Dedico questo mio lavoro alla

"Colomba Madre Scienza " Signora Elvira Giro,

la "Regina dell’Universo e delle Vittorie”!,

che in questo secolo 1900, si è manifestata

in Spirito e Corpo, sul suolo italiano,

con la Sua meravigliosa

"Opera Giurisdavidica o Giovannitica"

della "Rivelazione ", promessa dalla

"Vergine delle Tre fontane " il 12/04/1947.

"Colomba Madre"!

Grazie di cuore dalla Fausta

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

FAUSTA COZZI

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LA TORRE DAVIDICA

 

 

 

 

FAUSTA COZZI

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“TU ES SACERDOS”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

.... Dall'Opera della Colomba Madre Scienza....

"Vi darò la parola d'ordine!"....

 

 

 

 

"LE STELLE CI GUARDANO, IDDIO E CON NOI E SIAMO LA SUA CELESTE MILIZIA".....

Elvira Giro

 

 

 

 

 

"Tu mi hai voluto così, SIGNORE!!!"

Fausta Giuris Davidica   Grazie!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL BATTESIMO DEL FUOCO

 

 

 

 

 


Potenza del padre

Forza del Figlio

Sapienza  dello

Spirito Santo

 

L'EMBLEMA

GIURIS-DAVIDICO

DEL BATTESIMO


 

 

 

 

 

 

 

 

 

FAUSTA COZZI

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LA TORRE DAVIDICA

 

La Fausta, di carattere scevro, e descritta come un albero di faggio di montagna dà (L. Graziani), non si sente, e non si attribuisce la definizione di scrittrice, ma solo espositrice di fatti vissuti nella luce del vero. Non per merito, ma perché stabilito, preposta ad indicare sulla terra, il "Volto" della "Regina dell'Universo" nella Persona della Signora Elvira Giro. (Eterna - Luce - Verbo - Irradiante - Rivoluzionario - Alfa), nata in Italia (1910/1991) la "Colomba Spirito Santo (RUA) la Donna Vestita di Sole Cristico, descritta da S. Giov. Ev. nell'Apocalisse n. 10 - 12.

La sua esposizione richiama pure l'attenzione sulla figura di David Lazzaretti (1834/1878) il Cristo dell'Amiata, il Cristo Consolatore, il "Cristo Duce e Giudice della Terra", che ci ha portato la "Legge del Diritto Divino e Umano" Consolazione, che solo il "Cristo" nelle sue Opere dirette può dare e fare, come gli "Editti" per la Riforma dello Spirito Santo, che ha operato in Lui David Lazzaretti, ed in Elvira Giro Spirito Santo Madre, nelle Loro Persone Divine di Primo Grado.

La Fausta nella sua esposizione in questo libro, chiamata dalla "Regina del Cielo: Oh cuore rozzo, e... ha dovuto fare come poteva e come così le era concesso dal soprannaturale che l'ha accompagnata nel suo crescere nella "Conoscenza" spirituale, e malgrado i suoi difetti e demeriti, "consacrandola" dal Cielo e dalla Terra all'Opera Sua Giuris-Davidica, della Colomba Madre Scienza" visualizzata come la Vergine Beata (Beatrice) col "Volto color del Fuoco" dal sommo Poeta e Profeta Dante Alighieri, cioè irradiata dal Sole Cristico, e corrispondente alla superna Apparizione della Madonna delle Tre Fontane (12/4/1947) apparsa con i colori della "Bandiera Italiana" in Roma.

E la Fausta minima, vivendo nella sua scia, ecco quanto scrive.....

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Scrivi la tua storia,

                                                                                    collegata alla mia!”

 

                                                                                                            Elvira Giro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fausta Cozzi

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono nata il 23/3/1925, in un paesotto di montagna, situato tra le Alpi Iulie. In fondo al vertice del triangolo della creazione c'ero io, io, la terza figlia di mia madre Maria Valeriana. Quanto tormento le ho dato nel nascere! Io non volevo, non volevo uscire da lei, non volevo nascere. Forse, sapevo. Benedetta! cara mamma. Avrei dovuto pensarti di più sempre, tutti i minuti. Invece, non ho potuto imparare ad amarti. Quando è nata l'altra sorellina dopo di me, e fu chiamata come te, Maria Valeriana, eravamo al 10/1/1928, tu sei volata al cielo e ci hai lasciato in quattro in braccio alla nonna Lucia.

Quella mattina venne a prendermi mio fratello Sandrino, poiché avevo dormito dalla signora Anita nella casa accanto alla nostra, lui era un bambino di otto anni. Piangeva a dirotto, ed io, non l'ho mai dimenticato quel momento, anche se avevo allora soltanto due anni e dieci mesi.

Lui piangeva, ed io le dicevo che avevo sognata la mamma, che mi portava un cestino di rose rosse, rosse rosse, pieno, pieno, pieno!, Uh! dissero le pie donne del paese: rose rosse portano martirio, dovrà soffrire tanto questa bambina! Avevo dunque due anni e dieci mesi circa.

I miei secondi ricordi, furono di quel giorno infame e crudele, quando vidi mia madre immobile lunga fredda e bianca, sul tavolato dove l'avevano posta in cucina.

Mio padre Severino mi prese in braccio e voleva che la baciassi, ma io mi aggrappai al collo di lui piangendo e gridando che quella non era la mamma. Io fui allontanata in un angolo della cucina, e messa a sedere su di un panchetto. Dalla porta sul retro della casa, vidi entrare una signora, ben raccolta di capigliatura a crocchia, come si dice? Vestita con uno scialle azzurro come il cielo, di lana, che sembrava di bouclé. Aveva in mano due cornici con vetro. Erano due ritratti fotografici molto ingranditi, di mia madre, e disse, che ce li mandava il fotografo.

Io mi distrassi per un colpo di bel sole che entrava in quel momento in cucina e batteva proprio sul cerchio di ottone, che circondava la nostra cucina economica a legna, creando arabeschi di luce, riflessi sul soffitto, che si estendevano anche sopra, dov'era la mamma composta sul tavolato. Quando il sole arrivava, in quel punto della cucina erano circa le ore quattordici. Verso le ore sedici e trenta, c'era il funerale. Tanta gente, come si vede solo nei paesi. C'eravamo noi primi tre figli e c'era anche il papà che mi teneva per la mano, e, mi sembrava tanto grande.

Nei giorni seguenti, le pie donne del paese, ne parlavano, e dicevano che mia madre, pochi giorni prima di morire, aveva fatto due sogni significativi: I° Ella vedeva davanti a casa, che preparavano un funerale, e lei pur allungandosi sul proprio collo, non riusciva a vedere per chi fosse quel funerale, ed, era, il suo purtroppo!

II° sogno: mia madre era alla fontana sulla strada, ad attingere l'acqua in un secchio di rame.

In quel mentre passa per la strada, una signora che era morta di parto e volle salutare mia madre dandole la mano e chiamandola per nome: Ooh! Maria. Impressionata, i giorni seguenti, al pensiero che pure lei doveva partorire, non faceva che abbracciare noi suoi figli, dicendo "poveri miei bambini, chissà in che mani andrete a finire!" E ci raccomandava alla Madonna. In quei tempi, del 1928, ancora la gente partoriva in casa, e non usava andare negli ospedali. Ancora non erano attrezzati abbastanza, né reclamizzati. Perciò, non era difficile morire di parto. Le distanze per i paesi erano tante, e di autoambulanze, non se ne parlava nemmeno. Gli ospedali dunque erano inarrivabili. Dopo, la nonna Lucia, con la bambina Maria Valeriana, che veniva su benino, anche se qualche volta le doleva la pancina, cosicché alla nonna le toccava di tenerla in braccio, con la pancina in giù.. La mia sorellina era bella, ed io la guardavo entusiasta dal sotto in su, attaccata alle gonne scure della nonna.

Ma, cosa succede?, una delle pie donne del paese, la Rosalie, fa un impressionante sogno. Vede in sogno mia madre Maria, che le dice “Sai Rosalie, vengo a prendere la bambina, per ordine di DIO, perché dovrebbe soffrire troppo, e Lui non vuole”.

Dopo otto giorni, pure stando la bambina ancora benino, tutto ad un tratto muore, con grande costernazione della mia nonna. Poi vedo la mia sorellina sul tavolo tutta in candidi lini, con tanti piccolissimi garofanini rosa, da noi detti parigini, e che noi avevamo nell'orto. E così quando io avevo tre anni e mezzo quasi, lei se ne andò in cielo con la mamma. E dopo? Io piangevo sempre, tutti i giorni. Alla mattina, dopo avermi messo il vestitino, le scarpine e data la colazione, con uovo sbattuto e dentro polenta tagliata a dadini, il mio papà cominciò a portarmi all'asilo. Non volevo andarci, perché non volevo lasciare il mio papà, e volevo essere tenuta per la manina. Ma lui mi consegnava alla suora e se ne andava in municipio nel suo ufficio. La suora conduceva poi noi bambini (un gruppetto), su all'asilo, che si trovava a Moggio di Sopra.

Lassù c'erano le suore di "Maria Bambina" ed avevano la cuffia a piegoline. Vestivano sempre di nero. Ci portavano nella cappellina a vedere la statuina nella culla, di Maria Bambina, che assomigliava un po' alla mia sorellina che avevo perso. Io, la guardavo molto. Un giorno, a casa nostra, venne il comandante dei carabinieri in alta uniforme. Aveva il cappello col pennacchio tutto colorato. Faceva una visita di cortesia a mio padre, che era rimasto vedovo, voleva vedere come se la cavava con noi bambini. Mio padre per scherzo, che io presi molto sul serio, minacciò di farmi portar via dal comandante dei carabinieri, per farmi mettere in prigione.

Io cominciai a correre attorno alla tavola, spaventatissima, per scansare il comandante, e piangevo a gola spiegata. Ma il comandante, con voce calma e dolce mi tranquillizzò, regalandomi una piccolissima bambolina di zucchero colorato cm. 7, e le mentine di bei colori, le quali forse, io ho mangiate.

La bambolina invece, io l'ho posta sotto il cuscino andando a letto. Ma la mattina di poi, non c'era più; trafugata! Un giorno, è venuto anche il prete del paese, a trovare il papà. Era dispiaciuto per via della mamma. La casa senza la mamma, era vuota purtroppo! Dunque, io piangevo tantissimo e basta. Solo, all'asilo, un giorno, ho sentito una canzoncina dai bambini, che mi ha fatto piacere. Cantavano a squarciagola "OH! Gesù, del tuo Sacro Cuore, manda il sole!" Io ho guardato in alto, come facevano loro, e di tra i rami degli alberi, il sole c'era davvero!

Allora, mi sono messa a cantare anch'io ed era senz'altro la prima volta che cantavo, e mi sentivo a gola spiegata.

Un giorno, è venuta a casa nostra una sarta, con un sacco di vestitini cuciti per me e per la mia sorella maggiore, perché dovevano servire per andare al mare, con  le colonie del pubblico impiego, a Cavazuccherina.

Tra i vestiti c'erano anche due cappellini neri, di velluto, con la tesa. Quando mi sono trovata in colonia, ho visto che tutte le bambine, avevano il capellino bianco, e per questo noi due sorelle, ci chiamavano "quelle" del cappello nero.

Io ero molto piccolina e le suore mi facevano dormire in un lettino smaltato di bianco, con le sbarre dalle parti. Una Suora mi veniva ad alzare alla mattina, e mi vestiva mentre ero in piedi sul lettino. Durante il giorno mi conduceva tenendomi per mano, sulla spiaggia.

A volte lei non c'era, ed allora io venivo condotta da qualche signorina addetta alla colonia. Una di queste signorine mi prese per mano per portarmi con le bambine al mare a fare il bagno. Io piangevo tanto perché non c'era la suora, allora questa signorina mi prese per il dorso del collo e mi metteva la testa sotto l'acqua del mare, per farmi smettere di piangere, e per me è stato terribile, mi affogava.

Ma a quanto pare, non sono morta. Un giorno, la suora mi ci portò in una zona della spiaggia perché vedessi la mia sorella Franca, in modo che anche lei vedesse me. Io così, l'ho vista una volta sola sulla spiaggia, però lei non mi sorrise per niente, e mi guardò appena, come se fossi una delle tante bambine. Infatti eravamo circondate da tante altre bambine. La suora le diceva che mi volesse bene che ero la sua sorellina, ma lei si è voltata girandomi sdegnosa le spalle. Mia sorella aveva allora circa sei anni, due di più di me ed aveva due belle guance color ciclamino, in un viso ovale, con gli occhi grigio azzurri, io credo che era la prima volta che la vedevo veramente. Un giorno, venne alla colonia il mio papà, ma rimase lassù sotto le colonnine del lido a guardarmi da lontano. A me non hanno consentito di avvicinarmi a lui, e mi trattenevano laggiù sulla spiaggia, tanto lui, ci riconosceva dal cappello nero.

Poi andò via subito dopo. Mio padre era bello e ben pettinato, con i baffi che giravano un po' in su sulle guance, e il viso colorato un po'.

Lui vestiva di nero ed era molto alto. Venne il momento del ritorno a casa dalla colonia di Cavazuccherina. In casa volevano vedere cosa era rimasto del sacchetto di vestitini cuciti dalla sarta, prima di partire per il mare. Avevamo perso tutto, fuori che il cappello di velluto nero.

Il papà, il giorno dopo, il mio arrivo a casa, mi volle purgare con tre quarti di bicchiere di olio di ricino, con l'aggiunta di alchermes che è un liquore stucchevole tanto è dolce e non so che cos'era peggio, se il liquore o l'olio di ricino. Erano tempi che usavano purgare i bambini, specie al cambiamento d'aria. Dopo un po' di tempo mi sono ammalata di morbillo. Mio padre mi raccomandò di stare a letto coperta, e di non prendere freddo, poiché era assai pericoloso. Si può morire!

Il morbillo fa il corso inverso, rientra in dentro, e si muore. Papà uscì per andare in ufficio e mi lasciò sola. Avevo la febbre molto alta. Dopo che lui è andato via, senza capire ciò che facessi, sono scesa dal letto in camicina ed ho spalancato la finestra sul retro della casa. È venuta la nonna paterna, nonna Luigia, e mi ha rifilata a letto. Anche per il morbillo non sono morta, e così mi è toccato riandare all'asilo. Avevo imparato, tornando a casa dall'asilo, a camminare sul muro a fianco della strada, e una volta, una donna che passava per la strada mi rivolse la parola in tono forte che io non avevo mai sentito.

Ella mi chiese: Faustina è vero che tuo padre si risposa? Ed io: Noooo!! Ero molto risentita e permalosa ed era per me impossibile che il mio papà si risposasse, anche se proprio non capivo niente, che cosa volesse dire risposare. Io ero un po' cresciuta, forse avevo cinque anni. Mio papà una sera mi ha messa a letto presto nella camera grande che è accanto alla cucina al primo piano, e mi ha chiuso ben bene, e poi è andato via. Io non so come sono riuscita ad aprire la finestra sul davanti della casa, ed ad uscire spenzolandomi, finché con la punta del piede destro non ho toccato il terrazzino. Non sono caduta per miracolo. So di essere uscita dal portone che era in fondo al muro di cinta del cortile davanti casa. Dovevo trovare il papà a tutti i costi. Mi sono trovata così nella piazza del paese con il vestitino a quadrettini rosa tutto sbiadito e sono entrata nel Caffè a cercare papà. Era ancora giorno consistente.

Il Caffè era un ambiente grande grande e dentro c'erano tutte persone grandi, ed io le vedevo in parte concrete in parte rarefatte, come se si squagliassero.

Venne subito verso di me una signorina. Si chinò su di me affabile e gentile: "Faustina cosa fai qui?" "Io? voglio il papà!" e lei "Non c'è qui". La signorina era la proprietaria del Caffè, ma io allora non lo sapevo. Rosita, così si chiamava, la mamma di lei; una donna molto grossa, venne verso di noi per sapere cos'era successo. E, appreso che ero scappata da casa, decisero di riportarmi loro stesse. Mi presero per mano e mi riaccompagnarono a casa. La porta di casa era chiusa e vollero sapere come avevo fatto ad uscire, lo indicai la finestra e loro due, queste gentili persone, allibirono.

"Come ha fatto?" Mi sollevarono con buona grazia e mi misero sulla finestra che era alquanto alta e mi fecero sgusciare dentro tenendomi per le manine. Commentavano come avevo fatto prima a non cadere. Raccomandandomi di andare a letto, mi fecero chiudere i vetri dall'interno e loro chiusero gli scuretti dal di fuori.

Fuori era ancora giorno. Io non conoscevo la notte, non l'avevo mai vista! Ho obbedito, sono andata a letto salendo con il panchetto, ed ho chiuso gli occhi. Mio padre poi cambiò idea. Non mi fece più dormire in quella camera. Mi portò su al secondo piano; nella camerina che dava su di un terrazzo di legno, come li costruivano un tempo dalle mie parti, e la camerina aveva due finestre quadrate, una sul retro casa e una sul davanti. Quella sul retro, la tenevano sempre chiusa anche con gli scuretti. Una notte casualmente non chiusero gli scuretti.

Dietro casa c'era una costruzione di cemento che sembrava una casa, ma che invece era una stalla, con sopra il fienile. Dietro la stalla c'era un grande frutteto ascendente, collinoso e poi subito dietro a ridosso, c'era una massiccia montagna e sopra il creteit, che era un nostro bosco di alberi di alto fusto. Dunque dicevo, che le scurette della finestra erano rimaste aperte quella notte. Ebbene, io ho visto un temporale spettacolare con lampi, tuoni, fulmini e saette, la finestrina della mia camerina diventava color del fuoco. Comunque i vetri non sono saltati. Per me era molto importante ciò che avevo visto era il primo temporale della mia vita.

Dopo quella notte le scurette sul retro, verso la montagna, sono sempre state chiuse. Le scurette della mia camerina sul davanti della casa, che davano sul lungo terrazzino di legno, erano invece, lasciate sempre aperte anche la notte, con i vetri naturalmente chiusi. Io dormivo in uno dei due lettini che stavano sotto un quadro raffigurante la, (così detta), "Madonna della farmacia". Nell'altro lettino non c'era mai nessuno. Non so dove dormiva la mia sorella Franca.

Una notte io non dormivo, e sola soletta cogli occhi spalancati guardavo nella stanza, dove entrava la luce della luna, che centrava ad in pieno, la finestra. Fu allora, che nelle zone buie della stanza, io vidi una presenza di qualcuno. Era una persona rarefatta, trasparente, alta. Pensai a mio padre, e, in quel mentre la persona si muove e comincia a camminare in qua e in là per la stanza. Sì, la figura camminava, e la luce della luna, le illuminava la candida camicia, che io vedevo proprio bene. Io tenevo con le manine le rovesce delle lenzuola all'altezza della bocca e guardavo seguendo cogli occhi attenti, quella camicia così grande e quadrata, che andava su e giù. La persona era sempre rarefatta, però la vedevo.

Ad un tratto, intravedo un sigaro acceso, come ad intermittenza, e va su e giù con la camicia. Poi, dopo aver fatto le sue passeggiate, la persona col sigaro acceso, si ferma ai piedi del mio letto e si abbassa come se si fosse messo a sedere su di una sedia, ma, la sedia non c'era, non c'era mai stata! Ed io vedevo una persona lì, ai piedi del letto. Vedevo il sigaro acceso, la cui brace s'intensificava fino a sembrare un piccolo sole. La persona era rarefatta, quasi buia, nel buio. Ma perché non parlava? Eppure, eppure, era mio padre. Ma perché lui? Ma sì, per il sigaro! Ad un certo punto il buio mi fece paura. Allora, tirai su le coperte fin sopra il capo, per non vedere più nulla. Adesso da adulta, ho capito. Era il corpo astrale di mio padre che mi custodiva, perché si preoccupava di me.

La mattina seguente giù in cucina, io chiesi a papà se fosse stato su in camerina mia, la notte scorsa, e lui mi disse di no, perché?...Ed io, "C'era la luna!" Il discorso finì lì. Non ero che una bambina, e per giunta piccina. Sii! come sono distratti i grandi! Non sono molto loquaci con i piccoli. Ed io avevo bisogno di parlare, di raccontare cosa avevo visto. Invece, le persone adulte sfuggono ai bambini, e poi lì in cucina c'era qualcun altro, che appena intravedevo e che forse ancora non conoscevo. Allora, tenni per me le cose della notte. Loro, i grandi mi avevano ormai elusa, cioè seminata e lasciata dietro, a guardare le loro mezze gambe pantalonute.

Un giorno rivedo il Sandrino, mio fratello, che mi fa degli affetti rivedendomi, e piange, al ricordo della mamma. Io sono di poche domande, anche ora, e allora le chiesi "Ma, tu dove dormi?" Lui mi risponde: "Su!", intendendo così il secondo piano della casa. Ma io non l'avevo mai visto su, e rimasi silenziosa. Anzi, mio fratello Sandrino non circolava per niente nella casa, e perciò non lo vedevo quasi mai. Ricordo una volta sola. Eravamo a tavola e mio padre, non capisco perché era arrabbiato con lui. Lo vuole punire e lo manda subito dietro casa a tagliarsi un giunco da sé, perché lo vuole picchiare con quello. Mio fratello Sandrino era tanto buono e ubbidiente e risponde "Sì, Voi Padre" e, va fuori dalla porta sul retro casa, dove, appena scesi una decina di scalini, c'è l'inizio della strada che va sulla montagna. La siepe, di cornice sulla destra della strada, è subito lì, e Sandrino taglia la verga e la porta a mio padre "Ecco a Voi padre". Io stavo molto male per un nodo al cuore, al pensiero che adesso papà avrebbe picchiato mio fratello, che per me era come un angelo. Mio padre si alza da tavola minaccioso col giunco in mano, ma io mi metto a strillare e a piangere urlando; "Nooh, papà!" Gli ci volle del bello e del buono a farmi chetare, che io ero spaventata dalla sua severità. Andò, che non lo picchiò più, ma lo mise in castigo, umiliandolo, in un angolo della cucina, con le braccia alzate le fece tenere la verga, e pretendeva che cantasse la canzone degli alpini, cioè: la bella violetta la va, la va. Povero bambino! mio fratello. Comunque non lo vedevo che raramente, forse stava con la nonna Lucia, madre di mia madre. Mia sorella Franca non riuscivo a focalizzarla, anche se a volte ne intuivo la presenza in casa. Non si faceva sentire da me, per cui io non avevo ancora imparato a conoscerla, né a vederla. Un giorno vedo in cucina una cosa che prima non c'era. Una vasca da bagno di zinco smaltato di bianco, con certi piedi leonini. Serviva per noi due bambine. Infatti sulla cucina economica c'erano dei pentoloni di acqua fumante, molto calda. Mio padre mise l'acqua nella vasca e ne aggiunse di fredda, e poi ci mise dentro tutte due noi sorelline per lavarci. Aveva preparato sul tavolo gli asciugamani, e così ci asciugò e ci mise la camicina e ci portò a letto. Alla mezzanotte ci venne a svegliare, ci coprì ben bene, e ci portò di nuovo in cucina a vedere il Presepio con la finestrina rossa e le lucine colorate, che al buio della cucina, sembravano un sogno. Ci disse poi che era mezzanotte e che era nato il bambino Gesù. Ci fece pregare un po', anche per la mamma, e poi ci rimise a letto. Che bello il Presepio!... Anche se piccolo. Un giorno ebbi un grande inconveniente. Poveri i miei cinque anni!

Mi erano maturati sulla coscia sinistra due grossi foruncoli, che a me sembravano enormi. C'era in casa la mia nonna paterna Luigia, e mio padre decide di strizzarmi i foruncoli, per poi medicarmi e fasciarmi. Io urlai tanto e piansi tanto dal dolore che sentivo, che la mia nonna era molto arrabbiata con mio padre perché mi faceva questo, ad un certo punto scappa dalla porta sul retro casa gridando a mio padre, che era una belva.

Mio padre mi fasciò con una fascia grossa di quelle che in quei tempi fasciavano i neonati. Poi mi medicò solo fino a guarigione. Comunque con quegl'infami foruncoli, io conobbi il principio del dolore fisico. In quel tempo mi successe un fatto: ebbi una visione; vidi uno stupendo paesaggio di colori delicati e trasparenti sul rosa e l'azzurro, e c'era un ponte convesso e molto bellino. Io lo dovevo attraversare, ma ero troppo piccolina e nessuno mi prendeva per la mano, subito dopo invece vidi una figura, tutta vestita di rosa ,un angelo, anche perché le vedevo un'ala. Stava sulla mia sinistra, e chinandosi su di me, mi vidi dare una mano, nella quale ho messo la mia. Mi sorrise, e mi accompagnò al ponte, ponendomi ai primi passi. Poi scomparve. Il ponte era convesso ed io camminavo sopra sicura. Avrò avuto sì e no, cinque anni, ma io mi vedevo più piccola ancora. Così piccolina com'ero, col vestitino arricciato in vita, e legato con una cinturina allacciata col fiocchino dietro, da sola attraversavo il ponte. Ero avvolta in quella atmosfera rosa celeste giallina, come in un velo di tulle.

Non esiste sulla Terra, un paesaggio simile. Adesso da adulta, me ne son fatta una ragione: forse avevo visto un antimondo, o meglio un mondo parallelo. Un giorno nella nostra casa non si poteva entrare. Top secret io dovevo stare con la nonna Luigia.

Era chiuso sul retro casa ed anche sui davanti casa. Si sentivano dei gruppi di gente, sussurrare: "Si sposano". Hanno preparato il tavolo di nozze. Non si poteva entrare dunque in cucina. Io avevo ormai cinque anni ed ero piuttosto movimentata e così sfuggendo alla nonna, sono salita dalle scale esterne al primo piano, e sono andata a vedere se tra le tendine del vetro della porta di cucina avessi potuto vedere qualcosa. Sì, infatti intravidi da un pertugio dalla tendina che in cucina era approntata una lunga tavolata con piatti e bicchieri. Sono subito stata riacchiappata da qualcuno, che mi ha riportata dalla nonna. Qualcuno si sposava. Ma chi? Credevo sì, e credevo no di intuire. Ma cosa intuivo? Non mi rendevo proprio conto. Però, alla sera, mi sono trovata a fatto compiuto, nella cucina tutta illuminata.

Il mio papà si era risposato, era molto elegante vestito di scuro, con le scarpe con le ghette grigio chiare, sulla pelle lucida nera. Vedevo come in un alone, tante persone che non riuscivo a concretizzare. E poi, ecco la sposa vestita elegante color caffelatte chiaro, molto bello.

Guardava me, ed io guardavo lei, aveva un sorriso enigmatico. Improvvisamente mi sento prendere sotto le ascelle, da qualcuno dietro a me, e portare a ritroso, fuori dalla cucina. Non dovevamo stare, io e la mia sorella Franca, che intuivo non lontana da me, ma che non riuscivo a vedere e a focalizzare. Non la vedevo e probabilmente lei non vedeva me. Non mi stava mai vicino. Ci condussero su per le scale esterne al secondo piano, nella mia camerina. Voglio sottolineare che la nostra casa aveva solo scale esterne, come usavano frequente nel paesi di lassù. Sento che qualcuno dice forte: "Vi porteremo poi su, i confetti". Feci in tempo a vedere che loro mangiavano ed io no.

Fuori, dalla parte sul retro casa, succedeva qualcosa. Si erano radunati e un gruppo di persone con pentole, mestoli e coperchi, facevano un immenso baccano, un vero fracasso.

Questo fatto, si chiama fare la "martignade" e si fa quando un uomo si sposa per la seconda volta. Gridavano che volevano i confetti. Mio padre, lo sposo, si affaccia sul retro e li vuole allontanare, pregandoli di smettere. Probabilmente, li avrà dovuti accontentare con i confetti, perché dopo è subentrata la quiete ed io dalla mia camerina sentivo solo un confuso chiacchierio.

Dopo un po', qualcuno ci porta su in camerina dei piattini con i dolci. La luce accesa in camera, era ciò che mi colpiva di più; perché si vede che non era consueto, che ce la lasciassero a lungo accesa. Dopo un po’ di tempo, qualcuno si affaccia cucuzzando dal terrazzo, alla finestrina della camerina a vedere, se noi sorelle stavamo buone. Era il papà con la sua sposa e una altra persona che io non so chi sia stata. Dicono: "Guarda! Sono ancora sveglie". Di quella sera, non ricordo più nulla. Mio padre, nelle sere trascorse che aveva passato prima del matrimonio con noi bimbe, mi aveva insegnato a fare la calza con i ferri, ed io facevo sempre solo il dritto. Dopo due giorni del suo matrimonio, me lo ricordo proprio bene, mio padre dice: "Oggi fatti mettere sul ferro i punti per fare la calza". Poi, se ne va in ufficio al comune". Allora io mi avvicino a quella donna e dico "Per piacere, donna (temine, al mio paese) mi metti su i punti sul ferro?" Lei accetta, ma mi dice: "Io non sono donna, sono mammà (mame)". Io taccio. Mi mette su i punti e dandomi i ferri in mano con la calza principiata, mi dice: "Se per stasera non hai fatto il calcagno, starai senza cena". Non so se io avessi poi fatto il calcagno per la sera. So solo che per me fare la calza, a cinque anni e mezzo era enormemente difficile. I giorni passavano e diventavano per me, sempre più scuri, ed io mi definisco di essere stata poi una bambina senza sorriso.

Al "Rosario" comunque si doveva andare tutte le sere, perché il mio papà voleva così. Per me andare in chiesa era una consolazione, perché vicino alla pila dell'acqua santa, sulla sinistra, c'era un'immagine della Madonna della Salute, bellissima, ed io stavo a guardarla a lungo, quando ero sola davanti a LEI. Che bei colori i vestiti della Madonna!, il bambin Gesù, carino carino. Lo scettro, la corona in testa, tutto bello! I giorni per me diventavano sempre più brutti e pesanti. Mi trovavo ritta su di un panchetto davanti all'acquaio con le manine nell'acqua unta, a rigovernare i piatti e le masserie, ecc. La mia matrigna diceva che ci mettevo quattro ore, che era troppo e perciò mi sgridava, però era vero. La vedevo a girar per la casa con un bellissimo gilè di panno lenci, rosso scuro e tutto ricamato. Era molto bello e osai dirglielo. Certo! mi rispose. Quanti lavori improvvisamente saltarono fuori da fare. Impossibili a enumerare tanti erano. Vasi da notte di tutta la famiglia, da pulire e lavare giù al rigagnolo che scorreva accanto alla casa. Spazzare le stanze, le scale, la corte. E una volta alla settimana i pavimenti da lavare col bruschino di saggina, inginocchiata su di un cencio piegato in quattro. I pavimenti della casa erano alcuni di grisaglia grossolana, tipo ghiaia legata un po' col cemento, ed altri, erano vere e proprie tavole lunghe, di legno bianco.

Mezze scale di legno, ed i due terrazzi di legno. Le altre mezze scale erano di cemento, ed anche le scale sul retro casa, che salivano fino alla cucina al primo piano. Sotto la cucina e la camera del primo piano, c'erano due grandi stanze che fungevano da cantine e prima erano rozze ma poi mio padre pensò e decise di fare una grande cucina di cemento, con un grande focolare friulano, e nella stanza accanto, un tinello per il pranzo. Anche dopo averle aggiustate, le stanze continuarono a servire da cantine. Il tinello aveva su delle mensole robuste tante forme di formaggio, e nella cucina c'erano dei grossi orci di pietra, dove ci si metteva il burro cotto e lo strutto. Poi dopo alcun tempo sul soffitto della cucina, finivano appesi gli insaccati di suino per essere affumicati. Mi ricordo una volta, dietro la stalla avevamo un maiale che non era tanto grosso il quale ingoiò un ago caduto inavvertitamente nell'impasto, è stata una vera tragedia, con l'ago conficcato in gola, la povera bestia urlava e piangeva, e a nulla valsero i soccorsi che ho visto prodigarle, mollica di pane mandata giù in gola, e poi le abbiamo dato mezzo litro di grappa per sostenerlo. Ma purtroppo poi morì. Avemmo poi alcuni maiali che arrivarono al peso di centonovantadue kg. Il che, era assai, ed era grande provvidenza per la famiglia. Avevamo anche due mucche per il latte ecc... Una si chiamava Balette ed una Zizile, che vuol dire rondine. Erano bestie buonissime, dolcissime e sensitive, come al caso, che intuivano, che le avrebbero preso il vitellino e portato via, sicché almeno due notti prima, muggivano assai, cioè piangevano, ed a noi dispiaceva moltissimo. Anche noi non potevamo dormire al sentirle. Avevamo pure una ventina circa di galline. Una era rossa bella e dolce si lasciava sempre accarezzare. Ha fatto tantissime covate, con quindici e più pulcini per volta. Avevamo tantissime uova. La nostra famiglia cresceva di numero, ed avevamo un bell'orto con tanta bella verdura, per noi, e per le bestie. Dai frutteti si ricavava la frutta per le marmellate ed il fieno per le mucche.

Nel ruscello accanto a casa, c'erano le nostre anatre che vagavano. Erano stati posti dei sassi grossi nell'acqua così da formare un piccolissimo laghetto per loro. Il maschio aveva la testa nera e sulla coda un ricciolo nero bellissimo. Io piano piano imparavo a fare i lavori di casa, grazie alla mia matrigna che m'incalzava, e diventava sempre più esigente e dura con noi figli della prima moglie di mio padre.

Il Sandrino fu ben presto spedito al seminario "Tomadini" di Udine, e subito poi, più lontano a Torino al seminario della "Consolata", e lì cominciò a studiare per circa una diecina d'anni, sicché, non si vide più in casa. Io e la Franca eravamo spesso picchiate e picchiate. La matrigna diceva che noi due, ci meritavamo le botte almeno cinquanta volte al giorno, ma non ho mai capito cosa facevamo per meritarle. La disubbidienza?, non ci si sognava nemmeno! Cominciai ad andare a scuola alle elementari, e avevo voglia d'imparare. Ma, per tutte le disgrazie, trovai una maestra che anche quella mi picchiava col righello nero quadrato, che faceva malissimo sulle mani. Cominciai ad aver gusto a leggere, e leggevo "Il Corrierino dei piccoli", ed il "Monello" e a volte "l'Intrepido". Una mattina feci troppo tardi per essere puntuale a scuola, allora non osai andarci per niente. Passai tutta la mattinata in un posto nascosto a giocare sola, con i sassi di un ruscello. Avevo paura ad andare a casa, le avrei prese, ed allora mi ripresentai al suono del mezzogiorno come nulla fosse. La maestra poi, ogni tanto mi dava una busta gialla da portare a mio padre, e voleva una firma da lui indietro, sullo stesso foglio e dentro c'era scritto: "Sua figlia è sempre distratta". Così anche ciò pesava sulla mia testa, con sgridate sonore da parte di mio padre e lui era sempre severo troppo!!!

Una notte feci un sogno, molto bello. Sognai di volare sopra gli alberi ed i tetti e volavo via da casa. I colori erano splendidi e il cielo terso, ed era bello volare, ed io mi vedevo bambina volante.

Un'altra notte, ho sognato, che mi ero costruita una casa di una stanza sola, senza finestre e con la sola porta, ed io stavo sulla soglia, volta all'esterno. Non ricordo altri sogni di quel periodo d'infanzia.

Presi passione a leggere. La mia matrigna mi faceva subito deporre un libro se me lo vedeva tra le mani, perché voleva che facessi sempre altri lavori, ma io cominciai a leggere alla notte. Leggevo "Aquila rossa", e "Zanna bianca". Toccava lavorare tanto nei frutteti e nei prati col fieno, e smuovere la terra nell'orto e nei campi con il badile. Il fieno bisognava portarlo covoni sulla gerla, sulla schiena, e porlo nel fienile. E così, anche il fogliame degli alberi, che serviva per fare il letto per le bestie. Non c'era mai spazio per giocare fuori, sulla strada, le bambine e i bambini usavano giocare con le palline colorate. Dieci palline costavano una lira. Io andavo matta per quel gioco, e rare volte mi riusciva di scappare a giocare. A volte vincevo e poi rivendevo le palline per poter continuare a giocare. Mi chiamavano da casa gridando e promettendomi le botte allora facevo come se non avessi sentito e seguitavo a giocare un'altra mezz'ora, tanto, comunque le pigliavo lo stesso. Mi piaceva anche giocare a "campo", con le sole piastre di sasso lanciate con i piedi, e saltando da un quadrato all'altro sul grafico segnato sulla strada con il carbone. Le partite erano brevi e davano tanta soddisfazione. Un giorno a Gigi, un bambino del vicinato le morì la gatta, anche se era molto robusta e grossa. A quel bambino dispiacque tantissimo ed anche a noi tutti bambini e bambine della Via Nadorie. Gigi decise di fare alla gatta il funerale e noi bambini andammo tutti compunti, su, verso il prato dove in una buca, è stata posta la scatola da scarpe con la gatta morta. Quando la buca è stata coperta con la terra, tutti abbiamo posto dei fiori e Gigi piangeva. Lui era un bambino di modesta famiglia, tanto tanto buono, sensibile ed educato. Il prato dove è stata seppellita la gatta, era pieno di primule gialle poiché era primavera ed io lo vedevo quasi per la prima volta, e così le margheritine e le scarpine della Madonna. Comunque d'inverno quando c'era la neve, avevo già visto i bucaneve tenerissimi. La primavera sui bordi dell'orto, c'erano anche i mughetti, detti poeticamente "gigli delle convalli", poi c'erano pure i "non ti scordar di me" o (miosotis-palustris), ed i convolvoli, i parigini e le genziane blu. C'erano pure dei fiori a campanule con i petali frastagliati in fondo, erano gialli delle vere campanine, su degli steli verdissimi, alti e decisi, con foglie quasi dalla base svettanti e spaduline e verdissime. C'erano anche dei fiori che m'incuriosivano molto. Erano fatti un po' simili a piccoli cuori con sfumature dal carminio al rosa pallidissimo, erano come colonie di cuoricini appesi, il loro nome è questo "lagrime d'Italia". È proprio la prima volta che l'anima vede i fiori, che non si dimenticano più. Anche questo, in casa, non so da chi, furono portate due bellissime stelle alpine, che erano una vera meraviglia, erano vellutate e gentili. Assieme a loro furono portati anche due fiori che noi chiamammo "fiori di cioccolata". C'era poi anche un fiore, molto importante, la cosiddetta "Regina delle Alpi". Questi fiori, con le "stelle alpine" sono rarissimi e non si devono cogliere appunto per questo. Sulle Alpi ci sono anche animali selvatici, come camosci, caprioli, lepri, volpi puzzole ed aquile.

Sentivo parlare anche di lupi e di orsi. Io avevo paura in particolare delle volpi, le quali scendevano vicino alla casa e ci rubavano le galline.

Una sera in casa, la mia matrigna voleva cucinare per l'indomani e le mancava il prezzemolo. Era buio pesto e lei voleva che andassi nell'orto a prenderlo. L'orto era situato in alto, circa sei metri rispetto la casa, ed alcune rampe di scale passavano anche sopra il pollaio, e poi via. Non volevo andare in quel buio!, ma i comandi erano perentori e non potevo disobbedire. Con le lacrime, mi accinsi ad andare. Dissi che avevo paura della volpe, allora mi dissero che mi avrebbero lasciato la porta aperta sul retro casa. Almeno un fascio di luce in quell'immenso buio, grazie!

Ma no. Mia sorella Franca, per scherzo o per dispetto, aveva chiuso la porta, per farmi rimanere al buio e crepare di paura. Sentii la mia matrigna vociare a Franca: "Apri quella porta!" Il che fece. Piena di fifa, ritornai con il prezzemolo. Andò bene! L'indomani mattina di buon'ora mio padre venne a destarmi con una frase tedesca: "auf ta le morghen" e così dicendo apre la finestra sul retro comprese le scurette e dice: "Oggi è caduta la signorina Biancolini Neve, figlia di Signore!" Guardai fuori e rimasi abbagliata dal candore. Mio padre disse che aveva già visto nell'orto le orme della volpe sulla neve. Com'erano le orme? Mi alzai e andai a spalare la neve, fino poi ad arrivare nell'orto a vedere le orme della volpe. Eccole, se c'erano, e tante! La sera prima, mi avrebbe potuto sgozzare, ero solo una bambina! La neve era un vero problema a spalarla. Diceva la gente del paese, che un anno dei primi del novecento e precisamente nel 1908, ne venne tanta che avevano dovuto fare le gallerie, nelle quali passavano con le lanterne dette "feraal" con dei lati di vetro che bruciavano ad olio.

La neve era più di sei metri ed oltre.

Dunque eravamo in inverno ed io avevo un cappottino di orsetto a ricciolini biondi. Le scarpe erano stivaletti con le stringhe. Facevano la trafila nel tempo, prima al mio fratellino Sandrino, poi alla Franca e poi a me. C'era in paese un uomo, che dal legno, tutti di un pezzo, traeva fuori degli zoccoli, sul tipo degli zoccoli olandesi, un po' diversi però. Avevano una punta davanti svettante, ed una dietro sul tallone meno pronunciata. Sopra il collo del piede una striscia di cuoio, per il movimento. Noi li chiamavamo "dalbidis" (femminile) e dentro si stava benissimo, asciutti d'inverno e d'estate. Avere le dalbidis, per me, era una cosa importante. Si poteva camminare sulla neve e con tutte le intemperie e si stava alti dal suolo ed asciutti. Erano proprio belle!

L'inverno era duro e avevamo le manine viola. I lavori di casa erano tanti e c'era una grande quantità di cose da pulire e lucidare. Ogni tanto per la via passava un uomo, che faceva lo stagnaro di professione, e noi gli davamo qualche pezzo di rame da stagnare, per poter nel rame poi far da mangiare, e tenerci dentro l'acqua nei secchi, con i quali andavamo a prenderla alla fontana muniti di basto. Dicevo che l'inverno era duro, ma a volte anche peggio, 17° sotto zero. Nelle due camere, quella al primo piano accanto alla cucina e in quelle sopra al secondo piano, che era la mia, avevamo le stufe arancione le "Bechi", dunque ci voleva la legna da ardere e fascine per accenderle. Erano simpatiche quelle stufe.

Di fronte ai due lettini, nella mia camerina, erano stati appesi due grandi quadri con le fotografie ingrandite della mia mamma. In una era giovane e bella e dimostrava ventisette anni, l'altra era stata fatta prima di morire, con il viso molto triste e preoccupato, che sembrava un'altra persona. L'ingrandimento era stato tratto da una foto di gruppo di famiglia con mio padre, il Sandrino, mia madre con davanti alle ginocchia la Franca, ed io la più piccola, davanti alle ginocchia del papà, tutta vestita di bianco, con le braccine ad arco, tenuta sotto il braccio destro da papà, e sotto il sinistro da mio fratello Sandrino. Ero come una colombina che spicca il volo, o una freccia volta in su. Mio padre era vestito di grigio con stivali, e pantaloni alla zuava, che poi glieli vidi ancora, quando, con sacco da montagna e bastone alto con corno di camoscio, andava alla domenica a cercare funghi. Mia madre vestiva di scuro e portava vestiti e cappotto lunghi proprio fino ai piedi. Ho raccontato di questi ritratti fotografici per un preciso motivo; l'ingrandimento del busto in primo piano di mia madre, aveva risultato una cosa stranissima. Sul lato sinistro della testa, fino alle spalle, erano risultati nella foto una corona di teschi o spiriti, entità, che, quasi sapessero che sarebbe in breve morta, e che venivano così a riceverla, ad assisterla misteriosamente. Io dal mio lettino guardavo la mamma, e siccome mi facevano impressione quei teschi, voltavo poi lo sguardo sulla foto grande, in camerina mia, dove lei era molto bella e giovane. C'era anche un ingrandimento a busto di mio padre, e quindi i quadri erano tre. Erano stati messi lassù, appena mio padre riprese moglie.

Sotto i quadri si trovava il cassettone, o comò, con i primi due cassetti in alto sempre ermeticamente chiusi, i quali per me e per la Franca erano una continua curiosità.

La Franca era più grande ed aveva otto anni, ed un giorno mi dice che voleva provare ad aprire quei due cassetti o almeno uno. Io dicevo che non si poteva, che guai l'avesse saputo il papà. Se li aveva chiusi certo non voleva che si aprissero. Cominciammo a chiederci: Cosa ci sarà stato dentro?

Mia sorella dice: Gioie! Come sono le gioie? Rispondo io. "Quanto sei stupida, sono gioielli, no! Pietre preziose!!" Non riuscimmo ad aprire i cassetti. Giorni dopo mia sorella si munì di coltellini ed io "Nooo! Non lo fare! Poi il papà si accorge". "Quei gioielli sono sicuramente della povera mamma", - dice lei - "perciò sono nostri!" Mia sorella era decisamente furba, e portò a compimento l'apertura del cassetto, minacciandomi che mi avrebbe accoppata, se avessi parlato. Le dissi che per me non avrei detto niente e che non m'importava più. Ma ecco, il cassetto era aperto. Ma come era stata brava! Guardiamo dentro e ohhh! Che spavento! C'era una grossa pistola marrone. "Non la toccare!" grido io "è pericolosa!" Proprio in quei giorni era successa una disgrazia in paese a proposito di un fucile da caccia, che mentre un giovane lo stava pulendo, era partito un colpo ed aveva per sventura ucciso il fratello di lui. Mia sorella era proprio lo spirito di contraddizione, e per scherzo me la sventola sotto il naso. Non mi è parso il vero che la smettesse, e che richiudesse il cassetto. "Vedi - mi dice - sembra che non sia mai stato aperto! Nessuno si accorgerà."

Dunque di gioielli dentro il cassetto non ce n'era proprio nessuno, ma solo scatoline vuote. In una ciotolina c'era in vista solo una foglia d'edera d'argento, con in rilievo la figura della Madonna del Rosario di Pompei. Era della mia povera mamma, la quale era devota a Lei.

