Gli hacker più famosi degli anni Novanta
hanno già scontato diversi anni di carcere

Poulsen e Mitnick,
due miti hi-tech



 
Insieme hanno già scontato nove anni di carcere. Kevin Poulsen ha lasciato le prigioni californiane il 4 giugno 1996, dopo cinque anni di reclusione. In quegli stessi penitenziari Kevin Mitnick era entrato il 15 febbraio 1995. E lì ancora oggi aspetta il suo processo che, di rinvio in rinvio, dovrebbe tenersi il prossimo 20 aprile. I due hacker più famosi degli anni Novanta sono uniti dal destino di essere diventati un mito per migliaia di ragazzi hi-tech di tutto il mondo. Ma con sfumature diverse: spregiudicato e disinvolto Poulsen, più riservato e vecchio stile Mitnick.

Dark Dante (il nomignolo utilizzato da Poulsen per le sue scorrerie) è ammirato per le sue guasconate. Come quando, già latitante, è riuscito a vincere una Porsche da 50.000 dollari con una abile truffa telefonica. Partecipava a un gioco radiofonico a premi. Vinceva chi, dopo che era andata in onda una sequenza prestabilita di canzoni, faceva la 102esima telefonata all'emittente. Era il primo giugno 1990: al momento delle chiamate Poulsen prese il controllo delle 25 linee telefoniche della radio, bloccando tutte le chiamate successive alla 101esima. Poi alzò la cornetta, compose il numero. E un paio di giorni dopo era in giro con una fiammante 944.

Condor (il protagonista del film con Robert Redford I tre giorni del Condor, è il modello cui Mitnick si è ispirato) è considerato invece la vittima dell'autoritarismo del sistema giudiziario americano. I capi d'imputazione a suo carico sono 14: si va dalla frode telematica al possesso illegale di password riservate, dall'accesso illegale a computer federali, al danneggiamento di computer all'intercettazione di comunicazioni telefoniche. È stato l'unico hacker a essere iscritto nella lista dei dieci uomini più ricercati dall'Fbi.

Ma i suoi sostenitori continuano a difenderlo, e raccontano "la verità" sul Un martire. Nel cui nome sono stati compiuti i più clamorosi hackeraggi degli ultimi tempi. Quello della Nasa del 2 settembre scorso, quello del New York Post del 13 settembre e quello di Penthouse del 24 ottobre. Tutti a opera del gruppo "Hacking for Girlz", tutti al grido "Free Kevin".

Dure anche le condanne per Poulsen. L'ex enfant prodige, assunto a soli 18 anni come programmatore a Silicon Valley, è stato giudicato colpevole di 19 reati fra cospirazione, frode telematica e telefonica, possesso illegale di password, appropriazione indebita. Ma assolto dall'accusa più grave e clamorosa, quella per spionaggio, per aver cioè intercettato e diffuso informazioni riservate del governo federale.

Oggi Kevin Poulsen è un ex hacker. Lavora in una società di software, ha una rubrica fissa sulla testata online Zdnet. E fa l'opinionista per Wired, la più autorevole rivista di cultura digitale del mondo. Su cui ha di recente raccontato il suo reinserimento dopo il carcere. Compreso il difficile impatto con i cambiamenti del suo mondo, quello di Internet, su cui dal novembre '98 ha avuto il permesso di tornare a navigare. Testimonianza suggestiva, la sua. "Mio padre, un meccanico in pensione, e mia madre, una ex insegnante, non hanno mai avuto dimestichezza col computer. Ma il boom di Internet, con la conseguente diffusione di Windows 95, hanno dato loro una buona ragione per comprarne uno. Adesso navigano dalla stessa stanza da cui io, ragazzino, usavo un Trs-80 e un modem a 300 baud per andare online. Adesso anche loro capiscono".

E Mitnick? Per lui i giorni del riscatto sono ancora lontani. Al processo rischia una condanna fino a sette anni di carcere. Il tempo, in quella cella del Metropolitan Detention Center di Los Angeles, scorre lento. Come l'orologio che campeggia sulla home page del suo sito. Che segna di continuo da quanti anni, giorni, ore, minuti e secondi, Kevin ha perso la libertà. Quella per cui ha sempre detto di essersi speso. (giancarlo mola)

(27 febbraio 1999)