni, ma nessuno vieta di pensarle ordinate anche in una sola.

Corradino Mineo
 
 
Corradino Mineo nacque a Palermo nel 1875. Svolse tutta la sua attività a Palermo, dove morì nel 1960. Nel 1908 risultò vincitore del Concorso a cattedre di Matematica nelle RR: Scuole tecniche, ma rinunciò per dedicarsi alla ricerca. Titolare di Geodesia all’Università di Palermo dal 1922, fu anche, per molti anni, incaricato dell’insegnamento di Matematiche Complementari. A questo insegnamento diede una impronta peculiare in funzione della sua vasta cultura e della sua formazione critico-filosofica.