Le scuole elementari stavano per finire la loro funzione in vista dell'estate. Avevamo avuto anche un corso di ginnastica, che io facevo svogliatissimamente. Dunque, uscivo dalla prima elementare, e in casa era nato un bambino ed io non capivo come era arrivato, per me era una vera confusione mentale. Una cosa veramente nuova, anche per il fatto che mio padre, presente la mia matrigna, propose a me e alla Franca di scegliere il nome per il nuovo fratellino. Franca disse "Mario" io dissi "Valerio".

Allora lo chiameremo Mario-Valeriano, stabili il papà. Guardai per caso in volto alla mia matrigna e notai il disappunto. Non disse nulla. Forse la felicità di avere un bambino le ha fatto superare.

Non era contenta perché era risultato il nome di mia madre. Mio padre se ne accorse e rimediò male: "Lo chiameremo Mario-Valeriano-Giacomo". Poi lo chiamammo solo Mario. Tutti i giorni il bambino aumentava di peso, diventava sempre più bellino e non si vedeva per niente a lui il collo, ed io mi divertivo di questo. Era il 1931.

I pannetti erano grandi e molti, da lavare tutti a mano. E piano piano ci abituavamo. La lavatrice non esisteva ancora. E purtroppo una quarantina di pannetti andava e veniva all'uso. La mia matrigna era ingegnosa e li faceva a mano, magline, golfetti e copertine di lana, che lei stessa filava con rocca e spola. Come ho detto era brava in tutto. Sapeva anche cucire. In casa erano severi in quanto alle domande.

Come si fa ad impedire ai bambini di far domande? Eppure era così. Riuscii a fare una domanda. Unica: "Mame, dove si comprano i bambini?" "Al mercato!" mi rispose secca. Cominciai a fantasticare silenziosa. Se avessi potuto comprarmene uno, gli avrei voluto tanto bene, tutto il bene che desideravo dalla mia mamma per me, tutto. L'avrei tenuto in un cestino con tutti i cencini bianchi, puliti. Cominciai a pensare a quanti soldi potrebbe costare e non ne avevo. Mio padre e la Franca, dicevano che io ero nata sotto un cavolo, ed io mi accontentavo così. Ma quando ero nell'orto, una sbirciatina la davo. La mia matrigna era sempre nervosa, anche se mio fratello Sandrino non c'era più in casa, poiché mio padre Severino l'aveva mandato in seminario al "Tomadini" di Udine, per farlo studiare ecc... e alleggerire la mia matrigna, che aveva già in noi, la Franca e me, due figliastre.

Comunque anche se lavorando tanto in casa, per essere solo bambine, lei ci picchiava spesso, e diceva che eravamo disubbidienti, e che ci meritavamo le botte, cinquanta volte al giorno. Successe, che le donne del vicinato, se ne accorsero, ed anche il mio nonno materno Giuseppe, compreso la mia nonna materna Lucia (Luzie), che abitavano nella nostra stessa via Nadorie, al n°. 13, cioè poco distanti dalla nostra casa. A tiro di voce. Loro si affliggevano assai.

La nonna paterna Luigia, dissenziente alla scelta di mio padre a risposarsi, finì col partire per Roma, dove già si trovava un altro suo figlio, lo zio Eusebio, fratello di papà, abitavano a Roma, in Via Margutta al n°. 13, e lì si stabilirono. Diceva mia nonna, che voleva morire vicino, al Papa. Lei aveva le trecce lisce e nerissime, come quelle degli indiani d'America. Lo ricordo perché io stessa l'ho pettinata, poi faceva la crocchia sulla nuca come facevano tantissime donne, vecchie e giovani del Friuli. Le parrucchiere a quei tempi, erano rarissime.

Eravamo in estate in periodo libero dalla scuola, e mio nonno Giuseppe (Sef), un uomo enorme, molto alto, con baffoni e barba bianca, manone enormi, disse un giorno, che voleva andare su per le montagne a cercare foglie di tabacco per la pipa, previo seccatura. Lo disse per caso anche alla mia matrigna e lei le disse: "Dite, se volete portare la Fausta con voi?"

Il nonno disse di sì, che le stava bene e che mi avrebbe portato con sé. Il nonno Sef sapeva che la matrigna, mi picchiava spessissimo, e furibonda pure.

Ma perché non rispondevo, e la mia sorella Franca, perché rispondeva. Quindi non si indovinava mai. Al nonno spiaceva tutta la storia e intravedeva una vita infelice per noi ed abbastanza disgraziata. Aveva il cuore in subbuglio dal dispiacere di quella situazione ed avrebbe preferito morte le sue nipotine. Mi condusse piano piano, su su per le montagne, che mi sembravano tanto alte da non arrivare mai. Infine ci siamo inoltrati in un bosco freschissimo, folto, verde e bello, che mi è rimasto ancora nella visuale interiore. Trovammo le foglie di tabacco. Erano grandi grandi e sortivano dal terreno, alte circa cm. 50, su di li.

Il nonno le raccolse per qualche sporta e poi mi disse: "aspettami qui", e si allontanò nel folto del bosco. Io ubbidiente, aspettai li, sul piccolo spiazzo di erba e foglie ritta in piedi, piccolina. Tutto ad un tratto, mi avvidi che il nonno era sparito e che non ritornava affatto. Mi misi a piangere a squarciagola, chiamando disperatamente il nonno. E Dio sa, la paura che m'incolse. Continuai a piangere per tempo che mi sembrò interminabile. Erano le ore dell'alto mattino ed io urlavo a tutto dire ferma lì in piedi, dove il nonno, mi aveva lasciata nel bosco. Dopo ore, lo vedo ritornare, e con quel vocione, si permette anche di sgridarmi perché piangevo. Meno male che le mie urla disperate, lo dissuasero infine, di attuare quella sua pensata, cioè di abbandonarmi per sempre a morire nel bosco. Ma il nonno burbero e convinto di quello che aveva deciso, delle giuste ragioni vagliate in cuore, e nella sua semplicità accettate, non ce l'ha poi fatta a sopportare il dolore di abbandonarmi, a morire lì, per levarmi dalle grinfie della matrigna.

Mi riportò a casa, e portò a casa sua, le sue foglie di tabacco. L'indomani andai a casa del nonno e della nonna a portare un quartino di latte e a vedere la seccatura delle foglie di tabacco, frammiste a qualche buccia d'arancia per far loro acquisire l'aroma.

Trovai la nonna Lucia sola in casa, che pregava la novena alla Madonna di Castelmonte (santuario che si trova nei dintorni di Cividale, provincia di Udine). Lei aveva un librettino con la novena suddetta e mi fece pregare con lei, cosa che a me piaceva tanto, che lei aveva tanto sentimento. Poi però le dissi, che il nonno, mi voleva lasciare nel bosco, ma lei mi replicò: "Noo!" Questo fatto io l'ho raccontato solo a lei. Poi tacqui, e tenni per me, ma pensai di quanti animali selvatici e pericolosi anche sarei stata boccone. La volpe, il lupo, l'orso bruno, la puzzola, i ghiri ed altro. Se poi mi fossi trovata sola nella notte, sarei veramente morta di paura. Ma non andò così, grazie a Dio! Io ormai mi confessavo sempre, tutte le settimane, Eh!, sì! Questo, da quando avevo quattro anni e mezzo, e mio padre, se ne uscì fuori con un comando, a dir poco paradossale; "Vai a confessarti!" Mi dice. Non capivo bene cosa intendesse, dico "Chi? Io?" E lui "Sì, tu vai a confessarti! Anzi vai a confessarti tutte le settimane d'ora in poi!" Credevo di capire un poco. Avevo visto in chiesa i confessionali. Guardo mio padre sorpresa, e la sua espressione mi rimane impressa. Sulle guance, sotto i baffi le vedo delle leggere buchette, come di un sorriso molto represso. Timida; "Non so cosa dire!", e lui: "Va a confessare i peccati", "Papà, cosa sono i peccati?", "Non fare domande, va a confessarti!" Non faccio più domande. Però mi trovo un giorno in chiesa nei pressi del confessionale. Ero irrequieta. Il prete si affaccia e mi fa: "Cosa vuoi tu? Chi ti manda?" "Il papà, dico io". "Vai, vai, sei già confessata. Stai buona e smettila di correre in giro per la chiesa". Dopo, alcuni giorni la nonna Luigia al mio ritorno dall'asilo, aveva preparato due grossissimi fichi-fiore di quelli scuri. Uno per me e uno per mia sorella Franca, disse, che potevamo andare al Rosario in chiesa, cosa che facemmo io e la Franca. Per strada io mettendo la mano in tasca, non trovo più il fico, che sapevo di non aver mangiato. Comincio a strillare di santa ragione ed a pensare che me lo abbia mangiato mia sorella. Mia sorella mi tira per mano e mi porta in chiesa, che ancora piangevo. Di un subito mi cheto e mi distraggo a vedere la gente, di cui era piena la chiesa. Erano quasi tutte le persone vestite di nero e silenziosissime, perché il prete stava predicando. Dopo aver visto tutta la situazione, io mi trovai nei primi banchi quasi accanto all'altare sulla sinistra, dov'era il curato a predicare. E successe che distrattamente misi una mano nella tasca del grembiulino ... e s'infilarono le ditine nel fico, che era spiaccicato in fondo alla tasca. Mi resi immediatamente conto, allora...scoppiai a ridere sonoramente e fortissimo in piena predica, tanto che il prete guardandomi, smise di predicare, tanto io non potevo fermarmi dal ridere. La mia sorella se n'era andata, e non c'era più con me. Qualcuno finì per condurmi fuori di chiesa. Tornata a casa ho trovato la nonna Luigia che, aveva preso un topolino nella gabbietta rotonda, e l'aveva tenuto lì, per farlo vedere a me. Io non capivo se dovevo aver paura o no, so solo che aveva una bocchina rossa rossa. Poi non so che fine ha fatto quel topolino, poiché mi sono distratta come al solito. Ritorno al poi, a circa sei anni, nel periodo estivo dopo la prima classe elementare. Fu deliberato di mandarmi alla scuola di ricamo, che le suore gestivano, su all'asilo a Moggio di Sopra.

Ci andavo per imparare a ricamare la tela medioevale e fare le tendine a punto pieno, per la casa. La scuola di ricamo, finiva alle cinque pomeridiane. Tempo di ritorno a casa 13/15 minuti. Non so se una sera avessi dovuto scopare la scuola, fatto sì che ritornai a casa dieci minuti più tardi, cioè verso le cinque e venticinque. Appena entrata in casa, nella cucina a pianterreno, ricevo immediatamente una scarica di botte, invettive, ecc... La mia matrigna urlava che mi aveva avvertita di tornare a casa dritta come una ì, (questa la sua espressione).

Io sotto le botte, balbettavo che ero tornata proprio a casa di filata.

Ma le botte non cessavano. E sulla testa!, giù colpi a non finire, finché cominciai a tremare tutta. E lei: "Eh, guarda la sveglia che ora fa, e ti pare questa l'ora di tornare a casa?" Guardo la sveglia che segnava le ore diciotto, che dovevo fare? e, non capivo. Sapevo di essere tornata con scrupolo ed alla svelta a casa.

Ero come in delirio e balbettavo, vedo la mia matrigna che va all'acquaio e torna con un mestolo d'acqua, e vuole farmelo bere per forza. Io bevevo e piangevo, poi tutto ad un tratto trovo la forza di scappare dalla cucina, per sottrarmi alle botte e vado su di corsa per le scale esterne, fino al secondo piano, in camerina mia, seguita da quella furibonda che non era ancora soddisfatta. Avrei voluto chiudermi la porta dietro, ma non ce la feci, e poi me la avrebbe buttata giù. Insomma non ce la feci, e vedendo quel bolide venirmi addosso, mi rannicchiai accanto all'angolo del comò, tenendo le braccia sulla testa per ripararmi, e pianti e giù botte, che mi avrebbe voluta uccidere. Mi rammaricavo dentro di me, per non essere riuscita a chiudere la porta della mia camerina, ma tanto, quando ci ho provato, appena salita su, lei gridava che avrebbe buttato giù la porta e con tutta quella furia l'avrebbe fatto senz'altro.

Successe che un capannello di gente si addensò giù sul portone in fondo al cortile e le donne gridavano alla mia matrigna: "Belva, belva, lasciala stare quella bambina, ci pensiamo noi a te". La mia matrigna era già esausta di picchiarmi e si voltò beffarda e scanzonata, verso di loro dicendo, che lei faceva quel che le pareva e che loro potevano andarsene per i fatti suoi.

Queste tragedie succedevano, quando mio padre s'allontanava da casa, per uno o due, oppure tre giorni, quando andava in Austria a trovare il suo amico Joan, un signore agricoltore di quelle parti. Bugiarda sveglia! che si era artefatta l'ora. Non l'ho dimenticata più quella sveglia, con le sue lancette sulle sei. Così fu. E quante cose!

Il bambino in casa cresceva e avrà avuto dieci mesi che già aveva, un bel carretto imbottito per portarcelo a spasso. La Franca era sempre attorno al bambino, non me lo lasciava mai coccolare. Io lavavo i pannetti e provvedevo che asciugassero, e facevo gli altri lavori. Il pastone per le galline, la broda di crusca per le mucche e gliela portavo a mangiare e bere. Pulivo il loro letto, levando via tutti i rifiuti di loro, poi con la sistola lavavo il pavimento, e poi ci buttavo le foglie secche nuove per rifare loro il letto. A mungerle ci veniva la mia matrigna, ed il latte, levato quello per uso di casa, il resto lo portavo alla latteria comunale per fare il formaggio ed il burro, quando toccava il nostro turno. Mi pare di ricordare che raggiungevamo anche ventisette litri di latte al giorno con due mucche, la "Balette e la Zilile", che era di razza valdostana. Mio padre, l'aveva fatta venire da là, per la produttività del latte. A volte mio padre scendeva giù in Toscana a comprare alcune sementi ecc...Una volta fece venire per ferrovia dalla Valle Padana le così dette barbabietole da zucchero, e noi ci facevamo i minestroni assieme ad altre verdure, e le davamo spezzettate anche alle bestie. Poi le diffondemmo anche in paese. Io pulivo anche il pollaio e raccoglievo le uova, anche sedici qualche giorno. La mia matrigna le metteva poi in camera sua in un cestello. Lei faceva zabaioni con zucchero e marsala per sé e per i suoi figli, ma io non vedevo mai un uovo per me, ma solo ciotole da rigovernare. Avevo finito con l'imparare a pulire l'acquaio, ma ci mettevo sempre troppo tempo, tanto che l'acqua nel catino faceva i riccioli di grasso attorno. Quando avevo fame facevo in una cartina uno o due cucchiaini di farina di polenta gialla e la rimescolavo con lo zucchero e la mangiavo così cruda. Su in cucina non si trovava mai niente da mangiare, perché era posto tutto giù in cucina/cantina a piano terreno. Avevo scoperto nella credenza tra le tazzine, delle bustine di purgante "Aquila", che era composto da polvere di cioccolato ed allora mangiavo qualche cucchiaino di quello, per gola e per sfamarmi.

Io soffrivo veramente la fame, anche se papà a pranzo mi allungava i migliori bocconi che aveva nel suo piatto. Lui, in venti minuti mangiava, e poi, spariva via nel suo ufficio. È sì, purtroppo io avevo sempre fame ma la mia matrigna lesinava il mangiare, chiudeva tutto, e la cantina, era piena di roba da mangiare. Pezze, pezze pezze di formaggio, roba di suino appesa al soffitto della cucina bassa, orci di pietra con tantissimo burro cotto, ed orci con strutto e pezzi di carne dentro; di tutto insomma.

Ma lei diceva che mangiavamo a ufo, e non erano mai sufficienti i lavori che facevamo, poiché veramente erano tantissimi. C'erano i prati, il frutteto, l'orto, i campi e gli alberi. Tutto da accudire.

La mia matrigna falciava l'erba con la grande falce dal manico lungo con due maniglie disposte all'uopo. In vita, legata con una cordina, aveva una piccola faretra, dove teneva la pietra lunga piatta e ovaloide, per affilare la grande falce: era tanto svelta e brava, ed in poche ore o giorni falciava prati immensi. Noi eravamo troppo piccole e non potevamo ancora falciare, ma con un rastrello spandevamo i solchi dell'erba, allargandola al sole, perché si seccasse quanto prima. Dopo alcune ore di sole, andavamo sempre col rastrello a rivoltarla, perché si seccasse anche di sotto. Prima che calasse la rugiada dovevamo aver riunito tutto il fieno in covoni, sperando che non piovesse e che l'indomani, ci rifosse di nuovo un bel sole, per finire di seccare il fieno. Quando tutto riusciva bene, ed il fieno era ben secco, (a volte non bastavano due giorni) allora lo raccoglievamo in grandi bracciate stretto stretto a tirate di rastrello, e lo ponevamo sopra il gerlo, già pieno di fieno e messo in pendio, di modo che dopo aver posto sopra quattro o cinque bracciate sulla corda tirata, e poi con quella, legate strettissimamente alla base del gerlo, ci ponevamo sul dorso e sulle spalle una specie di coltretto imbottito. Ci ponevamo con la schiena appoggiata alla gerla, tirandosi sulle spalle delle ritorte di giunco, ben fissate al gerlo, noi con mosse destre, puntando i piedi su degli spiazzetti tra l'erba, riuscivamo ad alzarci in piedi con tutto quel covone di bracciate di fieno, ed eravamo fiere di farcela, e poi scendevamo a portarlo nel fienile dove lo sistemavamo stretto, perché ce ne stesse di più. A volte ci aiutavamo un po' a sollevarci, con il covone sul gerlo. Durante l'anno, si facevano tre taglie di fieno.

Il primo lo chiamavano" fieno buono" ed era il più alto, ma anche gli altri fieni erano buoni e preziosi per le bestie. Il fienile era sempre rifornito, e ben bene. Guardandolo da fuori, sembrava una casa, ed era tutto fatto in cemento armato, e sotto c'era la stalla, con vicino una stanza per le foglie, che raccoglievamo d'autunno, per fare i letti alle bestie. La terra lassù in quei posti, era nera grassa piena di humus, così il primo fieno, cresceva alto, fino alle spalle delle persone. Era uno spettacolo vedere così l'erba ondeggiare agli svariati venti. I boschi circostanti si distinguevano con il verde più scuro. Erano larici, abeti alti alti, fitti fitti. E l'aria, incomparabile, tersissima. E le acque che scendono dai monti stupende, limpide e musicali. Le avevo viste da vicino andando a tabacco col nonno. Mio padre tutti gli anni, ci inviava con le colonie al mare e così, dopo Cavazuccherina, ci siamo trovate a Lignano Sabbiadoro, e poi a Grado, ed al Lido di Venezia.

Quando tornavamo a casa i soliti problemi di aggressione della matrigna, la quale aveva per contrasto una sorella buona come una pasta, ma una madre tremenda più di lei, la quale le suggeriva di darci una minestracela, e di buttarci sul solaio. Ad essere rinchiusa sul solaio, toccò alla mia sorella Franca e non ricordo il motivo. Ma, probabilmente, sempre la solita accusa di disobbedienza, o fiera risposta. Povera la mia sorella, tre giorni rinchiusa sul solaio; dove notte e giorno correvano i topi e piuttosto grossi, e le passavano addosso quando dormiva, se avrà dormito. Appunto in quel frangente, la mia matrigna mi mandò su un giorno, con una scodella di latte, per la Franca, e mi dette in mano la chiave del Solaio, che aveva la portacela, poco discosta da quella della mia camerina, e si accedeva dal solito lungo terrazzino di legno, lo infilai la lunga chiave e girai, ma la porta non si apriva, perché mia sorella aveva tirato il catenaccio da dentro, col chiaro intento di lasciarsi morire. Cominciai a bussare e a chiamarla con pazienza e timore ed aspettai che i flebili suoi lamenti, si realizzassero nel vedere la sua persona. Poi ad un tratto, la intuii dietro la porta, e le dissi: "Franca, apri!" e lei. "Che vuoi?" "Ti porto il latte!" Piano, piano, aprì il catenaccio e si aprì la porta. Mi si fece davanti agli occhi la visuale di una bambina pallida e bianca, più della sua carnicina corta. I suoi occhi grigi spalancati, mi sembravano più azzurri.

Le ressi, tendendogliela, la scodella del latte, e lei bianca, bevve il bianco latte Mi tremava il cuore e le dissi: "Esci e vai nella camerina accanto, così dopo, ti posso portare qualcosa da mangiare, ma lei non volle e mi disse: "Tanto lei mi viene a riprendere". Era terrorizzata. Allora le dissi: "Io non ti rinchiudo, e tu promettimi di non rinchiuderti dal di dentro mi disse: "Si!" "Scesi, e la mia matrigna, fece: "Lunga codesta tazza di latte eh!" Tacqui. Mia sorella aveva poco più di otto anni, ma ne dimostrava di meno. Ore, giorni! Il fattorini, proprio prima che tornasse mio padre da fuori. Ma la matrigna ci minacciava che questo e quello, lei l'avrebbe raccontato a mio padre, il quale ci avrebbe picchiato anche lui a sua volta. Così ci tacitava, e non osavamo dire nulla a mio padre, poiché con noi, era già di suo, troppo severo.

Lei era influente con lui in modo di fascinazione, in fondo, aveva quindici anni meno di lui. Quando si sposarono lei aveva ventitre anni e lui trentotto.

Insomma, lo convinceva facilmente, e quando lei gli diceva qualcosa contro di noi, lui si arrabbiava davvero verso di noi, e a volte alzava le mani che erano abbastanza pesanti. Meno male che ci picchiò poche volte, tutto sommato. Io ero a volte molto afflitta interiormente, e dentro il mio cuore, non si affievoliva il mio affetto per lui, anche se per noi non esistevano proprio, le coccole.

Questo, anche tutti, più o meno gli abitanti di lassù, non sono usi a dimostrare gli affetti. E così non esiste nessun dialogo e tantomeno affermazione di pensiero o vizio, anche se piccolo, per aiutare la nostra formazione, specie sociale. Così erano infine, costruiti i muri invisibili fra noi. Anche con mia sorella, non c'è mai stata intesa fra noi, proprio perché nessuno ci insegnava a volerci bene.

La famiglia cresceva e nel millenovecentotrentatre nacque la Anna Pia. Lo stesso anno che nacque Maria Pia di Savoia dalla Regina Elena e da Re Vittorio Emanuele III°.

Quel giorno c'era il sole e in Italia festeggiavano la nascita ai regnanti, ma a me importava solo quella giornata di sole, e c'era una bambina nuova in casa. Dormiva tranquilla. In quei giorni seguenti la mia matrigna, fece dei dolci stupendi tutti lavorati che sembravano ricamati. Erano destinati a qualcuno che si sposava nel paese, conoscenti di famiglia che io non vedevo mai. Fece dei dolci anche per casa nostra. Lo strudel di ciliege e noci, e panini di granturco con uva. Ce ne dette anche a noi, ed era veramente brava. Diceva che aveva fatto la pasticciera a Milano, da ragazza. Era brava in tutto, nel cucire, nel fare la calza, io l'ammiravo, ecco. Lei era molto espressiva in viso, e come carattere era decisamente simpatica. Che contrasto, col trattamento a noi! Veniva a trovarla una sua paesana, la quale era pure matrigna a sua volta, di due bambine.

Ecco, in breve tempo, quelle bambine sono morte tutte e due. Ho sentito nel vicinato, qualcuno a parlottare che si erano ammalate di tifo. Una bimba di nove anni e una di undici. Lei, la loro matrigna, le lasciò morire su al piano di sopra della loro casa, per non portare loro neanche un bicchiere d'acqua. Queste persone che io sentivo parlare, dicevano pure: "Di matrigne sarebbe una gran fortuna se ogni tremila ce ne fosse una di buona".

Dunque, per proseguire della nostra famiglia, dopo che io e la Franca tornavamo dalla colonia marina si prendevano altre destinazioni. Mio padre decise, di mandarci tutti in montagna, sul Gran Colle, la mia matrigna, i bambini, noi due, le galline, le mucche e, masserizie, ecc... Il posto era estremamente solitario, solo quattro case disabitate, dove viveva solo un vecchio, in una di esse.

Eravamo alti. accanto al cielo, in quel posto e stavamo bene. La mia matrigna era più serena, le piaceva leggere romanzi a puntate, e ce li lasciava leggere anche a noi. Lassù non c'era la luce elettrica, ed io dalla finestra riuscivo a leggere alla luce della luna piena. A volte facevo la calza, dei veri e propri calzetti di lana di pecora. Mio padre rimaneva giù in paese, perché doveva lavorare in ufficio tutta la settimana. Alla domenica veniva su a piedi, con il suo sacco di montagna ed il bastone dal corno di camoscio. Ci portava ciò che ci mancava, secondo quello che supponeva lui. Noi eravamo tutti contenti di vederlo. Con lui andavamo a funghi e ne trovavamo moltissimi che, cucinati, mangiavamo con la polenta calda. Alla mattina mangiavamo, la polenta nel latte, che rimaneva tutto ad uso della famiglia e facevamo anche il burro all'istante.

Nel cortiletto davanti a casa c'era un albero di ciliegie e vedevamo i ghiri, (una specie di toponi) con la coda folta, correre su sull'albero a mangiarsi le ciliegie. Poi i ghiri scoprirono la nostra dispensa e allora, trovarono il modo di inoltrarsi a scorpacciare quello che potevano. A volte io entravo di colpo e loro scappavano, ma a me facevano tanta paura. Quel vecchio che abitava lassù, li acchiappava, li cucinava e se li mangiava fuori dell'uscio di casa sua. "Tu sapessi come sono gustosi!!!” mi diceva. Ed io: "Se li mangi lei, a me fanno effetto!"

Un giorno vidi una puzzola che allungandosi cercava di entrare attraverso un buco nel pollaio ad ammazzare le galline, e allora poi, provvidi con sassi e bastoni ad otturare tutte le possibilità per loro di entrare. La mia matrigna si imbatté, e meno male!, in una volpe, mentre mangiava la polenta che aveva in mano il mio fratellino Mario. Se arrivava un attimo più tardi, addio manina! Mario era carino e cominciava a dire qualche parola. Diceva dopo il fatto della volpe: "volp mame, volp", oppure si atteggiava a cercar funghi e diceva: "fonc, fonc". Bisognava stare molto attente a lui, che non scappasse, poiché aveva imparato a camminare, anzi quasi correva. Dei giorni io portavo al pascolo le mucche. Erano buone, ma io ne sentivo tanta responsabilità. Infatti un giorno si era impigliata una delle mucche, con le corna, in un ammasso di sterpi, proprio in cima ad un burrone. Ebbi tanta paura che precipitasse, ed io con lei per trarla dalla grave situazione. L'ho recuperata con la mano piena di sale, e grazie a Dio, si è salvata. Ma che passione per me! Dopo l'accarezzavo per consolarla e per consolarmi.

La portai a sera al suo posto e credo che stetti a lungo con il cuore tremebondo per questo, in fondo ero sempre solo una bambina. Ma ogni giorno, si sussegue ad un altro giorno, anche se a volte la notte si fa la pipì a letto.

Venne la fine della vacanza salutare, e ritornammo al paese, con un camion preso ad affitto con tutte le nostre bestie e con un carro con tutte le mercanzie. Di nuovo al paese nella nostra casa, riprese la solita routine. Il lavoro non mancava mai. Una cosa si prospettò per me, come per la Franca. Nel paese erano stabilite le nuove Comunioni e la Cresima. Il vescovo Nogara sarebbe venuto su al paese, eccezionalmente, infatti le Cresime si facevano di rado negli anni. Allora la mia matrigna, visto che tanto io che la Franca dovevamo ricevere la prima Comunione e fare la Cresima, si dette da fare per cucirci i vestiti, i quali erano cuciti a pieghe, cioè, con due cannoni di qua e di là e dietro pure. Però erano vestiti fatti con criterio, per poterli usare poi anche nelle altre domeniche. Infatti non erano bianchi. Erano color rosso fiorentino, così detto, che per me non era proprio rosso, ma una specie di rosa scuro intensissimo. La stoffa aveva anche delle minuscole virgoline nere, che appena si notavano. Il vestito non era lungo che fin sotto le ginocchia, comunque mi piacevano moltissimo quei vestiti. Dopo la festa in chiesa, ci hanno condotto in un prato in pendio a fare la fotografia. In chiesa, a Moggio di Sopra, tutte le cresimande erano vestite di bianco e lungo fino ai piedi. Noi due sole eravamo vestite di un rosso particolare. Ma la cerimonia fu molto bella, anche se io permalosona, non sapevo che alla Cresima il vescovo ci avrebbe dato un buffetto sulle guance, che a me particolarmente è stato un po' forte, forse troppo deciso. Questo proprio mi impermalosì quasi alle lacrime, tanto che non l'ho più dimenticato.

Avevo per desiderio di mio padre, i capelli tagliati alla maschietto con un grosso ricciolo sulla fronte. Mia sorella no. Li aveva tagliati alla bambina con la frangetta. I suoi capelli erano più grossi dei miei pesanti e lisci. Non si poteva permettere il ricciolo lei!

Ritornammo poi alla scuola nella stagione appropriata, ma lei non era in classe con me, era più avanti, infatti aveva due anni più di me poco più. Non mi ricordo che mia sorella parlasse molto con me, anche se io le correvo letteralmente alle calcagna. Non so perché, ma c'era un fatto, che le succedeva spesso, un inconveniente; saputo in famiglia. Faceva la pipì a letto; questo fatto aveva origini organiche oppure psicologiche. Lei ne soffriva e taceva. Sentii in casa, a proposito, un discorso assurdo: che per farla guarire, bisognava farle mangiare un topino. Non lo fecero, naturalmente. Con il tempo poi guarì. Una volta successe anche a me. Sognavo di essere sul vasetto da notte e feci a tutto spiano la pipì a letto. A quanto pare era quasi l'ora di svegliarmi e appena sveglia, non mi rendo conto, mi sentivo tutta sudata. Scendo dal letto, capisco e mi spavento. Chissà quante ne avrei prese! Non sapevo come risolvere ed intanto, proponendomi che ci avrei pensato, tirai su le coperte su quel lago. Invece, per tutto il giorno, mi si cancellò la cosa dalla mente. Alla sera mio padre va su in camerina a prepararmi il letto, per mettermi a dormire, e scopri tutto! Fu uno scandalo e rimproveri giustissimi, a non finire per tutti i giorni seguenti. E così via, materassi al sole per due tre giorni. Che disastro!

Ecco, il bucato. Ecco lo facevamo lavando sui mastelli, con grossi saponi, tutto a mano e poi stendevamo, sulla roba lavata e strizzata e stesa dentro il mastello, un telo filtro di grossa canapa e ci mettevamo la cenere sopra, per un certo strato, e poi buttavamo l'acqua bollente sopra. L’acqua filtrava piano piano. Lasciavamo il bucato così nell'acqua filtrata dalla cenere, per tutto il giorno e per tutta la notte. L'indomani si tirava fuori la biancheria e strizzata, si metteva poi in grandi cesti rotondi con un grande manico curvo ritorto. Pesantissimi, li portavamo alla roggia alimentata dal torrente "Aupa" a sciacquarli a dovere. Erano lenzuola e panni candidissimi e li riportavamo a casa a stendere sui fili tesi sul terrazzo lungo, che si trovava appunto fuori dalla mia camerina.

Questi lavori durante l'inverno erano atroci per il grande freddo. 17° sotto zero. Le mani erano viola e i panni si congelavano appena stesi e diventavano come dei baccalà secchi. Non si potevano toccare, sennò si spezzavano, sicché ci voleva pazienza ad aspettare le ore di sole che li asciugassero. Noi avevamo il ferro da stiro di ghisa, con i carboni accesi dentro. Avevamo la cucina economia a legna, e d'inverno sempre accesa con l'acqua calda nel serbatoino. Le stufe nelle camere, si accendevano alla sera, poco prima di andare a dormire. Mio padre decise di trarre dal solaio, un'altra camera, accanto alla mia, per la Franca. Risultò poi una bella stanza. Le pareti ben tinte a disegnini verticali. Pavimento di assi bianche, e mobili bellini, ed anche la stufa arancione. Un giorno mi recai nella piazza della chiesa. Volevo andare a trovare la sorella della mia matrigna, la Talie, che aveva un negozio di frutta e ortaggi, lì nella piazza. Volevo andare a trovarla perché era una persona buona soprattutto, ed anche gentile. Pochi metri, prima di arrivare da lei, mi imbatto in un signore alto, enorme, elegante, con il cappello. Lui mi parla ed io lo guardo da sotto in su. Ero proprio piccola. Mi dice: "Sei la figlia di Severino, tu?” ed io: "Sì". Lui mi dice ancora: "Sai io sono l'amico di tuo padre, l'Enrico!" e così dicendo mi fa una carezza, e poi mi da una lira. Mi saluta e mi dice di salutare il papà.

Io trovandomi una lira in mano, cambio itinerario e vado su per la strada che porta alla piazza del Comune. In quella strada, c'era un negozio di giocattoli, detto della "Wune", entro e compro il primo giocattolo della mia vita. Non ho scelto. Il primo che ho visto costava esattamente una lira, ed era il ferretto da stiro, di un metallo leggero, che sembrava di carta stagnola. Fatto bellissimo! Esco dal negozio con il mio ferretto da stiro in mano, vidi che scintillava al sole, ed io ero entusiasta. Corro a casa e lo faccio vedere alla mia matrigna, era così bello!!! Sarebbe stata senz'altro contenta, di buon umore. Invece no, volle sapere la storia e poi incominciò a rimproverarmi, che i soldi vanno portati a casa e che bisognava chiedere il permesso di spenderli.

Nei ritagli di tempo, tra un lavoro e l'altro, giocavo con il mio ferretto da stiro, piccolino, sette centimetri. Lo feci vedere ad una bambina del vicinato, ma dopo due giorni il ferretto non c'era più. Il ferretto si involò e l'amicizia non cominciò. Cominciai ad osservare come erano fatte le carnicine e le magline dei neonati, perché volevo cucirli anche io e preparare un corredino. In camerina mia, tagliavo delle piccole stoffe bianche e le preparavo per cucire. Era estate ed io le potevo nascondere nella bocca della stufa, poiché avevo deciso di non dire a nessuno del mio proposito, che era quello di andare un giorno, quando avrei potuto avere i soldi, a comperare un bambino. Gli avrei voluto tanto bene.

Ma con il venire dell'inverno, la stufa fu manomessa per prepararla all'accensione, cioè pulita. Lo fece la mia matrigna, la quale esclamò: "Guarda qui, guarda qui!" Fui scoperta e mi dispiacque in cuore. Tacqui e non manifestai il mio intento, tanto più che non avevo neanche i soldi per comperare il bambino. Continuava la vita di tutti i giorni, con i lavori in casa, la scuola e le bestie.

Mio padre alla domenica, saliva per le montagne. Camminava molto. Tornava a casa, quando con tanti funghi, quando con spinaci od asparagi selvatici, molto buoni tra l'altro, con il risotto verde. A volte portava con se la Franca, a volte portava me. Una volta lo sentii dire, che avevamo fatto ben 53 Km. io e lui!

Mio fratello Sandrino fu mandato, dal seminario di Udine, al seminario della Consolata di Torino, e non lo vidi neanche in quella circostanza. Mi accorsi con il tempo, che non era amato per niente e veniva allontanato per questo. Ma Sandrino invece, era molto buono e sensibile. Fu così mandato senza vocazione. Ma lui di questo era completamente innocente. Gli servì comunque per lo studio, fece parecchie materie e risultò con dei voti splendidi su tutto. Era il suo sforzo per farsi voler bene, dal papà specialmente. Ma non valse a nulla. Poi stette via a Torino per molti anni.

Venne deciso in casa che occorrevano, ad uso famiglia, delle fascine e tante. Avevamo sul retro casa, un altro cascinale sulla destra, proprio atto all'uopo. Allora partimmo per disboscare dei cespugli tutto il pendio del Gran Colle. Partimmo con qualche mezzo, che ci faceva guadagnare tempo, per essere laggiù nel bosco, a poco più delle quattro e mezza del mattino. C'era anche il nonno Sef ad aiutarci. Dunque, la mia matrigna, la Franca ed io e non ricordo più se c'era qualche d'un altro. Sì, perché a volte prendevamo persone a giornata, quando fosse stato troppo necessario, o uomo o donna. Lavorammo disperatamente a tagliare cespugli e stecchi di ogni genere, per poi radunarli e legarli in fascine lunghe. Eravamo tutti protesi a vedere il risultato. In quel giorno facemmo pulito tutto un sottobosco, per un'intera ala della montagna. Rimanevano così, i soli alberi di alto fusto, tra i quali era soffusa un'atmosfera grigio-perla. Tornammo lassù per altri tre giorni. Portammo a compimento il lavoro, con una volontà incredibile. La mia matrigna che era solita affibbiarmi l'epiteto di poltrona e mangia ad ufo, si sbilanciò a darci del brave a tutte e due. Venimmo giù verso casa, dopo aver legato tutte le fascine e radunate in più mucchi alle falde del bosco. Eravamo cotte e stremate tutte dalla fatica, ma contente che fosse finita quell'escursione.

Dopo qualche giorno, in via Nadorie, fuori dal portone del nostro cortile avanti casa, si fermò un grande camion con rimorchio, ambedue stracolmi di fascine. Scendemmo a spalancare il portone, e furono tutte scaricate nel cortile che era capiente oltre modo. Il camion noleggiato da mio padre s'allontanò con l'autista. Era la prima volta che io vedevo un così grosso camion. Appena passava per la strada. Era di colore rosso scuro. Chiudemmo il portone e risalimmo in casa. Appena a cena, alla sera, (un bel minestrone, fatto da mio padre) e polenta con il formaggio, saltò fuori il discorso delle fascine. Erano da tagliare tutte, sul ceppo, lunghe venticinque trenta centimetri, e poi sistemate su nel cascinale a destra, dietro la casa, nella legnera. In casa dissero. "Quello è un lavoro che possono fare la Franca e la Fausta insieme". E così l'indomani cominciammo con il manarino, a tagliare quegli arbusti sul ceppo. Un lavoro enorme ed antipatico.

Gli stecchi a volte ci facevano male alle mani.

A bracciate, dopo averli tagliati, li portavamo su nella legnera. Uscendo dal portone, facevamo il giro lungo il muro, costeggiando il piccolo ruscello e poi svoltavamo dietro casa e fino alla legnera. Le sistemavamo proprio bene, che occupassero posto il meno possibile. Le fascine tagliate, servivano poi, per accendere le stufe per l'inverno e per accendere la cucina economica. Ci aiutavamo ad accendere il fuoco, anche, con un piccolo pezzetto di legno resinato, che si chiama lump. Era favoloso con che facilità si accendeva il fuoco. Quello delle fascine fu un lavoro lungo e rozzo. Quando finì, era veramente l'ora. Non passò molto tempo, che con sorpresa vidi arrivare, davanti a casa nostra, il solito camion rosso con rimorchio. Erano colmi di tronchi di circa un metro e venti o trenta. Per noi!

Li aveva ordinati mio padre, per legna da fuoco, per uso di casa, riscaldamento e cucinare per la famiglia. Scaricammo tutti i tronchi nel cortile e poi chiuso il portone, rientrammo in casa, in cucina, mangiammo e poi andammo a dormire.

L'indomani, mi trovai a tirare una lunga sega, davanti ad un cavalletto con sopra un tronco dal diametro di 25 e più centimetri. Oh, ce n'erano di più grossi e anche di più piccoli, di tutte le fatte insomma. Dall'altra parte del cavalletto, tirava la sega la mia sorella Franca. Lei prendeva il lavoro sul serio, ed era assai generosa nel dare se stessa col lavoro, me la vedo ancora davanti agli occhi, e proprio con questo mastodontico lavoro, che ci era stato appiccicato così impropriamente, e di cui io mi sconfortai subito e ne ebbi paura. A vedere poi, la enorme catasta di tronchi che era lì nel cortile...!

Credo che ci mettemmo tutto o circa un giorno, solo a fare tre tagli con le seghe, cosicché risultarono quattro pezzi. Con un pezzo di tronco, che poi fungeva da ceppo, cominciammo a fare dei tentativi spaventosi ponendo sopra quel ceppo, un altro pezzo tagliato in verticale, e cominciando a darsi da fare con la mannaia, col mannarino, e con un grandissimo doppio martello di ferro per fare entrare meglio la mannaia. Riuscimmo ad aprire queste legna prime, ma il merito era del 99% della Franca poverina, che non arrivava ancora a dieci anni. Comunque avevamo sconfitto l'impossibilità con questo inizio.

Mio padre era tutto il giorno in ufficio, e si provò a dar mano in qualche ritaglio di tempo. Me lo ricordo preoccupato, e facilmente irritabile.

Addio giochi con le palline colorate, non mi rimaneva che leggere durante la notte i romanzetti da cinque o dieci centesimi, che erano depositati nelle stanze più alte, della casa dei nostri vicini di casa, e di cui avevo chiesto il permesso alla proprietaria, che me l'ha subito concesso. La porta di quelle stanze era sempre aperta e si accedeva dalle nostre stesse scale. Di romanzetti ce n'era a bizzeffe, addirittura due stanze con i pavimenti pieni, tutti messi a terra a mucchi. Piccoli romanzi e consistenti. Piacevolissimi. Ne leggevo anche due o tre per notte.

Mio padre si affacciava sul retro casa, dalla finestra di camera sua, ed intravedeva la luce, alla finestrina della mia camera. Allora mi diceva forte: "Bello eh, vendere sole per comprare luce!" Mi rimproverava per farsi sentire dalla mia matrigna, ma in fondo al cuore lui era contento che leggessi.

Lui stesso leggeva moltissimo. La cultura era importante per lui, e aveva studiato a Firenze e conosceva il latino, il tedesco e lo slavo. Qualcosa anche di greco. Fumava un sigaro toscano dietro l'altro. Anche la mia matrigna fumava, ma tante sigarette. Lui gliele riforniva, ed una volta le comprò, in una sola volta, addirittura, cento pacchetti. Lo dico perché per me era un motivo di meraviglia, una cosa nuova, o, quando lei lo voleva, le andavo a comprare le popolari da fumare. Una notte, faccio un sogno che mi trovo sulla strada della Chiesa, al mio paese e mi incontro con mia madre Maria Valeriana, che aveva i vestiti lunghi ed il soprabito lungo. Come era nella fotografia di famiglia. Alta, poiché era in piedi. Io le parlo e le dico: "Mamma!, vieni a casa nostra. Noi stiamo tanto male!" Lei mi guarda con amore e quasi si china verso di me (io ero proprio piccolina rispetto a lei). Mi disse: "Cara, mi andresti a comprare cinque centesimi di tabacco macubino?" Ed io: "Dove stai di casa?" e lei: "Lassù, a Moggio di Sopra". Ed io pensai: al cimitero. Mi svegliai e la mamma nelle cui braccia avrei voluto sprofondarmi, era svanita. In quei tempi ed anche dopo, dalle mie parti, si usava annusare il tabacco aromatizzato, da uomini e donne, tant'è vero che esistevano le tabacchiere di tutte le fogge, d'argento, di madre perla, di legno, fatte a scarpina da donna, ecc... Si vedevano nelle case, e ci affascinavano, come i ventagli e gli ombrellini da sole, con le gale e i pizzi. Ce n'erano due degli ombrellini da sole, della mia povera mamma. Uno bianco, molto vezzoso, ed uno nero, pure con pizzi, e manico lungo ed elegante. Erano nella casa, e poi sono andati persi. Io ero molto gracile, tant'è vero che mio padre decise di farmi prendere dell'olio di fegato di merluzzo, tutte le mattine anche perché ero linfatica, cioè avevo delle noduline nel collo.

Poi decise di mandarmi, per poco più di due settimane, presso la madre di mia matrigna ad Ovedasso, una frazione di Moggio. Ovedasso era piccolino ma enormemente bellino, in una posizione incantevole. Le case erano semplici ed antiche, e proprio per questo suggestive e pittoriche. Il sole e l'acqua non mancavano. Era posto su di un poggio sul fianco della montagna, e si estendeva fin dietro la chiesa. Io abitavo con questa nonna, (acquistata), nella sua osteria, e non era poi male stare lì.

In quei primi giorni, stando sull'uscio di casa sulla strada, vidi passare il sagrestano con un bambino della mia età. L'uomo salutò la nonna e disse che andava con il bambino a fare l'ufficiatura di suonare le campane del mezzogiorno. Chiesi alla nonna il permesso di andare con loro e la nonna dopo aver chiesto al sagrestano, me lo concesse. Così vidi le grosse corde delle campane che salivano e scendevano. Il bambino si era attaccato ad esse e si divertiva ad andare su e giù. Mi disse: "Vieni anche tu?" Chiesi al sagrestano se potevo. Mi rispose: "Io sono vecchio ormai, fatelo voi."

Era un uomo molto mite ed umile, e lo disse senz'altro per farci piacere, perché vedeva che ci piaceva da matti suonare le campane. Avevano un suono bellissimo e si spandevano per l'aere, e certamente per tutto il così detto "Canal del ferro" perché c'erano le miniere. Io fui felice di aver scoperto come suonar le campane, e tutti i giorni cominciai ad andarci al mezzogiorno. Aspettavo il loro passaggio, per andare con loro. Ma, successe una volta, che loro non vennero. Il mezzogiorno era alle porte, ed io fremevo, pressandomi alla nonna per questa impellenza. La nonna mi disse: "Vacci tu". Non me lo feci dire due volte. Volai verso la chiesa ed entrai nel campanile. Le corde erano tutte mie. A piccoli saltini, detti il via alle corde, e scoprii che piano piano ce la facevo.

Le campane davano le prime avvisaglie di suono seguitai i miei salti intermittenti e le campane presero l'ando, con tutto il vigore.

Io Fausta, ero tirata dalle corde fino al soffitto di legno del campanile. Le campane avevano una forza immensa ed io ero un fuscello, che andavo su e giù ormai per forza d'inerzia. Le campane suonavano a distesa ed io ebbi il timore che mi strappassero le corde dalle mani, tanto erano potenti. I buchi sul soffitto, dove passavano le corde, sembravano volessero risucchiare anche me. Non so quali manovre frenanti, posi in atto. Mi sembrava che non avessero mai a cessare di suonare. Dovevo farcela, altrimenti la gente, sarebbe inopportunamente, accorsa a vedere quello che succedeva, e questo non mi conveniva davvero. Non avrei più potuto farlo ed era una cosa che mi piaceva tanto. Era come andare in altalena. Piano piano si rallentavano, ed io capii che ero sulle mosse giuste. La nonna mi disse che era andata bene, e compresi che ero stata sufficientemente nei limiti di tempo.

Oh, il vecchio ed il bambino, naturalmente vennero ancora degli altri giorni, ma io dicevo loro, non si preoccupassero se a volte non avessero potuto venire, che l'avrei fatto io. Il vecchio capì, e così per alcuni giorni non venne, che tra l'altro le scomodava alquanto, dovendo lasciare il lavoro. Così io fui felice! Le campane a mezzogiorno erano mie. Una vera avventura!

Un giorno conobbi il nonno, padre di mia matrigna. Viveva in un'altra casa. Stava facendo il mosto, utilizzando le mele. Mi offrì un bicchiere di mosto. Era molto gustoso. Lui lavorava all'aperto, curvo sui tini. Mi disse: “Cosa fa quella belva di tua matrigna? Le avrei dovute ammazzare tutte e due”. Intendeva la figlia e la moglie. Lui viveva di rancore, ormai. Era separato e umiliato.

Un giorno, sempre a Ovedasso, sono stata invitata dai signori Tosi, fratello e sorella, provenienti dal basso Friuli. Frano costà in villeggiatura e abitavano nella casa della cugina di mia matrigna. Sono stata invitata a fare con loro una passeggiata: La signorina Tosi era raffinatissima e soprattutto gentilissima. Stavo conoscendo la gentilezza e la dolcezza. Alle ore 14, era stabilito che sarei andata su a casa sua, per partire poi da lì, per detta passeggiata. Lassù nella sua casa accanto al focolare, trovai un'altra bambina piccola come me, e capii che anche lei era invitata alla passeggiata. La signorina Tosi era al piano di sopra a prepararsi e vestirsi per uscire. Noi due bambine ci trovammo quindi sole vicino al focolare, e ci squadrammo a vicenda. Lei era una bambina fragile, piccola e probabilmente molto buona. Ma io, che avevo infine assaggiato la gentilezza della signorina Tosi, i suoi gesti e i suoi modi di grande educazione, ne divenni scioccamente gelosa di questa bambina, e allora, mi trovai che le dicevo: “Vai via tu!” Non capivo ancora che l'amorevolezza si deve dividere, e che tutti ne hanno diritto. La bambina mi fece sussiego e non mi rispose. La signorina Tosi scese, ci prese tutte e due per mano e ci portò per un tratto di strada, dietro la chiesa di Ovedasso, su di un bel poggio coperto da un prato verde ad erba corta. Là ci sedemmo a contemplare la vallata con il paesino di Riesutta sotto noi, e un po' più a nord quello di Chiusaforte, dove le donne vestono perpetuamente di nero, con fazzoletti neri sul capo. Lì, a Chiusaforte, vive un piccolo assembramento di persone, residuo di una storia antica. Loro parlano il russo dialettale, e noi friulani non li capiamo. Sono semplicissime persone e riservatissime, chiuse nei loro bisogni e nella loro miseria atavica. (I roseans).

Altre volte tornammo sul poggetto e c'era pure il fratello della signorina Tosi. Stavamo all'aria e al sole, e i colori della natura erano limpidi e splendidi. Di giorno in giorno, si avvicinava il tempo che avrei dovuto tornare a casa, a Moggio. Mio padre pensò di venirmi a prendere e venne con la moglie. In quel giorno nell'osteria della nonna, c'erano i musicanti con i mandolini e le fisarmoniche. Molta gente ballava nelle due grandi stanze, e c'erano anche dei tavoli, dove la gente giocava a carte e beveva.

Mio padre si piazzò subito a fare la partita, con il suo taglio di vino rosso accanto. I bicchieri erano piccoli e col loro rubino, brillavano al sole, che entrava dalla finestra. Mia matrigna ballava. Io mi affacciai al terrazzino con la mia palla in mano, e me ne stetti lì tranquilla. Si avvicina a me un giovinetto, poco meno, e mi dice: “Faustina, vuoi ballare con me?” Io spalancai gli occhi dalla sorpresa e risposi “Mah, non so ballare!” Non riuscivo a vedere il suo viso, allora mi sono voltata verso la mia matrigna, la quale capì e disse: “Ma sì, balla!” Mi trovai a ballare per la prima volta ad otto anni e mezzo. Mi voltai a vedere se mio padre mi vedeva. Per l'appunto mi vedeva.

Per la verità a me non interessava ballare, perché non mi divertivo. Mi piaceva di più giocare con la palla di gomma. La festa finì e tornammo a casa.

I giorni ricominciarono pesanti e con tutti i lavori da portare avanti. Mia matrigna stava facendo la calza. Tirava su sui ferri un vestitino di lana, di un bel colore verde oliva per la Pia. Prima fece il bustino, o carré, e il resto tutto a crespine e scampanato. La Pia sembrava una bambola rivestita in vetrina. Mia matrigna era molto brava, ma i bambini erano il più possibile, in braccio alla mia sorella Franca. Comunque c'erano sempre i tronchi da segare al cavalletto, e poi da spaccare sul ceppo. Il lavoro era enorme e lungo, come si può immaginare. E sega, e sega, e sega, e spacca, e spacca, e spacca, non si finiva mai. Via via, quando c'era un mucchio di legna spaccata, subentravano alcuni bambini del vicinato ad aiutarci a portarli su nella legnera, dove li ponevamo al loro posto. E col tempo, col tempo, col tempo, il lavoro dei tronchi finì...

E poi la scuola. Non so come io ne fruissi o beneficiassi di essa. Mi piaceva la geografia, la storia e la matematica. Le signorine insegnanti di ginnastica, ci portavano dietro la scuola tra gli ippocastani a fare appunto ginnastica. A me non piaceva la ginnastica, facevo già tanta fatica a lavorare a casa, e quella era più che ginnastica. Le maestre addette non erano dunque contente di me, e questo lo capisco. Però, gli ippocastani, che alberi simpatici!, come si stava bene sotto di loro! Io raccoglievo le belle castagne d'india per giocare e per fare una specie di finto sapone, inutile. Passato qualche mese, e il mio fratellino Mario, era sempre in collo alla Franca. Un dì lei era seduta con il bambino, sui scalini in fondo alla scala. Scala di pietra serena, nel cortile di casa. Il bambino era alquanto infagottato, ed era sul suo grembo. Mia sorella lo circuiva con tutte e due le braccia per reggerlo con più sicurezza, poiché il bambino era un po' pesante, tutta ciccia. Succede, che il bambino le scivola un po' fuori dai cenci e tocca coi piedini in terra, sui scalini. In quel mentre, scende dalle scale la mia matrigna, e vede la scena. Apriti cielo! Investe malamente la mia sorella Franca dicendole cose terribili, e dicendo, che lei l'aveva fatto di proposito, cioè apposta, di far scivolare il bambino, e che lo voleva buttar per terra.

Tutte accuse assurde. Io ero lì, ed avevo visto. Il bambino aveva appena sfiorato con i piedini lo scalino, dove era a sedere la Franca. Successe un putiferio, mia sorella rispondeva a tono a quella aggressione. Mia matrigna le tolse il bambino e cominciò a picchiarla, eccome.

Alla sera ne parlò a modo suo a mio padre, convincendolo di chissà che cosa. Insieme decretarono di castigarla. Ma come? La rinchiusero nella casa vecchia vuota, che era della mia nonna paterna, nonna Luigia, ormai da tempo trasferita a Roma, in Via Margutta 13, presso lo zio Eusebio. Sommamente, molte case in paese erano decadenti, ed anche quella casa pur pulita, era scarna e atavica. E soprattutto chiusa e abbandonata. Era sì appoggiata al fianco di altre case, ma anche quelle deserte, eccetto forse una povera vecchia che non usciva mai. Al pianterreno della casa, entrati dalla porta, c'era un androne aperto in fondo che dava in un orto recintato. Prima di finire di percorrere l'androne, sulla destra c'era una porta che immetteva nella cantina. Sopra alla cantina, al primo piano c'era la camera che era della nonna Luigia, pulita con pavimento di legno, di assi rustiche bianche. I mobili erano ciò che si dice, di poco valore. Insomma, una casa di estrema povertà. Mia sorella fu rinchiusa in camera al primo piano, come ho detto, e sopra la camera c'era un bassissimo sottotetto, con relativi inquilini con la coda che scorrazzavano in qua ed in là, padroni assoluti.

Come mangiava la Franca? Chi glielo aveva portato il cibo? io non so proprio. Movimenti del genere in famiglia non ne avevo visti. Cominciai ad andare giù, per la stradina dove avevano portato mia sorella. Stavo ferma in mezzo alla strada, guardando in su verso la finestrina con le scurette, per vedere se intravedevo la Franca. Ma era sempre chiuso.

Le era stato ordinato senz'altro di non mai aprirla.

Mi sento chiamare dal di là della strada, da una pia donna, dirimpettaia quasi, alla casa di nonna Luigia. Mi dice: “Fausta, ma tua sorella l'hanno rinchiusa lì?” “Sì!” dico io e poi vado su di nuovo a casa, dispiaciuta di non aver visto la Franca. Lei, come di consueto, non parlava quasi mai con me. Non abbiamo mai avuto modo di fortificarci l'una nell'altra. Il superlavoro ci divideva, e la madre diretta che ci avrebbe insegnato ad amarci, non c'era più.

Cominciò un bisbiglio in tutto il vicinato, e tutti si passavano la voce a proposito della bambina, rinchiusa in tale modo. Fu uno scandalo. Cominciarono a radunarsi gente, sotto la finestrina, dove dentro la camera c'era la Franca, chiusa. Ci saranno state una cinquantina di persone. Erano afflitte queste persone, e cominciarono a chiamare la mia sorella, prima piano e poi sempre più forte. In prima, lei non apriva per niente. Ce ne volle perché lei aprisse la famosa finestrina. La gente la rassicurava con dolcezza, la chiamava, la invitava ad aprire.

Io mi trovai dietro al gruppo, clandestina e fuggitiva, per un po'. Ad un tratto, le scurette della finestra si aprirono, con tutte e due le braccine della mia sorella, e lei comparve pallida, seria, con la sua cuffietta rossa sulla testa. La gente cominciò a persuaderla che accettasse qualche tovagliolo annodato con viveri per lei. Con delle pertiche, alzavano il fagottino verso la finestra, pregandola di prendere qualcosa e di mangiare. Fu quasi costretta dalla bontà che vedeva nella gente, ad afferrare quel ben di Dio. Io la vedevo stralunata e bianca, e la sentii solo dire che lei non avrebbe potuto aprire la finestra. Era terrorizzata. Le era stato vietato tassativamente con malvagia autorità, come c'è da capire. I giorni seguenti la finestra non si aprì più.

Era stata sbarrata dal di dentro, da chi?, da chi?, non certo dalla mia sorella. Poi venne anche il giorno della fine di codesta prigionia. Qualcuno si vergognò? Io non credo. La gente ne sussurrava, anche perché in questo fatto c'era dentro ad impiego il mio babbo, il quale si era lasciato montare la testa dalla mia matrigna, e credeva di usare l'estrema severità per educarci. E quando arrivano le botte, non c'è più posto per l'affetto. Malgrado ciò, mio padre catturava il nostro rispetto, o rispettosità, o timore? Noi figli ci rivolgevamo a lui con il "Voi".

Dunque, mia sorella tornò in casa con noi e riprese a lavorare come sempre prima faceva. Di tempo, in tempo, si adombrava e si oscurava, anche per cose di poco conto. Il suo carattere in parte si era ormai rovesciato, e così l'ha portato per tutta la vita. Lei si rasserenava solo quando si occupava dei bambini di casa. Il nostro fratellino Mario la chiamava mamma!, ed era moltissimo in braccio a lei. Lei gli dava da mangiare e sembrava una rondine che imbeccava il rondinotto. A proposito di rondini. Tutti gli anni arrivavano proprio le rondini, che avevano il nido sotto il lungo terrazzo, proprio sopra la porta della cucina al primo piano, ad un metro e mezzo, in linea d'aria, da chi entrava od usciva dalla cucina. Noi avevamo molto rispetto e amore per le rondini. Loro lì si sentivano sicure e tranquille. Una splendida canzone era loro dedicata nel paese e forse in tutto il Friuli, con testo bellissimo come si usava in quei tempi. Anche le stelle alpine avevano per loro una bellissima canzone, triste e solenne ad un tempo. È stata musicata in seguito, per la banda dei Carabinieri di Firenze, e suonata con le trombe nella chiesa di Santa Maria Novella, proprio durante l'elevazione. Una cosa stupenda, bellissima!!!

Nel mezzo a tutte le fatiche che faceva lavorando, la Franca, dunque, dopo aver dato tutta se stessa senza risparmio, aveva degli strani atteggiamenti, forse perché era brontolata o non riconosciuta e apprezzata. Non scendeva dalla camera, per più giorni, anche se chiamata e chiamata. Dopo giorni la vedevo scendere dalle scale del secondo piano, con la sua berretta in testa e non parlava. Faceva silenzio per una settimana intera; a me non mi diceva nulla. Si limitava a darmi un'occhiata fredda, gelida, con quei suoi occhi grigio azzurri. Constatava che c'ero e basta.

Una sera mia sorella Franca non tornava a casa, e non si trovava. La chiamavamo forte, e poi dicevano che quando sarebbe tornata a casa, avrebbe preso un frak di botte (questa l'espressione). Anche mio padre era arrabbiatissimo e prometteva male. Passata una mezz'ora mi dissero di andare su a letto, in camera mia. Mi dicono di guardare ancora nella camera accanto per vedere se c'era mia sorella apro, accendo la luce e guardo. La stanza era deserta ed io dopo penzolandomi dal terrazzino di legno, grido giù che la Franca non c'è. E poi entro in camera mia, mi svesto ed entro a letto.

Ero ancora a sedere sul letto che gli occhi mi vanno verso l'altro lettino tutto ben rifatto. Non so ma quella sera ero completamente impaurita ed ansiosa. Stavo per decidere di infilarmi completamente sotto le coperte, quando dall'altra parte del lettino accanto, vedo salire piano piano qualcosa di rosso. Comincio ad urlare: “Il diavolo!! Il diavolo!!” Era la mia sorella, nascosta, con la sua solita cuffia rossa. Io ancora urlavo di paura, mentre lei mi veniva vicino supplicandomi di non farmi sentire. “Sono la Franca, Faustina, non gridare sennò salgono a picchiarmi”. Mi rendo conto infine e le dico: “Ma dove eri nascosta che ti abbiamo tanto cercata?” Lei mi fa: “Vedi quella poltroncina lì? Ero lì sotto”. Naturalmente avevo messo con le grida, mio padre sull'avviso. Venne su. Cominciò a sgridarci tutte e due, ma per quella volta ci andò bene, non ci picchiò nessuna delle due, e ci sollecitò ad andare tutte e due subito a letto e alla svelta. Dopo alcuni giorni mi trovo in camerina con mia sorella, che era in vena di scherzi esagerati, e lei mi stuzzica a dispetto con troppa eccitabilità, e mi disturba così tanto fin da farmi scappare, e lei dietro. Dico: “Lasciami in pace!” Come non detto.

Lei era esilarante, e così mi trovo a scappare da un letto all'altro, e così a girotondo, una due tre volte a rotazione. Lei era scatenata e sembrava la volpe che rincorreva la lepre. Ero molto contrariata e non sapevo che fare, non smetteva. Ad un tratto succede qualcosa, ecco: lei correndo e saltando da un letto all'altro, mette un piede in fallo e casca male rompendosi l'osso della clavicola della spalla destra. Non occorre dire. Il dolore e le grida che seguirono a questo fatto increscioso. A me dispiaceva oltremodo, e mi sono impaurita da morire, per lei, prevedendo il peggio per quella spalla. Le ci volle tanto per guarire e rinsaldarsi. Poverina! Comunque era sempre un osso rotto. Di conseguenza, da quella volta, lei divenne un po' più calma.

In questo tempo 1937, nacque in casa un'altra bambina. Era assai bellina e pensarono di chiamarla Luisa, il nome che ci piacque a tutti. Però dopo un giorno e mezzo che era nata, i miei genitori si accorsero che stava molto male, perché era diventata bluastra. Vedevo mio padre costantemente preoccupato, con l'orologio alla mano per contare le pulsazioni della Luisina. Passò un altro giorno e noi tutti dispiaciuti, perché le cose non andavano meglio. Infatti, questo angioletto volò in cielo al terzo giorno. Fu sepolta, accanto alla mia sorellina Maria Valeriana. Due angioletti che sono insieme in cielo. Il tempo attutì questo nostro dolore, e il lavoro ci riempiva i pensieri alquanto. Si andava ad accudire i prati, i campi, l'orto, il frutteto. Raccoglievamo la frutta. Mele, di cui facevamo il buon mosto, ed anche con le pere che veniva ancor meglio. Di prugne ce n'erano tantissime e facevamo pentoloni di marmellata. Nel corso di quella stagione, successe che la Franca si ammalò gravemente. Aveva una febbre alta e continua. Lei stava su di sopra nella mia camerina, nel secondo lettino. Era una settimana che era lì, ed il medico non era mai stato chiamato. Venne a farci visita una nostra parente, che era pure la levatrice del paese. Viene in cucina e ci domanda: "E la Franca dove è?" Le fu risposto che era su in camera con la febbre. Questa parente va subito su a vedere di mia sorella e torna giù precipitosamente e ci dice: "Non vedete che la bambina vi muore? Su presto, preparate un enteroclisma". Così prepariamo subito quello che occorre e questa Signora va subito su a farle il clistere. Mia sorella aveva gli intestini murati e moriva! Fu risolta la cosa e la febbre cominciò a discendere. Cosa aveva fatto la Franca per ridursi così? Ecco: lei aveva molta fame e lassù nel frutteto, prese di mira un albero di perine. Per sua sfortuna le perine erano eccessivamente acerbe.

Lei ne mangiò tante, tante e poi tante. Il suo intestino si cementò. Passati i giorni, la cosa peggiorò assai. Lei non diceva nulla. Io non capivo granché. Guardavo alla Franca silenziosamente, anch'io, ecco. Sentivo in cuore che le volevo bene che non volevo perderla.

E Deo Gratias! Infine guarì, finalmente!

Io uscii di casa per portare la notizia alla mia nonna Lucia, che stava preoccupata per noi, per tutta la situazione. A volte, quando avevamo da fare i fieni, nonna Lucia teneva con sé, nella sua semplicissima casa, i bambini Mario e Pia. La nonna era tanto benevola, amorosa con tutti e figurarsi con i bambini, li teneva tanto volentieri. Lei era poverissima e non mangiava quasi mai di cena.

Alla mattina una colazione di acquerugiola di caffè d'orzo, con intrise le croste della polenta, quelle che poteva recuperare attorno alle pareti interne della caldaia di ghisa. Aveva solo otto lire di pensione e non ci entrava neanche l'acquisto del pane. Soffriva di mal di cuore e purtroppo è stata parecchie volte in punto di morte, per questa insufficienza cardiaca. So che per ben sette, nella sua vita, ha ricevuto l'estrema Unzione, e per sette volte è stata lasciata al nostro affetto da Domine Dio.

Un giorno sapendo tutto quello che io e la Franca si passava, la nonna ci volle informare che la casa, dove noi abitavamo, era nostra per eredità, dalla parte della nostra povera mamma. Però, per il vero, l'aveva comprata mio padre, per quattordicimila lire, e l'aveva intestata a mia madre. Forse, pure per questo mia matrigna era furiosa. Quando era più nervosa, era anche perché le mancavano le sigarette, allora io ero sempre pronta ad andargliele a comprare. Ebbene, un giorno tornavo con le sigarette, faccio un incontro per la strada, prima una donna e poi un'altra. La cosa buffa è questa: la prima mi dice: "Ma tu sei la Faustina, la figlia della Maria!” "Sì" io dico.

E lei: "Ah ma tu sei tutta tua madre!" Intendeva la mia somiglianza a lei. "Tua madre era molto bella e buona". Non so che dire ma mi fa piacere.

Dopo un po' incontro l'altra persona e dice: "Ma tu sei la figlia del Severino! Ma come gli assomigli! Sei tutta tuo padre!" Ciò mi ha molto divertita.

A scuola io non ero certo tra le brave, forse tra la media. Mi ero appassionata a leggere, e la notte avevo molta luce accesa. Meno male che a nord, nel mio stesso paese, c'era una centrale elettrica veramente super funzionante. I torrenti e le acque non mancavano per farla funzionare. Io andavo a volte a vedere queste macchine, e queste precipitazioni di acque. Era avvolgente, attirava, che sarei stata ore, a rimirare ciò. Tornavo a casa soddisfatta di aver visto quel turbinio. L'indomani, come sempre, il lavoro mi aspettava. Avevamo tanti prati, quasi tutti in pendio. Una volta mia matrigna aveva chiesto ad un uomo della zona, che andasse a lavorare in uno di questi prati, il più vicino di casa.                                        

Quello andò su a lavorare e cominciò dal cucuzzolo. Dopo un po' la mia matrigna mi ordina di andare anche io a lavorare in codesto prato. Io mi pongo a lavorare a metà pendio e lavoro. Ma l'uomo sul cucuzzolo fa pensieri su di me, e comincia a farmi discorsi alla larga e camuffati. Io mi accorgo e grido: "Nooh!”. Mi viene in mente che alcune donne del paese, pochi giorni prima, parlavano di un cattivo uomo che aveva cercato di far del male ad una bimba del paese, di soli cinque anni, offrendole caramelle. La bimba è stata salvata per una circostanza fortuita. Allora io capii che ero in pericolo. Posai gli arnesi di lavoro e scappai in giù verso la strada, dicendo che lo andavo a dire alla nonna.

E così feci. Arrivata giù dalla nonna ci trovai anche il nonno Sef, e raccontai i discorsi di quello. Mio nonno si infuria e parte in quarta, e va su dalla mia matrigna, a rimproverarla aspramente e le dice che l'aveva fatto apposta a mandarmi sola in quella situazione. Non ricordo cosa lei rispose. La cosa finì lì, senza conseguenze. A me sinceramente non erano chiare le cose e non capivo niente.

Ero timorosa di far domande, insomma non riuscivo ad afferrarne la portata e così non ci pensai più.

Un giorno passò il mereiaio a vendere mercanzie. Entrò nel nostro cortile a proporre. Eravamo due famiglie che si accedevano ad esso. Si fece capannello. Mia matrigna guardò nella roba, e vide un vestito di maglia di lana, lavorato a macchina, di un rosso deciso. Quel vestito stava senz'altro bene a me, e cominciò a trattare il prezzo. Costava otto lire. Lei non aveva il denaro e così traccheggia, traccheggia, fece passare il tempo, finché mio padre tornò a mezzogiorno dall'ufficio e le chiese i soldi. Lui non voleva cedere e lei si mise a contestare per me, per quel bel vestito. Infine si arrese, non senza storie, ed il vestito finì su di me. Era molto bello, molto rosso, e molto radiante. Rifletteva il colore sui muri.

Io ero tanto secca cioè magra, e sembravo un bastone di scopa rivestito. Diritta, con i capellini bruni, tagliati come al solito alla maschietta, col ricciolo sulla fronte. Tutto sommato il vestito mi piaceva, e poi quello che più contava era che la mia matrigna aveva battagliato con mio padre per farmelo avere. Mio padre non le lasciava mai i soldi. Diceva che non ci mancava niente. Infatti, la spesa si andava giù in paese a farla, segnando tutto sul libretto.

Non era bello però che non ci fossero mai soldi in casa.

Un giorno mia matrigna sognò un terno di numeri, da giocare al lotto, lui non volle darglieli i soldi. Il terno uscì. Mi dispiacque per la mia matrigna, che sarebbe stata contenta. Disapprovavo mio padre per questo. Era vero che in casa non mancava nulla da mangiare, ma la roba era sempre chiusa, o in cantina o in camera da letto della mia matrigna. Io avevo sempre fame, e mi limitavo a levar col dito la panna del latte nell'apposito bricco. Speravo invano che si riproducesse, ma venivo sistematicamente scoperta e battuta dalla mia matrigna.

Una volta, ritornò in visita dall'Austria, un amico di mio padre, il Herr Joan. Sapeva che mio padre si era risposato, e che io e la Franca eravamo due sorelle germane, di prime nozze. Ci portò un piccolo dono dall'Austria per noi due, gli altri bambini erano piccoli. Si trattava di due mele sorprendentemente grosse. Avranno pesato sette etti l'una. Le mele furono poste su di un'alta mensola che era sopra l'acquaio. Non sapevamo che le mele erano per noi, me e Franca. Per cui, passando fuori e dentro dalla cucina, io mi limitavo a contemplarle, guardando in su verso la mensola. Tra un'ora e l'altra, fece comparsa nella cucina, Herr Joan. Era un uomo molto, molto caratteristico. Sembrava quello della réclame della birra "Moretti", tanto era rubicondo, biondo e super baffuto. A cenno di saluto, dissi il suo nome "Joan". Lui era pensieroso e neppure sorrise. Non sapeva parlare italiano, neanche una parola. Mi guarda e a gesti, mi fa cenno alle mele che erano sulla mensolina. Mi fa capire che una era per me. Io fui felice di sapere che una mela era la mia, e lo ringrazio balbettando il mio grazie, coll'inchino del capo. E vado. Per tutto il pomeriggio, pensai alla mela.

Così grosse, noi nel Friuli, non le avevamo mai viste. Passa un altro po' di tempo e torno in cucina. Le mele non c'erano più. Erano state messe sotto chiave, dalla mia matrigna, nella sua camera che era attigua alla cucina al primo piano.

Penso: "Con tutte le mele del frutteto, Lei, ha preso le nostre mele!" E poi: "Ecco perché Herr Joan me l'ha accennato, lui aveva capito, l'antifona".

Le giornate erano lunghe, e viene la sera, l'ora di cena. Stavamo radunandosi compreso Herr Joan per mangiare. Ma guarda: la porta della camera non solo non era chiusa, ma era spalancata. Le melone troneggiavano nell'interno sul davanzale della camera, semi illuminata, dalla luce della cucina. Mio padre si avvicina all'acquaio e nota i secchi di rame vuoti d'acqua e mi spedisce alla fontana, sulla strada a provvedere l'acqua. Preso il secchio, io giro davanti all'uscio aperto della camera. Istintivamente, un baleno... La mela era mia. La resi invisibile e andai alla fontana.... Che morsi!!! Che morsi!!! L'acqua correva nel secchio ed io lavoravo con le fauci, celermente. Presto, presto! La mela era enorme e non finiva mai. Mi sento chiamare da mio padre e sollecitare. Dice: "Faustaaa, la devi fabbricare quell'acqua?" Io con la bocca piena: "Ora vengo!" E mangia. Era giusto. La mela era mia. La dovevo mangiare tutta. Ecco fatto. Mio padre mi richiama, io: "Eccomi!" Salgo col secchio pienissimo, le scale. Entro in cucina e mio padre mi viene incontro, ad aiutarmi. "Non occorreva che tu lo portassi così pieno". Nel mentre esce la mia matrigna di camera, col viso verde, stravolto, e dice a mio padre: "Quella lazzerona, ha rubato la mela". Mio padre si adira. Tutti e due mi sgridano, mi urlano. Non mi picchiano perché è presente Herr Joan. Pensano che lui non capisce il perché. Invece si sbagliano. Lui capiva per intuito. Era serio, pensieroso. Mio padre devia la cosa, e comincia a parlare con lui in tedesco.

Non tornò più Herr Joan a casa nostra. Lui era un signore sensibile. L'amicizia con mio padre seguitò lo stesso, dato che il papà andava qualche volta in Austria, e lo andava a trovare. Un giorno mio padre, tornato a casa dall'ufficio, mi trova in casa sola in cucina estiva. Comincia ad interrogarmi, lui astuto, me bambina ingenua, su tutto quello che noi di casa avevamo fatto quel giorno, io, la mia sorella, e, e lei. Cosa aveva fatto lei, cioè la mia matrigna, quel giorno. Io per ordine rispondo quello che voleva sapere. Quindi dicevo che al mattino avevamo lavorato moltissimo tutte e tre. "E dopo, e dopo?" Voleva sapere di più. "Siamo andate a trovare la famiglia accanto". A noi piaceva molto andare in quella famiglia. Erano gentilissimi e buoni, e, tutto il vicinato voleva loro molto bene. La loro casa era proprio a fianco della nostra casa e usavano con noi lo stesso cortile.

Mio padre vuoi sapere cosa facevamo in quella casa. Dico: "Si fa un po' la calza, si parla. Oggi una decina di persone hanno messo la musica ed hanno ballato". E lui ha voluto sapere se lei ha ballato ed io risposi di sì. Nella tale casa, a pian terreno, si vedeva tutto dalle finestre senza tendine. L'avrebbe saputo lo stesso. Ma che stupida sono stata! Apriti cielo!

Mio padre affrontò la mia matrigna di brutto. Bestemmia, le urla addosso, annaspa con le braccia come a minacciare di picchiarla. Mi spavento a morte e mi metto in mezzo a loro a difendere la mia matrigna. Piango e grido: "No, papà, nooo!" Mio padre desiste. Aveva già fatto ormai la sua scena di gelosia. Mia matrigna aveva le lacrime agli occhi. Era stato un ballo innocente e nessuno aveva fatto nulla di male. Mio padre, dalle bestemmie, passò poi la sera a raccomandarmi di pregare la Madonna. Io piuttosto di sentire a bestemmiare, avrei preferito prendere una scarica di botte. Succedeva solo quando era fortemente arrabbiato. Prese a mandarmi a confessare tutte le settimane, perché diceva che io ero disobbediente, ma io non capivo proprio in che cosa. Alla domenica, io e la Franca, andavamo a Moggio di Sopra, alla messa nella parrocchia di San Gallo. C'era l'organo, ed un Monsignore che predicava severo.

Nel tempo ho potuto apprezzare questa persona, che è stata spiritualmente tutelare per me.

Eravamo nel 1939 ed in casa nostra era nata un'altra bambina. La chiamammo Luisa, a ricordo della prima Luisa volata in cielo. Io avevo dieci anni, non ero cresciuta troppo, ma avevo la testa grossa e qualche persona me lo diceva: "Le cresce solo la testa, a questa bambina!"

Come ho menzionato più volte, io leggevo durante la notte, e naturalmente al mattino, era duro per me il risveglio. Mia matrigna doveva sempre chiamarmi, da giù, più volte. Voleva che alle sette, fossi già giù in cucina. Una mattina non riuscivo a svegliarmi. Ecco, cosa avvenne: mi sento improvvisamente levarmi le coperte da dosso, di colpo. Un grosso mazzo di ortiche, mi veniva passato, su e giù per le gambe e le braccia, e per tutta la persona, dove poteva. Mi sveglio urlando. Non usava la camicia da notte lunga (almeno per noi), ma le camicine erano corte e senza maniche. Vedo la mia matrigna che teneva il mazzo delle ortiche col giornale in mano, per salvarsi la mano, e non intendeva di smettere d'orticarmi. Diceva: "Ora ti alzerai, spero!" Scendo veloce dall'altra parte del lettino, e mi guardo piangendo le gambe e le braccia, che erano rosse come se avessi il morbillo. Ma lei, si era protetta le mani col giornale, eh! Mi vesto e scendo in cucina. Lei dice: "Ti dovrei lasciare senza colazione, che non te la meriti. Ma tieni, mangia in questa scodella questi fregoloni nel latte".

I fregoloni sarebbero stati dei ruzzoloni di farina bianca, bolliti nel latte. A me piacevano molto, ma erano così pochi! Non più di tre o quattro cucchiai da minestra. Erano le sette ed un quarto. E via col lavoro che non mancava mai. Vivevo con i miei piccoli pensieri, e i ricordi ancor più piccoli.

Per esempio, ero nostalgica di quando il papà, non era ancora risposato ed era meno severo. Mi ricordavo che una volta mi portò ad Udine con il treno. Voleva andare a trovare al seminario "Tomadini" mio fratello Sandrino, che era stato messo lì a studiare. Io avevo poco più di quattro anni e mezzo, e lui mi teneva sempre per mano. La mano di mio padre era molto bella, e bianca, calda, asciutta. Avevo cominciato a notare che portava un bell'anello (la fede) d'oro al dito. Prima non ci avevo fatto caso. Dunque, noi entrammo nel sotto portico del seminario e vennero incontro a mio padre alcuni religiosi, cinque o sei. Cominciarono a parlare, forse si salutarono. Io non so come, mi trovai senza la mano del papà. Inconsciamente, distrattamente, uscii dall'edificio e mi misi a correre. Poi mi fermai. Avevo visto un posticino simpatico, sotto un carretto fermo. Mi inoltrai sotto il carretto, e mi misi a giocare con la terra ed i sassolini. Ero contenta e mi pareva un bel sogno. Le ore passavano, ma non me ne accorgevo certo io, che vivevo in un'atmosfera così piacente. Non mi ricordavo del babbo e non sapevo di averlo cacciato in un guaio con la mia sparizione. Era in grande ambascia e aveva messo in mezzo la polizia per trovarmi. Infine mi trovò, aiutato da altra gente. Non mi sgridò, mi prese in braccio e mi portò alla stazione a prendere il treno per ritornare al nostro paese.

Ed ora avevo nostalgia della mano di mio padre.

Delle ortiche a lui non dissi nulla. Quando mia matrigna mi picchiava, mi minacciava sempre che l'avrebbe detto anche a mio padre, e che mi avrebbe picchiata anche lui. Così mi intimoriva, ed io non dicevo nulla. Una consolazione ce l'avevo. Andavo a guardare la Madonna in chiesa, era così bella! Il mese di maggio e ottobre c'era il rosario ed io e la Franca eravamo all'ordine. Ci andavamo tutte le sere. Verso l'approssimarsi della S. Pasqua, c'erano le processioni con le torce accese.

Si snodavano da Moggio di Sotto, fino all'Abbazia di Moggio di Sopra. Erano suggestive quelle luci, quei fuochi nella notte. Nei giorni di giovedì e venerdì santo, durante il giorno in chiesa, si faceva tutti un gran rumore, con le "raganelle" (oggetto di legno con denti) che scricchiolano terribilmente e fanno un fracasso infernale. Tenendo un manico di legno, noi giravamo velocissimi la mano a spirale, tutti in simultanea. Il silenzio era solo sulla nostra bocca, sicuramente questa usanza del passato, ora che scrivo, non ci sarà magari più. Adesso capisco il significato di quell'usanza: vuol dire la deflagrazione psichica-spirituale che ha fatto la luce di Gesù Cristo che, con la sua morte, è sceso nelle dimensioni oscure infernali, per vincere ogni inferno del pianeta Terra, forse nucleo di esso. In paese, per il giorno di San Giovanni, a giugno si accendevano dei fuochi sui monti, ed io temevo per gli incendi, poiché avevo visto una volta, una montagna in fiamme e di notte è terrificante, con le scintille portate dal vento per ogni dove.

Dunque, per ritornarci sopra, le botte erano all'ordine del giorno. Io non sapevo più per quanti motivi le prendevo. La Franca le buscava perché rispondeva (male?) ma, non so. Io le prendevo perché non rispondevo per niente. Che scarica un giorno! Come mai, non ricordo il perché? Mi sono trovata a sedere su di una sedia, in cucina. Avevo il dito della mia matrigna, nella mia bocca rilassata, a ebete. Lei diceva: "Ah sì canino! Mi vuoi mordere? Mordi canino! Mordi!"

Io non avevo nessunissima intenzione di mordere, e sopportava il suo dito in bocca. Da ultimo lei si stancò della situazione e ritirò il suo dito incolume. Avevo capito, che se io le avessi morso il dito, lei lo avrebbe esibito a sua giustificazione, con la gente del vicinato. I nonni materni avevano sentito il chiasso che lei faceva nel picchiarmi, e quando mi poterono vedere mi chiesero come stavano le cose. Io le raccontai come stavano. Il nonno Sef mi fa: "Come? Non gliel'hai mai morso? Se ero io glielo avrei stroncato!" Lo disse in modo che mi fece proprio ridere, ma le cose erano serie e loro erano afflitti, per noi figli del primo matrimonio di mio padre. Ogni tanto, presso questi nonni ritornava lo zio Giovanni fratello della mia povera mamma. Era un uomo bellissimo a cui era morta la fidanzata austriaca, dopo otto mesi il fidanzamento, probabilmente di mal sottile. Lui, per tutta la vita, non si sposò pur per essendo tanto corteggiato, dalle belle del paese. Cominciò più tardi, a bere ad intermittenza. Meno male, ubriacature non cattive. Un giorno mia matrigna, non so come, convinse questo mio zio Giovanni a picchiarmi di santa (anzi no) ragione, per motivi futili inventati, e lui, ci cascò e mi picchiò, con soddisfazione di lei. Come aveva fatto?, l'aveva affascinato psicologicamente? Non so.

Lui non aveva mai fatto in vita sua, una simile cosa, di picchiare qualcuno. Dopo, nella vita diceva: "Mi ricordo che, una volta, ti ho dato una bella saponata (intendendo le botte)". Penso; giusto, erano poche! Morì poi, questo mio zio Giovanni, di un colpo apoplettico, a causa certamente dell'alcol, proprio nella piazza del paese. I dolori, della mia nonna Lucia, non sono mai mancati, e quelli più feroci, sono quelli di avere perso due figlie ed un figlio. Poi, un giorno ha perso anche il nonno Sef, che è caduto dal terrazzino di casa sua di notte. Il terrazzino aveva le transenne basse, e lui era molto alto. Bastava un giramento di capo, forte. Sembrava lui, Francesco Giuseppe, l'imperatore d'Austria, di cui aveva anche il nome ed il cognome. Comunque, a quei tempi nei miei posti, la gente usava bere, uomini e donne. Bevevano il cosiddetto "taglio" di vino, e un taglio tirava l'altro. Poi era di uso anche la grappa, e la mettevano pure nel caffè. Un pochino, la grappa, fa bene, dicono. La danno anche ai moribondi.

E queste cose le ho pure viste. Come scuole elementari, fino alla terza classe, avevo avuto una maestra che pure lei mi picchiava, non con le mani, ma con il righello nero quadrato. Sulle mie mani, e nei palmi, e nei dorsi, delle mani. Il motivo lo ricordo, ed era, se arrivavo a scuola con un po' di ritardo, oppure se avevo qualche macchia sul grembiulino, o la consideravo intelligente, ma troppo nervosa. Aveva una bimba di cinque anni, con i capelli rossi, e lei non l'amava. Forse, questa maestra non era per niente buona. Finirono anche le elementari, e mi trovai a casa tutto il giorno, alle solite cose.

Nel 1941, nacque alla famiglia un altro bambino. Il mondo si evolveva anche nei miei posti, le donne incominciavano ad andare a partorire negli ospedali, che nel frattempo si erano attrezzati all'uopo.

Mia matrigna così, andò a partorire ad Udine. Nell'ospedale, furono così battezzati, 19 bambini, tutti insieme. Andò il vescovo a battezzarli, e quando seppe che al mio fratellino, volevano mettere nome Eusebio, si compiacque della scelta, dicendo che, Eusebio era un dottore dei primi tempi del Cristianesimo. Quando la mia matrigna tornò a casa con il bambino, noi tutti lo chiamammo con il diminutivo, vezzeggiativo friulano di Sebiùt. Ci piaceva molto. Il bambino era buono e non piangeva mai. Io lo coccolavo, e poi quando aveva 10 mesi lo portavo nel suo carretto a fare piccolissime passeggiate, però in braccio non mi ricordo di averlo tenuto. Avevo un libro scolastico, che tenevo in cucina, e per la verità mi doveva piacere, per cui non appena mi capitava un attimo di tempo, mi sedevo in un cantuccio, su un piccolo sgabello, a fianco la credenza per leggere qualcosa.

Subito mia matrigna mi trovava da fare qualche altro lavoro, e mi faceva immediatamente posare il libro. Invisibilmente sospiravo tra me. La famiglia accanto a noi di casa, aveva una bicicletta da donna e dentro al nostro cortile io e la Franca imparavamo un po' ad andarci sopra. Che scoperta la bicicletta!, ci piaceva tantissimo. Un giorno, noi due, ci decidemmo di chiederla in prestito, per fare una girata fuori dal cortile, sulla strada. Ci fu concesso. Uscimmo sulla strada in via Nadorie. La Franca disse: "Prima io". "L'ho chiesta io" dissi. "L'ho chiesta anch'io" dice lei. Mi rassegnai dicendo: "Va bene, va prima tu, ma dopo tocca a me, facciamo un giro ciascuna!"

Lei disse: "Sì, sì, dopo", e partì pedalando.

L'aspettai al punto fissato e dopo un po' me la vedo sfrecciare davanti, con la sua cuffia rossa, senza fermarsi. "Tocca a me!" le grido dietro. Ma lei scanzonata, sghignazza, e prosegue altri giri senza tenere la parola che aveva dato. Ah! Furba! Quando la rivedo venire, da Borgo Aupa, di nuovo verso Via Nadorie. È ancora alquanto lontana. Io mi piazzo in mezzo alla strada, e grido: "Se non ti fermi, ti fermo io!" Ero estremamente determinata, ad afferrare con le mie mani, il manubrio. Oh!, sì lei aveva un aire che sembrava al giro d'Italia. E, gridava pure lei: "Levati, levati!" E, come era veloce! La cosa aveva il suo limite di tempo, e l'avvenimento precipitò, purtroppo. Ecco cosa ho combinato, ero ferma in mezzo alla strada, di fronte alla bicicletta che arrivava. Coi piedi divaricati, avevo raccolto tutte le mie forze. Con tutte e due le mani protese, in avanti, afferro con tutte le mie forze il manubrio, con tutte e due le mani appunto, e.... fermo la bicicletta. Oh!, la fermo sì, ma.... Il rimbalzo fa rialzare posteriormente la bicicletta, e scaraventa la mia sorella Franca, contro il muro al lato della strada, dove c'erano le case. Finisco anche io per terra, all'indietro. Mia sorella si fece molto male. Madonna Santa!, contusioni dappertutto, sanguinava. Mi spaventai a morte. Mi resi conto subito. Cominciai ad invocarla, chiamandola disperatamente e piangendo. Accorse, alle grida, la gente. Un grosso gruppo. La portarono a casa a medicarla. Sentivo parole come dottore. E se moriva? Tutto questo per la mancata parola! Ma che incosciente, che bestia sono stata! Io non la vidi più per molti giorni, ed avevo un groppo nel petto che non mi passava mai. Mi presi tutte le sgridate possibile ed immaginabili, da, tutti in casa e fuori. Povera Franca, io credevo che fermando la bicicletta, lei sarebbe rimasta ferma lì, sul suo sellino. Non avrei mai potuto immaginare, quel volto infelice. Inutile dire che quella bicicletta, io non la cuccai mai più. La famiglia accanto a noi, si sentiva responsabile, per avercela prestata. Ed anche di questo mi dispiaceva per loro. Mia sorella ormai non si accordava più con me, e mi snobbava, per qualsiasi cosa. Non si degnava quasi mai, di parlarmi e mi scansava anche con una spallata. Ed io avevo tanto, tanto bisogno di un'amicizia con lei. Si sentiva primogenita!, ma eravamo sorelle germane, sorelle di sangue. Ma che sangue? Io con lei non ce la facevo mai. Era sempre brusca ed aveva sempre la luna di traverso. Si oscurava per nulla, anche senza alcun motivo, mi dovevo rassegnare e lo facevo, chiudendomi sempre di più in me stessa, e nel mio cauto silenzio. Mio padre di tanto in tanto, alla sera dopo cena, si metteva in mente di fare lui da mangiare, per il giorno seguente. E ne usciva fuori un maxi pentolone, con tantissime verdure, cotenne di maiale ed il tutto era buonissimo. E il minestrone riposato la notte, era poi ancor meglio l'indomani. Mio padre poi, pensava anche a fare in piccole botti, la "provada", con le rape, bulbi e foglie, scottati, che noi le preparavamo ben puliti e curati. Lui faceva pure, in un piccolo mastellino dei crauti, tagliati fini fini, e il tutto scottati nell'acqua e aceto. Faceva pure un grosso catino di yogurt per la famiglia, e un grosso catino di "quinciir", che era un composto di ricotta, salata e molto pepata e lavorata con latte o panna. Papà, dopo una settimana di sedentarietà, alla domenica girovagava sulle montagne, in cerca di funghi e ne trovava assai. Poi li cucinava con diligenza. Buon mangiare per tutti noi.

Nel 1937, sugli ultimi, o primi del '38, mia sorella Franca fu mandata, da mio padre Severino, nella città di Novara, al Convitto Vittorio Olcese, gestito dalle suore di Don Bosco, dunque suore salesiane. Di fronte al Convitto, c'era lo stabilimento del cotonificio "Vittorio Olcese" (re del cotone), perché lui aveva nell'alta Italia, ben nove stabilimenti. Questo imprenditore, era partito da povero, con le toppe persino nel fazzoletto. Nel convitto c'erano 153 ragazze, che lavoravano da interne nel cotonificio. Le esterne, uomini e donne, erano, si diceva, più di diecimila. Mia sorella, dunque, a quattordici anni ha cominciato a lavorare lì, in tale stabilimento. Mangiava e dormiva nel Convitto, presso le salesiane, pagando la retta. Non c'era lì possibilità di uscita. Era custodita dalle suore e mio padre così, era tranquillo. Io era rimasta a casa, essendo troppo piccola, per essere mandata a Novara. Il lavoro in casa non mancava davvero, coi bambini e tutto il resto.

Succede, che presso mia nonna Lucia, viene a stare per un periodo, una delle mie due cugine, figlie della zia Ida, sorella di mamma. Si chiamava Aurora, ed era bellissima e molto piccola. Aveva degli occhi bellissimi. Vestiva elegante e si cuciva i vestiti da sé con molto gusto. In paese tutti la guardavano, e quando andava in chiesa, si voltava la gente a guardarla. Un giovane ferroviere, a pigione in una casa prospiciente a quella della nonna, le manifestò il suo interessamento, e le chiese di fidanzarsi. Lei ne fu lusingata, ma non volle dimostrarlo. Rispose che l’avrebbe dovuto chiedere allo zio Severino, cioè a mio padre. Una sera lei decise di venire a casa nostra a dormire, nella stanza che era della Franca. In paese, i giovanotti, erano entusiasti della sua bellezza, addirittura euforici, tanto che decisero di farle la serenata. Quella sera fu così. Era molto bello sentire i mandolini e le chitarre, a tutta notte. Cantavano anche canzoni romantiche. Mia cugina, alzata, a buio, mi viene a parlare tutta confusa, che queste serenate disturbassero il vicinato. Allora dice: "Ho capito che bisogna dare soddisfazione in qualche modo a questi suonatori. Però io non mi affaccio davvero. Farò una cosa: accenderò e spegnerò subito la luce, per far capire che ho sentito." E così fece. Fu un'esplosione di gioia completata da un'ultima sferzata musicale, da parte dei suonatori e con un saluto, chiusero la serenata e se ne andarono. L'aspirante fidanzato aveva sentito tutto, e da dietro le persiane aveva notato anche l'accensione della luce. L'indomani il ferroviere si presenta a casa mia, a chiedere a mio padre, il permesso di fidanzarsi con mia cugina Aurora. A mio padre, questo signorino Mario B., dava grande affidamento.

Era intelligente, lavoratore buono e bellino per mia cugina. Cominciò ad incontrarsi con lei a casa mia. Si facevano le coccole, e mia cugina era un tombolino, idea palla. Volevo andare a giocare, ma lei non voleva che io me ne andassi via dalla cucina. Tutto procedeva bene e loro erano carini. Si sposarono e andarono a vivere a Sarzana, vicino La Spezia, in casa di lui. Ebbero due figli. L'Aurora aveva un fratello, Renato. Si era sposato giovane, a ventidue anni, aveva già due bambine. M'impressionò la sua morte prematura. Seppi che il cuore le s'ingrossò a dismisura nel petto, fino a scoppiarle.

Lasciò una moglie giovane con due bambine. Vivevano giù nel basso Friuli. C'era anche, un'altra cugina, Delia, mia coetanea, sicché ancora una bambina come me. Il loro padre non aveva dato loro buon esempio con la condotta libertina. Infatti mio padre aveva scoperto che lui aveva anche un figlio sulle montagne. E quando mio padre lo vide, fu sicuro della fisionomia e le fece fare una fotografia. Il bambino aveva sei anni, era bruno, con un bel viso. Mio padre ebbe pena di lui e l'avrebbe voluto far riconoscere dal padre delle mie cugine. Lui, quest'uomo quando si vide scoperto, fece una cattiva pensata. Così, venne un giorno a casa nostra fingendo di nulla. Mia matrigna si accorse che aveva un coltellaccio sotto la giacca, allora avvertì mio padre appena io vide venire sulle scale. Effettivamente quello aveva intenzioni nere su mio padre, e mia matrigna, lo svelò. E la cosa, grazie a Dio, sfumò nel nulla. Le mie cugine soffrivano per via del loro padre, e Delia me lo disse. Lei sapeva, però, anche il nostro patire, di figlie, orfane di madre. In quei giorni, mia matrigna mi aveva pestata a non finire, e non ricordo il perché, e per giunta aveva detto a Mario, mio fratellino di otto anni, di prendere un bastone e di picchiarmi anche lui. Mario prese sì il bastone, e mi guardò con il bastone in mano, ed io lo guardai con occhi disperati, ne avevo già prese tante, e lui non mi picchiò. E non lo fece mai. Alla sera mia matrigna mi fece sgridare anche da mio padre. Lei mi aveva già messa a digiuno, cioè senza cena. E mio padre mi mandò a dormire su nella mia camerina. Io andai subito su, e mi misi a letto con le lacrime.

Mio padre gridava ancora, e lo sento salire le scale sempre brontolandomi. Arriva in camera mia e grida ancora. S'avvicina al mio capezzale e mi sussurra piano piano. "Tieni, ti ho portato qualcosa da mangiare, sssss". E mette la roba da mangiare nascosta sotto il cuscino, e dice piano: "Dopo, mangia". E ricomincia a sgridarmi forte, a dirmi che ero disubbidiente, etc... Vedo che lui fa finta di sgridarmi, e va via guardandomi con occhi buoni. Allora mio padre, un po' di bene me lo voleva?! Ma che le è toccato fare, per accontentare la mia matrigna!

Io avevo da qualche tempo in un cartoccino, nascosti, un paio di orecchini, che mi aveva regalato Aurora, e così fui un giorno intenzionata, a trovare la donna che mi avrebbe forato i lobi delle orecchie. La trovai e glielo chiesi. Non mi disse di no, ma mi disse: "Te li buco gli orecchi, ma quando hai gli orecchini, come farai con la tua matrigna?" "Li coprirò con i capelli" dissi io. "Non credo che i miei orecchini, siano durati nelle mie orecchie più di tre giorni. Appena me li vide la mia matrigna, "Ah!" mi disse "Ti sei messa gli orecchini, eh!" E senza indugio, me li prese e me li strappò dalle orecchie. Sentii molto male e mi sanguinarono, ecco. Mi dispiacque tanto per gli orecchini, ma mi dovetti rassegnare, e le orecchie mi guarirono infine. La storia girò nel paese, perché la donna che me li aveva messi, commentò giustamente la situazione.

Una mattina, sento un bisbiglio tra la gente per la strada, dicono che un uomo è morto in un modo orrendo. Si è suicidato impiccandosi. Era l'uomo che costruiva gli zoccoli di legno, le così dette "dalbidis". Io mi inoltrai nel capannello in mezzo alla gente che andava a vedere, ed io mi ci infilai tra di loro e mi fu facile, ero piccola! Ma non l'avessi mai fatto!, sono cose che non si scordano più. Purtroppo gli uomini suicidi, nel Friuli, usavano tal modo, e sono moltissime le persone che in quei tempi lo facevano. Le donne, però, si decidevano in un altro modo, e si andavano ad annegare nella roggia. Purtroppo c'era tanta miseria, e dolori di ogni genere. Molti emigravano all'estero. Adesso nel Friuli stanno meglio. Ma cosa hanno dovuto passare! La tentazione per l'alcol era forte, anche per via del freddo.

Le donne, più che anziane, e vulnerabili, reggevano peggio tale devastazione. Avevo dispiacere per loro, per la loro compassionevole situazione. Che, tempi!

Eravamo ora sui primi del 1939, io sento, di adunanze che si fanno a nome del fascismo nel paese. Figli della lupa, piccole italiane, avanguardisti, giovani fascisti, ecc…. avviluppati dalla dittatura in atto. Esigevano anche me come, piccola italiana agli inquadramenti, e ginnastiche, ecc... Io non capivo la finalità e lo scopo di queste adunanze. Per me erano superflue, e le avevo in contrarietà. Non ero adatta a questo genere di cose, e non seguivo tutte quelle discipline precostituite. Ero distratta e mi piaceva di esserlo. Un giorno vedo arrivare a casa nostra, quattro fascisti in divisa, cioè vestiti di grigio - verde con la camicia nera.

Avevano il viso duro, ed hanno preteso dalla mia famiglia la restituzione, della divisa di fascista di mio padre. Noi siamo stati costretti a darla a loro, anche se mio padre non era presente, poiché era al lavoro in ufficio, cioè in municipio dove avrebbero potuto trovarlo lì, se volevano. Se ne sono andati, col solito viso di pietra. Tornato mio padre a casa, e saputa la cosa, non se la prese proprio con quei sciocchi zelanti: anzi rivendicò il suo diritto a non partecipare a quelle, insulse e castranti (così disse) adunanze, che fanno l'uomo un burattino, un vero pupazzo, e lui libero dentro, non se la sentiva proprio. A loro non doveva interessare il suo atteggiamento che era suo fatto personale. Certamente, loro facevano questo, solo per arrivismo di avanzamento, e mettersi in vista presso il regime. Non se ne fregavano di pestare i piedi a chi non dava noia a nessuno, e faceva i fatti suoi. In casa, allora, non ce l'avevano con nessuno dei capi del governo di allora. Si sapeva che le famiglie numerose erano gratificate dal regime; così la nostra famiglia, come tante altre, ne usufruì.

Tiravamo avanti nella dimensione paesana, con i problemi di tutti i giorni, e così passavano le vicende. Ai primissimi del 1939, anche io fui mandata a Novara, nel convitto Olcese, dove già si trovava mia sorella Franca. Mio padre aveva scritto alla direttrice del Convitto, se mi poteva accettare in anticipo ai quattordici anni (ne avevo tredici e mezzo) che mi avrebbero permesso poi, di occuparmi come operaia tessile, nello stabilimento "Cotonificio Vittorio Olcese". Le suore risposero affermativamente, ed io partii in treno, con la tutela e sorveglianza della Milizia Ferroviaria.

Le suore erano venute a prendermi alla stazione. Mi stabilirono ad aiutare in cucina con loro. Da allora io ho visto un mondo tutto diverso, tutte cose nuove. Il Convitto era una costruzione enorme ai miei occhi, con tantissime finestre, e a tre piani. Era molto bello fuori e soprattutto di dentro.

Le suore erano otto, comprese le due Direttrici. A me sono subito entrate nella mia curiosità. Erano tranquille e serene, e così tutto l'ambiente seguiva la scia del loro sistema, severo, ordinato e tranquillo. C'erano tante ragazze, tantissime, e tutte ogni giorno andavano a lavorare nel Cotonificio V. Olcese, che si trovava dalla parte dietro del Convitto, attraversando un grandissimo piazzale. Lo stabilimento era enorme, ed era con grandi spazi esterni, tutto circondato da muraglie, siepi e alberi. Dentro il circondato, era compreso anche il Convitto, la villa dell'Ispettore Dr. Spalla, c'era anche un edificio a parte che si chiamava portineria, da dove entravano le maestranze.

Coloro che entravano dal lavoro da lì, noi convittrici, li chiamavamo, gli esterni. Per alcuni mesi, vidi lo stabilimento, solo all'esterno di facciata. Ero nel Convitto, e per guadagnarmi il vitto, aiutavo un po' le suore in cucina. Imparavo qualcosa e stavo contenta e serena, nessuno mi picchiava come quando ero a casa. I dormitori, al primo e secondo piano, erano immensi e pulitissimi, con i pavimenti e mattonelle rosse e lettini candidi, ben sistemati in tre file drittissime. Accanto al letto avevamo un piccola cassapanchina, per tenere la roba di vestiario. Eravamo numerate. Io avevo il numero sette, e così me lo sono dovuto segnare in tutta la biancheria, con il punto croce. Mia sorella aveva il numero quaranta. Lei, la Franca, si era trovata lì dentro, tre amiche, la Fulvia, la Gioconda e l'Agostina. Io non esistevo quasi per niente per lei. Vedevo che si dava daffare nelle ore di convitto, a cucirsi man mano dei reggipetti per se o per qualche altra ragazza. Il reggipetto era un indumento proibito lì in convitto, perciò lo dovevano cucire di nascosto nel gabinetto, e tutto a mano. Non so come era saltato fuori il modello. Per stirarlo di nascosto, la Franca finì per lasciare il ferro da stiro, attaccato per tutta la notte. L'indomani, trovammo il tavolo bruciato e bucato, col ferro caduto in terra dentro il buco, e tutto intorno al buco una brace incandescente.

Meno male che il pavimento era di marmettoni grigliati lì, nella stanza da lavoro. Nessuno si fece la spia a proposito del ferro, il reggipetto ci voleva alla mia sorella per costituzione fisica, e così anche ad alcune altre ragazze. E stava anche molto bene, con l'uso di quell'indumento. Era più ordinata. Io per altro, non avevo per niente quel problema, ero completamente piatta.

Ci facevano vestire tutte uguali, nei giorni feriali, con vestiti neri con due pieghe e cintura sopra. Al collo un colletto bianco di piché, oppure uno azzurro pervinca, con una specie di collarina corta sette centimetri. Era dunque la divisa feriale. Il vestito nero era di libertina, lungo fin sotto le ginocchia. Eravamo tutte così, vestite di nero e giovani. E pure le suore erano vestite di nero. Facevano parte della congregazione delle salesiane di Don Bosco. Sotto il velo nero, la cuffia bianca, e la pettoralina pure bianca. Simili dunque alle rondini. La suora di cucina, per stare attorno ai fornelli, si vestiva sempre di bianco. Si chiamava suor Rosina, ed era così bella, che il lattaio che veniva a portare il latte in convitto, nella sua semplicità rispettosa, diventava rosso in faccia come la capocchia di un fiammifero. Io lavoravo in cucina e mi accorsi che le suore, mangiavano diversamente dalle ragazze. Loro avevano un piccolo refettorio tutto per loro, ed io non potevo fare più di due passi dentro lì, ma solo quelli necessari, per posare le portate, sopra un tavolo di supporto. Io sono distratta ed osservo poche cose, anche perché, non mi doveva importare poi granché. Alla mattina e al pomeriggio, vedevo l'uscita delle ragazze per andare al lavoro nello stabilimento. Puntuali, precise nel vestire, con nel sacchetto in mano la vestaglina e il foulard, per riparasi dalla eccessiva polvere.

La Direttrice osservava tutte le ragazze che uscivano, per andare al lavoro. Voleva vedere, e studiare l'atteggiamento di ognuna. Vedo che ferma la mia sorella Franca, "Tu stai qui" le dice. E la fa aspettare. La Franca aveva il sangue facile al viso e si vergognava facilmente. Ebbe paura di essere scoperta, per il reggipetto, e divenne rossa in viso. Sembrava un ciclamino acceso, col suo bel viso ovale. Le grosse trecce pesanti, dai capelli dritti marrone chiaro. Gli occhi chini, lei aspetta la sentenza della Direttrice Suor Doglio, la quale le dice: "Come mai hai il colletto bianco?" e lei "Lo hanno tutte bianco Madre!" e Lei: "Va, va su e mettiti il colletto nero. Fai alla svelta da non fare tardi". Scende col colletto azzurro, più bella di prima."Va, va!"

La Direttrice, non era riuscita ad attutirne la bellezza, e allora, si era arresa a non cambiare i connotati a quella bella ragazza, per farla meno appariscente. Lei, la Franca, se ne accorse, e nei giorni seguenti ne rise con le sue amiche. Nello stabilimento, faceva l'impiegatina, con commissioni volanti e quando passava nelle immense sale dello stabilimento, era guardata veramente e lei lo sapeva, anche se faceva finta di niente. L'Ispettore e il Direttore l'avevano in simpatia, perché era brava e bella. Sì, quella era la mia sorella. Ed io? Me, mi ignorava come se fossi un'estranea, ma questo era da sempre. Io ormai ne ero abituata. Io, dunque, oltre a stare occupata in cucina, avevo anche il compito di cibare le galline delle suore. Disgraziate galline erano aggredite da certi topi grossi come gatti, e le mangiavano vive durante la notte. Ho lottato tantissimo per liberare, quel sito da quelle belve. Magari ci fossero stati dei gatti a difenderle, ma nei dintorni non ne vedevo proprio. Non so come ho fatto, e non me ne ricordo. Ma alle galline volevo bene. Ce ne saranno state lì, nel pollaio delle Suore, una quindicina. Debellati i topi, e ritrovata la tranquillità, ecco, che mi si propone un'altra faccenda, ma non lì nel convitto. Dietro la villa dell'Ispettore, un po' più in là, c'era una grande pollaio con più di 200 galline. Scoppia una malattia alle galline in tutto il novarese, e la morte delle galline era preoccupante, per tutta la zona. L'Ispettore chiede aiuto alla superiora, per avere me a curare le galline. Dunque, io mi sono trovata ad acchiappare galline, chiusa in uno stanzone. Con una medicina, tipo tintura, di colore viola.

Così facevo intriso il cotone avvolto su di un bastoncino, e con quello dovevo poi spennellare la gola interna di ogni gallina. Così facevo e con diligenza. Su 200 e più galline, si salvarono circa 180. Guarirono dalla loro mortale pazzia, con queste spennellature ripetute. Più disinfezione, ecc... naturalmente io ero nel polverone e tutte le sere non finivo più di sciorinarmi. Durò un bel pezzo, questa officiatura, per niente simpatica. Un giorno, l'Ispettore, in presenza di altri signori, ordinatori allo stabilimento, mi chiese se quel lavoro mi piaceva. Di botto rispondo di no, senza titubanza alcuna. Non sapevo dire una bugia. Ed io che sono permalosa di natura, ho riconosciuto sul viso dell'ispettore, lo stesso mio difetto. Ci rimase male, perché appunto c'erano gli altri signori, e lui avrebbe voluto far la figura che i dipendenti stavano sempre bene e contenti, sotto la sua giurisdizione. Io me ne pentii, è ovvio. Potevo essere più riflessiva e prudente nella risposta. Forse non avrei avuto l'assunzione, e temetti per questo. Ma arrivò il mese di marzo 1939, e mio padre mi spedì il famoso libretto di lavoro preparato da lui stesso, in comune. Fui felice, perché mi arrivò solo qualche giorno dopo il mio compleanno, che era scoccato il 23/3.

Subito la Direttrice Suor Doglio, fece pervenire il mio libretto negli uffici dell'ispettorato, e la promessa fu che in neanche una settimana io sarei diventata apprendista nel cotonificio. Eh!, in quella settimana stavo a lavorare in cucina, che mi sentii inspiegabilmente malissimo, mi pareva veramente di morire. Erano le dieci di mattina e dovevo pelare le patate, quando dei sudori freddi, e tanti tanti dolori, obnubilare la mente e cadere a terra, quasi svenuta. Accorsero alcune suorine e mi sollevarono. Io non sapevo perché mi sentissi così male, e loro sussurravano, troppo sottovoce, perché capissi qualcosa. Qualcuno aveva chiamato la mia sorella. Lei mi chiese: "Faustina, cosa senti? Ti senti bagnata?" "Un po' sì" le dissi. Pensavo che volevo andare a morire a letto e le dissi: "Accompagnami al dormitorio”. Ci accingemmo a fare questo proposito, quando comparve sulla porta della cucina, la direttrice Suor Doglio. Io avevo di Lei un sacro terrore, perché era severa e imponente. Però quel giorno le vidi il viso, con un amabile sorriso. Mia sorella va decisa verso di lei e le dice: "Direttrice, a mia sorella Fausta, sono venute le mestruazioni!"

Era la prima volta che sentivo questa parola, capii poco, ma abbastanza, anche se avevo la mente offuscata dal dolore. Pensai, ma come si permette Franca di stabilire questo? e soprattutto di parlarne con tanta disinvoltura, e proprio con la Direttrice? Sentivo che la Superiora le rettificava l'espressione e le diceva: "Si dice: regole". Si volge poi verso di me e dice: "Sono contenta, è un bene sai? Vai, vai su al San Giuseppe, (negozio privato interno, al secondo piano) da Suor Anna e fatti dare la biancheria necessaria, e poi, vai pure a letto". "Sì". Rispondo e penso: ma guarda è contenta!

Non ci volevo pensare, non volevo proprio approfondire. Stavo malissimo, e basta. Vado accompagnata, da Suor Anna. Ottengo ciò che mi occorre, e poi mi ritrovo finalmente nel mio posto al dormitorio. Era un po' che la mia sorella, era già sparita. Era senz'altro tornata a lavorare. Comunque, lei era come il fumo, non era mai accanto a me, e si confondeva tra tutte le altre ragazze. Un giorno la vedo con un nastro verde sulle spalle, con una medaglia attaccata ad esso, sul petto. Mi dice che era stata promossa (aspirante) e con un salto di qualità, perché il primo gradino, era un nastro rosso che significava (angioletto), e lei non lo aveva ricevuto prima quello.

Quindi le suore l'avevano apprezzata di più. Bene!

Vedo, in quel giorno, anche molte altre ragazze, con nastri sulle spalle, e rossi, e verdi, e azzurri. Non tutte, però, molte non avevano niente. Le azzurre erano le consacrate a "figlie di Maria". A tutti i nastri era attaccata una medaglia, con l’effigie di Maria Ausiliatrice e del Sacro Cuore di Gesù.

Allora, arriva il primo giorno di lavoro per me, ed io vengo accompagnata dall’impiegata dello stabilimento, al reparto filati di cotone e canapa. C'erano delle maestre e dei capisala. I saloni erano immensi e moderni e pulitissimi. Le macchine per i filati erano complesse differenziate ed enormi, come lunghezza specialmente. Io vengo condotta verso tre macchine bellissime ed uguali, smaltate di verde scuro. Erano per le rocche coniche. Dovevo inserire in un perno metallico, dei tubetti conici di grosso cartone o di galatite, e poi cogliere il filo delle spole che erano inserite in asticelle metalliche più in basso, all'altezza delle ginocchia, ed attaccarlo al tubetto. Quando erano tutti attaccati i fili ai tubetti, abbassavo le manopole e la macchina funzionava arrotolando il filo sul tubetto.

Quando via via una spola finiva, io la sostituivo velocissimamente, riattaccando il filo con una macchinetta, che tenevo fissa nella mano sinistra, e con un "clic" produceva il detto "nodo" di fabbrica.

I gesti corti e velocissimi erano importantissimi per la maggior produzione. Dopo tre giorni di lavoro, io ero già passata al cottimo. Il mio apprendistato durò pochissimo, meno di otto giorni, ed io passai subito come operaia tessile. Il lavoro mi piaceva moltissimo e mi interessava anche. C'era una questione di polvere, purtroppo, ma alla sera quando io lasciavo il lavoro, ero così soddisfatta di vedere il lavoro fatto posto nei cassoni, che conducevo alla bilancia. Le rocche coniche erano bellissime e grosse. Tutte uguali. Pesavano un chilo e qualcosina l'una. Il vantaggio del cottimo, era, che se io riuscivo, a finire una mandata di rocche di più, delle supposte mandate giornaliere, il mio vantaggio saliva di molto. Al sabato, nel mattino, il lavoro consisteva nel pulire accuratamente le macchine. Di macchine, nell'immenso salone, ce n'erano tantissime, forse una trentina. Oltretutto nel cotonificio c'erano moltissimi saloni con macchine di altro tipo ma sempre grandissime. Le pulizie erano metodiche e accurate. Nel salone dove mi ero trovata a lavorare, c'erano tre grandissime macchine per rocche coniche, e circa diciotto macchine per le rocche cilindriche, ed una quindicina di macchine per i ritorti.

Si definivano proprio così, ritorti. In fondo al salone ci si inoltrava in un altro salone, meno importante dove c'erano le aspe, che sarebbero dei grandi arcolai, cioè macchine più leggere. Dappertutto c'erano operaie ed operai così detti esterni, cioè non convittuali, i quali timbravano il cartellino appunto all'entrata. Erano moltissimi.

Torno a parlare delle macchine, per dire che erano super rumorosissime, e perciò difficilmente era possibile la comunicazione con altre persone, che lavorano lì. Rarissime parole, anche per la logica di disciplina che vigeva. Ma, veramente, nessuno ne approfittava. Il lavoro era una cosa troppo seria, e poi c'erano, come ho detto, le maestre, che sorvegliavano e insegnavano e indirizzavano il lavoro per il meglio. Più, c'erano i capi sala per osservare il funzionamento delle macchine, e poi i direttori di reparto. La mia maestra si chiamava Edmea, una signora di aspetto e struttura giunonica. Soprattutto ho avuto fortuna, perché era tanto buona, ed io avevo bisogno di conoscere la bontà. Non diceva nulla di superfluo, ma gli ordini che dava e le cose, che era costretta a dire per lavoro, le diceva con gentilezza di cuore. Dico costretta, perché il rumore non permetteva di sentire, e quindi, passavano solo le parole necessarie. Il mio cuore era consolato, dalla mia nuova situazione, e dal cambiamento della mia vita. Mentre lavoravo alle macchine, mi trovavo a comporre mentalmente poesie, poche, che poi applicavo loro un motivo, inventato da me, e le cantavo tranquillamente, tanto col rumore non mi sentiva nessuno, facevo a mente delle operazioni matematiche come contare quanti mesi, settimane, giorni, ore, minuti, secondi che ero al mondo. E ciò mi divertiva.

Senza scriverle naturalmente.

Riuscivo a vedere con la mente, operazioni, di numeri sterminati, come in uno specchio nero.

Io stessa mi meravigliavo. Alla sera, finita la giornata di lavoro, mi trovavo a ritornare al convitto con altre operaie, scendevamo nella lavanderia, per lavarsi e cambiarsi, poi salivamo alla chiesetta interna a pregare. La chiesa era al primo piano, era carina ed invitante come atmosfera. Poi andavamo a cena giù a terreno dove c’era il refettorio. Prima di andare a letto ci radunavamo tutte insieme attorno alla direttrice Suor Doglio, per la "buona notte", ed alcune esortazioni. Alle ore ventuno, salivamo tutte a scia su per le scale, per andare a dormire. Non si poteva leggere, perché le luci venivano spente subito e venivano accese quelle blu notturne.

Alla mattina andavamo alla messa, ma io mi sentivo male all'odore delle candele, tanto che svenivo. Per farmi rinvenire, mentre mi portavano fuori di chiesa, la Suora mi premeva con la punta delle dita un nervo all'interno del braccio, subito sopra il gomito. A quel dolore, eccomi di nuovo presente. Loro mi rimproveravano, dicendomi che certamente la sera prima, devo aver bevuto l'acqua dopo la minestra. Io non stavo a dire niente che erano le candele che mi davano fastidio.

Tacevo, scendevo a prendere il caffelatte, e dopo, via al lavoro.

La vita nel convitto era improntata al massimo dell'ordine e, della pace. Io non ho mai sentito nessuno a bisticciare, in codesto convitto.

Eppure eravamo tantissime.

Alla domenica, dopo le funzioni, c'era l'ora di ricreazione. Consisteva in giochi con la palla, girotondi, canti ecc... Il cortile piazzale tra il convitto e lo stabilimento era una festa, di grida di gioia e di serenità. Io stavo in disparte, intimamente distaccata. Avevo sofferto troppo. Non ero più capace di giocare. Lo trovavo assurdo, inutile. E poi mi accontentavo di starmene tranquilla e in pace. A guardare le altre a gioire. Così mi è andata bene per diverse domeniche. Una domenica però successe, che fui notata in disparte, e venne la Direttrice, la Superiora in persona a interpellarmi, come mai io non partecipavo ai giochi. Le risposi che mi piaceva anche stare a guardare e che per me, era sufficiente a divertirmi così. Mi suggerì con fermezza a unirmi ai giochi. Una perentorietà dolce e severa ad un tempo. Che soggezione! Chi avrebbe potuto disobbedire? Non ci pensavo nemmeno!

Andai verso il gruppo delle ragazze che facevano un gran girotondo, e mi assoggettai. Che noia, il gioco! Avevo una totale estraneità interna: Ecco, una cosa da digerire! Mi consolai con i canti e cercai di impararli, uno di questi era proprio contro la solitudine.

Certo che noi ragazze, eravamo guardate, e osservate una ad una, come, con un binocolo invisibile, che ci scrutasse fino in fondo all'anima. E la Superiora, era una persona eccezionale, di quelle che sono considerate intelligenti ed anche di più. Era definita dalle ragazze proprio brutta, ma io non trovavo nulla di sgradevole in quella bruttezza. I particolari del suo viso, non avevano nulla di deformato. Dalla sua faccia traspariva una costante simpatia contenuta. Era più che centrata ed indicata per dirigere ottimamente, tutto il Convitto, con tutti i problemi e trovate che si susseguivano, compresi i problemi di tutte le ragazze nella varietà, del loro essere singolare.

Avevamo un'altra direttrice, Suor Maria Pizzorno, la quale si occupava di musica e canto. Si occupava esclusivamente della scuola di canto. Era anziana, sotto i sessant'anni. Mia sorella Franca era anche lei una componente di codesta scuola. Io no. Cerco nella mia mente se trovo un ricordo, della voce in canto, di mia sorella, ma non lo trovo. Devo dire che non conosco la sua voce, sotto questo aspetto.

Io tiravo avanti i miei giorni, col lavoro al cotonificio che mi appassionava veramente. Nelle macchine tessili, accanto alle "rocche coniche", cioè ai “ritorti” avevo visto al lavoro un'operaia esterna.

Era una persona fuori dal comune. Altissima, magra, bionda naturale, direi vero oro, e tutti i colori in sintonia. Era pettinata con la riga nel mezzo, capelli dritti ma soffici, raccolti sulla nuca in un grosso rullo, come usavano alcune persone a quei tempi. Occhi azzurri, ieratica, spirituale all'aspetto, da sembrare quasi irreale. Mi fece pensare ad un arcangelo. Come ho detto, le macchine facevano un impietoso rumore, e quando successe che questa ragazza, mi rivolse la parola, fu per informarsi di me se ero interna, cioè di Convitto. Ci scambiammo alcune informazioni sulla nostra età, cioè le dissi che avevo da poco compiuto i 14 anni. Io pensai che lei avesse 22 anni. Invece no, ne aveva 17.

La guardai bene, aveva il viso giovanissimo. Mi ero ingannata per l'altezza. Mi disse, che voleva farsi suora. Forse lei avrà aspirato ad esse in convitto, come me, per poter più facilmente realizzare il suo intento. La piccola conversazione finì lì, ed io pensai ai suoi colori chiari e delicati, degni di un pittore. Ebbi poche occasioni di rivederla al lavoro. Chissà, si sarà fatta suora?

Dopo circa un anno che ero in convitto a Novara, venne la volta anche per me, che qualcuno, forse una delle suore, mi consiglia, a ordine, di andare alla scuola di canto e di parteciparvi. Fui contenta, curiosa, ed anche ansiosa ed anche superficiale. Non riuscivo a domandarmi, se ce l'avrei fatta. Ci andai. La scuola era al primo piano, all'inizio del dormitorio, e in collegamento con la chiesa, che non era poi tanto piccola.

Il gruppo delle cantore era piuttosto numeroso. Mi misi dietro a tutte e cercai di seguire grosso modo il canto delle altre. Effettivamente non mi sentivo nel giusto, ma cantavo. Cantavo, capito?

Tutto ad un tratto, la direttrice Suor Pizzorno, smette di suonare l'armonium e volta la sua attenzione verso di me. Non mi dice niente, solo mi guarda. Sento nel gruppo un brusio, un brontolio, dicono: "Ma questa stona!" Mi sento rimpicciolire, immediatamente mi viene vicino la Franca, mia sorella, e mi apostrofa: "Non senti che stoni? Vai via. Vai via!" Mi giro e vado via, senza dire niente. Mi era andata male.

Mi è dispiaciuto. Sarei stata contenta di saper cantare, tanto più che i testi del canto erano bellissimi. Non ero proprio coltivata alle regole del canto. Misi da parte dunque questo pensiero. Mi accontentai di cantare sul lavoro, tra le macchine, lì non mi sentiva nessuno, anche se avessi cantato a squarciagola. Tutte le settimane riscuotevo la paga del mio lavoro, e tutte le settimane pagavo la retta al Convitto. Avanzavano dei soldi. Non molti. Le suore ci suggerivano di pensare a farci il corredo, biancheria asciugamani ecc... Tutte noi ragazze, ci pensavamo a comprare qualcosa ogni settimana, e la ponevamo nella nostra cassapanchina, accanto al letto. C'era un negozio interno solo per noi. Comprare belle stoffe di seta e di cotone, era un piacere. Imparai i primi rudimenti del taglio e del cucito.

C'era la macchina da cucire, ma, non potevamo usarla, poiché era una sola e noi eravamo tantissime. Solo eccezionalmente, in casi di estrema necessità. Dunque, cucivamo tutto a mano ed io mi cucii per la prima volta una parure di biancheria, di seta rosa. Ero contenta di questo risultato.

Non riuscii a fare molte altre cose, anche se avevo acquistato delle belle stoffe, di cotone, a fiori bellissimi. Le misi da parte, per fare un vestito in un secondo tempo. Di soldi ne mettevo da parte, veramente pochi, più si spendeva più li si doveva stare. Io ci stavo bene, e non mi pareva vero.

Le preghiere, il lavoro, il vivere insomma di tutti i giorni, consumava tutto il tempo, e noi alle nove di sera, poco più, avevamo già chiusa la giornata, con la "Buona Notte" alla Superiora e della Superiora.

D'estate ci radunavamo sul piazzale e sulle scale esterne del Convitto, proprio per la "Buona Notte." Ascoltavamo le esortazioni di un silenzio assoluto. Una sera, io, avevo tutta una beatitudine, nel guardare le stelle di un cielo immenso, vidi improvvisamente, una splendida stella cadente sfrecciare nel cielo. Mi misi a gridare subito, con una grande meraviglia e stupore. Non avevo mai visto una cosa simile. Fecero in tempo, anche altre ragazze, a vedere la corsa della stella nel cielo. Aveva prodotto una scia di pulviscolo luminoso, che per alcuni attimi durò visibile nel firmamento. Avevo un po' scandalizzato, con quelle grida eccessive. Ma mi chetai subito e cercai di sparire nel gruppo. Il brusio si spense, e andammo a dormire quanto prima.

Dopo un po' di giorni, erano stabilite le consacrazioni spirituali, con i nastri rossi, o verdi o azzurri. Il nastro rosso l'ho ricevuto anch'io. Non so perché hanno deciso su di me, ma capivo che era un valore di grazia spirituale e accettai nell'anima, entrando nella schiera delle ragazze consacrate angioletti.

Era un giorno di festa e il vitto era in quel giorno migliore. Era l'otto dicembre, festa dell'Immacolata. Anche il 24 maggio era per noi importantissimo. Era la festa di Maria Ausiliatrice e le nostre suore, erano di ordine Salesiano. La loro Casa Madre era a Torino, fondata da Don Bosco e da Maria Mazzarello. Dopo due anni, che ero al Convitto Olcese, la casa madre di Torino, dispose il rientro in Sede, della nostra Superiora Direttrice.

Pensavamo che avevamo un'altra Direttrice, cioè quella dedita alla musica, e che poteva benissimo sostituirla. Appena saputo questo fatto, l'Ispettore dello stabilimento, fa sapere alla casa madre di Torino, che lui disporrà la chiusura del Convitto e che le suore si potevano ritirare tutte. Questo ha funzionato, e loro a Torino si dissuasero e la cosa finì. Noi traemmo un sospiro di sollievo, e la nostra ambascia cessò. Avevamo grande apprezzamento alla nostra Direttrice, ed eravamo tutte affezionate. Anche le altre suore erano ben volute da tutte noi. C'era Suor Adelina, Suor Teresa, Suor Rosina, Suor Anna, che era di Moggio, cioè mia paesana. Era candida e semplice, ci aiutava in lavanderia. Noi non avevamo nessuna soggezione di Suor Anna. Lei mi chiedeva di cantare le mie poesie, ed io l'accontentavo, e le ragazze che erano giù in lavanderia, mi facevano coraggio pure loro. Infatti avevo imparato piano piano a cantare e a regolare la voce. Come avevo detto, cantavo sempre tra le macchine sul lavoro. Ed ho finito per educare l'orecchio. Ero contenta di poter cantare queste mie canzoni, e mi bastava di poterle cantare giù in lavanderia. A proposito della lavanderia. Lì c'erano due grosse caldaie di due metri con intercapedine, con tanti buchini all'interno, dove saliva l'acqua con lisciva e riprecipitava sulla biancheria, lenzuola camicie federe asciugamani ecc...

L'acqua bolliva e laggiù c'era molto vapore acqueo. Queste caldaie erano a quei tempi all'avanguardia di tecnica. Ricordo un giorno che vennero dei signori, quattro, a studiare un po' queste caldaie. Avevano idee e progetti di costruire le future lavatrici erano ingegneri e la loro ditta era la Candy. Io credo che la Candy, appunto, sia stata la prima lavatrice moderna, uscita poi in quei tempi. Poi c'è stato il boom di costruzione di lavatrici di ogni genere, ed io pensavo a quanto sacrificio a lavare e sciacquare i panni quando ero a Moggio, con quel freddo di anche 17° sotto zero.

Lì, in Convitto, qualche volta mettevano in auge qualche dramma, per il teatro, con canti bellissimi, ecc... A volte partecipavo anche io, anche se non mi piaceva recitare. C'erano però da allestire le scene per la scenografia, ed io ero preposta a dipingere qualche terrazzino, scalette, parapetti, qualche cosa tipo marmorizzato.

Ma molte altre ragazze lavoravano per preparare vestiti e costumi per il teatro, ed erano anche molto belli. Erano molto brave. Il Teatro, visto dalla sala, era molto bello ed i drammi in esso recitati mi piacevano molto. Le ragazze avevano cominciato a divertirsi sulla mia fisionomia, perché dicevano che assomigliavo al prete che celebrava la messa al mattino, Don Giordano. Io non so se somigliavo, perché non mi vedevo neanche. Lì, specchi, non ce n'erano.

Anzi, non stentavo a credere che assomigliassi, poiché mi consideravo anche bruttina. Lasciavo correre, e non raccoglievo le burle, ma mia sorella non la pensò così. Andò a denunciare la cosa alla Direttrice, la quale alla sera per la "Buona Notte", ci fece a tutte una ramanzina, e anche a me che me lo lasciavo dire, la cosa finì lì e non si ripeté più.

Ogni anno si facevano nel convitto una o due volte gli esercizi spirituali. Consistevano in preghiere, funzioni e delle vere e proprie esposizioni teologiche, da parte di luminari cattolici, che venivano all'uopo, da Roma, o d'altrove, chiamati per questo appositamente. Erano prediche, dissertazioni bibliche, condotte in modo eccellente, da veri esperti. Noi ragazze eravamo attentissime, deponevamo nell'anima quelle cose tanto ineffabili. Duravano otto giorni, gli esercizi spirituali. Tutte quelle nozioni erano estremamente necessario, per crescere nella fede consapevolmente. Quando finivano ci dispiaceva enormemente. L'intelletto ed il cuore ne uscivano assai appagati e nutriti. Dio prendeva posto nel nostro cuore, in modo indelebile. L'esperienza degli esercizi spirituali, bisognerebbe fossero fatte da tutti, almeno qualche volta nella vita. Cominciai a scrivere delle conferenze religiose, che poi tenevo custodite per me. Mi sentivo facilitata e mi scorrevano con intensità, mi sentivo veramente portata a fare queste conferenze, ma una certa timidezza, ed il lavoro, l'impegno di tutti i giorni, hanno fatto svenire queste possibilità nel nulla. Le giornate mi sembravano cortissime, andando a letto alle nove. Il lavoro nel cotonificio aumentava moltissimo, al punto che sono stati stabiliti dei turni. Anch'io, cominciai a fare i turni. Una settimana facevo dalle ore 5 alle 13, e una settimana dalle 13 alle 21. Sempre a cottimo. Prima del pranzo, una ragazza, ci faceva qualche minuto di lettura di riflessione. A me non mi importava quella lettura, anche perché, veniva mozzata sul più bello, e poi avevo appetito. Avevo veramente fame, e non andavo per le spicciole. Non appena messa seduta, i bocconi decisi mi entravano in bocca. Ecco, cosa ho provocato per questo modo di mangiare: sento da un angolo del refettorio, la voce della Direttrice che chiama mia sorella Franca, la quale, subito dopo chiama me.

La Direttrice mi voleva subito là ed io avevo in bocca un gran boccone di qualcosa, infilato tra i denti e la guancia destra. Non feci in tempo ad elaborarlo e a farlo sparire. Mi trovo così, davanti alla Superiora, con la Franca a fianco che veniva rimproverata per causa mia; lei le dice "Non lo vedi come mangia, la tua sorella?, Non le dici niente?"

Lei si scusò dicendo, che era a mangiare in un altro tavolo.. Mi dispiacque, ma a me, non mi riusciva più, di mandare giù il boccone,. E questo troneggiava sfacciato sulla mia guancia. La Direttrice, a me: "è questo il modo di mangiare?" Io non potevo rispondere, anche se intendevo scusarmi. Ci rimandò a posto. Sento la Franca sussurrarmi: "Hai visto che figura mi fai fare?"

Mi riprometto in cuore di stare più attenta, e di non incorrere più in questi richiami. Mi dispiaceva veramente per mia sorella, ma lei mi spariva sempre, e non la trovavo mai vicino a me.

Non potevo mai capire ciò. La vita trascorreva, e purtroppo, in tutta l'Europa, eravamo tutti coinvolti in una guerra tremenda. Nello stabilimento i filati, erano destinati in Italia e all'estero per fare le divise grigio - verdi per i soldati. Si cominciò anche a fare con le canape, sacelli di iuta per utilizzarli poi pieni di sabbia, per la difesa. Io mi trovai anche a lavorare al secondo piano, dove si trovavano grandissimi macchinari, detti "Rings" .Però io non ho mai lavorato ai rings. Ero lassù, per fare, con dei dispositivi a ruota con manovella, i famosi grossissimi cavi, per i bastimenti.

Tiravo i fili lunghissimi a grossi mazzi, agganciandoli a degli uncini, e girando poi la ruota li facevo ritorcere su se stessi più e più volte. Erano cavi, corde spaventosamente grosse. Mai, si sarebbero potute tagliare, pensavo io. Si cominciò poi a sapere che sulla città di Torino, venivano sganciate le bombe dagli aerei, e stando a Novara, si sentivano anche questi bombardamenti. Cominciammo ad avere paura, anche perché lo stabilimento dell'Olcese era importante, e poteva essere un obbiettivo da distruggere. A volte come tutti in Italia, allo squillo delle sirene, ci precipitavamo nei rifugi. Che vita, per le stupide guerre! Mai una giustificabile.

Il lavoro proseguiva intenso all'Olcese. Anzi, ce n'era moltissimo. Allora: solo lavoro? Beh, quasi.

Un giorno le suore decisero di mandarci tutte accompagnate, in città, al cinema.

Il titolo era: "La valle delle rose". Era un film estremamente romantico, con una bella canzone. Ci piacque a tutte o quasi. Sì. Perché me ne accorsi dopo, quando tornammo a casa al Convitto. Tornammo dunque a casa e ci disponemmo sulle scale interne, tutte lì in piedi. Ferma. In cima alle scale c'era la Direttrice che voleva sapere le nostre opinioni del film. Un silenzio generale le rispose.

E lei comprese. Domandò a qualcuna delle anziane il concetto del film e ne fu informata.

Effettivamente il film, era sottilmente azzardato, e noi lo sapevamo e per questo tacevamo. Non ci mandò più al cinema, mai più. A me rimase, e rimane, il ricordo della bella canzone che sommessamente cantavo, senza che mi sentisse nessuno, o non riuscivo a vedere il male in quel film. Quel romanticismo era per me simbolo d'amore. Non potevo immaginare l'amore, se non così.

Un giorno la Direttrice mi esorta ad andare alla scuola di canto. Faccio per obbiettare che c'ero di già stata, e che avevo fatto fiasco. Non mi fa finire e mi dice: "Vai, vai a presentarti a Suor Pizzorno (Direttrice del canto)". "Va bene, farò così!", dico.

Non sono stata a pensarci troppo, male male, mi avrebbero rispedita indietro, un'altra volta.

In quel periodo, mia sorella Franca fu richiamata in famiglia. C'era bisogno di lei per i lavori, ecc.... Lei non si oppose, perché era molto generosa per lavorare, ha sempre dato tutta se stessa. Non le sarebbe convenuto, perdeva il guadagno di fabbrica, acquisito in quattro anni. E poi sarebbe stata di nuovo, ancora maltrattata in casa. Lei, ci aveva messo una pietra sopra. Con me, lei sembrava una, che avesse sempre la luna. Se ne andò via dal Convitto, e non mi salutò quasi. Eh!, sono nata dopo! Dunque, in quel luglio, io andai alla scuola di canto. Il gruppo, era grosso. Ci saranno state una quarantina di persone. Nel gruppo c'era una ragazza, di cui conosco solo il nome, cioè Dall'O'. Era di Bergamo. Aveva una bellissima voce, da soprano direi. Però, aveva la prerogativa di coprire tutte le altre voci, addirittura di annullarle. Successe, che io mi inserii nella scuola, con una logica incoscienza. Mi tenevo dietro a tutte, quasi mimetizzata. Cominciai a capire il canto; formato dai così detti primi; (o voci alte), dai secondi ( o voci basse), scoprii che c'erano anche i terzi e i quarti, (voci bassissime). Me le gustavo, erano talmente belle..

Anche la musica aveva le sue scale di tono. Ammiravo e godevo. Piano piano, riuscii a controllare il mio orecchio, e a sentirmi personalmente nel canto. Mi ero inserita, mi riusciva!!!

Come avevo detto, la signorina Dall'O'., era la ragazza che copriva tutte le altre voci. Aveva una voce arcana, ed io definivo anche grassa, la sua voce. Piaceva! La signorina in questione, non era mai mancata di presenza dal Convitto, per quattro anni. Perciò io rimasi sorpresa, quando seppi che aveva chiesto un permesso di un mese e più, per andare presso la sua famiglia.

Questo fatto si ripercosse sulla scuola di canto in modo positivo, sotto un certo aspetto. Infatti, l'effetto fu questo: si notavano e si sentivano singolarmente e individualmente tutte le voci, e fu piacevolissimo notarle in sincronia. Io le ascoltavo una per una, ed era per me come un dono dall'alto. Anch'io mi sentivo. Sentivo la mia voce, che si legava in parità con le altre voci. Riconoscevo, di non avere un gran volume, o spessore di tono, però una qualità di dolcezza scorrevole, unita e piena nel suo piccolo. Tanto che la Suora direttrice di canto, se ne accorse, smise un attimo di suonare l'armonium e si voltò verso di me, che ero dietro alle altre. Lì per lì, pensai, che mi volesse allontanare e dubitai di andare bene. Ma no! Invece la Direttrice, mi chiama vicino a se, con la scusa di doverle voltare la pagina dello spartito. Io ho capito che mi voleva seguire meglio. Ci preparavamo ai canti e laudi, per la festa dell'Assunta del 15 agosto. Le laudi erano bellissime, e furono per me un'assoluta profezia, per la mia vita futura, per quello che mi sarebbe successo. Ci tengo a segnalare una frase, di detta laude per l'Assunta, e la scrivo “Tutto l'Empireo in Lei converso, ecco che acclamaLa nel gaudio immerso; Regina ed arbitra dell'Universo.”

Ebbene, io non solo La cantavo. La vivevo. La intuivo. La vedevo? Oh! Col tempo, col tempo, dopo. Dopo. Ogni domenica, cantavamo per la S. messa Laudi; e cantavamo anche a volte messa – cantata.

Tutta intera. Queste messe erano di tre musicisti, diverse e bellissime, ma io ora ricordo solo una, quella del musicista "La Rosa Parodi".

Quell'anno lì. Cioè 1941, le Suore, ci portarono in vacanza a Vergiate, nella provincia di Milano, in corriera. Passammo per Golasecca, sul Ticino. Il posto era riservatissimo, tutto immerso nel verde, sicché aria buona! Solo dieci giorni, perché di più non potevamo. Ci fecero fare anche altre due gite nel tempo, una al sacro Monte di Varese, al Santuario, e un'altra al lago d'Orta, all'isola di San Giulio.

Non passò molto tempo che la Direttrice, mi fece una sorpresa. Mi dice: "Senti, vai in parlatorio a vedere se è caduta qualche tenda", io vado, e vedo il mio papà che era venuto a trovarmi a Novara. Fui molto contenta. Lui ripartì subito per Torino. Andava a trovare mio fratello Sandrino, che era a studiare alla Consolata. Dopo un po' di tempo venne da Torino a trovarmi, mio fratello Sandrino. Così un'altra contentezza. Il tempo passava. Il lavoro sarebbe andato bene, se non ci fosse stata di mezzo la guerra, con tutte le paure. Sono stata in Convitto per più di 4 anni e mezzo.

Poi venne a prendermi per portarmi a casa a Moggio, la mia matrigna. Io me ne andavo malvolentieri. Le Suore furono molto dispiaciute, nel vedermi andare via, ed io mi rigirai a salutarle, mentre loro erano sul portone del Convitto. Mi dissero: "Se non starai bene a casa, torna da noi!" Quelle Suore mi sono rimaste nel cuore.

Avevano visto la mia matrigna e non erano rimaste convinte. Tornammo a Moggio in treno. Sapevo di aver lasciato al convitto Olcese, il mio piccolo Paradiso.

Il denaro che portavo a casa non era molto, perché la retta che pagavo al convitto era abbastanza alta. Avevo comunque con me un poco di corredo. La mia matrigna aveva la faccia stravolta e non sapevo perché. Non so che pensieri avesse, il suo viso dimostrava chiaramente il così detto nervoso, ed io non osavo chiedere nulla.

A casa cominciò il lavoro pesante. Ero stata riportata a casa, per la stagione dei lavori, anche se dicevano che era per la guerra in corso e per i pericoli, che purtroppo erano veri. Le cose erano tutte come prima di partire per Novara. La consolazione, era solo la mia nonna Lucia. Lei mi disse, che le cose erano basate sul fatto, che la casa di Via Nadorie 25, era di proprietà della mia povera mamma Maria Valeriana. Gliel'aveva comprata mio padre, perché si decidesse a sposarlo.

Lei era restia, un po' perché aveva lei due anni più di lui. Così, ho saputo, che la casa, in ultima analisi, era eredità per noi tre figli della prima moglie. Questa cosa, non era digeribile per la mia matrigna, anche se era in quel momento confortata dall'acquisto, da parte di mio padre, di altre case, che erano intestate ai suoi figli ed anche a lei.

Pezzi di terreni svariati, di qua e di là, che con occasione di prezzo ed anche a rate, le comprava mio padre per farla contenta. Ma si sbagliava. Lei non era mai contenta!

Allora, era sempre aggressiva con noi, me e la Franca.

Cosa potevamo fare, noi?, non facevamo mai discorsi su questo. Non ce ne intendiamo granché, anzi niente. Questo pensiero fu da noi del tutto accantonato. Come potevamo poi, entrarne in possesso?, tutta la famiglia c'era dentro e mio padre ne aveva completo usufrutto, giustamente.

Quindi non ci pensavamo nemmeno. Mio fratello Sandrino era ritornato a casa ed aveva lasciato il seminario della "Consolata" di Torino.

Mio padre le offrì un posto in Comune, ma mio fratello non resisté oltre pochi giorni, poiché in casa non era accettato, e mio padre non era affettuoso, anzi al contrario. Mio fratello era avvilito, anche perché, vedeva noi due sorelle, bistrattate. La Franca cominciò a lavorare in una famiglia a Moggio di Sotto, il cui capofamiglia era amico di mio babbo. Con i soldi che guadagnava, lei comprò un vestito per mio fratello, poiché era senza nulla. Aveva lasciato la tonaca da missionario, (non era andato là per vocazione, ma forzato, per levarlo di casa). Un vantaggio lo aveva avuto, aveva studiato circa sedici anni, e conosceva quattro o cinque lingue. La mia matrigna lo fece soffrire, ed io vidi il suo pianto. Eppure fu in casa, sì e no, un mese solamente. La guerra lo assorbì e fu reclutato tra gli "alpini" della divisione julia, battaglione "Tolmezzo", che poi partirono immediatamente per la Russia. Prima di partire, mio fratello, considerò che la Franca era fidanzata, e che si sarebbe sposata, io ero bruttina e, chissà se mi sarei sposata e lasciò testamento.

Io però per qualche anno non ho avuto la busta e non sapevo niente del contenuto. Dopo partito per la Russia, Sandrino scrisse circa sette lettere, poi. più. Il famoso gennaio 1943, fu fatale per quasi tutti gli italiani sul fronte russo, anche per il freddo atroce, ed i tedeschi che rincalzavano alle calcagna spregiosi verso gli italiani.

Mi è mancato il mio prezioso fratello, per sempre.

Al mio paese di cinquantatre soldati, partiti per la Russia, non ne tornò nessuno.

Finita la stagione dei lavori nei prati, mi trovai ad accettare, un posto da cameriera a Cividale del Friuli, presso il Notaio Simonetti e sua moglie Giuseppina. Loro erano nativi di Moggio di Sotto, quindi miei paesani. Non avevano figli.

La signora Giuseppina, aveva conosciuto molto bene mia madre, e mio padre. Lei sapeva le nostre vicende, e mi accolse con più che benevolenza. Era di una bontà rara. Io la consideravo come un angelo. Suo marito il Notaio era un uomo distinto e tranquillo. Si volevano molto bene con affetti e parole dolci. Avevano avuto per tanti anni una cameriera del mio paese, la Mina, che, tanto affezionata a loro, aveva persino rinunciato a farsi suora. La Mina mi disse che doveva tornare presso sua madre, che non stava bene. Ero contenta di averla conosciuta, perché l'avrei sentita a rammentare spesso dalla Signora Giuseppina. Avevo preso dunque il posto della Mina.

La casa era grande e lunga e faticosa da tenere, specie per i parquets, i quali andavano grattati con la spugna di ferro e incerati di nuovo a lustro. Non c'era la lavatrice, e lavavo tutto a mano. Queste parti di lavori erano pesanti, ma erano compensate da ore di riposo.

Con la Signora Giuseppina, facevamo delle belle passeggiate, anche sul ponte del fiume Natisone. Lei era orgogliosa di me e quando incontrava qualche sua conoscenza, mi presentava come una signorina di buona famiglia.

Beh!, mah!, comunque io cominciai a curare il mio aspetto.

Avevo diciannove anni e le trecce spesse attorno al capo, tipo Lucia dei "Promessi Sposi". Piano piano cominciai anche a tingermi gli occhi e le labbra e ad incipriarmi. Mi stavo scoprendo un po' bellina e ciò non mi dispiaceva. Avevo sì e no tre vestiti, di cui uno a fiorellini su fondo bianco con le gale attorno al collo, sui gomiti, e alle ginocchia. Dio, come mi piaceva!. Io ero a Cividale. La guerra purtroppo infuriava in tutta l'Europa e in Italia, dal Sud sino a Firenze. Gli aerei passavano e ripassavano, e ci facevano scappare nei rifugi.

A Cividale sganciarono sei bombe, che fecero il loro scempio.

Io le sentivo, mentre ero nel rifugio e stavo facendomi togliere il primo dente del giudizio, con un semplice fazzoletto in mano, da un dentista, che era li casualmente con la moglie, che era la principessa d'Albania. Loro venivano da Verona. A me per il dente, andò tutto bene.

In quei tempi i tedeschi, facevano delle irruzioni nelle case, per prendere ciò che trovavano. Erano minacciosi e peggio.

Con la Signora Giuseppina, mandai a pezzi una rivoltella. La seminammo, pezzo per pezzo, facendo una passeggiata lungo la siepe, del viale. Suo marito come Notaio era autorizzato a tenere un'arma, ma i tedeschi minacciavano chiunque, ne tenesse una, senza consegnarla. Ci levammo così, quel pensiero.

C'era un'altra cosa, che io non m'aspettavo m'accadesse. Dunque, la paura delle ruberie dei tedeschi, che si sentivano raccontare, fecero prendere una decisione alla Signora Giuseppina e a suo marito. Mi dissero, un giorno, che avevano dei gioielli di famiglia e dei preziosi con dell'oro, antichi, e tenuti da loro al sicuro, io non sapevo niente di tutto ciò. Mi chiesero se accettavo di fare una commissione per loro.

Io per loro mi sarei gettata nel fuoco, ma la sorpresa, mi colse in una specie d'incoscienza e leggerezza mentale. Chiesi cosa intendevano dirmi. Ecco: non erano più sicuri a tener in casa i loro gioielli, e mi proponevano di portarli su a Moggio, presso la Mina, che avrebbe provveduto a nasconderli lassù, in qualche modo concertato da loro. Accettai senza rendermi conto, e del valore e del pericolo che avrei corso.

Avevano studiato per me l'itinerario, quando e come. Poi mi imbottirono alla vita, di gioielli e oro. Non so quanto valevano, ma molto! Partii, preoccupata ma non troppo, dovevo solo stare attenta a non avvicinarmi a qualcuno, e che nessuno si avvicinasse a me. Invece a me dispiaceva, di lasciare questi due coniugi, in ambascia per me. Si pensò che, tra andare e tornare ci volevano di sicuro, non meno di tre giorni.

Presi il treno fino a Udine, e poi da Udine a Moggio.Tutti dicevano che i treni andavano a tratti e non era difficile trovarsi a piedi, a risolvere male le cose. Invece, ebbi fortuna, e il treno arrivò bene fino a Moggio. La Mina era già stata avvisata per lettera precedentemente, e mi aspettava. Non mi parve il vero di consegnarle l'imbottito che avevo addosso. Lei, era molto segreta, anche con la sua stessa mamma. Prese i gioielli e li andò a nascondere, non so dove. "Ci penso io", disse. Io volli andarmene e non volli saperne più, di niente. Venni giù, dalla borgata della Mina, e andai libera a salutare qualcuno in paese. Poi, per circa due chilometri a piedi, me ne tornai giù a prendere il treno, che purtroppo era a tratti questa volta. La discesa in treno verso Udine non fu facile, per le vicende sgradevoli che poi si prospettarono. Il treno, quel giorno, scendeva da Pontebba o da Tarvisio, come sempre, e si fermava purtroppo definitivamente a Gemona e non proseguiva più giù verso Udine. Scesa alla stazione di Gemona, mi guardo interno per capire cosa avrei dovuto fare. La gente scesa dal treno, fece in un baleno a scomparire, chi di qua chi di là.

Rimasero, ad occhio, una dozzina di persone, sui marciapiedi della stazione. Non ci pensai nemmeno a rivolgermi ad alcuno di loro, ed entrai direttamente negli uffici della stazione a chiedere informazioni agli addetti. Mi dissero che purtroppo ci sarebbe stato un treno per Udine, forse, domani. Forse!

Uscii dagli uffici, e senza aver avuto tempo di pensare, cosa avrei potuto fare, per scendere un altro modo a Udine? Ci potrebbero essere dei camions messi a disposizione da qualcuno, di tal cosa, mi pareva di averne sentito parlare, che funzionavano appunto in assenza di treni. Non feci in tempo a pensare, che mi accorsi di esser osservata da un gruppo di giovinastri (saranno stati otto) che avevano messi gli occhi su di me, confabulando fra loro, infamemente. Resami conto del pericolo, li prevengo con un'azione destrissima, e rientrata in stazione esco velocemente dall'altra parte, verso Gemona.

Mi metto a correre su per le stradine erte e pietrose, di quel paese, posto in collina. Avevo indovinato. Li vedevo in fondo alla strada che correvano su pure loro sparpagliandosi. Disgraziati!!!

Io ero in grande vantaggio, ma ero disperata, oltre modo. Svoltai in un viuzze, e per mia buona sorte, entrai in un portone, che richiusi dietro a me. Mi trovai in un antro oscuro e pieno di nascondigli. In quella casa, nessuno mi aveva vista, pur essendo in pieno mattina. Infatti, erano le 11. Non avevo altro scampo che stare nascosta lì, in un antro, fino all'indomani e mangiare poco, un pezzo di pane e un uovo. La notte era fredda, mi vennero vicino dei gatti. Dico a me stessa: "Bene!" se ci sono loro, non ci saranno i topi. Ho dormito rannicchiata, e poco. Tutto questo, per quei disgraziati, infami, pronti sempre a far del male.

Ringraziavo Dio e la Madonna, che mi era andata bene infine. Uscii presto, appena giorno, sulla strada. Nessuno aveva visto da dove ero uscita. Vidi per le straduzza, gente semplice, che andava pei fatti suoi. Mi accostai a delle donne che scendevano anche loro per la stazione. Mi dissero che ci sarebbe stato il treno per Udine. Loro lo sapevano. Presi con loro il treno per Udine, e non dissi niente dei fatti occorsomi. A Udine, andai subito ad informarmi se e quando, ci fosse stato il treno per Cividale. Non c'era, per niente. Forse, domani. Mi trovai a girare per Udine senza meta o quasi. Volevo trovare il campo degli sfollati, per poter eventualmente pernottare in caso di bisogno. Mi rivolgo, a un poco più che un ragazzino, per chiedere l'indirizzo di dove volevo andare. Mi diceva che lo sapeva, ma che mi voleva accompagnare lui. Io rifiutavo decisamente, avrei trovato certamente da me. Questo era un ragazzino pugliese. Si sentì subito padrone di me, insistente antipaticamente. Cominciò un'azione di prudenza e di pazienza da parte mia, per voler seminare questo tipo appiccicoso.

Usavo nel contempo molta fermezza, e ad un certo punto, lo salutai decisa, pure ringraziandolo. Mi minacciò di denunciarmi, e lo fece, perché secondo lui non avevo diritto di andare al campo degli sfollati. Mi trovai davanti al commissario, a spiegare come stavano le cose. Mi protessero da quel tipo, non solo allontanandolo da me, ma loro stessi mi dettero l'indirizzo che volevo e mi insegnarono le strade. Avevo la carta d'identità, vestivo d'azzurro ed avevo le trecce fino ai fianchi, brune. Ero vanitosa per il rossetto per il rimmel, che avevo adottato all'uso.

Camminai molto e trovai l'edificio degli sfollati. C'era tantissima gente ed i posti erano esauriti. La carta d'identità mi fu richiesta e mi dissero che c'erano tre reti senza materasso, proprio subito dopo, l'ingresso del palazzo, in fondo alla tromba delle scale, che erano grandissime. Capii che potevo essere tranquilla.

Non era ancora mezzogiorno ed io dissi che ero tanto stanca ed avevo sonno. Mi concessero una delle tre reti in fondo alle scale, ed io mi misi su di una, rannicchiata, e piombai subito in un sonno profondo. La gente passava in continuazione su e giù per le scale. Ma finalmente io dormivo, sulla rete, ma alla vista di tutti, in pieno giorno.

Mi svegliai verso le tre del pomeriggio. A mezze scale c'erano tre giovani appoggiati allo scorrimano, erano lì fermi a guardarmi dormire. Al mio risveglio, mi vollero da lassù salutare e mi fecero complimenti per i miei colori, ecc.....

Mi misi verticale e feci subito una pensata. Tornai alla stazione di Udine, per sentire qualcosa sul treno per Cividale. Mi interessava e speravo. Indovinai. Era stato stabilito un treno imprevisto per Cividale. Salii sul treno, in mezzo purtroppo ad una gazzarra di gradassi, e mi misi quieta in un posticino. Chiusi gli occhi, come per dormire, ma non dormivo. Ero attenta, e piena di speranza che tutto andasse bene.

Infatti non si sapeva mai di sicuro, se il treno passando da Maiano, sarebbe poi proseguito per Cividale. Oh!, Dio! Andò bene! Ed arrivai ancora giorno, nella piazza di Cividale. Dove al numero uno, stava l'abitazione del Notaio. Suonai al grande portone, situato sulla via affiancante il palazzo.

Venne ad aprire la Signora Giuseppina. Con le lacrime agli occhi, mi abbraccia dicendomi, che il suo pensiero per me era stato tale, che non aveva quasi dormito, in quelle notti, dalla paura che mi fosse successo qualcosa per la mia vita.

Io scherzai dicendo, che certo avrei potuto passare il confine, o austriaco, o iugoslavo, e con tutti quei gioielli sarei stata piuttosto bene. La vidi sorridere e sollevata.Le raccontai, poi, che tutto era a posto. La Mina le avrebbe scritto, pel confermarle la cosa. La posta funzionava a rilento, ma funzionava ancora, malgrado le situazioni di guerra.

Non mi parve il vero che fossi ritornata in quella tranquillità di quella bella casa, con quei dolci caratteri di quelle persone. Lì nessuno mi picchiava o maltrattava, era insomma per me, un piccolo Paradiso. La guerra portava le sue infamie un po' dappertutto, ed anche se il fronte era giù verso le città dell'Italia centrale, si sentiva delle cose gravi che accadevano in qua e in là, un po' ovunque.

Alla periferia di Cividale, si erano installati dei cosacchi, che erano affiancati ai tedeschi. Io li vidi, perché andavo a prendere il latte da quelle parti. Erano vestiti colorati, con le loro camicie ampie di seta e colbacco, più stivaloni.

Baffoni, più grandi del conosciuto e pensato. Uno dei capi, anziano, mi sorrise e pronunciò un saluto, a modo suo, che io non ho certo capito. Sapevo, che bisognava non dare confidenze, e gentilmente mi allontanai, per i fatti miei, con il latte. I tedeschi portavano via dall'Italia il bestiame sui treni, che passavano questi treni anche dal mio paese e su su verso il confine, oltre Tarvisio.

I tedeschi scorrazzavano dappertutto. Una mattina a Cividale, alla casa accanto, mi fecero leggere il giornale, che parlava di un fatto accaduto nel mio paese. Erano stati presi dai tedeschi, tre ragazzi, appena cresciuti, 18 e 19 anni. Li accusarono di essere partigiani. Io non leggevo mai i giornali e non avevo mai sentito la parola partigiani e neanche al mio paese, avevo ed avevano, mai sentito parlare di loro.

Nei paesi, poi, non era come ora, era gente semplice, vivevano delle loro piccole cose di tutti i dì. I tedeschi, per non so quale rivalsa, o, vendetta militare tutta loro, oppure per spaventare la gente semplicemente e tenerla soggiogata, presero questi tre ragazzi, con il chiaro intento di farli morire, li hanno messi a battere un mucchio di polvere da sparo. Scoppiò la polvere, e due ragazzi morirono subito, ed uno, la famiglia, lo portò all'ospedale di Gemona.

Quel giorno ho detto, che a Cividale, alla casa accanto (che era anche trattoria), mi fecero leggere il giornale. Per me fu, una sorpresa, poiché, io, la notte scorsa, avevo avuto una forte chiaroveggenza in sogno, ed avevo anteveduto questo fatto.

Uno dei ragazzi. Romano, mio compagno di scuola elementare e mio vicino di casa, e, corrispondente con me per posta, per fattore romantico sull'inizio, era venuto dunque in sogno a me a salutarmi, e lo vidi sulla soglia della porta come sdoppiato. In sequenza vidi poi la scena dei corpi carbonizzati, ricoperti da una coperta su di un prato. Lui era temporaneamente sopravvissuto e si trovava in ospedale a Gemona. Presi il treno da Cividale, ed andai a trovarlo e, letteralmente, mi spaventai così tanto, e così tanto impressionata, che non ebbi più il coraggio di tornare. Ero anche lontana a lavorare, per cui non era facile avere permessi frequenti. Fu il mio primo impatto con l'ospedale, e con la sofferenza di quel tipo. Dopo uno o due mesi Romano morì. Mi è rimasto il rimorso di non essere più andata su all'ospedale o a Moggio a trovarlo. Di questo mi sarei voluta confessare tutta la vita, o comunque avevo compreso, che era possibile, antevedere i fatti e gli avvenimenti, e che le chiaroveggenze, le premonizioni venivano spontanee, e quando era stabilito dalle dimensioni superiori.

Col tempo, poi a Cividale, avrei avuto la possibilità di fidanzarmi con un buon giovane, altissimo e figlio di un pittore del luogo. Abitava in una villa fra gli alberi posto ameno.

Mi portò a conoscere i suoi genitori e a vedere la casa.

 

 

 

 

 

 

Fausta Cozzi

 

 

 

 

 

 

 

Era un sogno quella casa e tutto era perfetto. Nella tranquillità suo padre dipingeva. Quella casa, quella famiglia erano un dono di Dio per me. Ma non compresi troppo svagata, troppo distratta, non guidata, non consigliata e perciò non matura per fidanzarmi. Perciò non ne feci di niente. Ma perché non ci si innamora di chi si dovrebbe innamorarsi?!

Tant'è. Si può sembrare addirittura complicate e invece è solo sciocchezza o ingenuità. Bisogna pur costruirsi da noi!, ma basterà la vita per imparare?

Io stavo bene con la Signora Giuseppina. Mi sentivo quasi come una figlia e non come una cameriera, e non volevo pensare al futuro. Avevo paura, se pensavo che potesse riprodurre il passato, cioè le botte.

Avevo compito i 20 anni lì a Cividale, ma quel ben tranquillo non doveva durare a lungo.

Venne giù da Moggio, la sorella della signora Giuseppina. La Signora Anita. Voleva soggiornare un po' di tempo con lei. Fu come se venisse un temporale. Era impossibile accontentarla. Si ammalò. Non chiedeva, pretendeva, tutto male, con malagrazia, con malomodo. Proprio anche con la sua stessa sorella. La umiliava continuamente. La criticava dicendole, che non doveva considerarmi, me, che ero solo una cameriera, come una figlia. Un giorno vidi la Signora Giuseppina che piangeva e mi disse, che non era mai contenta l'Anita, e che la metteva veramente sulle spine. Era malata l'Anita (isterica?), ed io la sentivo gridare: "Aprimi la finestra!" Sua sorella andava apriva la finestra, e dopo un po' sentivo gridare: "Chiudimi la finestra!" la Signora Giuseppina cercava di non mettermi a repentaglio di lei, e mi confidò: "Pensa Fausta!, che l'Anita ha cambiato a Moggio per casa sua, ben trenta donne di servizio, in un mese. Cioè, una al giorno!" Figurarsi! Ce la fece in poco tempo, anche a farmi andare via a me, da quel posto lì, con la cattiveria e la gelosia del ben degli altri. La Signora Giuseppina, piangeva mentre mi salutava. Forse in un secondo tempo, avrà ripreso la Mina. Certo, solo quando la sorella fosse ripartita. Tornai a Moggio a casa. Ma prima feci una capatina in una sala da ballo, lì a Cividale. Ballavano il boogie -woogiie.

Al paese a Moggio di Sotto, trovai la Delia, sorella della mia cugina Aurora, che dissi sposata in Sarzana. Alla Delia, le parlai della sala da ballo di Cividale, e che avevo conosciuto appena un ragazzo bruno, di cognome Terranova (il nome non lo ricordo). Delia cominciò a pressarmi per andare a Cividale a ballare con me. Ci andammo. Mia cugina Delia era bellissima. Quel giorno aveva il turbante rosso in testa. L'avevano rapata alla fine della guerra, perché aveva parlato con i tedeschi. Lei con il turbante era meravigliosa. Al mio paese si beavano gli occhi a guardarla e tutti ne parlavano della sua bellezza. Arrivate in città, a Cividale, ci dirigemmo alla sala da ballo. Io fui invitata a cantare canzoni al microfono. Qualcuno sapeva che cantavo, e così, di punto in bianco, mi sono trovata a cantare la "Rosamunda" e “Mamma Bianca”. Prima, per un attimo avevo parlato per salutarlo con Terranova, avevo per cortesia, presentato questo giovane a Delia. Tutti si misero a ballare, io cantavo e di fronte a me, fluivano tutti i colori. Particolarmente io non vedevo le fisionomie, non vedevo che colori.

Si fece la sosta, e io andai in cerca di Delia. Non la vedevo fra a gente. Allora uscii da una parte della sala, dove c'era un grande terrazzo e lì nella mezza luce del terrazzo, vedo Delia che stava baciandosi con Terranova. Brava! Le avevo fatto capire, che avevo un certo interesse per lui. E lei, lo stesso così?

Decisi immediatamente di tornare al treno, per salire di nuovo a Moggio e glielo dissi.

Io non vengo, disse lei. Ed io "Io vado!" Uscii dalla sala di volata, e via. A questo punto, non mi parve il vero di seminarla. Dopo una mezz'ora lei mi raggiunse alla stazione, e mi parlò come nulla fosse.

Io pensai bene, che non valeva la pena, di mostrare il mio interno. Dentro me pensai: bella delicatezza!, meno male che Terranova non era ancora nulla per me non ero arrivata al punto suo, e perciò potevo subito aprire il pugno e lasciarlo andare. Ma lasciai andare poi per sempre, la mia cugina, poiché non la vidi per quanto non la volevo vedere, e tornai a casa a Moggio, a lavorare nella famiglia, e il lavoro non mancava. Stavo sottomessa e facevo tutte le faccende che occorrevano. L'atmosfera in casa era quella di sempre.

C'era una novità da parte mia. Avevo espresso a mio padre il desiderio di studiare farmacia. Mio padre sarebbe stato consenziente, dice che mi avrebbe comprato i libri occorrenti. Avrei veramente voluto studiare. Non so come lo venne a sapere la mia matrigna, e così si espresse, con una sua amica, che poi me lo disse: "Uno, lo fatto saltare (cioè mio fratello Sandrino), quell'altra (che sarei io), la faccio saltare adesso". E mi fece saltare. Qui, racconto come. E, perché. Il perché è questo: mio padre avrebbe speso soldi per me, per farmi studiare, e lei aveva presente il tornaconto per i suoi figli. Lei sapeva come fare. Piantò una bufera. Su sciocchezze coercì mio padre a darmi addosso anche lui. Mi cacciavano da casa tutti e due. Oh!, mi avessero lasciata in Convitto a Novara!!!

Io tra le botte e le loro urla, non resistevo più. Non rispondevo mai male, anzi non rispondevo proprio, non mi conveniva. Avrei scatenato ancor più la loro ira. Li lasciai sfogare, con tanta angoscia nel cuore. E lui era mio padre. Come poteva trattarmi così? Li presi in parola. Era ormai buio e non mi potevo muovere. Andai su in camera mia, e quella notte non dormii per niente. Raccolsi le mie cose, ed aspettai il primo albore, che venne verso le cinque circa del mattino. Volevo andare giù in via Nadorie al 13, dalla nonna Lucia. Era troppo presto. Aspettai altri 20 minuti e poi, con un mio piccolo fagottino, scesi le scale di legno, che come ho detto, erano all'esterno della casa.

Gli scalini scricchiolavano purtroppo, ma giù al primo piano nessuno si svegliò. Scesi gli altri scalini, che erano di pietra, e mi trovai giù nel grande cortile. Levai il catenaccio del portone ed uscii in Via Nadorie, lasciando il portone spalancato, e il n. 25, dietro le spalle. Camminai silenziosa, sulla ghiaia della strada. I passi si sarebbero sentiti, e non volevo svegliare la gente delle case. Trovai il portone della casa di mia nonna Lucia. Era aperto. Mi disse la nonna che l'aveva lasciato aperto tutta la notte, di proposito, perché aveva sentito tutto. Era accorata ed aveva dormito poco. Infatti la trovai in piedi. Misi la mia roba, provvisoriamente lì da lei. La nonna mi suggerì di andare su, all'abbazia di Moggio di Sopra, a parlare e consigliarmi con monsignor Pacifico Belfio.

Andai subito. Attraversai Moggio di Sotto, e salii a Moggio di sopra. Non incontrai nessuno. Era ancora presto. In Abbazia, trovai subito Monsignore e le parlai della mia situazione. Era da tanto che alcune persone gliene parlavano, per cui ne era al corrente delle cose. Io non so chi, e non glielo chiesi. Una cosa che avevo imparato in famiglia, a non far domande. Monsignore, dispiaciuto per queste cose, ci pensò un pochino, e poi mi disse: "Vai via, parti, allontanati più che puoi. Hai il mio benestare. La Madonna ti proteggerà. Pregherò." Mi consigliò di andare giù a Moggio di Sotto, ad accennare questo proposito ai carabinieri, anche per il fatto che ero minorenne e mio padre avrebbe potuto non consentirmi di andarmene. Scesi a Moggio di Sotto e andai giù in Via Fontana dai Carabinieri. Potei parlare con i superiori, che non solo mi ascoltarono, ma mi promisero la loro protezione. Già sapevano. Sapevano delle ire di mio padre, e mi dissero che per ovvie ragioni non volevano urtarsi con lui. Che, andassi pure! Che partissi, anche subito. Che mi allontanassi dalla mia famiglia, soprattutto a causa della mia matrigna, che non mi avrebbe mai dato pace. In paese, qualcuno, pochissime persone, giravano per le strade, ed io mi dirigevo di nuovo per Via Nadorie. Tornavo dalla nonna a raccontarle le cose. La strada aveva delle piccole curve, e quando mi avvicinavo al portone della nonna, vidi mio padre che preoccupato, stava parlando con una signora che era affacciata al primo piano, nella casa di fronte alla nostra. Aveva cappello e bastone come sempre e teneva la testa alta, rivolto verso la sua interlocutrice.

Ebbi fortuna di poter entrare dalla nonna, senza che lui mi vedesse. La nonna mi disse che un attimo prima, era stato lì da lei, a vedere se c'ero. Lei disse: "Qui non c’è". Lui mi cercò, girando nelle sue stanzine, perché, non le credeva.

Seppi poi che era enormemente preoccupato, temeva che fossi andata ad annegarmi, e fu per lui una gran brutta giornata. Io stetti lì con la nonna, e siccome lei era poverissima, le persone pie del vicinato cominciarono a portare roba da mangiare, e portarono di tutto, perché sapevano le cose avvenute a me il giorno prima, e immaginavano che con la nonna ci fossi anche io. Decisi di partire fra pochissimo tempo, primo, per non pesare sulla nonna, e poi per tutte le cose che ho detto.

Era necessario che mi trovassi lavoro. Udine? Milano? Firenze? Una benevola persona la Lina, mi disse che, se sceglievo Firenze mi mandava alla Rufina presso una sua sorella sposata lì. Io comunque avevo scelto Firenze per via dell'arte. Mi piaceva disegnare. La Lina mi dette un pacchettino per sua sorella Tina. Per prima cosa, avrei fatto tappa alla Rufina.

La guerra, ormai, grazie al cielo, era finita. In giro si vedevano gli inglesi e gli americani. Per andare a Firenze, non si trovavano i treni, e la gente ammucchiata, pagando qualcosa, viaggiava con i camions, che non erano allora tanto grandi.

Si viaggiava a tratti, e poi, bisognava cercare un altro camion, per seguitare. Di pericoli, si sono manifestati nel corso delle tappe del viaggio. Una volta fui salvata da un contadino che mise in fuga due bestioni malintenzionati, da me poi denunciati. Non so cosa sia poi stato stabilito per loro, ma di sicuro le è andata bene. A quelli, va sempre bene! Anche perché, grazie all'intervento del benedetto contadino, non erano riusciti a farmi del male.

Il viaggio era lungo, e a tratti. Si doveva cambiare di camion, di città in città, quasi. Poi, altri pericoli, letti, in occhi disgraziati; infami. Letteralmente ne prevenivo i disegni, infilandomi in grossi gruppi di donne, di mamme, di nonne, di bambini. Sono arrivata infine a Firenze, e dopo aver camminato tanto per la città, ho trovato un tragitto per la Rufina. Sono arrivata a sera, nella famiglia della Tina, che, m'accolsero con sorpresa, non essendoci intercorsa posta, per impossibilità di tempi. Dopo due giorni, mi accompagnarono giù a Firenze, presso la famiglia di loro parenti, che abitava in P.zza Gualfredotto Da Milano. Fui ospitata lì in questa famiglia di veri angeli. Avevano un piccolo bambino. La mamma di lui, cuciva benissimo vestaglie per qualche ditta. Il lavoro era moltissimo e se io avessi potuto cucire e tagliare alla perfezione, ne avrei avuto anche per me. Ma non sapevo questo mestiere. Suo marito, faceva l'infermiere all'ospedale di Santa Maria Nuova. Era un uomo a posto e molto serio, ma un po' nervoso. Mi suggerì di fare domanda come infermiera presso l'ospedale, ma io dissi che mi impressionavo. E di questo mio rifiuto, me ne sono sempre pentita, poi. Mi decisi che avrei cercato un posto come cameriera in una famiglia. Dovevo cercarmi pure un alloggio, perché loro non potevano ospitarmi a lungo, avendo una casa piccola e sottosuolo.

Sono stati gentilissimi e buonissimi, ed io per lunghissimi anni ho tenuto caro alla loro conoscenza. Comunque mi dovevo muovere da sola, e, per cercarmi prima la camera e poi il posto, ma neanche farlo apposta, finivo sempre nei pericoli.

Cercando la camera, tramite l'agenzia, ero stata assicurata che mi sarei trovata in una famiglia normale di tre persone. Vado a vedere la situazione e capisco la trappola. Non erano tre persone, ma una sola. Un signore dall'aspetto normalissimo. Mi dice che i suoi familiari sono temporaneamente assenti. Erano in villeggiatura, capito? Ahi, ahi. Comincio ad elaborare come fare per uscire da quella casa. Mamma mia! Dovevo essere convincente. Dissi che volevo vedere un film che proiettavano al cinema "Belfiore" all'aperto. Dissi che sarei ritornata poi, ma quello, non intendeva perdere la preda, e si propose di accompagnarmi lui stesso al cinema. Uscita con lui dalla casa, le dissi subito che volevo andar da sola, ma non mi voleva mollare proprio. Allora le dissi che non sarei più tornata in casa sua che mi sentivo ingannata, ed avrei reclamato all'agenzia.

Non volevo più andare al cinema, ma volevo andare dai miei amici in piazza Gualfredotto. Era lontanissimo e sapevo dover fare la strada a piedi per le mie ragioni di borsellino. Malgrado lo dissuadessi con fermezza, si trasformò in un custode forzato e mi volle accompagnare fin laggiù. Sbuffava, la strada era lunga. Evidentemente non credeva a me a quanto pare, che avessi questa famiglia amica, e sperava, che non avessi soluzione. Finalmente mi dové mollare. Dopo poco più di tre anni, lessi su un giornale per caso, il suo nome. Faceva la "tratta delle bianche", e arrestato, si era suicidato, rompendo una certa fiala sotto i denti.

Io dopo alcuni giorni mi sono trovata un lavoro come cameriera, presso una grande casa di Firenze. Erano svizzeri ed avevano anche una fabbrica di cappelli di paglia che esportavano in tutto il mondo. La casa era grande, lunga, con tanti finestroni alti e faticosi. Dovevo fare tutto, compreso il cucinare per cinque persone. Molta, molta fatica in quella casa.

Un giorno si presenta alla porta, mia sorella Franca. Per il meglio, avevo aperto appunto io al suono del campanello. Volle che l'ospitassi di nascosto in camera mia. Sapeva che palesemente, non avrei assolutamente potuto farlo, anche se lei è mia sorella. Inoltrai questa furba in camera mia, e chiusi la porta. In casa c'era un canino bianco e nero, un bastardino come si dice. Fiutò qualcosa, e ce ne volle perché io lo dissuadessi dallo stare fuori dalla porta a guaire. Alla sera vado per andare a dormire, ma mia sorella era in vena di scherzi e mi metteva in imbarazzo, perché si faceva sentire. Rideva istericamente e scherzava insulsamente. Io mi raccomandavo a lei, che non mi facesse perdere il posto, ma è stata una vera pena per me quella notte, con quella esilarata. L'indomani la Franca aveva in vista di presentarsi ad un posto di lavoro. E lo trovò, e buono, in Via Lamarmora. Io stetti alcuni mesi lì nel mio posto, e poi cercai un altro posto sempre sui generis.

Lo trovai non molto lontano, da dove si era stanziata la Franca. Mi portai dietro i disegni che avevo fatto nell'ora libera della domenica. Si trattava di autoritratti e riproduzioni delle testine di Leonardo. Mi trovai in un'altra famiglia, dove c'erano altre persone di servizio. Io ne ero molto sollevata, avendo una gran parte di compito, come bambinaia a due bambine, una di cinque anni ed una di tre. La casa era bellissima, stile antico, con un discreto parco recintato. Mi trovai in periodo estivo, e così, con questa famiglia andai in vacanza a Collegramole, sulle colline nei pressi della Certosa di Firenze.

Appunto, le colline erano stupende, con colori variegati, caldi e magnifici, e aria limpida e ossigenata dal verde. Che giornate meravigliose! Una giornata simile, e mi pare unica, la ebbi dagli svizzeri, quando divenni maggiorenne, nella primavera del '46. Esultai quel giorno, perché finalmente, certe persone, non avrebbero più potuto farmi del male. Il resto delle giornate, dagli svizzeri, per me erano tutte bigie e grigie. Che fatica che finestroni! che casermone! quella casa. Lavoravo per tre. Ed erano tanto ricchi, che avrebbero potuto benissimo assumere almeno un'altra persona. Ricordo un sogno significativo che feci in quella casa, e che non ho potuto dimenticare, non so il perché. Sognai, che vedevo la strada di Via Nadorie al mio paese. La mia matrigna, stesa sulla strada, s'allungava e s'allungava smisuratamente, lo guardavo, e da una finestra della casa di fronte alla nostra (specchio?), vidi lanciare fuori un bambolotto, e, subito dopo una bambola. Erano più bambini che bambole, e non appena toccato terra, si diressero verso una piazzetta e si unirono al girotondo che facevano altri 5 bambini. E in tutto furono in sette. Fine del sogno.

Allora, come dissi, poi mi trovai con la nuova famiglia in villeggiatura a Collegramole, e lì imparai, a fare il pane alla contadina, cioè, pani grossi di circa 35 cm. di diametro. Era buono e riusciva bene, e imparai anche a cucinare l'anatra incartata. I contadini portavano a questi signori dei cesti di fichi verdini, che finivano ad essere mangiati da me, perché sono troppi per loro. Pagai dolorosamente queste mangiate di fichi. Mi scoppiò un bel mal di denti, e mi dovetti levare un dente grosso (il secondo) del giudizio, con l'inconveniente di avere una spaventosa emorragia nel sonno. Alla mattina provvidero con sollecitudine a portarmi giù in macchina a Firenze dal dentista che mi iniettò la vitamina kappa. Anche questa cosa, risolta, ripresi lassù sulla collina, le vacanze con loro. Mi accorsi che i giovanotti del villaggio mi facevano la corte, e un giovane bello della mia età, che si chiamava Dante, mi aveva un po' interessato, ma non ne feci di nulla, perché questo giovane era subordinato alla sfida dei suoi stessi amici. E poi, scaduto il tempo delle vacanze, io rientrai in Firenze con la gentile famiglia presso cui lavoravo. Ero impegnata in quella casa, tutta la settimana, ed avevo solo libere due ore, il pomeriggio della domenica. Desideravo vedere la mia sorella Franca, che lavorava poco distante da me in una strada adiacente, in Via Lamarmora.

Andai dunque da lei e trovai che era ammalata a letto. Stava uscendo dall'influenza. In quel magnifico appartamento, lei era al servizio di due coniugi di mezza età. La Signora era gravemente malata, aveva avuto un'operazione al cervello. Mia sorella adorava la sua Signora e si sarebbe, come si suoi dire, gettata nel fuoco per lei. Perciò si preoccupò che io la disturbassi con il mio arrivo lì. Mia sorella aveva il cane, sul letto, ai suoi piedi. Mi raccontò che quel cane "Cicci", in quella casa, era come un bambino e mangiava a tavola col bavaglino. Io risi, ma lei mi parlava seriamente, mi diceva che la Signora era una persona molto fine e buona. Io ascoltavo compiacente. Non mi fece sedere. Avevo poco tempo per stare in libertà, erano le tre del pomeriggio poco più. Io feci tre passi verso il finestrone aperto, al pieno sole, che invadeva appieno la stanza, e mi lasciai abbracciare dal sole. Una doccia di inventive mi raggiunse improvvisamente alle spalle: "Stupida! cretina!, non lo vedi che fai ombra a Cicci? (il cane). Vai via, vai via!" mi volto e guardo in viso la Franca. Come era oscurata di umore!, tutto ad un tratto. Forse sì, io inavvertitamente avrò senz'altro, fatto ombra al cane. Mi sono scusata, ed ho capito che me ne dovevo andare. La saluto, e la guardo ancora un attimo. Che mistero!, sotto quella cuffia. Mi rendo conto che stava guarendo senz'altro, e mi bastava. Mi sono poi, sempre riguardata di andarla a trovare, per non irritarla. Qualche rarissima telefonata, mi dette la possibilità di sapere che era ancora lì. La telefonata gliela facevo io; quando potevo, naturalmente, poiché anche io stando a lavorare in una famiglia non ne potevo approfittare. Dopo un po' di tempo, la persi, diciamo pure, di vista. Non sapevo più dov'era; la sua Signora non c'era più purtroppo. Non sapevo più nulla di lei, ed io dovevo pensare a me, che mi si cambiava la situazione del lavoro. C'erano troppe cameriere in quella casa, e io finii di fare la bambinaia. Dovevo trovarmi un altro lavoro e pensavo di rintracciare qualche fabbrica di ceramiche, con la cosa che mi piaceva il disegno.

Dovevo cercarmi una camera ad affitto, che era difficile trovare se non si aveva già il lavoro. Ai miei amici di Piazza Gualfredotto non potevo rivolgermi per la camera, non stavano più lì di casa. Li ho poi ritrovati in un secondo tempo in V. Villamagna.

Mi trovai fuori la notte, senza sapere dove andare. Entrai in un androne scuro, che sfociava in un cortile. Al buio intravedevo un carretto a due grosse ruote, inclinato. Aveva le due fiancate laterali di circa 30 cm., e più, di altezza. Era quello che ci voleva. Mi avvolsi nel soprabito "e mi accucciai sopra il carretto, che era proprio posto in una zona solitaria e scura del cortile. Quante case alte e scure avevo d'attorno!. Le finestre delle case, non erano tutte abbuiate. Alcune erano bellamente accese e musica ne usciva a tutta possa. Qualcuno rincasava passando nel cortile ed io mi sentivo morire dalla tema che mi vedessero, che scoprissero questo mucchio scuro, che ero io. Che freddo! Non avrei certo dormito.

Non conoscevo la città. Non avevo neanche recepito in che punto mi trovassi. E non ero riuscita ad imprimermi le strade, che avevo percorso prima, di entrare nell'androne, e poi era notte. Stetti un bel po' sul carretto, sotto il cielo stellato, forse due tre ore, poi, non sopportai più il freddo, e a tentoni tornai dentro l'androne, e cercai facendo gli occhi di gatto se c'erano delle scale, che avevo intuito entrando prima al buio. Mi misi dunque a cercare, le mani mi andavano a tasto sui muri. Oh!, ecco qui c'era una rientranza. Mi chinai a tastare se ci fossero scalini. C'erano, di pietra. Salii piano piano, sei, sette, e trovai un pianerottolo. Era quello che mi ci voleva in quel momento ed ero al coperto finalmente. Mi rannicchiai nell'angolo del pianerottolo, seduta sulle calcagna, e posi la testa sulle ginocchia. La notte era nera in assoluto, ed io mi addormentai profondamente, ridotta ad un gomitolo. Dormivo, oh! se dormivo! Non andò così per tutta la notte. Mi sento chiamare: "Signorina, signorina". Alzo la testa e apro gli occhi. Una pila accesa, era puntata con il suo fascio di luce davanti a me. Per questo, io non vedevo nulla d'altro a me di fronte. Non sapevo chi mi interpellava. Mi sento dire ancora: "Ma lei, cosa fa qui? No, no, non abbia paura". Mi alzo, silenziosa, tutta rattrappita.

Lui, seguita ancora, mentre io vedevo ora solo un ombra nel buio. "Io abito qui, sto tornando dal gioco. Eh! Questo è il mio vizio, sa". Mi invita a scendere le scale e a sgranchirmi, facendo due passi con lui. Mi tranquillizzava. Mi ispirava fiducia. Comincio a raccontarle la mia situazione. Dico che volevo conoscere Don Facibeni, e rivolgermi a lui per farmi aiutare ad impostarmi bene nelle mie cose.

Era ancora notte, ma questo Signore camminava, per trovare un bar aperto e farmi bere un buon bicchiere di latte con una briosce. Capii che era buono. Portava un cappello con tesa, era piuttosto grosso e di mezza età. Dopo usciti dal bar, cominciò di nuovo la passeggiata. Aveva recepito i miei problemi, e, poteva darmi un posto subito, dove dormire in pace, tre ore. Erano le cinque meno venti e non era ancora giorno. Ci trovammo in Via Matteo Palmieri, dove questo Signore, aveva un grande negozio di antiquario. Dopo avermene parlato, sul come intendeva aiutarmi, pose in atto il suo pensiero.

Aprì il negozio, accese la luce, e quando entrai mi indicò dove potevo stare e che avessi dormito fino alle otto e mezza, quando lui avrebbe riaperto il negozio.

Se ne andò spegnendo la luce, e chiudendomi nel negozio, e tirando giù la saracinesca a rete.

Dormii fino alla riapertura, che fu appunto, alla sua ora stabilita. Mi disse che ne aveva parlato con sua moglie, e che se, non mi fossi ancora accasata per la sera veniente, potevo ancora ritornare nel negozio, ancora per un'altra notte. Ringraziai, e benedii in cuore Nostro Signore, per quell'angelo in persona che avevo trovato.

Durante il giorno cercai casa, e c'era una possibilità in Piazza Muratori. La casa era sottosuolo, con le finestre raso piazza. Me la promisero con risposta l'indomani. Cercai lo stesso Don Facibeni, ma non ebbi la fortuna di trovarlo, anche per le distanze che mi toccava percorrere tutte a piedi. Mi informai per il lavoro, e mi proposi di andare quanto prima a Sesto Fiorentino, dove si trovavano tante tante fabbriche di ceramica. La sera venne e io tornai a dormire nel negozio, con tranquillità, ma non mai sfacciata. Dissi che l'indomani avevo la risposta certa della casa e che non avrei più approfittato. Effettivamente, io sono molto riguardosa.

L'indomani, vado subito per la casa e con dispiacere la risposta fu no. Che fare? Mi metto a girare per qualche agenzia e così tutto il giorno giro a vuoto, con poco cibo. Viene la sera ed io non ho dove andare a dormire. Gli alberghi e le pensioni, sono cose da ricchi. Per me non esistevano proprio.

Ma dove andare? Camminando aspettavo venisse l'ora propizia per inventare qualcosa. Le mie scarpe avevano già un bel buco sotto la pianta. Mi trovavo in Via Lamarmora. Pensai di andare a interpellare il portiere del palazzo dove era stata a lavorare mia sorella. Lui mi conosceva, almeno un pochino.

Arrivo davanti al portone, che grazie a Dio era ancora aperto. Salgo quei pochi scalini e mi affaccio alla guardiola del portiere. Non c'era. Mi trovo sul grande ingresso, davanti all'ascensore di ferro battuto. Vedo delle scale che scendono giù, dietro l'ascensore. Le infilo e scendo giù nel sottosuolo. Un largo e lungo corridoio un po' illuminato, mi si profila davanti. Alcune porte chiuse disseminate a destra e a sinistra, mi trovavano guardinga. Fortunatamente non c'era nessuno nel corridoio. Eppure il portiere, doveva forse abitare lì sotto. Vado avanti trattenendo il respiro ed arrivo ad una porta, dove da sotto filtrava luce. Appoggio la mano e spingo, era aperto! Socchiudo, timorosa e speranzosa insieme. Mi trovo in una stanzina, preposta esclusivamente ad ospitare un grosso motore, il quale aveva un rumore continuo. Dopo aver riaccostato la porta ben bene, mi dico: sto qui, e vedremo.

Qui cercherò di dormire. Penso di accovacciarmi sulle calcagno, e non appena fatta questa pensata, mi prendo un solenne spavento. Il motore fa un tremendo scatto con scintilla. Capisco che è il motore per l'uso dell'ascensore e mi rassegno. Tutte le volte che l'avrebbero usato, avrebbe fatto così. Mi accuccio più distante possibile e cerco di dormire.

Ma che difficile! Ero stanca. Avevo camminato tanto. Infine, mi addormento, con poca tranquillità. Avevo paura di essere scoperta. Ho dormito! Al mattino vengo risvegliata dal portiere dello stabile, per che aveva fatto capolino per vedere se era tutto nella normalità, come dice lui, faceva sempre.

Mi apostrofa con severità di responsabilità, e (giustamente), "ma che è matta?, a stare qui, sa che è pericoloso? È assolutamente proibito!" Mi aveva riconosciuta che ero la sorella della Franca. "Venga, venga su in portineria, parliamo su". Lo seguo e le espongo la mia situazione. Si affligge. "Vediamo, come posso aiutarla. Ho una sorella al di là del Ponte Vecchio, su di una di quelle stradine, che vanno su sulla sinistra. Provo a sentire lei, se l'affitta una stanza per un po'". Telefona dalla guardiola, ed io, attendo nell'ingresso. Viene con un foglietto in mano. "Tenga l'indirizzo, e ci vada subito, l'aiuterà:" ringrazio e vado all'istante. Tutto a piedi, con le care scarpe.... Trovo una famiglia di tre persone. Poverissimi. Mi dicono che si sarebbero ristretti, che avrebbero tenuto la figlia dodicenne a dormire con loro, e mi offrirono il piccolo divano, dove avrebbe dovuto dormire lei. Voglio lasciare una caparra, ma non l'accettano. Dico che mi do da fare per il lavoro, che sarei tornata dieci minuti prima delle ore 21. Lascio lì la mia piccola valigetta con poche cose, e vado.

Mi dirigo alla stazione di Santa Maria Novella, dove stanziavano i tram a capolinea. In quel tempo i tram scorrevano ancora sulle rotaie.

Prendo il tram n. 28 e vado a Sesto, circa nove chilometri da Firenze. Arrivata, vado giù nella Piazza del Comune, e domando dove trovare una fabbrica di ceramica. Mi dicono di andare giù nella prossima piazzetta, e davanti alla chiesa, avrei trovato una delle fabbriche. Così feci e mi presentai dai proprietari. Comandava molto una signora, che io vedevo come una matriarca. Vedo che si accorda con il marito per assumermi in prova. E subito, dico subito, mi mettono in un piccolo reparto assieme ad altre tre persone, un pittore e due pittrici, più c'era il direttore, che io non sapevo tale. Erano di una maestria incredibile. Dio, come erano bravi! E svelti! Io ero consapevole della mia totale incapacità, ma avevo pure una specie di incoscienza che mi ottenebrava, e poi era la prima volta che mettevo il piede in una ceramica. Era mattina. La luce era bianca e bella.

Loro presenti, cominciarono ad insegnarmi qualcosa, e mi dettero il compito per tutto il giorno. Venne mezzogiorno e loro uscivano per andare a casa a mangiare. Mi chiesero cosa avrei fatto io. Dissi che rimanevo lì, che avevo qualcosa da mangiare nella borsa. Non era vero, non avevo nulla. Avevo delle carte di giornale aggrinzite, e poteva parere che ci fosse un po' da mangiare. Non volli uscire anche perché non sapevo dove andare. Ritornarono alle due del pomeriggio e si proseguì il lavoro con qualche parola via via.

Volevano sapere di me e dissi poco. Dissi però che abitavo a Firenze, presso una famiglia e che sarei venuta su ogni dì con il tram. Non è facile lavorare in ceramica, ma io ero partita con entusiasmo e volontà. Cominciai a lavorare a raffaellesca e poi a capodimonte, due dei tipi di lavoro. Quest'ultimo è diventato poi per me il mio lavoro fisso. C'erano altri tipi di lavori, come l'urbino ecc..., ma per me erano difficili e poi ci volevano anni di esercizio. Avevano il forno a fuoco a legna, lo vidi subito, passando nel cortile della fabbrica.

Il giorno dopo, mi parlarono della mensa del comune, e mi offrirono due abbonamenti per andare a mangiare. Loro non li utilizzavano essendo del posto, e poi forse si erano accorti che nella borsa di paglia (tipo spesa) non avevo nulla da mangiare.

Cominciai subito a frequentare la mensa, e con due abbonamenti, mangiavo quasi il doppio, e un pochino ne serbavo incartato per la cena. Con i soldi guadagnati la prima settimana, comprai le scarpe per sei mila lire. Erano bellissime, color avana, ma avevano la para. Ma non mi durarono poi molto, perché dentro la para c'era la segatura. Imbroglio commerciale. Sostituii, finalmente, le scarpe coi buchi. La seconda settimana comprai l'ombrello. Durò poco. poiché sul tram me lo rubarono subito.

Alla terza settimana comprai l'orologio da polso. Lo dico poiché queste cose sono state le prime libertà d'acquisto avute. Trovata una primaria serenità, pensai di andare la prossima domenica alla messa nella chiesa di Santa Maria Novella per il mezzodì. Riconosco che ero distratta e poco presente, vorrei dire che ero sulle nuvole. Forse pensavo all'arte. Tanto che finita la messa, quando la gente che era tantissima, se ne stava uscendo, io invece andai dietro l'altare - maggiore, proprio per guardare gli affreschi, e mi incantai lì. Quando uscii di là dietro, trovo la chiesa già deserta e chiusi i grandi portali. Che fare? Guardando così nella chiesa, vedo tra i banchi un cumulo, una schiena, un cappotto con dentro qualcuno. Un vecchietto!

Tutto rattrappito dall'artrosi. Mi avvicino e le parlo: "Come?, pure voi siete rimasto chiuso qui in chiesa?" "Sì, però io, ho il mal caduco ed ho tanta paura ci mi ci prenda".

La paura mi prese anche a me, poiché mi rendevo conto di cosa si trattasse. "State tranquillo, dissi, ci penso io, vado a vedere se trovo un telefono interno in sagrestia, voi state pure a sedere lì".

Mi fece pena la sua vecchiaia, così avanzata. L'ho tranquillizzato, ma io mi preoccupavo e pensavo: so assai io, le usanze di questa chiesa. E se aprisse solo alla domenica? Toccherebbe stare chiusi tutta una settimana, forse?! Vado in sagrestia, cerco e non trovo niente, nessun telefono! Penso: ora che faccio?, decido di andare dentro il campanile e di andare su in alto, dove sono le campane, per gridare giù verso la piazza della stazione, e chiedere aiuto. Sarebbe il colmo stare senza mangiare una settimana! Salgo sulle scalette buie e brutte dell'interno del campanile. Dio come era brutto dentro, e quasi buio! Salgo due o tre rampe di scale e mi trovo davanti un'apertura nel muro, tipo fessura poco più.

Diciamo finestrella. Mi affaccio e guardo, vedo un ballatoio con delle porticine di legno ben tenuto. Capisco che lì sono le celle dei frati domenicani, che hanno la conduzione della chiesa. Spero. Comincio a chiamare: "Frate! Frate!" tante volte. Forte. Nessuna porta si apriva da parte di quei frati. Desisto.

Ho paura a salire più in su. E se ci fossero state delle bestie?, pipistrelli per esempio, o addirittura topi? Scendo di volata e trono giù in sagrestia a cercare meglio. Possibile che non abbiano qui un telefono interno! Guardo l'orologio e son vicine le quattro pomeridiane. Cerco e trovo sotto il ripiano di un mobile, il fatidico telefono. Lo uso subito e mi risponde un frate dall'interno del convento: "Ora aspetti, si apre ormai, alle quattro". E, finalmente, fuori! Rincasai appunto presso quella famiglina che mi ospitava al di là del Ponte Vecchio. Non avevano voluto né la caparra e nemmeno l'affitto del divano.

Mi avevano ospitata proprio per far un piacere al loro congiunto non mi potevano tenere a lungo in quel salottino di passaggio.

Quella famiglia che tanto con bontà, m'avevano ospitata, avevano bisogno di far ritornare la propria figlia a dormire nel suo divano, erano talmente ristretti con lo scaldino, e me lo dissero. Mi prospettarono, i colleghi di lavoro, di stabilirmi a Sesto, e saltò fuori che, c'erano due persone che mi avrebbero dato la stanza in cambio di un po' di faccende.

Erano due uomini, padre e figlio, disperati per aver perso la rispettiva moglie e madre. L'uomo padre era buono, ma alzava il gomito, per affogare il suo dolore. Il figlio era pure buono, ma molto malato, pallidissimo. Mi sembrava che fosse innamorato, della sposina del pianterreno, che non lo poteva di per certo corrispondere. Lui non poteva proprio lavorare, ed il suo tempo lo passava tutto al pianterreno o sulla strada davanti alla casa. Io facevo anche da mangiare.

Alla domenica uscivo e andavo a Firenze a trovare una cugina della mia matrigna che viveva con il marito in Via Guelfa. Io la chiamavo zia, e zio. Non avevano figli. Avrei voluto essere, in un certo senso adottata da loro, poi nel tempo io avrei avuto cura di loro. Ma mai mi espressi con loro.

Avevo bisogno di famiglia, mi sentivo sola. In casa da loro, c'erano altre tre famiglie, tutte a subaffitto lì in quel lungo appartamento speravo che avvenisse che una stanza si fosse liberata per poterla affittare io, ma non avvenne mai così. Io mi trovai nella condizione di dovermi cercare una stanza a Firenze, perché volevo studiare la lingua inglese. La trovai nei pressi della stazione, presso la famiglia di un graduato dei carabinieri. Lì conobbi una signorina, che lavorava come estetista, truccatrice e parrucchiera, al diurno della stazione. Ed era pure lei inquilina in quella casa come me. Cominciai a frequentare il diurno, per farmi fare le acconciature da questa bravissima signorina. Ella elaborava le sue capacità grandissime sulla mia testa. Moltissime pettinature me le faceva gratis, anche nella casa dove abitavamo. Così io uscivo ordinata, precisa, bella, e addirittura un tipo, come si dice. Volevo trovare la mia sorella. Era sparita, ho detto. Invece, poverina, era stata all'ospedale per appendicite acuta, e fu operata d'urgenza, a Careggi. Non ha avuto fortuna in questa operazione, che secondo me, l'hanno fatta operare da dei chirurghi principianti e per questo aveva avuto uno squarcio esagerato, con la cucitura che era un vero frinzello. Quando io lo vidi ne rimasi sdegnata. Anche io ero stata operata di appendicite, ed era stata per me un'operazione, fatta con più garbo per l'estetica. Mia sorella era troppo sola ad affrontare questa cosa, e ciò ha un significato, anche se poi il professore le propose di lavorare nella sua famiglia, che era dislocata a Viareggio. C'erano dei bambini e la Franca andò a Viareggio, a lavorare, perché amava moltissimo i bambini, e così la sua generosità andava a puntino. Per lei il mondo avrebbe dovuto essere fatto tutto di bambini.

Io andai a trovarla a Viareggio. La vidi ben inserita e felice di essere in quella grande famiglia. Capivo che lei si stancava moltissimo. Le feci un dono d'augurio, una coperta matrimoniale per il corredo. Io da poco mi ero comprata l'orologio da polso, e, lei lo voleva a tutti i costi, e si adombrò assai perché non cedevo. Ci voleva pazienza con lei. Andammo alle due del pomeriggio al mare a fare il bagno. Avevo comprato poco tempo prima su una bancarella a Firenze, un bellissimo costume color verde smeraldo, tutto intero, di una specie di lana sintetica, molto grossa. Purtroppo, fregatura! Il costume mi si squagliò nel mare. Diventò prima enorme enorme e poi mi si squagliò del tutto, e mi fu tolto via dall'acqua come fosse carta. Meno male che c'era la Franca a riparare e sopperire alla mia necessità per poter uscire dall'acqua. Verso, le cinque del pomeriggio tornai col treno a Firenze. Avevo visto mia sorella ed ero contenta. Al mattino mi alzavo alle cinque e mezzo per prendere il tram per Sesto, e facevo suonare la sveglia. Non immaginavo di dover cercare un'altra abitazione, proprio per questo, ma pazienza, le persone hanno le loro ragioni. Disturbava. Io facevo 12 ore di lavoro, ed ero fuori casa tutto il giorno. Poi lavorai pure le domeniche. Avevo cambiato dunque abitazione, e mi trovai in Via Faenza in una casa abitata da una vecchia, che aveva sua nipote in sanatorio. Aveva così potuto affittarmi la stanza. Mi accorsi da parte di quella persona, che faceva pratiche occulte verso di me, e scoprii che era insofferente a vedermi sana giovane e bella, e sua nipote invece... Purtroppo per lei.

Cercava così di trasferire su di me il male che aveva colpito la nipote, lo trovavo sempre polverine nelle scarpe e in camera mia, nella mia roba. La vedevo spiare in camera mia da dietro il vetro della porta. Forse voleva farmi paura. Presi la decisione di cambiare abitazione e trovai un'altra stanza in Via Guelfa, poco lontano da dove stava la mia zia. La mia nuova padrona di casa era un angelo, ma un angelo di gran sofferenza. Aveva la poliartrite reumatoide, e, soffriva quanto Cristo in croce. Aveva 36 anni e una figlia di 16, che l'accudiva amorosamente, portando la sua mamma mingherlina e rattrappita in braccio lungo il corridoio della casa, dalla camera alla cucina, e viceversa. La signora, impazzì dai dolori atroci, e dopo otto mesi morì, lasciando la sua dolce figlia costernata. Dopo un po' si sposò con una brava persona e si trovò bene. Io ricordo che in quella casa io piangevo tanto, quando non c'era nessuno che mi sentisse. Prendevo coscienza sempre più della mancanza di mia madre, e ne avevo bisogno, una nostalgia incredibile. Andavo sempre a lavorare in ceramica a Sesto. Trovai lassù una sartina molto brava, che mi cucì dei splendidi vestiti e da sera, e vestaglie, ecc... stavo bene, facevo la mia figura, e ci prendevo gusto. In fondo andava bene e guadagnavo tutte le settimane. Avevo trovato il modo per iscrivermi ad un corso in privato di lingua inglese, e nel tragitto che facevo sul tram per Sesto studiavo, e non alzavo mai la testa. Mi sentivo osservata, senz'altro per le ciglia che erano esageratamente lunghe. Al trucco per me ci pensava la signorina del diurno di cui tenevo amicizia. Era molto brava. Mi attaccava le ciglia di cappellini cinesi, una ad una. Ciglia posticce, ma un lavoro lungo e meraviglioso e durevole. Era il tempo in cui stavo scoprendo il mio aspetto. Non male, anzi! Mi ero fatta anche, prima conoscente, e poi amica di una sorella di un fotografo. Una personcina molto cara, semplice e religiosa. Andavamo a farsi le fotografie, nei posti caratteristici della città. Il fratello di lei, nel suo studio fotografico si era sbizzarrito a farmi tantissime fotografie, sempre nei limiti decorosi. E poi, nell'anno '47, le foto erano ancora contenute, con un certo gusto. Questo delle fotografie era diventato per me un vero hobby. Il tempo passava con le mie ore sempre piene. Una sensazione che non ho mai conosciuto, era la noia.

Cominciarono a suggerirmi di partecipare ai famosi concorsi di bellezza, che si lanciavano sul territorio nazionale. Ero molto fotogenica, e in cinque o sei posti della città, si vedevano esposte fuori dagli studi fotografici, nelle bacheche, dei grandissimi miei ritratti. Mi trovavo completamente coinvolta nell'onda della fotogenia e pur odiando la recitazione, ero già nel vortice dell'attrice cinematografica. Oh!, certo. Mi sarebbe piaciuto, entrare nel cinema anche per realizzarmi. Cominciai a fare la modella per una signora acconciatrice, che per le pettinature era super. Infatti, voleva partecipare a concorsi importanti sulle acconciature, in lizza con altri 69 parrucchieri, tutti uomini. Lei era bravissima, ed era piena di coppe e di premi. L'avevano fatta cavaliere del lavoro, con tanto di medaglia d'oro. Lavorava con suo marito, nel negozio, che avevano accanto alla stazione, e facevano anche le barbe agli uomini. Così brava, così gentile, che a loro non pareva il vero di affidarsi a lei. Oltre lavoro, diventai dunque, la sua modella. Nelle prove, la mia testa era quasi sempre bagnata, ma tant'è, l'impegno. Il concorso si svolse al salone della "Pergola". Illuminatissimo, ed io mi sentivo O.K., con il mio abito da sera azzurro, di moharé di pura seta. Avevo, per la circostanza, i capelli rossi color carota. Erano lunghi fino sotto le spalle. Cominciarono i concorrenti a lavorare con i ferri a mano, in completo silenzio. Si udiva solo il ticchettare dei ferri, velocissimo. Le giurie presiedevano la situazione, anche loro nel silenzio. Per tutti la pettinatura richiesta era "l'aureola", difficilissima, classica, e con dei canoni prestabiliti. Ci voleva una vita intera di esercizio, proprio su questa pettinatura particolare, e per riuscire almeno per l'80%, e, nessuno dei 69 parrucchieri era all'altezza su questo punto. La signora che lavorava su di me, aveva ereditato l'insegnamento da suo padre, e insieme avevano esercitato tutta la vita, questo meraviglioso allenamento sull'“aureola”, primissimo banco di prova, per simili concorsi. Io ammiravo moltissimo la Signora Dorty, e quella sera, lei ebbe il riconoscimento non solo sulla pettinatura "aureola" la più difficile (tutti i parrucchieri ne sanno qualcosa), ma, anche sulla pettinatura da sera, molto importante anche quella. Sulla mia testa, aveva costruito un nido di rondini, e per questa pettinatura da gran sera mi aveva fatto i capelli bruni. Il più grande parrucchiere di Firenze mi volle conoscere e mi disse "Signorina, io desidero poter lavorare con lei". Ed io: "se ne potrà parlare", e dopo aver ascoltato i suoi complimenti, mi salutò. Il salone della "Pergola" lampeggiava dagli scatti dei fotografi, e noi eravamo tutte e due felici del risultato. E lei, la Signora più che mai, con i suoi premi, che si collezionavano agli altri, che aveva ricevuto nella sua carriera. Io ero orgogliosa del suo successo: una donna!, vince su 69 uomini! Che bello! Tornammo a tutta notte, ciascuna ai nostri paraggi. Seguitai a lavorare con lei nei tempi di dopo, anche se andavo a lavorare alla mattina alle sei, a Sesto Fiorentino, in ceramica.

Mi ero fatta anche dei bellissimi vestiti che la mia età richiedeva. Alla sarta di Sesto, le piaceva di vestire me, ed era molto brava. Mi aveva cucito un vestito nero di raso, da sera, ma non lungo, con scollo a V, e le maniche raglan. Mi stava molto bene e non avrei creduto, che mi servisse quanto prima, per una circostanza eccezionale. Questo, era bandito in città il concorso per "miss Firenze", che si svolgeva nel locale chiamato "Pozzo di Beatrice". Decido di andare ad informarmi al "Pozzo" di persona per sapere se le partecipazioni fossero libere o stabilite. La persona alla quale mi ero rivolta, doveva essere un gestore o sottogestore del locale. Mi risponde che le partecipazioni erano libere. Bene!, dico. Saluto gentilmente, e vado subito via a preparare questa mia impresa.

Prima di tutto, vado in Via Guelfa dai miei zii, a chiedere il permesso allo zio di farmi accompagnare appunto dalla zia, a presentarmi la sera del concorso, che se non erro, era di sabato. La zia poteva venire con me. Mi preparai a puntino, vestito nero di raso, quello che ho detto, cintura di nastro azzurro, con il fiocco sul fianco sinistro, scarpe alte di bella fattura. I capelli bruni mi cadevano a boccoli grossi sulle spalle. Avevo tenuto il mio colore naturale. In viso, naturalmente tinta, che i colori mi stavano molto bene.

Io, e la zia (persona, timida, semplice, buona e purtroppo non felice di aspetto) prendemmo una carrozzella e andammo al "Pozzo di Beatrice", che era detto: uno dei più belli locali della città. Il locale era quasi pieno. Trovammo un tavolino al quale ci accompagnò l'addetto. La gente elegantissima seguitava ad entrare, finché il locale fu completo. Le luci cominciavano ad aumentare. L'ora era alta. Io e la zia, con un tavolino tutto per noi, posto, in una zona strategica del locale. Eravamo tranquille. Si cominciò a sentire gli altoparlanti che appellavano il prossimo raggruppamento delle ragazze al concorso. C'era da scendere due gradini nella sala attigua, e salire poi sul palco che era allestito all'uopo. Dietro l'invito se c'era ancora qualche ragazza che voleva concorrere, mi alzai e, andai a pormi sul palco assieme ad una decina di ragazze, di fronte a tutta la gente. I riflettori si accesero su di noi, e cominciarono a smuovere le loro scie di luce, da una parte ad un'altra. La gente guardava e ogni volta che le luci dei riflettori, arrivava su di me, cominciavano dei fragorosi battimani. Constatai che avevo fatto breccia, con il mio viso e con la mia persona. Le luci giravano ancora. Gli altoparlanti commentavano i battiti di mani all'unisono, ogni volta che la luce dei riflettori mi investiva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fausta Cozzi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cominciavano a proclamare la vincente, stabilita dalle ovazioni della gente. Dicevano che la giuria era convocata e che la ragazza, che avrebbe conseguito il titolo di Miss Firenze 1948, era in procinto di essere affermata ufficialmente. Ordinarono di tornare tutti ai nostri posti. Ed io, mi ritrovai di nuovo al tavolino con la mia zia. Non ho finito di sedermi, che una folla di giornalisti si aggrupparono intorno a me, con i loro notes e matite, a farmi domande. Mi dissero, che avevo la maggioranza dei voti della giuria, anzi li avevo quasi tutti, eccetto uno o due. Le domande fioccavano. Loro mi affermavano già con euforia per Miss Firenze, ma uno dei giornalisti, mandato dalla giuria, volle domandarmi se ero nata a Firenze, oppure no.

Allora, ho; dovuto dire, che ero nata in provincia di Udine, e con la tacita speranza che avevo in cuore, che non mi togliessero ciò che avevo intuito di aver acquisito. Ho dovuto riconoscere, le ragioni della giuria, che non potevano (o non volevano) fare "Miss Firenze", una ragazza di un'altra provincia. Mi dispiacque in cuore, perché, avrei avuto le porte aperte per il cinema. Al mio posto fecero poi cadere il titolo sulla sig.ra Paoletta Alinari, fiorentina.

Mi rassegnai, con la mia zia. Un signore ci fece chiedere il permesso di venire a sedere al nostro tavolo, ed alla nostra affermazione, ci espose poi la sua contrarietà per ciò che era successo. Era un diplomatico sud americano, in carica in questa città. Era molto raffinato ed era giovane e celibe. Facemmo delle conversazioni fino al momento che decisi con la zia di uscire e di andare a casa. Volle accompagnarci e stabilire di potermi possibilmente rivedere.

Lo informai che io andavo di mattino, tutti i giorni, a lavorare, ed anche alla domenica lavoravo 12 ore. Solo qualche volta avevo mezza giornata libera. Accettai lo stesso l'appuntamento. Il mezzogiorno seguente arrivò da parte sua, presso la mia zia, un bel mazzo di fiori per me. Certo, mi fece piacere, erano i primi, per me. Mentre l'indomani ero al lavoro, i colleghi e le colleghe, leggevano il giornale, la "Nazione", dove c'era l'articolo del titolo di "Miss Firenze", tanto discusso e contestato dagli avventori del "Pozzo di Beatrice". Dissi loro, che ero io, che avrei vinto, di primo acchito, et ecc.. ecc...

Loro rimasero sorpresi che le cose siano andate così.

Seppi poi che da quel concorso, non uscì nessuna attrice cinematografica. A me cominciarono a piovere inviti, per partecipare in alcune città, al concorso di "Miss sorriso", e non ci andai, perché lavoravo troppo e poi anche studiavo. Non avevo un filo di tempo. Mandai invece delle mie fotografie al concorso nazionale di "Miss Italia", che si sarebbe svolto a Stresa. Mi risposero che ero nella considerazione, della prima mandata di scelta. Dopo un po', da Milano vennero da me, due signorotti di mezza età, per incarico appunto del gestore del concorso. Volevano vedermi, anzi volevano vedermi troppo, ed io mi disgustai e li piantai in asso. Dissi, che avrei fatto un appunto scritto al Gran gestore del concorso direttamente, (cosa che non feci).

Dissi a me stessa di non pensarci più. Mi arrivò poi un rilievo, per farmi presente che c'erano delle probabilità di essere inclusa tra le sorteggiate, poiché ero posta al 14esimo posto, e se si fosse ritirata qualche concorrente, ecc... ecc...

Non feci più concorsi, ma cominciai a frequentare, una scuola di recitazione per il cinema. Non mi andò bene per la salute in quel tempo, perché mi ammalai all'apice polmonare con lesione, e tutto questo per uno sforzo fisico. Entrai all'ospedale, reparto di San Luca a Careggi in Firenze. Non ero ricoverata nell'ospedale appropriato per me, cioè non erano specialisti all'uopo. Decisero di farmi il plematorace. Sbagliarono quantità d'aria iniettata nel torace. Invece di iniziare con 100 o 150 grammi d'aria, mi misero 600 grammi, con la conseguenza, dello spostamento del cuore di quattro centimetri. Ciò per me è significato urla e grida, il dolore fisico io lo sentivo e lo curavo molto. In quei giorni passavano i professori con un codazzo di medici. Visitavano e passavano oltre. Mi accadde che un giorno, appena passati i medici e il professore, io nel buttarmi giù sui cuscini, mi sento tutto un gorgoglio nel torace alto, sul davanti. Mi spaventai. Ero piena d'acqua. Richiamo indietro tutti i medici, che erano già passati al terzo o quarto letto dopo, e dico: "Professore!, ma io sono piena d'acqua, me la sento qui alla gola!" Si decidono subito di rivisitarmi, e costatano che prima non si erano accorti.

Vedo che si guardano e sorridono deridendosi a vicenda.

Danno disposizioni che mi sia levata l'acqua, e così viene fatto. Anche lì, sbagliano. Me ne levarono troppa in un colpo. Gesù, come sono sfortunata! Meno male che mi chiamano un esperto tisiologo, ad occuparsi di me. Vengo portata in sanatorio a "Villa Monna Tessa", previo mio consenso. Non ci avevo mai pensato, e non mi rendevo neanche conto cosa fosse il sanatorio, e ci andai volentieri pur di guarire. Adesso dopo tanti anni "Villa Monna Tessa", non è più un ospedale bello, ma in quel tempo era bellissimo, e tenuto molto bene, con piantine fiorite, e bambole di tutti i colori. Ho capito che, che lì le persone ricoverate, stanziavano tantissimi anni, e perciò tenevano il loro posto, molto bene, come se fosse una casa propria. Purtroppo alle mie timide domande alle degenti, quanto tempo è, che lei è qui?, le risposte erano: 14 anni, 11 anni, sette anni, nove anni, cinque anni. Anni???, mamma mia! Quelle povere persone, che si erano ammalate al tempo della guerra. Per mancanza di cibo, e patimenti vari, senza medicinali, che poi per loro era troppo tardi, quando li hanno scoperti.

Ricominciarono a farmi esami RX ecc... risultavo negativa al bacillo di Kooh ed era già un bene, ma avevo lesione polmonare, con infiltrazione. Il plematorace lo dovevo fare a lungo. Curarmi la pleurite essudativa, mangiare molto, ecc....

In quel tempo fu scoperta prima la penicillina e poi la streptomicina. Fortunatamente io fui presa in tempo, con questi antibiotici. Il giornale la "Nazione" mi regalò 30 grammi di streptomicina, seguiti poi da altri 40 grammi, sempre di streptomicina, che quel mio conoscente diplomatico, si adoperò di farmi avere dal suo Stato il Brasile, cosicché furono sufficienti a farmi guarire. Da Sesto venivano a trovarmi e così la zia di Via Guelfa. La prima volta dovetti stare in sanatorio, per otto mesi, il che era considerato poco, in confronto ai decenni, che stava prima la gente. Uscii dodici chili di più, e secondo il dottore, ero più bella, ma il mio viso era sempre coperto da malinconia.

Vivevo poi con un sussidio. Uscita dal sanatorio trovai affitto, in Via Bronzino, presso una famiglia di quattro persone. Il capofamiglia era un brigadiere dei Carabinieri, un uomo enorme. Diceva che per disgrazia aveva ucciso un uomo con un solo pugno. A me era parso impossibile, non ci credevo. La moglie una signora giovane con due bambine, appena seppe che uscivo dal sanatorio, cominciò a preoccuparsi per via delle bambine. Aveva paura della malattia. Mi precipitai a Villa Monna Tessa, a parlare con il dottore. "Ma le pare, mi disse, se era pericolosa, non l'avrei fatta dimettere". Mi fece un foglio, che non ero pericolosa né per me, né per gli altri. Lì per lì, la signora parve tranquillizzarsi, ma fu per poco, pur troppo. Convinse suo marito a trovarmi un altro alloggio. Il signor brigadiere aveva un amico carabiniere semplice, il quale aveva un appartamentino affittato in Via della Fonderia. Questi chiese alla sua inquilina di darle una stanza, per poterla affittare a me e la ottenne. Mi chiese cinque mila lire al mese, veramente poco.

La stanza fu separata dal resto dell'appartamento. Solo la luce elettrica la signora mi lasciò, e questo per sua grande bontà. Io pagavo a parte la luce. La stanzetta dava su di un'altra strada, posteriormente. Solo la porta, che volendo aprire le scurette, diventava finestra con feriatine. L'acqua, l'attingevo alla fontana in Via della Fonderia, sulla piazza.

Trovai una rete e un materasso, e comprai un baule, che poi mi faceva anche da tavolo. Avevo il fornellino a gas con bombola e una stufetta. Mi abituai ben presto bene a questa nuova situazione. Ero libera e nella zona mi volevano bene. A volte andavo in una trattoria nei pressi della mia strada, ma mangiavo solo il primo piatto quando c'era la pasta, e con il minestrone invece facevo il bis. Con qualcosina in casa mi era sufficiente. Così ero più che contenta, se pensavo che c'erano stati periodi di grande ristrettezza, che avevo vissuto per più mesi, mangiando solo pattona di castagnaccio (una sorta di polenta). Allora, spendevo dalle 20 alle 80 lire al giorno per mangiare.

Poi con il lavoro, subentrava la possibilità di andare in latteria, a mangiarmi una tazzona di latte con un panino. Mi accontentavo di poco e non desideravo altro. Non invidiavo nessuno e addirittura non mi rendevo conto che le altre persone vivessero nel benessere. Ero completamente sulle nuvole e come mi diceva in passato la maestra elementare, ero molto distratta. Vivevo nei miei piccoli pensieri, il disegno, i colori, ecc... pensavo moltissimo alla meravigliosa impressione, che ebbi quella mattina, alle ore 10, che volli andare a vedere il Viale dei Colli, nei primi tempi che ero a Firenze. Il famoso viale, della canzone, così bello e così bella, che io cantavo di frequente, quando ero ancora nel Friuli. Andavano molto in voga allora, le canzoni sulla città di Firenze, cantate alla radio così splendidamente. Oh! se bastavano le canzoni per sognare!

Dunque, dopo sistemata nella mia stanzina, e resa essa appena, appena gradevole, mi riammalai di nuovo e dovetti ritornare in sanatorio. Stetti però poco più di quattro mesi, ed in quella degenza mi trovai con altre tre persone ad andare al San Luca di Careggi, ad operarmi di una grossa aderenza all'apice polmonare. Le altre, avevano i medesimi problemi ed avevano anche la febbre. Per fortuna io non l'avevo, la febbre.

Fummo in coda fuori dalla sala operatoria. Non seppi delle altre che dopo due giorni. A loro, meno male, andarono bene le operazioni, e infine si trovarono sfebbrate. Non andò bene a me l'operazione. Mi trovai nella sala operatoria sul lettino, un grande specchio nero sul soffitto. Mi trovai specchiata in esso, che sembravo un cristo deposto. Il professor Bracci, mi si avvicina e mi dice: "Che hai paura?" ed "Eh!", poi penso, che domanda! Mi fanno quattro punture locali, sulla spalla sinistra e sotto le ascelle, per anestetizzarmi.

Dio!, io curavo troppo il dolore fisico, ed erano delle punture bestiali. Mi buttano addosso poi, un lenzuolo con un grosso buco. Mi sento tutta coperta, eccetto il punto dove dovevano operarmi, cioè, la parte sinistra del sottobraccio, o sentivo tutto, quello che dicevano e purtroppo anche quello che facevano, sul mio povero torace. Mi incisero e mi aprirono le costole divaricandole.

"Stupido", diceva il professore ad un medico assistente. "Passami quel bisturi, no, quell'altro, cretino." Li trattava così i medici. Era burbero o peggio, "dammi la lampadina, imbecille!"

Mi avevano detto che era bravo, però. Lui aveva inoltrato nel mio torace la lampadina e cominciò a bruciare con qualcosa la mia aderenza apicale, che era grossa, e non era consigliabile tagliare, per via dei vasi sanguigni che si erano prodotti dentro ad essa. Il professore disse ancora, mentre mi guardava dentro, con la lampadina: "Qui è tutto infinocchiato", termine fiorentino che io sentivo per la prima volta. Capii che desisteva dal proseguire. Dopo svenni, e mi riportarono da San Luca, di nuovo al sanatorio "Villa Monna Tessa". Stetti, a quanto dicono, a lungo svenuta, quando il dottore del reparto, cominciò deciso a farmi rinvenire, a schiaffettini. Tornai in me e chiesi come era andata. "Non hanno potuto risolvere, per lei"!, questo mi disse il dottore. E, infatti quando le cose non vanno bene, poi si sta piuttosto male. Mi consolavo che non avevo la febbre. Domandai cosa voleva dire infinocchiato, ma mi dovetti rispondere da me, grosso modo. Pensai ad una selva di sfilacciamenti. Dopo dimessa dall'ospedale, tornai nella mia stanzina, ma non da sola. Ospitai una collega di sanatorio, per il periodo che le occorreva. La stanzina che io avevo affittato, dal carabiniere, era stata venduta ad un gestore di autotrasporti, che era anche proprietario del magazzino accanto, deposito merci. Questo nuovo proprietario si invaghì della signorina che avevo ospitato, e tanto fece di disturbare la nostra serenità, che lei lo fece affrontare dal suo fidanzato, per essere lasciata in pace. Dopo un po' di mesi, si aprì per lei una possibilità di una nuova abitazione in Firenze. Prima però che lei andasse via, si sentì male, e quando tornai a casa un pomeriggio, mi spaventai tantissimo e chiamai subito il dottore; ecco, cosa succedeva. Lei era stata ricoverata in sanatorio per malattia polmonare, bilaterale, ed ora le accadeva, di avere il così detto plema – spontaneo cosa che succedeva in casi rarissimi. Meno male che il dottore venne subito a levarle l'aria che si produceva tra la pleura e i polmoni. Aria che si riproduce superflua e pericolosa. Che paura!, quando mi sono resa conto. Sarebbe scoppiata se non avesse ricevuto soccorsi in tempo. Ed io, cosa avrei potuto fare?, nell'insipienza che avevo di fronte ad un caso simile!?

Per l'opposto, io invece, dovevo farlo il pleuma torace, cioè l'introduzione dell'aria fra le costole, sulla sinistra, sicché unilaterale. Lo feci per tre anni, tutte le settimane, andando a farlo al dispensario, sul Viale Redi. L'ago per il pleumatorace, era grosso, e così non c'era volta che non urlassi.

Una volta scese mio padre a Firenze, per vedere come stavo, e mi accompagnò al dispensario.

Nell'astanteria, mi sentì gridare e fu tanto dispiaciuto, io, ho sempre creduto nel buon cuore di mio padre, malgrado le passate bufere. Dopo un giorno, però, si era già dimenticato perché essendo lui un gran camminatore, non si avvedeva che io non le potevo stare al passo, per la passeggiata che si era prefisso di fare, dal Ponte alla Vittoria all'Indiano, io non ce la feci altro che al Piazzale del Re, e poi mi misi a piangere, non potevo camminare. Lui desistette, comprendendo. Tornò in Friuli con il treno della sera. Ogni tanto mi scriveva una lettera dattiloscritta che era esatta copia di quella che mandava a suo fratello, che era a Roma, in Via Margotta 13. La intestava a tutti e due. La collega che avevo in casa mia, cioè nella stanzina, si trasferì nella sua nuova abitazione e dopo pochi mesi si sposò, trasferendosi ad Arezzo. Mi rimase il ricordo della sua bontà, e dei complimenti che ci facevano, quando ci vedevano fuori. Lei mora, ed io fulva, alte tutte e due. Potevamo essere sorelle. Dopo che si è sposata, la persi di vista, non conoscendo il cognome del marito, né l'indirizzo della frazione di Arezzo.

Venne il bell'aprile del '50. La Franca si sposava con Guido, paesano nostro, persona di innumerevoli qualità, e buono.

Vennero in viaggio di nozze qui a Firenze.

Dopo aver visitato la città, andavamo a mangiare insieme, e la Franca se la rideva, del mio mangiare a sbaffo. Tutto bene dunque. Auspici a loro. Se ne tornarono nel Friuli, di casa nella stazione di Malborghetto, dove mio cognato faceva il capostazione. Posto sperduto tra le montagne. Mi trovai di nuovo sola nella stanzina in riva all'Arno. Era la stessa stanzina, vista nel sogno da piccina. La stanzina era quella, con quella porta, e senza finestre.

Non avrei mai immaginato, quel sogno avverato ad impieno. Mi meravigliai, ma poi accantonai la cosa. Era una stanzina molto piccola, e appena bastava veramente per me.

Dopo che la mia ospite, collega di ospedale, se ne era andata, il nuovo padrone, ferito dunque nell'orgoglio, di essere stato rifiutato dalla mia coabitante, se la rifece poi con me. Non che io l'abbia più visto (abitava in un'altra città), ma mi mandò lo sfratto, per via legale, dicendo che le serviva per ingrandire il suo magazzino. Invece, non l'ha mai più potuta utilizzare, e andò presto in declino, ed i suoi autotrasporti li dislocò poi altrove. Per me azione spiacevole e inutile. Dallo sfratto, ebbi una buona uscita di 35 mila lire, e trovai una camera ad affitto in Via Busoni, di cui ne parlerò in seguito.

Qui, racconto questo, quando uscita da "Villa Monna Tessa", mi trovavo ad abitare nella stanzina, andavo di quando in quando, a trovare una ragazza coodegente con me, che era rimasta lì ricoverata. Purtroppo erano già sette anni che era in sanatorio. Fece la Cresima a 27 anni, nella chiesina di fronte, ed io fui la sua madrina. Col certificato di cresima, lei intendeva usarlo, per potersi sposare. Ma era tanto tanto grave, che non poteva più guarire, e poi non mangiava quasi nulla.

Lei era una ragazza che proveniva dall'Italia del Sud, ed era fiera e splendida, come sono le genti di laggiù. Ma io l'ho vista morire e ne sono rimasta tanto impressionata. che tornata giù in città, non ho avuto coraggio di andare a casa mia, a dormire, ed ho chiesto ad una conoscente di Via San Frediano, se mi poteva ospitare. Mi accettò, ed io stetti una notte in quella casa, con queste buone, zia e nipote. Sapevo che non volevo e non dovevo approfittarne, così l'indomani mi arresi e tornai nella mia stanzina, e accesi subito dei lumini di fronte alle fotografie di Anna Ungaro. La notte stessa, feci un sogno a dir poco, meraviglioso; la vidi tutta vestita di bianco, coronata di rose bianche, passare innanzi alla mia abitazione, su di un crocchio bianco, pieno adorno di rose bianche. Un felice sorriso luminoso mi rivolse, e dicendomi: "Ma lei?, abita qui?!" E con il suo meraviglioso sorriso, si innalzò con il suo crocchio, veloce verso il cielo. Che pace mi lasciò nel cuore!?, che serenità! Tutte le paure erano scomparse.

Dopo pochi giorni, feci un altro sogno. La vidi esposta vestita di bianco, sui marmi di un mausoleo, mi avvicinai a lei, con una sospensione interna di spirito, e la guardai. Era più grande, composta nella sua immobilità, morta. Ad un tratto aprì gli occhi bellissimi, e disse: "Sessantaquattro". Al mio risveglio, fui sorpresa, e mi dissi: "Come?, un numero solo?" non sapevo per niente che al lotto, si poteva giocare anche con un numero solo. Ero giovane ed inesperta del gioco. Successe però che sul giornale "La Nazione" della domenica, uscì proprio il numero "sessantaquattro" primo il lista sulla ruota di Firenze. Qualcuno mi disse: "Oh! hai fatto male a non giocarlo!" lo sapevo ormai dopo. E qui faccio un rilievo importante, che ebbe poi nel corso della mia vita questo numero 64, che in seguito dirò, ed adesso lascio in sospeso.

Allora, sfrattata dalla stanzina, andai ad abitare in Via Busoni. Per assicurarmi la tranquillità, ebbi l'infelice idea di pagare in anticipo per 5 mesi, e cioè la buona uscita di lire 35 mila. Ma dopo neanche un mese, questa gente mi domandò perentoriamente 200mila lire. "Infine, lei ha un tetto sulla testa, abitando con noi", così mi dissero. Ma io non avevo tutti quei soldi, e così sperimentai l'humour terribile di quel tristo. Seppi che insegnava in una scuola di ragazzi infelici, e che come ho capito, lui rendeva ancora più infelici. Per me era un mistero come avesse potuto avere tante cambiali scadute, di quelle che la gente non aveva potuto pagare. Come aveva potuto averle? Faceva venire di volta in volta, alcune persone, di quelle che non avevano pagato le cambiali, e le terrorizzava e le picchiava anche per indurle a pagare per forza. Io nella mia stanza chiusa da dentro, sentivo delle scene terribili. Poveri bambini in quella casa, costretti a sentire, e avevano solo sei sette anni. Io prudentemente, cercai un altro alloggio e me ne andai quanto prima, perdendo anche la somma versata anticipatamente. La nonna Lucia aveva con sé, dopo partito mio fratello Sandrino, una busta gialla che doveva essere consegnata a me, cosa che la nonna aveva fatto, prima che io partissi per Firenze. Tenni a lungo questa busta con me, senza mai aprirla. Sapevo per l'accenno esterno che conteneva il testamento di mio fratello Sandrino. Un'amica mi fece decidere di aprirlo. Tutta la sua parte di casa a Moggio, in Via Nadorie, mio fratello la lasciava a me, con l'impegno di tenere con me la nonna e il nonno, al bisogno.

Quando io ho aperto il testamento, loro erano già morti.

Allora, cominciai a guardare nelle agenzie, le possibilità di comprare una casa, anche occupata, e la trovai subito. Feci il compromesso per settanta mila lire, ed il resto al contratto.

Mi detti da fare subito a scrivere a mio padre, dicendole, che io avevo il testamento di Sandrino, e che volevo vendere la casa a Moggio. La mia parte e quella di Sandrino insieme. Entro il cuore, desideravo levare le mie radici, da dove avevo patito tanto, e perso anche la mamma. Mio padre mi rispose, che sarebbe alquanto prima, sceso giù in Firenze. Venne e mi chiese quanto abbisognavo per fare il contratto d'acquisto, della casa che mi interessava. Lo dissi e fu, e, fu dapprima stabilito la vendita della casa di Moggio. Fatto questo, subito facilitato da mio padre, che acquistava lui stesso la casa di Moggio. La cosa curiosa è che quella casa, lui, l'ha comprata due volte. Una volta per mia madre, nel 1921, e un'altra volta da me, forse per le mie sorelle di seconde sue nozze, la Pia e la Luisa. Appena venduto al papà, abbiamo subito fatto il contratto per me, che acquistavo casa, occupata in Via del Campuccio, al 13, di là d'Arno.

Io con il mio sfratto, avuto dalla stanzina, ho potuto a mandare a mia volta, lo sfratto, all'occupante, la quale l'ha utilizzato, per entrare nella casa che aveva comprato all'Isolotto, sempre in Firenze.

Dunque, dopo svariate vicissitudini, in stanze d'affitto, potei entrare nella mia casa in Via del Campuccio. Premetto che io lavoravo in ceramica artistica presso lo studio del Professor Pattarino.

Dunque la casa acquistata, era millenaria, dissestata all'estremo. Non potevo far fare nessun lavoro, ad alcuno, per mancanza di mezzi. Mi misi allora a far da me, nelle ore libere, ed anche a lume di candela, essendo priva di elettricità. L'intonaco dell'interno delle due stanze, era addirittura a buchi molto grandi. Le due stanze erano molto grandi, più una cucinina piccolissima, saliente di uno scalino. Io picchiettai il resto, che stava precario, e mi accorsi delle corse di scarafaggi, ed erano veramente molti. L'indomani, comprai per due mila lire, l'insetticida DDT. Un fiasco pieno. Li debellai presto definitivamente. Mi trovai poi a fare la malta, con la cazzuola in mano e la tavoletta di legno. Mi accinsi a fare l'intonaco, e di giorno in giorno, passarono quattro mesi e mezzo. Credevo di morire dalla fatica, e.. quando finii l'intonaco, feci l'imbiancatura. Anche quella tremenda a farsi, poiché mi ci volevano tre mani, ossia tre passate. Il soffitto era fatto a grosse travi, ed assai sgradevole a vedersi. Allora, mi decisi a comprare, dei grandissimi pannelli di faesite. Io sono molto timida nel chiedere aiuto, e non conoscevo nessuno. Non avevo amici. Non ero capace di farmi amici, e allora stavo sola. E così, salita sullo scaleo, l'inchiodai sulle travi e feci il soffitto, e poi lo imbiancai. Tutto incredibilmente da sola, ed estremamente faticoso. I pavimenti non erano uno zuccherino. Trascurati e sporchi di malta, mi hanno aggiunto un lavoro bestiale per pulirli e tingerli (di mattoni) di rosso, e poi cerarli. Volevo un minimo di decenza e, sgobba Fausta! Facevo codesto lavoro al lume di candela pure, oltre ad utilizzare il residuo delle ore di luce naturale.

Durante tutto questo lavoro, io andavo anche a lavorare nella ceramica, le mie ore stabilite. Avevo comprata una lambretta, di seconda mano, e la tenni solo due mesi, poiché era pericolosa per ragione delle ruotine piccole.

Poi. dopo ceduta la lambretta, comprai il lambrettino nuovo, a ruote grandi, per andare a lavorare. I mobili mi cascarono tutti per provvidenza. Una famiglia di Via Santa Monica, voleva rinnovare tutto il proprio mobilio, e così ha passato tutto a me, quello di prima.

Un giorno mentre stendevo i panni, dalla finestra di cucina, che dava in uno stretto cortile, (io ero al primo piano), mi è volata dentro in cucina una rondine o un rondone. Mi sentii felice di questa visita di cortesia. Un animalino celeste, delizioso. Nelle ore libere dal lavoro mi ero impostata con il cavalletto a dipingere in casa. Dipingevo ad olio. Il bambino Rolando, del piano di sopra, tutte le sere scendeva ad salutarmi. Ho finito per farle due ritratti, uno con il pallone colorato. Alcune volte, la sera, ero al tavolino a studiare in retrospettiva, tutte le combinazioni del lotto. Mi divertivo così, a scoprire se era vero, se era possibile, battere il caso. In quanto a giocare, giocavo poco e raramente, ma una volta feci quattro terni, in due mesi, con poca vincita, il perché è chiaro. Io dovevo contare sempre e solo sul mio lavoro. Questo lo avevo capito da molto tempo. Avevo imparato anche a fare la pedicure – curativa, e mi ero fatta due tre clienti. Mia sorella Franca venne a trovarmi in Via del Campuccio, molte volte. Si tratteneva con me due tre giorni, non di più che non poteva lasciare suo marito, troppo solo. Era generosissima nel suo lavoro. Lavava tutta la roba, puliva ed aggiustava i panni. La sua pulizia e precisione erano irraggiungibili. Vestiva con grande sobrietà e finezza, e non eccentrica come me, che vestivo colori forti, che a me si addicevano così. Un giorno, tornai dal lavoro e ci confidammo di aver vinto un ambo al lotto. Tutte e due. Che coincidenza. Lei partì e mi lasciò tutto perfetto e pulito.

Mi disse, che se avevo bisogno di soldi me li avrebbe imprestati suo marito. Non ricordo perché, ma io avevo un bisogno davvero di soldi, per una finalità che lei comprese. Me li mandò infatti, ed io li utilizzai per qualche mese. Venne l'estate e la Franca con suo marito, andava al mare a Grado, come faceva tutti gli anni. La loro casa, ora, non era più a Malborghetto, ma si erano spostati a Trigesimo, sopra la stazione. Suo marito faceva così il capo stazione, proprio lì. Dunque erano molto più vicini a Udine, vicino a mio fratello Mario, figlio di altra mamma. Che era sposato costì.

Io mi davo giusto pensiero, per restituire i soldi, che avevo ricevuto in prestito. E un giorno feci un vaglia, per Tricesimo. Non ero troppo tranquilla, poiché non sapevo se erano ancora a Tricesimo, oppure a Grado. Andai a dormire, con quell'inconscio pensiero. Ecco cosa avvenne nell'ultima parte del sonno della notte; mi trovai a Grado, a passeggiare sulla spiaggia in riva al mare, con la Franca. La guardai e la vidi a colori nitida contrasto con il mare, che era molto bello. Lei mi guardava a sua volta, ed io le dissi: "Franca, ti ho mandato i soldi a Tricesimo". Dopo di questo, io mi sono trovata a viaggiare nell'etere, attaccata ad un grosso cordone d'argento trasparente. Tornavo nel mio corpo a Firenze in Via del Campuccio. Mi libravo nell'aria, mentre vedevo il mio corpo sul letto. Arrivata sopra il corpo, ad un metro qualcosa più, sempre su filo di quel grosso cordone, risucchiai letteralmente il mio corpo in su, e ripiombai dall'alto sul letto, svegliandomi contemporaneamente. Erano le ore otto meno un quarto, in fretta mi alzai e mi accinsi ad andare a lavorare. Tutta la mattina in silenzio, al mio tavolo di lavoro, pensai al fatto successomi. Mi ero dunque spontaneamente sdoppiata, che mai avrei creduto di sperimentare una simile cosa. Ero ormai sicurissima in me stessa del fatto accadutomi, ma non lo avrei mai potuto dimostrare ad alcuno, perciò tacqui.

Alla fine dell'estate, e delle vacanze, la Franca tornò giù a Firenze a trovarmi. Ecco cosa mi raccontò: "Sai Fausta, senti un po', cosa ho sognato, quando ero a Grado. Sognavo che passeggiavo in riva al mare, con te. E tu mi hai detto: "Ti ho rispedito i soldi"! l'indomani ho detto a mio marito: "Caro, vai a vedere a Tricesimo, che vedrai che ci sono i soldi che mia sorella Fausta ci ha restituito". Ho sognato così e così.... Lui ci è andato, e, li ha trovati davvero!, pensa che sogno, eh!” E io sapevo, ormai, come era andata.

In quel tempo, non leggevo, poiché i libri costavano, e ancora non potevo permettermeli. Tuttavia, con il fatto occorsomi, desiderai capirne di più. Nessuno mi avrebbe spiegato niente, anche perché amicizie non ne avevo. Nel campo di lavoro, cioè in studio di ceramica, nessuno parlava di cose del genere. Mi acutizzai le viste comunque, verso le librerie e qualcosa trovai anche di serio. Qui dico, che devo riconoscere una guida invisibile, in proposito delle mie letture nel corso della vita. Proprio come se qualcuno scegliesse per me. Mi bastò poi, poco, per capire qualcosa. E poi, non volevo capire proprio troppo. Un'infarinatura, un'idea, mi bastava. Al cinema non andavo che raramente, anzi meno. Il mio percorso per andare e tornare dal lavoro, frequentemente, era in Via Petrella, dove si trovava il cinema "Azzurri". Così, sporadico, mi sono trovata a vedere due film: uno il "Settimo Sigillo" di Ingmar Bergam svedese, ed uno un film americano dal titolo "Va e uccidi", con l'attrice Angela Lesbury. Quest'ultimo m'impressionò alquanto. Rimasi stupefatta, nel constatare la coercizione sulla mente altrui, e non solo me ne spaventai, ma decisi di non andare più al cinema con tanta disavvedutezza. Ero proprio scioccata. Invadere la mente altrui, e togliere, quella benedetta libertà di spirito, di cui siamo tutti forniti dall'Amore Divino del nostro Creatore, la trovo una delle infamie più grandi. Che lo Spirito Santo ci protegga veramente, da questi dominanti manipolatori ed usurpatori delle facoltà altrui. Non ci volli più pensare, perché stavo male. La vita in Via del Campuccio era pacifica, ma un giorno nel farmi una iniezione di penicillina alle nove del mattino, la seconda, poiché l'altra, l'avevo fatta la sera innanzi, mi cominciò a girare tutta la casa vertiginosamente. Compresi in un attimo, che mi sarei sentita male, allora a tastoni lungo il muro, andai a spalancare la porta che dava sulle scale, essendo io al primo piano. Poi, il mio intento era quello di mettermi a sedere sulla seggiola, accanto al tavolo del tinello, ma non ce la feci per niente. Un'ora e mezza di svenimento, (ma dov'ero? ero morta?), poiché rinvenni alle dieci e mezza. Mi trovai stesa bocconi sul pavimento a mattoni rossi. Mi alzai e andai guardarmi allo specchio, ero tutta sporca il viso di cera rossa. Guardai appunto, subito dopo l'orologio, ed erano appena passate le dieci e mezza. Mi distesi sul letto, e dopo un po' di tempo entrò da me, la nonna del bambino di sopra. Aveva trovato la porta spalancata, e capi che c'era qualcosa. Le ho raccontato questo svenimento, e le ho chiesto per favore di chiamare il medico. Questo venne, e mi escluse in assoluto per sempre la penicillina. Poi in futuri ricoveri, me la vollero fare lo stesso. Mio padre ebbe una sua pensata. Mi fece arrivare con ordinazione da Napoli, cinquanta chili di pasta spaghetti e varie, per me sola. Erano un'enormità. Cominciai a mangiare pasta asciutta anche per colazione al mattino. Mio padre inoltre, in un suo occasionale viaggio per Roma con documenti per l'INPS, mi portò un grosso barattolo di formaggio olandese. Sette chili e mezzo. Non era per niente il mio ideale di formaggio, ma lo accettai come una provvidenza. Il formaggio era giallo, giallo. Cominciai a mangiarlo tutti i giorni, e mi davo pensiero che non si sciupasse. Piano piano, accumulai qualcosa di negativo, che mi si manifestò sulla pancia. Una potente orticaria, con solchi preoccupanti. Ero diventata color gambero. Mi ricoverai nella clinica della pelle, in un vero ospedale. Dopo dieci giorni ero fuori con la cura appropriata; fargan e tre litri di latte, al giorno. Per due anni dovetti curarmi col fargan, che mi faceva soffrire un sonno terribile, specie sul lavoro. Non so come ho fatto a resistere, comunque l'orticaria infine se ne andò. Formaggio olandese, mai più. In quel periodo, mi chiese una signora, se potevo andare su, alla villa Schifanoia, presso delle suore americane, dove erano ospitate le ragazze più ricche dell'America, che venivano a studiare pittura a Firenze. La Villa Schifanoia sta a mezza collina nei dintorni della città. Lì, andavano ad insegnare pittura, i pittori Pietro Annigoni e Primo Conti. Io che ormai da parecchio tempo lavoravo in una ceramica artistica a Firenze città, avevo delle semigiornate libere. Perciò accettai di fare da modella a queste ragazze straniere, mentre i celebri maestri a loro insegnavano. Ed io ascoltavo gli insegnamenti, stando seduta su di una sedia, posta sopra un tavolo. Le ragazze stavano in semicerchio, ed ognuna si sceglieva lo scorcio che le era consono per dipingermi. Io stavo estremamente immobile e silenziosa, e loro dicevano che posavo bene. I miei ritratti sono andati così, in America. Anche alcune statuine di me, sono andate in America, poiché avevo posato nel millenovecentocinquanta, anche per il Console di Panama a Firenze. Posai pure per lo scultore Gemignani, per delle statuine che dovevano essere poste sulla piscina della nave, "Andrea Doria", e così, ora quelle, sono sotto il mare. Finii di fare la modella e così tirai avanti con il mio lavoro di ceramica. Nella ditta, di ceramica i miei colleghi e colleghe, erano molto capaci e bravi. La ditta era impostata a produzione artistica, e difficilmente aveva concorrenza. Furono eseguite statue grandi e rosoni enormi, per una facciata di una chiesa per l'America Latina, per il Venezuela credo. Gli oggetti che ne uscivano, erario di gran prezzo, e giustamente. Potevo stare tranquilla, per la casa di Via del Campuccio?

Oh! No!? Non potevo stare tranquilla! Mi entrò in animo una inquietudine, che mi si aumentava sempre più. I pavimenti potevano cedere. Facevano scodella, cioè erano concavi sempre più. C'era da prendere in considerazione, che andavano rifatti e valle a toccare le case che hanno due millenni! <Non potevo rifarli, non mi conveniva, primo per la spesa e poi avrei dovuto alloggiare altrove, e mettere in albergo la donna che abitava nel mezzanino, sotto alla mia casa. Tutto mi si complicava. Dovevo andarmene. Mi trovai a fare i miei nuovi pensamenti per la casa. Misi un annuncio sul giornale per venderla. Mi rispose un giudice, che venne a vederla e decise di comperarla, per investire dei soldi. Aggiunsi quelli ai miei piccoli risparmi, e preso due mesi di tempo, mi misi in cerca di casa, girando nel tempo libero col motorino. Ne ho viste moltissime di case, ma quello era un periodo nel quale non davano ancora affidamento alle donne, che avrebbero risolto il pagamento rimasto scoperto. Dunque, ne ho viste tante di case, ma senza concludere niente. Per le case di vecchia costruzione vigeva, e vige che siano pagate subito per intero. Mi rivolsi allora a guardare alle nuove costruzioni, dove scoprii delle formule di pagamento possibili attuabili, possibili e a dilazione nel tempo.

Cercai di non incappare nelle agenzie, che mi avrebbero spremuto in soprappiù. Trovai tre costruttori, ai quali era rimasto un appartamento da vendere in un palazzo, poco lontano dalla ditta dove io lavoravo. Avrei voluto una casa piccola, che mi sarebbe bastata, ma era difficile che me la vendessero, e da allora mi sono accollata un peso veramente gravoso, per pagarla. Dopo aver chiesto i relativi permessi, cominciai ad affittare le stanze. Dovetti subito farmi costruire delle verande sul terrazzo per proteggermi da sette piani sopra, dai quali cadevano purtroppo delle cose varie e pesanti. Le verande le disegnai e le verniciai tutte da me sono risultate delle verande veramente belle. E il terrazzo era spazioso, novanta metri quadri circa. Una veranda-serra la feci costruire in fondo al terrazzo, dove recuperai il posto per dipingere, e poter tenere le piante nell'inverno. Naturalmente le verniciature, col minio, poi con la cementite e due o tre mani di verde brillante smalto. Un lavoro enorme. Mi occupai dei vetri che erano tantissimi, portai le misure, e li scelsi a ticchiolini simili a piccole gocce, pressoché trasparenti. Le piccole pareti interne alla serra veranda, le tinsi da me, di color rosa, giallo e arancio. Alla sera con le luci accese all'interno, quella veranda era veramente bella, vista da fuori, fantasmagorica direi. Misi poi le tende da sole di color smeraldo, per rifinirle. I tetti, li avevo messi di plastica ondulux verde turchese. Ma nel corso del tempo, quanti problemi! Fu strappato via da una tromba d'aria e rifatto poi doppio e rinforzato meglio. Quanto lavoro!, doppio, triplo per me. Più, le avversità. Il sole eccessivo (sud), che ingrossava il ferro delle verande, con conseguente spaccatura di vetri. Ci sarebbe voluta una squadra di gente, per la manutenzione continua, invece ero sola e dovevo fare tutto io. Questa casa, finì col suo peso, a diventare per me, una autentica crocefissione. Le doppie manutenzioni alle facciate del palazzo, che erano state fatte male per due volte, cioè tutte friose, mi hanno aumentato di molto le fatiche, poiché abito un pianterreno rialzato però il terrazzo sul retro fa primo piano, essendo con i magazzini di sotto. I detriti e la polvere, hanno abbondato con tutti i lavori del condominio. Il lavoro poi io me lo moltiplicavo, e a fuoco di fila, avendo una idea dietro l'altra.

Pur stando a lavorare in ceramica, dove ho trascorso molti anni, trovai il modo di andare in Panzane in Chianti ad imparare la pittura dei fiori fiamminghi e dei paesaggi, pure fiamminghi. In Firenze andai, per un po', ad imparare a fare le fotominiature, e le miniature. In casa presi due sorelle, e insegnai loro le pitture fiamminghe. Con queste due apprendiste pittrici passai dei giorni sereni. Cantavamo, ed una delle due era una soprano, aveva studiato canto. Così le romanze si susseguivano una dopo l'altra. Era bello sentire un po' di lirica dal vivo. Quando le signorine furono in grado di dipingere da se stesse, non scesero più verso Firenze, erano abitanti da lontano.

Dopo mi ritrovai in solitudine a lavorare le mie imprese, e non mi annoiavo mai. Cominciavano per me, o seguivano?, cominciarono cose, cose come? Io le racconto. Sognai; la morte col lenzuolo, manto classico drappeggiato, con la falce. Mi trovavo su di una radura, e lei veniva verso di me, solenne, con passo lento. Io protendo le mani avanti, e dico: "Aspetta, aspetta un momentino!," La morte non aspettò, e venne avanti ancora, e mi prese sotto braccio, il destro. Cominciammo a camminare per la verde verde radura, insieme. Camminammo per un pezzetto, e poi con un gesto ampio accondiscendente, la morte mi lasciò andare, libera per la radura. E la radura, è stata veramente dura, dopo il risveglio, s'intende. La morte dunque, mi lasciò andare. Rifletto! I significati?, mah! Dopo alcuni giorni mio padre venne a trovarmi, e mi aiutò nel suo possibile. Lo trovai benino di salute e ne ero contenta. Lo accompagnai alle quattro della notte, alla stazione. A quell'ora non c'erano mezzi, e la lunga strada la facemmo tutta a piedi. Ci piaceva di camminare tranquilli, nel silenzio della notte. Vedevano in cielo una splendida grossissima stella. Che vicina, che era! Il lavoro. Per me proseguiva e si moltiplicava. Tre stanze affittate, quattro inquilini, cinque con me. Dormivo in cucina. La casa costava, dovevo pagare pagare. Di giorno in ceramica e la sera lavare e stirare, magari fino alle due. Lavatrice niente. Disegnai, andai al ordinare i pezzi in officina, di un gazebo, che poi feci saldare, assieme ad una galleria in ferro, sempre disegnata da me, adesso sono sul terrazzo con rispettive piante rampicanti, per rendere fresco, al gran sole estivo.

Essendo al primo piano sul retro, per via dei sottostanti magazzini, ho dovuto prendere all'Impruneta, delle grosse conche ovali e tonde per tenere la terra per le piante. Lassù comprai pure dei grandi e piccoli orci, per dipingerli a freddo. Ne comprai molti, e ne dipinsi molti. Alcuni, li ho tenuti per me. Belli! Ho detto che non mi annoiavo mai, ma mi accadevano anche cose preoccupanti. Un giorno mi spaventai moltissimo, pur una una improvvisa cecità totale. Temporanea, meno male. Un quarto d'ora, mi durò la notte oscura. Mi ritornò la vista, ma per un pezzo, non mi passò la paura. Un pomeriggio stavo leggendo tranquilla, e mi successe uno sdoppiamento improvviso di me stessa. Reagii di volontà e mi riacchiappai riassorbendomi. Già, e se non fossi più ritornata? Ricordo un episodio, accadutomi appena venuta ad abitare in questa casa; ero sola in cucina a sfaccendare, e silenziosa direi senza pensare a niente. La porta sul vastissimo terrazzo circondato da un alto muro, era spalancata. La mattinata era bianca e luminosa, senza sole. Sento un fischio nell'aria di cucina, mi volto, e vedo, mezzo metro sopra me, fendere in orizzontale un sasso, che prendeva corpo, nel corso della sua stessa velocità. In un baleno si completò in se stesso. Era scuro, bruno. Colpì la parete di cucina, sopra la porta che da nell'ingresso interno della casa e lo vedo cadere, in terra con rumore, rimbalzando a intermittenza, squagliandosi nell'aria davanti ai miei occhi, e ridiventando invisibile. L'avevo visto bene. Era grosso quanto due noci messe insieme. Rimbalzato all'inverso, fino a scomparirmi alla vista. Non è più uscito dalla cucina quel sasso. Ma come c'era entrato, quel sasso con quel fischio acuto? Sono uscita più volte sul terrazzo (allora non c'erano ancora le verande) a studiare la situazione. Niente. Nessuno avrebbe per nessuna possibilità, potuto tirare quel sasso, neanche se l'avesse fatto con una fucilata, o con la fionda.

Piccoli fatti, come quest'altro; appena oltre il mezzodì, nel preparare il mio pranzo, mi trovavo ai fornelli, con dentro al tegamino dei fegatini e dei cuoricini di pollo. Mi metto a tagliare i cuoricini con un coltellino reggendo ognuno con la forchetta. Tutto ad un tratto, esce da uno dei cuoricini, un sole splendente del diametro di tre centimetri, così ho supposto la misura, e si alza nell'aria della cucina, vagando in essa scintillante, come figlio, del nostro stesso sole astronomico.

Mi passa davanti al viso da destra a sinistra, e poiché io ormai, voltavo le spalle ai fornelli, per seguire le evoluzioni volteggianti di questo meraviglioso sole, uscito dal cuore del pollo. L'ho visto uscire piano piano a mezz'aria, e dirigersi fuori verso il terrazzo, dove poi è svanito spiritualizzandosi verso il cielo. Ho detto a me stessa: ecco; la scintilla dell'Eterno, era anche in un cuoricino di pollo! Io non avevo amicizie o famigliari con i quali parlare di queste cose, cogli inquilini nemmeno, così tenevo per me questi fatti. Era un periodo per me, cospicuo di percezioni extrasensoriali visive e uditive, tanto che ci feci l'abitudine. Quasi consideravo logico e normale, che capitassero tutte quelle cose. Io ero serena, e di questo, non mi curavo più di tanto.

E lavoro, lavoro lavoro. Io lavoravo troppo e non mi curavo se avevo qualche deficit di salute. Rimandavo sempre, pur sapendo per via dei debiti. Era dura! Un giorno venne che tutto mi crollò di un subito. Mi sentii male e mi fu necessario chiamare l'autoambulanza e farmi portare all'ospedale di Careggi.

Mi portarono di pomeriggio verso le quattro e mezza a San Luca. Alle ore diciotto ero in coma per ipertiroidismo. Avevo chiamato da sola l'autoambulanza, e un'ora e mezza dopo ero in simile stato. Mi ricuperarono di giorno in giorno, con il così detto "albero della cuccagna" cioè, le ipodermoclisi con i boccioni di vitamine. Poi non era molto tempo che io avevo avuto delle operazioni, tonsille, appendicite, ascessi, ecc. Tutte cose di dolore fisico alquanto intenso. Tutte le volte che mi bucavano con un grosso ago, io urlavo sempre. Ero arrivata all'ospedale come si dice pelle e ossa. La tiroide mi aveva letteralmente mangiata tutta la carne, anche se io mangiavo moltissimo. Infatti, mangiavo dei primi piatti abbondantissimi, e subito dopo avevo di nuovo fame, come non avessi mangiato niente. Non avevo detto niente ai miei famigliari. Erano sei mesi che ero ricoverata, ed infine qualcuno li informò. Mio fratello Mario si sposava, ed in quella circostanza veniva a Firenze. Venne a trovarmi all'ospedale. Mi fece piacere questa sorpresa. D'altro canto fui dispiaciuta per lui e la moglie, che proprio in viaggio di nozze, venissero per gli ospedali. Venne anche la Franca in un secondo tempo. Io so che mia sorella non è cattiva, però appena, però non appena entrò nella stanza dell'ospedale, le sue parole furono un rimprovero: "Come, volevi proprio morire, senza dirci nulla?" Purtroppo sono permalosa. In quei sei mesi in ospedale, feci conoscenza con una degente, e mi lamentai con lei di tutte le avversità per la salute.

Dico: "Me ne accade proprio di tutte, una dietro l'altra, e pensare, che mi accontenterei solo di lavorare, o di sgobbare". Mi sentivo, e mi sento sempre vulnerabile sotto ogni aspetto. Lei, cominciò a raccontarmi, che c'erano persone con carismi speciali, che potrebbero aiutare le persone a guarire. Drizzai le orecchie, e mi feci subito attenta, e cominciai scandagliare a dritta e a manca, per procurarmi indirizzi di persone dotate di tali facoltà, e mi proposi con questa degente di andare così a cercare aiuto, quando saremo state fuori dall'ospedale. Dopo sei mesi, non potevano più, tenermi in ospedale se non facevo rinnovare il libretto della mutua.

Mi consigliarono di tornare un po', una settimana, a lavorare e poi ritornare ricoverata. Prima però usci una possibilità, di cura per la tiroide e cioè l'acquetta radioattiva (isotopi radioattivi). Arrivava in aereo giornalmente dalla Gran Bretagna, questa medicina, che per fortuna, mi venne prescritta e data anche a me. La bevvi tre volte, e cominciò ad attivare il suo effetto subito. Uscita dall'ospedale, mi meravigliai proprio, di essere di nuovo a casa. Tornai a lavorare in ceramica.

Mi riorganizzai di nuovo per i problemi di casa.

Un sogno feci in quei giorni, che mi fece ricordare che trascuravo assai la fede, o spiritualità o religione che si voglia dire. Sognai che mi trillava il telefono. Vado a rispondere il solito: "Pronto, chi parla?" e, e, sento rispondere: "Sono Gesù!" io "Oh! Oh, Gesù, perdonami," Mi sono svegliata, ricordando la Dolcezza. Non più, sono stata indifferente. Cominciò un susseguirsi di episodi, come questo per esempio, proprio imprevisto. Suona, il campanello di casa. Sono in velocità perché il tempo è scarso, e devo poi andare a lavorare il pomeriggio. Vado di corsa ed aprire, e vedo una vecchietta che chiedeva l'elemosina. Dico: "non posso", e di slancio chiudo la porta. Però, però. Negli ultimi attimi, del chiudere la porta, la vecchietta si era trasformata, in Gesù Cristo, mi precipito in cucina, e rimango come paralizzata coi piedi appiccicati per terra. Avevo visto. Non potevo scusarmi. Mi riprendo, e torno di volata ad aprire la porta, e guardo sulle scale. No. La vecchietta non c'era più. E come logica avrebbe dovuto essere sulle scale, a suonare agli altri appartamenti. Un altro giorno a mezzogiorno e qualcosa, stavo in cucina accingendomi a far da mangiare. La porta di cucina era aperta verso l'ingresso, e, ad un tratto vedo Nostro Signore Gesù, in figura altissima, passare davanti, come entrato dalla porta dell'appartamento, a porta chiusa. Era altissimo, come ho detto, fuori di statura umana. Vestiva una tunica giallino chiaro, con manto, color prugna caldo, drappeggiato quasi a spirale sulla persona. I suoi capelli, erano bruni come gli occhi. Così li vedevo in quel momento, poiché si era girato con la faccia a guardami. Passò dunque, così, davanti alla porta di cucina senza dire niente, ed io pensai che fosse poi scomparso. Invece subito dopo, passò di nuovo, in senso inverso, e guardò ancora verso di me girandosi col capo, ed uscì poi, a porta chiusa. Che portamento!, che bello, che era! Non ha parlato, ma i suoi occhi hanno parlato. La Sua azione ha parlato, ha significato. Io ebbi l'impressione di me di non esistere. Mi pareva di intuirmi solo con la testa e, silenzio! Questo in pieno giorno.

Altra volta, giro tranquilla per la casa, e decido per qualche bisogna, di andare in camera da letto. Apro la porta e vedo che la parete di fronte non c'è più. Al suo posto, c'è l'orto del Getsemani, con Gesù prono, che soffre e prega.

Altra volta, entro in camera e vedo una Madonna, figura intera a sedere su di un trono, tutta intagliata nel legno biondo. Accanto a Lei, al suo lato sinistro, una figura femminile concreta, vestita di bianco, e dai capelli lunghi e nerissimi sulle spalle, con le braccia alzate tendeva e teneva, una corona sulla testa della Madonna. Questa persona femminile, non era di legno, ma era una persona vera e propria, umana che, io vedendola, stabilii che io la conoscevo senz'altro.

Nelle ore extra lavoro, in casa lavoravo moltissimo, facevo in po' di tutto; un po' il muratore, per il muro esterno sul terrazzo, l'imbianchino per dentro casa e fuori, nelle verande e verniciavo le stesse per il ferro, e oltre a tutto sono piuttosto alte oltre che grandi. A volte, in necessità il falegname, per costruirmi delle mensoline, cassetti, panchetti, cornici anche per specchio, e per qualche quadro, aggiustarmi sedie, ecc... Pertanto, mi trovai un piede infilato su un chiodo arrugginito e mi toccò di fare l'antitetanica. Dovevo fare molte cose da me, perché far fare costa, ed io tenevo per mangiare settemila lire alla settimana, e il resto pagavo debiti. Ormai li avevo fatti, anche per arredare alla meno peggio l'appartamento.

Facilmente mi sobbarcavo di maggior lavoro, dato che anche il lavoro fortunatamente cercava me. Ero partita in quarta, come suol dirsi. Mi trovai ad andare in due ditte, contemporaneamente, una delle quali, io e un'altra ragazzina, col nostro lavoro di pittura, aiutammo a mettere in piedi una nuova ceramica, che dopo nel tempo, si sviluppò tantissimo e si trasferì molto oltre la città, divenendo poi molto ingrandita, una delle fabbriche più importanti nella Toscana, e assunse poi molti operai e operaie. Al contrario della ditta, dove stavo fissa, la quale stava restringendo la sua espansione, sino a finire poi in chiusura. I due principali delle due ditte, erano diversissimi uno dall'altro uno educatissimo e pieno di riguardo per tutti, e l'altro, una vera croce, pur non essendo in fondo veramente cattivo. Non si rendeva conto, delle umiliazioni che procurava col suo carattere. Io, che mi ero prefissa di resistere ad oltranza, tanto che ci sono stata quasi trent'anni a lavorare lì, mi trovai spesso, che rincasata alla sera versavo lacrime disperata. Non risolvevo nulla, e peggio, mi facevo venire i solchi sulle guance. Veramente io piangevo tanto anche per tanti altri motivi.

Una sera appunto, tornata a casa dal lavoro, che era ancora giorno alto, piangevo proprio per le cattive maniere del principale, e sedendo sul lettino che avevo in quel tempo in cucina, mi ero proprio abbandonata ai singhiozzi, con le mani coprendomi il viso. Ecco; mi accadde proprio in quella circostanza, una visione, svolgersi così: un misterioso comando, mi ha fatto alzare la testa, ed ho notato che era ancora giorno. Ho pensato che erano vicine le ore venti. Confesso che ebbi all'inizio, un relativo spavento condizionato. Vedo aprirsi il palazzo, o per meglio dirsi, spaccarsi in due frastagliato, e piegandosi a destra ed a sinistra su se stesso.

Un palazzo di sette piani spaccato da nord a sud, aperto enormemente, e nella cui frastagliatura so di aver notato dei colori prima grigi e poi un po' celesti e rosa. Io dalla mia cucina, seduta sul lettino, vedevo il cielo aperto. Non feci in tempo a pensare, che vidi la Santa Vergine Maria col bambino in braccio, scesa a due o tre metri in alto, sopra di me. Era come la Madonna che contemplavo da bambina, nella chiesa del mio paese. Vestita di rosa col manto azzurro aderente alla persona. I colori erano bellissimi, anche quelli del viso, poiché io la vedevo proprio concreta come una persona umana. Proprio scesa, nella nostra dimensione.

Ho pensato a Maria Ausiliatrice vedendo il suo scettro, e la corona d'oro con gemme preziose sui capelli bruni.

Il viso roseo dolcissimo, volto in giù verso di me, come a guardarmi. Nessuna parola. Lei è rimasta a lungo, ed io l'ho guardata a lungo, e nel mio cuore è tornata la tranquillità. Compresi che mi voleva aiutare. In un attimo finì questa visione, e rividi il palazzo, ricomposto. Ma che sorpresa! Mi pareva impossibile che si fosse rinchiuso così! Per dei giorni mi rimase impresso vividamente tutto, ed ora "Lei" è per sempre nel mio cuore. Come a guardarmi, ho detto, ma, Lei mi guardava. Mi guardava davvero, proprio intensamente. Così, finita la visione o l'apparizione?, notai che era ancora giorno. Tiravo avanti la vita di tutti i giorni, con le solite fatiche, che mi pareva mi schiacciassero, e non mancavano di certo le così dette prove. Avevo preso in casa come inquilina pagante, una ragazza proveniente da una strada del circondario, uscente appunto da un altro subaffitto. Io non ho mai domandato, per nessuna persona presa in casa, le informazioni, come sarebbe la cautela, e la civis di fare. Allora prendevo il pro e il contro come c'è da immaginare. Questa maestrina era del meridione, e si curava per l'appunto, per la schizofrenia. Era la classica maestra terribile. Avevo capito che per me era la prova, ed io fungevo da liberazione ad un'altra padrona di casa, la quale era costretta a stare fuori di casa sua, perché questa maestrina impossibile, le aveva fatto grande croce.

La presi dunque in casa con me con tutte le sue stranezze, e puntate gratuite. Una sera di proposito, venendomi sotto il naso, mi offese dandomi un brutto epiteto. Mi mantenni calma e le risposi con ponderatezza e gentilmente. Capivo, come era prima, di disgrazia a se stessa. Io per me, so benissimo di essere suscettibile e permalosa, ma è una cosa innata e che mi porto dentro, sin da piccina, silenziosamente. Quella sera, andando in camera mia (da tempo avevo preso una camera per me) a dormire, mi proposi di perdonare, e pregai anche per questo. Mi addormentai, e mi svegliai poi dopo due sole ore. Scesi da letto e mi misi a sedere su di esso. A luce accesa.

Ero pensierosa, possibile tante difficoltà?? Alzo la testa, ed ecco che vedo venire dalla parete nord della mia stanza, il "Buon Pastore" Gesù, con la pecorina sulle spalle. Era vestito di colori bellissimi e forti, anzi intensi. Avanzò tre metri verso me, e poi si fermò, diventando tutto di vetro verde smeraldo, con tanti puntini luminosi. Era bellissimo e alto più che persona. Il messaggio era chiaro; avevo perdonato! Non mi ha parlato. Mi è poi scomparso, ed ho rimpianto di non vedere più quella bellissima statua, color verde smeraldo trasparente con i ticchiolini luminosi tutti all'interno.

La signorina ospitata da me, non ha saputo che per via di lei, ho visto il Signore, e nemmeno che in cuor mio le ero grata. Stette sette mesi da me, e non, fu facile. Poi andò in altra stanza, più prossima alla scuola dove insegnava ad un solo alunno difficoltoso. Alloggiata presso altra famiglia, fu più breve. Due sole settimane. Dopo del tempo, circa due anni, l'ho incontrata; e mi ha dato notizia del suo matrimonio e di una figlia. Fui felice per lei, che mi s'allargò il cuore, anche perché la vidi serena, e pensai che era guarita.

Come questa persona, ho avuto da me, altre persone alloggiate, tutte naturalmente differenti e diverse tra loro, con i loro problemi e con i loro intenti. Molti si sono sposati, o hanno seguito la loro strada. Questo alternarsi di persone è durato degli anni, finché, ho avuto la patente per affittare. Certo ho lavorato molto a pulire, lavare senza lavatrice, fare la colf in casa mia. Usavo essere gentile e cortese, ma non volevo essere socievole, non avevo tempo neanche per il riposo. Non mi piaceva, e non ero adatta a far l'affittacamere, anche perché tutto sommato, non sapevo poi tanto fare, a fare i miei interessi. Guadagnavo in tre anni, quello che avrei dovuto guadagnare in un anno. Ma faticando a buono, e tirando su me stessa, e sulle spese, che sono tante, ce l'ho fatta finora a pagare le spese condominiali, bollette, et ecc.

Nulla non è mai facile nella vita, abbiamo a che fare con le malattie, col superstress da lavoro, con nemici e con negativi d'ogni genere, con danneggiatori materiali e psichici. Sì poiché, ci sono anche i tentati di dominio sugli altri, e manipolatori dei cervelli altrui che rubano la libertà, che Dio dà alle sue creature con lo Spirito Santo. Sono individui dragonici, autonomi, e che credono di non dover render conto a Dio. Si divertono a colpire le persone più deboli, per constatare quanto potere possono acquisire, idolatrando poi, il loro stesso io. Tutto questo si può soffrire nel mondo, e ....altro. Ma il buon Dio, veglia sulle sue creature, e questo è consolante, non vi pare? Le vicende sono tante e varie in ogni vita, e siamo tutti diversi, come le fisionomie. Ed anche i sosia, non hanno poi la vicenda- vita, pure sosia, compresi i gemelli. Ma poi, quanto è bello essere tutti diversi.

 

 

 

 

 

 

Gli orcioni dipinti da me Fausta

 

 

 

 

 

 

Torno a parlare del mio lavoro, che era molteplice. In casa nella serra in fondo al terrazzo, mi attrezzai per fare dei grandi pannelli di legno, che poi ho dipinto a colori vivaci. Li ho poi vetrificati e messi in bellissime cornici. Lavoravo giù in veranda, anche degli orci, che preparavo e poi, portavo a comodo in cucina, per dipingere la notte, quando ero tranquilla. Poi verniciavo a freddo, ed era assai faticoso smuoverli, razzolarli di qua e di là. Ma sicuro!, alti più di un metro. Che peso! Ma poi il risultato era gratificante. Non vendevo nulla. Non avrei saputo come fare, perciò li regalavo o per riconoscenza, o per sconto di qualche debito. Anche vasi in rilievo trattati a bronzo, o colorati anche quelli. Non mi annoiavo mai. Le idee non mi mancavano, e tutto sommato portavo in porto, e tutto mi riusciva, infine.

Le amicizie che io ho avuto, sono state più che ventennali, e purtroppo sono state spezzate tutte e tre dalla morte. Collega di lavoro una, del vecchio lavoro a Sesto Fiorentino. Mi piace di nominarla, Luisa. Avevamo campi diversi di opinioni, però era nella sua estrema modestia, di un animo gentile e delicato io l'ho ammirata veramente per questo squisito temperamento. Che finezza in una persona tanto semplice di origini. Con lei mi sentivo proprio in buona sintonia di dialogo.

L'altra amica, la Rosina, era in Firenze e faceva la sarta con i suoi genitori. Era profonda, e alla fine, aveva capito le vie spirituali. Era anche lei raffinata, ma nel campo spirituale tutto suo. Aveva una apertura mentale che faceva star bene chi era con lei. Persa in un attimo questa amica, che uscendo da un intervento chirurgico, volò in cielo, per un embolo partito nel sangue. Dopo del tempo feci amicizia con un'intera famiglia. Amicizia che durò trent'anni. Nel 1970, avevo comperata una piccola utilitaria, la Fiat-5ooL, allora quando volevano andare a Viareggio, l'estate io li accompagnavo, poiché loro avevano già la casa costà. Io stavo due o tre giorni con loro, e poi tornavo a Firenze. La signora Liliana m'invitava sempre per la domenica successiva, ed era tanto affabile, e ci raccontavamo tutte le cose che ci accadevano sul piano soprannaturale. Andavamo nei posti santi, e dalle persone spirituali. Poi commentavamo le cose. La signora Liliana era buonissima, pur avendo un carattere perentorio e dolcemente forte. Aveva un aspetto, che io dicevo: come un'antica romana. Era bella e imponente, e soprattutto tanto cristiana. Una vera cristiana col cuore pieno di carità per tutti. Purtroppo ho conosciuto le sue pene e i suoi dispiaceri, per le situazioni difficili di famiglia. Ma quanti meriti aveva questa persona, aiutava tante persone in difficoltà. Una volta andammo con la mia auto al Santuario di Monte Uliveto, insieme ad altre due signore. Lassù al Santuario, avevano posto il quadro della Madonna, che faceva sangue dal cuore. Il fatto era iniziato in casa di un ferroviere, a Firenze. Nel viaggio di ritorno noi quattro ci fermammo con la macchina in Via Veracini a riflettere, e parlare tra di noi su tante cose. Erano le ore dieci del mattino, ed a me m'accadde di avere una visione, con colori ametista a varie sfumature. Era, ciò che vedevo, "La città Celeste, la Gerusalemme" che scendeva dal Cielo. Lo dissi a loro, ma loro non la avevano vista. Noi, ci credevamo comunque a vicenda, quando anche a loro accadevano questo genere di cose. Queste visioni, rimangono nella mente per tutta la vita, come indelebili. Ero ormai abituata a che m'accadevano, di avere delle visioni, di cui è costellata tutta la mia vita. Quando avrò raccontato qualche altra mia visione, dimostrerò poi il perché di tutte queste cose, e dove mi hanno condotto.

Allora io seguito a raccontare, perché devo.

Visione in sogno: vedo Santa Lucia a sedere sul mio letto, serena e dolce e a colori. Mi faceva notare e vedere il vestito dell'anima mia. Il vestito era chiaro di fondo, ma aveva sul punto del petto due macchie, una più scura ed una più chiara, color caffelatte. Io vidi contemporaneamente me stessa doppiata e dentro quel vestito che era l'anima mia. Il mio viso era a colori. Questo, ho notato.

Mi sveglio e mi affretto ad andare a lavorare; e non ci penso più di un tanto. Ma mentre ero in ditta a lavorare sulle ceramiche, silenziosamente il fatto della notte, mi prende campo, ravvivandosi nel cervello e nel cuore. Di fronte a me, sul lavoro non avevo nessun collega di lavoro, ed ero volta verso la finestra e il muro dell'ufficio. Nessuno mi vedeva in viso dunque, e meno male! Le lagrime mi cominciarono a scorrere silenziose. Che strano! cosa mi succedeva? Mi resi conto.

Avevo visto i miei peccati sull'anima mia. Ne ero certa. Cominciò nel mio cuore uno strazio interno, con dei singhiozzi interni. Non dovevo farmene accorgere, ed io scoppiavo di dolore, e giù pianti. A mezzodì andai a casa col cuore gonfio, e pensavo che non avrei potuto più vivere. Continuai a singhiozzare accorata, con tanto dispiacere nel cuore. A piangere a lungo, a lungo, non so quanto. Forse per circa un mese e pensavo che sarei morta senz'altro. Su questa cosa dovevo morire, non era possibile altrimenti. Il cuore mi scoppiava e mi abbandonavo fatalmente alla deriva per finire. Non ero neanche capace di pregare e dicevo solo qualche volta il Nome Divino di Gesù. Ormai morivo, non sarebbe passato un mese.

Vivevo solitaria, questa tragedia spirituale. Del resto vicino alla mia persona, non avevo nessuno per confidare. Ma ecco, cosa mi avviene. Perdo la cognizione di dove sono, cioè lo spazio non c'era più! Non sapevo più se ero in ditta o se ero in casa, ma forse ero in casa. Quello che mi accadde, era tutta cosa di altro mondo, come si dice. Mi trovo immersa in una visione molto forte, mi trovo ai piedi di una grossa croce, accovacciata e quasi abbracciata ad essa. Ero piangente, ed alzo la testa secondo il dritto filo della croce grossa e scura che vedevo. Vedo dapprima i piedi inchiodati. Piedi di carne viva. Grandi. Alzo ancora la testa e gli occhi, e vedo il "Cristo Gesù", in croce, che con la testa china sopra me, mi guarda! Era di carne viva, e grande grande, più, molto più, che una persona umana, qualsiasi. Mi sentivo avvolta dal suo sguardo carezzevole, e mi alzai in piedi scostandomi per guardarlo, per guardarlo meglio, per guardarlo di più, per guardarlo. Ma com'era Grande!, la sua carne viva straziata dalla crocefissione, e la corona di spine. Infamia!, povero Gesù! Penso, siamo tutti colpevoli, tutti! Da quel momento, finita la visione, della quale non mi rendevo conto di dov'ero, e per lungo pezzo di tempo; perché la visione mi era entrata stabilizzata nella mente, da quel momento non ho pianto più, per la ragione del sogno di Santa Lucia. Lui, Gesù, mi aveva trasfuso, "nuova Vita". Mi meravigliai dunque di non essere morta. Vivevo, dovevo ancora vivere. Ero in una sensazione in cui lo spazio era pieno, e non sapevo in che punto fossi.

Andai in quei giorni nella chiesa del Carmine a Firenze, e mi iscrissi per quell'anno, alla "Madonna del Carmelo". Era una chiesa di grande spiritualità, come Santa Maria Novella. Ero ad ascoltare la Santa Messa. Avevo in cuore la salvezza di mio padre, che era morto nel 1965. Di mio fratello Sandrino morto in Russia, già sapevo. L'avevo saputo a San Damiano, quando andai da mamma Rosa a prendere le benedizioni. Per questo io andavo dappertutto, volevo prendere le benedizioni. Lì da mamma Rosa, la Madonna scendeva a mezzogiorno di ogni venerdì, sopra un albero di pere. L'alberino era piuttosto piccolo allora, e qualcuno aveva messo un cuscino tra i suoi rami. Ecco la " Madonna" scendeva lì. Qualcuno scattò le fotografie e rimasero impressionate. Una con la figura evanescente della Vergine Santa, che io (mi sono fatta regalare, e che tengo sempre), e, con una grande ostia in verticale, sul cuscino, che io solo vidi, ma non potei averla che dopo del tempo. Io lì a San Damiano sentii fortemente i profumi Celesti, e la presenza della Madonna. In qualche modo, seppi della salvezza di mio fratello Sandrino, mentre ebbi modo di avvicinare mamma Rosa. Di mio padre Severino, avrei saputo in seguito. Infatti, in quel giorno al Carmine, l'ho saputo subito all'inizio della Santa Messa. Mio padre era salvo! Ringraziai il signore e ne fui felice. Il rito seguiva il suo corso, ed al momento, della consacrazione ed elevazione dell'Ostia, ecco, una visione grandiosa; la Chiesa del Carmine in quel momento aveva il tetto aperto, ed io vidi tra le nubi un grandissimo crocifisso, in orizzontale sopra di noi. Era immenso e vivo di carne viva. Riempiva il cielo sopra noi. Vedendolo in Croce mi compenetrai e soffrivo, ma nello stesso tempo sapevo, che vedevo la nostra salvezza. Finita la Messa, uscendo di chiesa vidi di nuovo la giornata col sole, e col cielo limpidissimo, senza neanche una nuvola. Da questo che ho detto qui, devo tornare indietro nel dicembre 1964. Non ho mai tenuto diari, e non sono ordinata, con le date delle mie visioni, per cui alcune, sono posposte o viceversa nel racconto. Ora però che parlo del dicembre 1964, sono precisa in questa. Allora, come inteso devo ripetere che visioni mi erano frequenti e varie ormai le consideravo una normalità, essendo sempliciotta. Ma un giorno una persona femminile (non un prete) m'inculcò l'idea che le mie visioni non venissero da Dio, ma addirittura dal contrario. Io non ero allora troppo frequentatrice delle chiese, anche se credevo in Dio e pregavo un po'. Ma un giorno mi decisi ad andare in chiesa, in Santa Maria Novella. Era di domenica, ed era il sei dicembre, appunto 1964. Effettivamente decisa a confessarmi. Che posto il confessionale! Un turbinio di forze avverse, ebbi molta difficoltà, a confessarmi. Non ero soddisfatta e convinta tanto che chiesi al confessore se veramente, potevo fare la Santa Comunione. Ad affermazione del confessore, mi decisi ed andai a ricevere nel cuore Gesù. Finalmente! Tornai a casa serena, e mi ripromisi di tornare il giorno otto dicembre a confessami di nuovo. L'otto dicembre era il giorno dell'Immacolata Concezione e desideravo moltissimo fare la S. Comunione, anche in quel giorno. Per la strada andando, mi raccomandai vivamente al Signore, che non mi mandasse più le visioni, poiché non sapevo se venivano da Lui, o no.

Pregavo questo, camminando da Via Alamanni a piazza Stazione, giù, giù, verso la caserma del carabinieri. Erano circa le undici e quaranta, e la giornata era bella, bellissima, tutta gialla di sole. Arrivata in chiesa, trovai una folla enorme, e, compresi che non avrei potuto confessarmi. L'avrei fatto, alla domenica subentrante. M'infilai tra la gente, e cercai di andare molto in giù per essere più vicina all'altare e sentire e seguire meglio.

Non ce la feci più di un tanto, ma abbastanza. Gettai alla nicchia della bellissima Madonna del Rosario, che era sulla destra, un'occhiata, fatta di mille sospiri e suppliche, e andando ormai avanti di poco, arrivai alla colonna fiancheggiante la navata centrale, più prossima all'altare.

Mi appoggiai decisamente alla colonna con la spalla destra, e seguii il rito. Alla Santa Comunione mi accostai mettendomi in coda con tutti gli altri. Finalmente Gesù. Riuscii a ritornare accanto alla colonna al posto di prima. Non volevo distrarmi colla gente, ed ho abbassato la testa con gli occhi chiusi. Cominciai a pregare mentalmente con i pensieri che via via mi si affacciavano Una cosa avvenne, essendo io pure in piena coscienza. Sentii dentro di me una forza immessa, da un'altra Volontà, che non era la mia, che, mi ha fatto alzare di scatto la testa e spalancare gli occhi.

Ho notato, che non vedevo più la gente e non vedevo più la chiesa di S. Maria Novella dove ero consapevole, che lì io c'ero. Mi resi conto che stava succedendomi qualcosa, subito che i miei occhi videro un meraviglioso cielo color blu elettrico, con le particelle dell'aria che sembravano piccole sfere trasparenti, una vicina all'altra. Quell'aria era viva viva, limpida! Mi sprofondai a deliziarmi, abbandonata serenamente, in quel colore così intenso, così limpido, così bello, così nuovo per me, tanto che sentii il mio stesso pensiero che diceva: " Com'è bello!, come mi piacerebbe dipingerlo!" Io ero conscia che stavo vedendo, qualcosa, oltre il consueto vedere. Infatti principiò una sequenza di viste, che mi portarono ad osservare che davanti a me, si stava svolgendo un tema di cose. Ecco; immerso in quel blu, c'era il nostro, pianeta, il nostro mondo, la nostra terra, che roteava pian piano con tutti i suoi continenti e mari, che io vedevo con colori stupendi e limpidissimi. I continenti erano una meraviglia di colori. Mentre guardavo, vidi la Terra come fermarsi dal suo roteare e mi si presentò davanti, tutto il continente africano, che mi sembravano i suoi contorni, quasi a forma di cuore. Il globo terrestre, cominciò a fare un movimento di, abbassamento, piano piano, e rimase così, davanti ai miei occhi, l'emisfero superiore, conseguentemente. Una grandissima Chiesa di Luce, s'erse davanti a me, come sorta da tutto quell'emisfero, da un punto all'altro della sua circonferenza. Piena di guglie di Luce, di gran lunga in superlativo assoluto, al lontanissimo richiamo, al duomo di Milano. La luce risplendeva al contrasto, del meraviglioso blu elettrico vivo, dell'universo. Ero ormai conscia, che i miei occhi umani, registravano cose incredibili a pensarsi, ed in piena coscienza e presenza intellettiva. La forza misteriosa che sentivo dentro di me, e che non mi apparteneva, mi fece alzare di un altro poco il capo. Ma, ecco; discendere dall'alto universo, in quel meraviglioso blu, la "Regina dell'Universo" Grande Immensa, che riempiva tutto lì Cielo. Oh! certo, non ci sono parole, espressioni, per dire questo. Ma mi ci devo provare, perché devo.... Sembrava che la luce del sole e della luna, fossero fusi e insieme per formarla. La Grande Madre, direi, planava, con lenta solennità. Era tutta vestita di Luce Candidissima. Il nastro di cui era cinta, spiccava ondeggiante nel moto della discesa, nel suo colore azzurro chiaro, ed io vedevo che era di seta e bello. I piedini, le manine, tutte di Luce. La "Madonna" empiva tutto il Cielo. La sua figura, non era longilinea, ma al contrario. Come una Madre, una grande figura maestosa e solenne imponente. Il vestito sulla Persona, era liscio, bianchissimo, leggermente increspato in vita, per via della cintura di nastro.

 

 

 

 

 

 

Santa Maria Novella, o nuova Maria – FIRENZE

 

 

 

 

 

 

 

I miei occhi guardavano ora il manto, immenso, grandioso, tutto di Luce, disegnato, vorrei dire, damascato a sbalzo, cioè con i disegni in rilievo. Il suo Viso non lo descrivo. Ci sarà tempo, poi, quando capirete. La "Regina dell'Universo" scendeva dall'Empireo, sulla Terra, e io vidi che prendeva sotto il suo manto, quella fantasmagorica Chiesa di Luce, su, menzionata. A questo punto, io fui costretta ad alzare di più la testa, che avevo già alta. Ebbene, mi stava passando il manto, proprio sopra la testa, all'altezza di circa sessanta centimetri. Vidi il rovescio del manto, che era di seta crespo, celestino, chiaro, chiaro. Sentii il fruscio delle sete, e poi mi cascò dietro le spalle, con un tonfo di sete pesanti appunto, che mi parve facessero un rumore come: brunf! A quel rumore, in quell'attimo, io sbattei le ciglia, e... mi ritrovai presente di nuovo in chiesa, in Santa Maria Novella, a Firenze. L'Apparizione era finita! Con questo, l'Eterno Benedetto, mi ha fatto capire, che non dovevo più temere che le cose non venissero da lui. Era il giorno martedì, otto dicembre millenovecentosessantaquattro, giorno della festa dell'Immacolata. Rividi la gente, dove ero venuta per assistere alla S. Messa. Non ho gridato, ero come controllata da qualcuno. Mi trovai a pensare: chissà quanti l'hanno Vista!?, nel mondo! Forse tutti!? o, quasi. Poi ho cominciato a sentire, profumi deliziosi, che m'investivano, per conferma, e cominciai a balbettare silenziosamente tra me e me "So che Sei qui!, so che Sei qui". (Non sapevo ancora, che dicevo una cosa esatta. Veramente vera. Lei era nel mondo!) In seguito dirò. Dopo aver pregato coi miei pensieri, e ringraziato, la messa finiva ed io uscii con tutta la gente, verso Via degli Avelli. I profumi non confondibili, mi fluivano addosso, ad intermittenza, accompagnando il mio andare confermando.

Dovevo come tutti, andare a casa. Mi ritrovai nella giornata gialla di sole, che mi faceva contrasto, con il blu elettrico vivo che avevo visto benedettamente. Che gioia! Non si immaginerebbe mai. Passando, costeggiando alla caserma dei carabinieri, vidi che il muro, mi appariva tantissimo rarefatto, quasi ch'io avessi potuto cacciarvi dentro le mani a diritto. In quel momento, "LEI", voleva dirmi, che la Realtà che avevo visto, era quella che contava, era la Realtà Superiore!, questa terrena è semplicemente quella fittizia. Cosa mi era accaduto a me? in piena coscienza?! Bontà Infinita!, La dinamica dell'accaduto, mi si manifestava dunque con rara chiarezza. Che stupore!!! Il mio spirito, era stato tratto al di fuori dell'atmosfera terrestre e oltre! Proprio così, vedevo il cielo come lo vedono gli astronauti. Vedevo il pianeta Terra, come lo vedono loro e direi anche di più, cioè con una visuale di esso più vasta, e soprattutto più profonda in sé. Era troppo stupendamente bello ciò che mi era accaduto di contemplare, e se anche non subito, io ne avrei potuto capire l'intendimento Super, il tempo di poi, dopo anni, me ne avrebbe fornita chiarezza. E così è stato. Dopo, dirò, opportunamente. La domenica di poi tornai in quella chiesa. Con qualcuno dovevo parlare di questo. Non avevo un confessore particolare, poiché erano le sporadiche volte che facevo questo passo perciò andai a caso. Capii, che era uno dei superiori dei domenicani, che fungevano in detta chiesa. Mi ascoltò, e poi mi disse di tenere la Cosa per me. Io so, che poi pensai: è impossibile, che questo, sia solo per me. Non può essere! Quel confessore andò poi a Lourdes, ed io lo vidi in (chiaroveggenza, spontanea), che mi esortava da lontano ad avere coraggio. Forse intuiva le sofferenze, che si sarebbero presentate, sotto diversi aspetti, sull'altro piatto della bilancia. I patimenti e le angosce e i dolori, sono sempre pronti, anzi sono certamente già stabiliti per ciascuno di noi, per la nostra evoluzione spirituale. Al tema di cose che mi erano fatte vedere, avrei riflettuto dopo. Lo dissi dopo un certo tempo a due o tre persone in tutto, poi mi rammaricai in cuore per aver parlato. La Madonna mi venne in sogno e mi disse " Ma, qualcuno bisognerà pur che parli". Al che, poi mi tranquillizzai, e cercai di stare serena. Vivevo comunque in un'onda invisibile, ma intuita, che non so che onda fosse. Ma, com'era bello essere insita in essa! Vedevo cose lontane, come paesaggi città trasparenti, crepuscolari, impermeati di luce bianca. Ero io?, ma dove ero? Oh!, sì, sì, sì...

Il manto!!! Gli effetti vivi! Grazie, Signore PADRE - MADRE!

Ci avvicinammo ai tempi del Natale, ed io ebbi un'altra visuale, che per me era come una vera e propria immagine vissuta all'istante, cioè, (non riprodotta). Allora vorrei dire, che fui forse proiettata indietro nel tempo, di circa duemila anni perché mi trovai di fronte ad una notte particolare, e mi trovai davanti agli occhi la "Stella dei Re Magi". Fui attonita dalle dimensioni, e la potei rimirare come da vicino, e a lungo e non è la stessa cosa, come non averla vista. Poi mi sono ritrovata in camera mia in piedi, e mi resi conto di aver vissuto lo spazio ed il tempo insieme. Ero volta verso sud, erano poco più le ore diciannove, ed io avevo le persiane chiuse. Venne la primavera del 1965, e un fatto increscioso e terribile, capitò a cinque dei nostri missionari in Africa. Li uccisero tutti questi buoni, che erano andati lì, per fare il bene, e solo il bene. Ho capito perché nell'Apparizione dell'otto dicembre 64, avevo visto fermarsi il roteare del globo, con il continente africano, davanti a me. La "Grande Madre Celeste" senz'altro voleva intendere; prega per l'Africa, che le cose sono gravi, e molto e molto, e poi...e poi...

Per pregare appunto mi recai a fare la Comunione, un mattino in S. Maria Novella, a chiesa quasi deserta, questa volta. Fatta la Comunione, mi misi a pregare semplicemente, proprio per i missionari. Improvvisamente mi avvenne una cosa, che non m'aspettavo davvero. Mi sentii, di un subito, investire e penetrare per tutto il corpo, dagli Spiriti dei cinque missionari uccisi in Africa. Erano arrivati alla soglia della mia anima, e si erano fati riconoscere. Avevo avuto una sensazione di grande freddo, senza capire il perché, ma devo dire che era così. Pregai, soffrii. Tornando a casa, mi dicevo perché?, sono forse un poco medium? Se non ci penso nemmeno! Cose spontanee, poiché io non le cerco, la mia vita scorreva come sempre, oberata e carica di lavoro. Mi telefonò mio fratello Mario, che il papà era all'ospedale.

Partii al sabato pomeriggio in treno per Udine. Arrivai alla stazione, alle ore ventitre. Scesa dal treno, folate di profumi mi attorniavano. Profumi di quelli, che io già conoscevo. Compresi che la Madonna mi accordava la grazia di rivedere il mio papà, prima di perderlo. Andai all'ospedale e lo trovai che era assistito da mia sorella Pia. La Pia mi chiese di stare io a darle il cambio, e a me non parve il vero di essere lasciata un po' sola con mio padre. Lei s'allontanò, ed io potei parlare col papà, occhi negli occhi, le cose più belle che da tanto tenevo nel cuore di dirle. Lui mi capiva benissimo, anche se non poteva più parlare, perché purtroppo le cose precipitavano Mi guardava con grande espressione negli occhi, e un lieve contento sul suo viso, quasi a sorridermi. Era quello che desiderava, di vederci tutti prima di morire. Sapevo quello che desiderava, io lo sapevo. Chiamai un frate, che le fece le unzioni sacre. Lo vidi rasserenato. Pregai tacitamente in unione a lui, che mi aveva insegnato ad amare la Madonna. Arrivò poi di nuovo la Pia, che fu contrariata del mio agire. Si sa, nel mondo, siamo tutti diversi. Il Creatore ci ha voluto così. Subito dopo arrivò anche mia sorella Franca e suo marito. Non vollero per niente lasciarmi col papà, e decisero di portarmi a Tricesimo a dormire. Loro abitavano allora, sopra la stazione. Loro due tornarono all'ospedale, ed io andai a letto. Dopo un po' di tempo mi svegliai, e andai in cucina. Avevo sete, dovevo bere. Mi trovai a pensare: Dio mio, sto bevendo come quando è morta la mia povera mamma Maria Valeriana! Sentii uno scalpiccio sulle scale. Erano loro. Mi affaccio per chiedere qualcosa, e mi prevengono "Vai, vai a letto, domani andiamo dal papà. Non è successo niente". Non era vero. L'indomani me lo dissero, e andammo a rivedere il papà. Com'era bello mio padre, anche così, purtroppo. Lo raccomandavo alla Madonna. Le cose dovevano procedere, ci pensava il mio fratello Mario (Suo Beniamino) ci pensava a tutto lui. Non voleva lasciarlo a Udine, e si adoprò per portarlo su a Moggio. A Moggio, in piazza Glerie si riuniva il funerale per dipartirsi su su verso Moggio di Sopra. C'erano le bandiere, tante. Molti gruppi venuti su, dai paesi del Friuli. Da Tolmezzo, dalla Carnia, da Gemona, e da altri paesi. Tutti i gruppi con le bandiere. Tanta gente, tanta, che io non avrei mai immaginato. Come era conosciuto il papà, lungo il Friuli! Io ero assai stupita di vedere tanta gente, e tante bandiere. E siccome sentivo a tratti, i profumi che conoscevo, pensai fosse la Madonna a permettere che il mio papà, ricevesse così tanti onori, compreso i discorsi. Passando dalla piazza del Comune, c'era la bandiera alla finestra dell'ufficio del Municipio, dove lui aveva lavorato tutta la sua vita. Tornai giù a Firenze quanto prima, - poiché il lavoro mi aspettava, in ceramica e in casa. Era sempre il periodo che io dormivo in cucina. Per una quindicina di giorni, tornando dal lavoro al mezzodì, si manifestava una grossa sfera di circa quaranta centimetri, che si librava a mezz'aria nella cucina. Era lattiginosa, senza un contorno fisso. Rimaneva in cucina anche di mezz'ora. Contemporaneamente, sentivo un forte odore di sigaro toscano. Mio padre fumava proprio quelli. Sapevo che era lui. Ne intuivo fortemente la presenza. Finalmente aveva voluto, poteva stare un po’ con me. Come ho detto una quindicina di giorni, durò la sua presenza, finché la grossa sfera diventando sempre più bianca, sempre più bianca, prese la sua dissolvenza per il posto che le era destinato. L'ho sognato alcune volte. Ultimamente ho sognato, che mi chiedeva di procurarle una nuova camicia (cioè, reincarnazione), ma non la trovavo al pian terreno, allora mi sono rivolta su al primo piano, (primo cielo). Ebbi così la conferma; "tra i parenti". Tutto in sogno. Venne il tempo pasquale 1965, e si usa in toscana preparare il "sepolcro" per il giovedì santo, e fare la visita delle sette chiese, per quella circostanza. Io quell'anno ero stata richiesta da uno dei sacerdoti di parrocchia, di fare un quadro per il "Sepolcro di Cristo". Il tempo premeva e mi misi subito all'opera. Comprai il compensato di spessore, in due grandi pezzi, e me lo portai in casa, in fondo alla veranda, per trattarlo con materiali di fondo, per preparazione. Mi portai poi i due pezzi, di nuovo in cucina, e messi insieme erano grandi come una parete. Mi misi a lavorare, con una specie d'incoscienza, poiché non mi rendevo conto, che non avrei potuto saperlo fare. Il lavoro era grande e pensai di basarmi al titolo della chiesa che è dedicata al "Preziosissimo Sangue", con i simboli eucaristici. Attorno a questi simboli, ho disposto, quattro angeli grandi, che superavano assai la statura delle persone umane. Adesso, devo dire la cosa, come è andata. Cominciai a sentire attorno a me, delle presenze. Mi sentivo perfettamente serena. Le presenze che sentivo dintorno a me, cominciai ad intravederle. Erano rarefatte, trasparenti, a colori tenui, e mi sorridevano dolcemente. Che pace, che pace.. Erano angeli. Io lavoravo, e m'impegnavo seriamente, e il mio pensiero era sul lavoro. Ma sinceramente non ero sola. Ero circondata da alcuni angeli, che mi aiutavano e mi suggerivano a dipingere. Non potevo ignorarli, erano lì, intorno a me. Li vedevo, li sentivo. Oh, certo, non avevano la gravosa densità umana, ma un'altra densità di essenza, come ho detto, trasparente, ma visibile, con dei leggeri contorni. Io lavoravo da tutto il giorno, e seguitai a lavorare anche la notte e loro furono con me per tutto il tempo. Ero grata. Il lavoro prosegui il dì, di dopo tranquillamente. Ormai era impostato abbastanza bene. Lo finii e lo rifinii. Risultò soddisfacente, e lo portai di nuovo giù in veranda, a vetrificarlo con una vernice speciale. Era fatto. Il prete venne con quattro ragazzi a prenderlo, e lo portarono in chiesa, questo grande quadro.

Il giorno dopo, andai a vedere come l'avevano sistemato. Rimasi sorpresa. L'avevano appoggiato all'altare, che allora non era ancora staccato dal muro. Sicché, era messo non proprio in verticale, ma obliquo, appoggiato col lato superiore all'altare. Un'infinità di fiori, e vasi con piante, erano stati messi attorno e riempivano tutto lo spazio, fino a dei scalini che sono lì presso, sotto all'altare stesso. La gente andava e veniva a vedere il sepolcro, e piaceva, il quadro con questi grandi quattro angeli, ma nessuno sapeva, che erano stati dipinti, con l'aiuto stesso degli angeli, con la loro stessa presenza in movimento, che mi circondava. Per tre anni consecutivi, fecero il S. Sepolcro, con lo stesso quadro, cambiandone la disposizione. Perché con gli anni di dopo, avevano staccato l'altare dal muro e portato più avanti, per esigenze di nuova disposizione di rito, col sacerdote volto al pubblico. Dopo con lo scambio di nuovi sacerdoti, il quadro, rimase su, su di un terrazzino interno della chiesa, sulla destra. È tuttora lì, tutto polveroso, immagino. Poi, la nuova mandata di preti, non ci pensarono più. Il giovedì santo, misero un tavolo con il crocefisso sopra, e basta. Era più sbrigativo, e nessuno si sarebbe stancato a lavorare di più, per preparare. In quel tempo lavoravo anche per la parrocchia, in Volontà della Divina Madre, che mi guidò e mi aprì la strada. Mi sarei fatta in quattro, per fare meglio e bene, il mio lavoro che infine trovai stressante al massimo, per ore, ore, ore lunghissime. Dio solo sa. Venti anni, e poi ho chiuso, per via della mia malattia. Io dunque fino allora, avevo due attività e mezza. Ero stanca, da non si dire e mi pareva proprio, di avere le pietre sulle spalle. Ed ora a proposito di pietre, ricordo di quando mi trovavo nel Convitto Olcese, la Direttrice Superiora delle salesiane, un giorno disse, mettendomi le mani sulle spalle: "Questa ragazza, cresce troppo!, bisognerebbe metterle le pietre sulle spalle!" Ebbene, fu un verdetto psicologico, che si attuò ad impieno. Infatti le fatiche, anche gravi, non mi sono mai mancate, in più, si aggiungevano malattie, incidenti da lavoro, ecc.... Io anche sentendomi male, cercavo di lavorare lo stesso, poiché non potevo contare, su nessuno. La riflessione sulle mie infermità frequenti, mi portava a reagire così, con grande determinazione, per sostenermi, durante il poi della vita. Sicché lavoro in ceramica, e in casa, tanto tanto. Ad affittare le stanze, a persone fisse, mi è capitato persone, di tutte le correnti di pensiero, e anche di religione. Non è, che potessi guadagnare a sufficienza, perché le persone fisse, fermano il prezzo per degli anni, ed io non sapevo nemmeno calcolare i consumi, per potermi regolare, fin dall'inizio. Una cosa però, riuscivo a salvaguardare, la mia esclusività ai miei necessari angoli di casa, non erano mai aperti a nessuno degli inquilini. Una volta sola, mi trovai a parlare di cose religiose, con una delle mie inquiline. Volevo che il suo spirito si risvegliasse, alle realtà spirituali. Lei era molto socievole e compagnona, ma non riusciva ad uscire dalla superficialità, anzi aveva un vero muro interno. In quel giorno stavo parlando di Padre Pio, e per l'appunto mentre le parlavo di lui, Padre Pio, si fece presente in bilocazione, in quello stesso istante, in Casa mia. Lo vedevo sorridente e in un alone di luce dorata. Teneva la mani raccolte una nell'altra, e la sua figura era paterna e amabile. Padre Pio mi guardava e mi sorrideva, ma io poi mi peritai, a parlarne con questa mia inquilina, appunto perché, mi aveva appena detto, che lei ne aveva paura di queste cose. In seguito a questo, mi trovai un giorno a chiedere in cuore a Gesù, che non morisse Padre Pio, prima che lo potessi vedere. E poi passò il tempo. Dopo un anno e qualcosa, vengono a me, in sogno, Padre Pio e San Domenico di Guzman. Sento la voce di Padre Pio, che mi dice: "Ancora poco tempo da vivere". Compreso il messaggio, cominciai a pensare come fare per andare a S. Giovanni Rotondo. Padre Pio mi tornava nel sogno, in altro modo, ecco; mi trovavo a tavola con Padre Pio, davanti ad un piatto, di non invitante minestra. Padre Pio era a capotavola, ed io, in piedi, con un pezzo di pane in mano. Padre Pio mi guarda e mi dice: "Ma, quanto è duro cotesto pane?" Io con viso serio taccio, e poi accostandomi a lui, le sbocconcello il mio pane, nella sua minestra.... Un giorno decido di partire sola, poiché, non c'erano viaggi collettivi a portata, per S. Giovanni Rotondo. Mi misi dunque in, treno, scendendo da Firenze, col percorso dalla parte occidentale. Un viaggio disastroso, a causa delle forze avverse, oscure. Ho sofferto l'incredibile. Non sto a narrarlo, poiché starei male ancora. Come avrei potuto gustare quel viaggio? Fu, direi, terribile. Arrivo a Napoli. Non vedo nulla, di quella città tanto decantata, meravigliosa, e certamente così. Mi fermo un po', solo per mangiare un cialdone di pastasciutta, impanato e fritto. Poi, prendo il treno per Pompei. Desideravo andare al Santuario di Pompei, perché da bambina, mi avevano detto che mia madre Maria Valeriana, era molto devota della Madonna del Rosario. Arrivo in tarda mattinata al Santuario. Ero in un certo modo più serena, e ricevo i sacramenti con tutto il cuore. Volevo arrivare a S. Giovanni Rotondo, con le disposizioni di spirito migliori. Riprendo il treno e torno a Napoli, e là cambio treno e mi dirigo a S. Giovanni Rotondo. Arrivo, verso le cinque del pomeriggio. Le giornate erano lunghe, ed era ancora il giorno. Vado su in chiesa, in S. Maria delle Grazie, nella speranza di vedere Padre Pio. Fuori della chiesa, avevo sentito la gente dire, che voce comune profetica?, affermava che Padre Pio, sarebbe vissuto tre volte trentatré.

In chiesa, pensai che, allora secondo ciò che avevo un giorno sentito in visione, in sogno, non era Lui che avrebbe poco tempo da vivere ma forse io. Considerai che Padre Pio era prezioso per l'umanità, per la gente, e che certo, era più giusto che campasse lui, che io, che non avevo alcun significato! Dopo aver considerato ciò, mi trovai piangente davanti all'altare, e una consolazione mi avvenne, con un gran profumo di violette, che mi avvolse come in una nuvola. Ringraziai il Signore, e Padre Pio nel cuore, ed uscii dalla chiesa per andare finché era giorno a cercare un alloggio per la notte. Un pochino più giù, nella strada di fronte la chiesa, trovai una stanza, per dormire. Ero stanca, e dopo aver mangiato alcuni biscotti e un formaggino, mi misi subito a letto, e m'addormentai subito profondamente.

Subito, la stessa notte. Padre Pio, mi venne in sogno, così. Lo vidi, che mi assisteva seduto al mio capezzale, ed io ero molto ammalata. Lui si appisolò lì, accanto a me, allora io scivolai pian piano, fuori dal letto, e nel letto, ci rimase un gran crocefisso. Andai, sempre in sogno, a pormi in nascondino, fuori dell'uscio, socchiuso, per poter entrare d'improvviso quando Padre Pio si sarebbe destato, dal suo pisolino, e farle una sorpresa. Appena lo vidi desto, così feci. Allora padre Pio mi disse: "Come il pane di ramarino (rosmarino), c'è chi vuole la mollica, chi vuole l'uvetta, e chi vuol la crosta. E chi le tocca di mangiarsele tutte e tre". L'indomani ricordai, al mio risveglio, perfettamente tutto. La giornata al mattino, mi si prospettò direi difficile. Dicevano le persone, che erano lassù, che potevano passare anche otto giorni, prima di potersi confessare da Padre PIO. Se poi eravamo appena confessati, Lui non ci avrebbe confessati prima di otto giorni. E bisognava mettersi in coda. Quasi mi preoccupavo, pensando che non mi potevo trattenere tutto quel tempo. Però qualcuno, si ritirò dalla coda e mi cedette il posto.

Così quel giorno stesso feci tutto quel che speravo. Poi, il giorno stesso mi misi in viaggio di ritorno per Firenze.

Passai col treno dalla parte adriatica. Mi pareva di volare, mi sentivo leggera e tranquilla. Strada strada, penso di fermarmi a Loreto e così feci, poi proseguii. Sul treno per Firenze dormii quattro ore difilate. Dopo alcun tempo, passati mesi Padre Pio morì e tutti lo ricordammo con tanta affezione. Io tornai al lavoro, e tutto al solito pesantemente. La Bontà di Dio mi soccorreva anche sensibilmente, come in questa visione in sogno: sogno dunque, che trascinandomi a fatica, vado su, per una montagna scoscesa, ripidissima. Ero addirittura per terra. In cima al cucuzzolo della montagna, vedo a sedere tutti in cerchio, gli appostoli con Gesù. Li vedevo di schiena, ed io mi trascinavo su. Ad un tratto, Gesù si volta verso di me, che salivo con tanta fatica, e mi tende la Sua Mano destra per aiutarmi. Mano benedetta! che io afferro, ricevendone tutto l'amore. Poi, a questo punto, mi risveglio.

Il coraggio di vivere la vita, ci viene da Lui, perché Lui, è la Vita. E se la nostra povera vita è così dura, da chi andremo se non, da Lui. Oh!, il Signore è, è, è, anche severo all'uopo. Un giorno che, trovandomi afflitta, per un qualcosa che ora non ricordo, mi misi a pregare Gesù, nella mia stanza. Ecco: ammutolita all'istante, sento una voce forte e chiara, calda e severa, maschile, che mi parla proprio dentro il petto, e mi dice testualmente: "Esci, da te stessa!" Il tono di quella voce, era corposo, come una qualsiasi voce umana, bella, maschile. Il mio cervello mi registrò questo pensiero; mi ha parlato Gesù! Era la seconda volta. E questa, non in sogno. La prima, fu in sogno, quando risposi al trillo del telefono, dove, Lui, Gesù si presentò, e il tono fu dolcissimo, io non sono una persona ilare per solito, forse perché mi porto dietro nel cuore tutti i pianti dell'infanzia. Non riuscivo neanche a pensare, elaboratamente. Registravo che vedevo, che sentivo, e basta. Le visioni mi capitavano, in generale, quando non me le aspettavo, quando, non pensavo proprio a nulla, e il più delle volte, quando ero serena perfettamente. Alla sera, ero, direi quasi tutti i giorni, tanto stanca, poiché nel lavoro, non mi risparmiavo proprio. Alla sera dunque, quando andavo a riposare, avrei voluto dormire subito, ma se siamo troppo stanchi, non succede. Chiudevo gli occhi senza avere più nemmeno la forza di pensare a qualcosa. Ma anche nella calma opportuna, e volte, non riuscivo tanto subito, a cadere come si dice, in braccio a Morfeo. Il susseguirsi di fatti, mi induce a narrarli, anche dopo del tempo, anche se non cronologicamente, poiché per delle sofferenze fisiche, mi sfugge a volte, l'ordine dei tempi.

In quanto al filo principale, quello non l'ho mai perso, perché la tenuta di quello, è opera Sua, di Lei, la Benedetta! Dunque, una sequela di fatti, e di visioni si susseguirono intensamente e, da sveglia e in sogno. Vidi, entrato nell'ingresso di casa, che si trovava in quel momento al buio, l'Ostensorio con l'Ostia Sacra candida tra i suoi raggi, che avanzava librato in aria, verso di me. Si stampava quell'immagine, per sempre, dentro di me.

Il mio pensiero si fermava sul concetto, "l'ho Visto!" Non sono io persona una che ragiona molto sulle cose, per cui, presi il fatto con la più grande tranquillità, come se fosse tutto ciò, estremamente naturale.

Un giorno entro in cucina, per i miei soliti fattucci o faccenduole, ed ecco; sulla destra entrando, la parete non c'era più. C'era invece, un immenso deserto, di color ocra caldo. In questo grandissimo deserto, di cui non vedevo la fine d'orizzonte, erano sorti istantaneamente, tantissimi zampilli di acqua pura scintillante, cristallina. Erano splendidi, luminosi, e alti circa un metro. Mi era entrato in cuore un dolce contento, all'effetto di quella chiaroveggenza, ed io non so perché, la definisco tale, invece che visione. Non so perché, ma le visioni, sono pure di gamma infinita di variazioni, così come le chiaroveggenze, che io trovo stupende, bellissime con colori meravigliosi, che comunque, più di tanto, non le saprei descriverle meglio. È difficile, vanno in altre dimensioni.

Adesso racconto questo fatto, dato che per la data ne ho il ricordo sicuro. Il 21.01.65, giorno di S. Agnese, un fatto interno, è avvenuto dentro di me. Erano le ore due e mezza pomeridiane. La luce del sole irrorava pacatamente la mia stanza. Mentre mi ero coricata per un breve riposo, guardavo questa luce. Improvvisamente delle figure altissime, che io appena percepivo, mi circondarono. Mi sentii trapassare i piedi da chiodi invisibili?, ma fortemente sensibili, che io vedevo con un'altra vista. Chiusi gli occhi, ma le cose proseguivano. Mi sentii lo stesso fatto accadermi alle mani, e subito dopo, accentuate bruciature tutte intorno al capo. Aprii gli occhi, e la luce del sole era statica, la stessa. Ma io non ero più quella di prima. Quei segni erano ormai lì, addosso a me, non più ignorabili. I segni del crocefisso. Questo fatto non lo dovrei dire, perché di questi segni, quando vengono dati interni, non se ne dovrebbe proprio parlare, secondo me, proprio perché non devono vedersi. Ma ora, che sono passati anni, e che, io ho poco ancora da vivere, e che certe altre cose le devo dire, per Volontà Divina, allora mi sento di liberalizzare questo mio stesso impedimento. Nella storia della religione, si sa, per documentato, che sono moltissime le persone, nel corso dei duemila anni, dalla venuta di nostro Signore Gesù, che hanno avuto questi segni interni, e magari molti, ma meno, che li hanno avuti esterni, così, per Volontà Divina. Non so perché avviene, solo Lui lo sa, e nessuno può poi ingerirsi. Dio è Dio.

Naturalmente non lo dissi a nessuno, in più di ventinove anni, salvo una sola eccezione che forse dirò in seguito, al momento. Dunque come ho detto, alla fine di febbraio '65, persi mio padre, e ricordo caro per me di averle potuto parlare, quei pochi minuti preziosi, e anche se ormai lui non poteva più parlare, io vidi che mi comprese perfettamente e me lo fece capire.

Tornata a Firenze, io che in definitiva credevo, tra i figli di mio padre di essere più emarginata, quasi dimenticata, invece vedevo in cucina la sua presenza astrale, formata da una grossa sfera, lattiginosa e l'odore forte di sigaro toscano, che come si può immaginare, non è gradevole, ma io sapevo che era lui, il papà. Alcuni giorni in pieno giorno, per più di una mezz'ora, su di lì. Poi scompariva rimettendosi di nuovo a forma di cordone, se ne usciva da qualsiasi spiraglio della porta di cucina. Io le fui grata di questa sua presenza, poi non accadde più. Poi mio fratello Mario, il dottore, se lo accaparrò. Mi permetto ora un piccolo sorriso, ebbene sì, fu proprio così, Mario se lo prese per guida a sé. Del resto, lui era il figlio adorato dal papà, sicché va bene cosi! A me Mario diceva: "Tu hai tuo fratello (da mia madre) Sandrino. Fatti guidare e suggerire da lui". Sandrino, era perito nella guerra in Russia. Faceva parte della divisione Julia, battaglione Tolmezzo degli Alpini.

L'ho sognato accanto al mio spirito, quando stavo per morire. Molte volte io stavo per morire. La mia salute è sempre stata molto precaria, anche se la mia struttura è piuttosto robusta. Salvo il piano mentale e psicologico, poiché la mia mente era serena e tranquilla, non mi adiravo mai. Il mio corpo invece, era, ed è continuamente provato in mille modi, anche se io dimostro una gran forza, ed un gran dinamismo energetico, che ora vado gradualmente perdendo.

Ormai, ho anche tutte le mani rovinate dal gran lavoro materiale eseguito, e soprattutto dalla feroce poliartrite reumatoide progressiva, malattia infame, che mi è scoppiata dentro come una bomba, e che non s'arresta in nessun modo. In 27 anni, dal 1970, ho fatto di tutte le cure e medicinali purtroppo, ma tant'è, niente. Io so che è un karma, cioè causa - effetto, ma non so in quale vita precedente, o in questa?, in che modo, abbia prodotto tanta causa, o perché per qual fine è permesso tutto questo. Sono state giornate, mesi ed anni da urlo veramente, e calmanti a non finire. Quando decenni fa, vidi per la prima volta raffigurato "L'Urlo" in un quadro del pittore Paul Klee, sentii qualcosa nell'anima, non mi fu per niente indifferente. Intuivo che io facevo parte di quell'urlo, addirittura che io, ero quell'Urlo. Mi dissi che rappresentava le sofferenze psichiche, e di tutte le fatte.

Naturalmente non solo le mie, ma quelle di tutta l'umanità. In un certo senso, quell'Urlo mi si materializzò addosso. Si vede che sul piatto della bilancia, ci doveva essere una qualche equivalente, alle gratificazioni stupende e meravigliose che mi piovevano doviziose da Alte sfere. Tutto, serve a maturare.

Queste fluttuazioni dal dolore alle gioie e viceversa, portano in dimensioni, in campi dove il passato ed il futuro, diventano presente, e dove l'altrui pensiero, si fa manifesto all'atto stesso, del suo formularsi spontaneo, magari, a volte pure non gradito. Che scuola l'Universo! Ti accorgi, che si accorge di te, nel tuo angolino. Che ti visita con i suoi raggi e le sue onde, invisibili?, mica tanto!

Mi sono recata un giorno, al secondo lavoro, che tra l'altro per me era duro e faticoso. Dovevo stare al pubblico. Ma non era tutto questo per me un problema, che affrontavo con abbastanza serietà. Il mio solo cruccio stava nel fatto che per molte ore mi trovavo nell'ambiente con una persona, dagli umori neri facili. Non so perché io suscitassi in lei, senza volerlo, una certa avversione. Forse avrebbe avuto caro, che io fossi spiaccicata sul muro, che avevo dietro le spalle. Il mio solo cruccio era questo, come ho detto, ma per il resto ero tutto sommato abbastanza serena. Non appena arrivata sul posto di lavoro, mi avvedo di una cosa a dir poco stupefacente. Poste davanti a me, vedo delle barre luminose, disposte a X, ecco, così:

 

X X X X

XXX

 

Lunghe più o meno trenta centimetri, grosse come matite, di colore blu - elettrico, luminoso, trasparente. Le lessi con il cuore e col cervello. Erano radiazioni positive a schermo di me. Certo che non me lo sarei mai aspettato, di conoscere una simile cosa, e che per giunta avrei passato una giornata perfettamente tranquilla. Ma non era finita qui la constatazione, di radiazioni. Dopo alcuni giorni, mi avvicinai per un qualcosa, alla persona su menzionata, ed ecco presentarsi ai miei occhi, questa persona avvolta da barre, sempre tipo matite, non luminose, dai contorni non definiti e di color acqua di caffè. Compresi, erano radiazioni negative. La lezione per me, che dovevo imparare la compassione, anche se era difficile starle vicino, impossibile quasi. Ricordo una volta mi apostrofò in modo rabbioso, veemente, così: "Chi ti dice a te, che ci sia Dio?" Sentivo in cuore la voce della Madonna che mi diceva: "Ce la devi fare con lei!" È stata dura, tanti anni insieme, ma ora mi sembra cambiata. Prega, almeno ha la fede (che dono di Dio!).

Comunque, l'amicizia è un gioiello, che non sempre possiamo permetterci. E allora, quando la sofferenza ci pesa sul cuore, succede, che si sente parlare dentro esso. Così, per esempio: "Dio, Amico!", ed ecco "l'Amicizia", ecco la voce, l'affermazione, la supplica dell'anima! Casualmente ci siamo riviste, salutate volentieri, scambiando poche parole. Telefoniamoci! Ognuna di noi due avevamo i nostri problemi, e non fu così. Sono rimasta col desiderio di comunicarle, di dirle quello che sapevo. Di come stavano le cose spirituali e in che modo eccezionale, ne ero venuta a conoscenza. Non sempre è possibile il dialogo, anzi quasi mai, la futilità copre la maggior parte di esso. Allora, non c'è che comunicare con l'anima, con la mente spirituale per dire e dare, ciò che l'Universo ci ha donato, con così tanta dovizia. Oh! ma, la Parola, che gran dono!, perché non usarla? Perché non riceverla?, non ascoltarla?! Dopo il felice anno "1964", nel quale mi si manifestò, quel meraviglioso EVENTO, della discesa sulla Terra, della Grande Madre, la Regina dell'Universo, in quell'Apparizione meravigliosa dell'otto dicembre, festa dell'Immacolata Concezione, io ubbidiente al padre confessore, accettai e seguii il consiglio, di tenere per me ciò che avevo veduto. Ma, non era questa la Volontà del Cielo, poiché in visione mi apparve la Madonna, dicendomi: "Ma, qualcuno, bisognerà pur, che parli!" Allora, ho cominciato a capire. Certo! Bisogna parlare! E di chi temere? Dei negativi? Di coloro che ci imprigionano nei loro schemi, nei loro recinti? Per forza, nella terza dimensione?, senza riconoscere che ce ne possano esserne di altre?, di ulteriori? Mah! Se derisione, non me ne dovevo curare.

Cominciai con riservatezza prudentemente a raccontare le cose, i fatti a qualcuno, e per approvazione e conferma, i Cieli, mi doviziavano ancora, con tante visioni, profumi e segni.

Non ho mai coltivato molte conoscenze, un po' per natura di carattere e poi soprattutto perché lavoravo sempre, e molto. Quando ero in casa, facevo le cose che mi necessitavano, per utilità, della casa, come pacchetti, mensoline, cornici, paraventi, l'aggiustare sedie, piallare sotto le porte, ecc., verniciare all'infinito le verandone esterne, il cui ferro si sarebbe deteriorato e arrugginito se non lo avessi fatto. Stuccare vetri, muri, posare mattonelle, imbiancare, ecc... Lo dico, perché vivendo eternamente indebitata, non potevo far fare tutto ad altri. Ad altri mi limitavo di ricorrere ad estremo bisogno. "Chi fa da se, fa per tre", dice il proverbio, ma a volte si fa anche per dieci. Pure, cucirmi i vestiti, coperte, lenzuola, federe. Farmi i quadri per i muri e fare vasi e orci (dipingerli), per arredarmi la casa ecc....

Non so quanto ho lavorato. Mi ricordo che per sorridere, dicevo: "Il lavoro, sono io!"

Avevo interesse alla lettura, ma il tempo era pochissimo, allora, avevo decisamente escluso giornali e riviste, che non compravo mai. I libri - romanzo, li avevo ormai abbandonati fino dalla mia adolescenza. Pensavo che erano cose inventate e da montanara che sono, non avrei cercato in essi, l'arte dell'esporre fatti o sentimenti, e tanto meno avrei gustato la forma letteraria, essendo sgrammaticata io, per non aver fatto alcuna scuola, oltre le elementari. Oh!, i libri che mi interessavano, c'erano, e mi sembrava che una mano misteriosa invisibile li scegliesse per me. Devo dire, che è stato un filo, misterioso senza dubbio, che aveva stabilito ciò che anche gradualmente, dovevo recepire, e che mi era pure gradito. Libri di pensiero, di filosofia, di dogmatica. Me li facevo anche imprestare in parrocchia, o altrove. Una persona che possedeva una biblioteca personale di quattromila volumi, mi fece dono di parecchi libri, e riassumendo ciò che ne ricavo, il concetto principale era, la "Reincarnazione". Io non chiudevo queste porte, che mi si aprivano nuove, anche perché incolta, non capivo proprio bene, ed allora accantonavo provvisoriamente, in attesa di tornare a leggerci sopra. Erano aspetti e concetti troppo importanti, per respingere così leggermente. Dall'anno cinquecento in poi, dopo Cristo, ai cristiani era stata tolta la libertà di credere nella "Reincarnazione". Non sapevo ancora che il futuro, mi avrebbe riservato certe sorprese.

Mi capitavano a volte dei libri veramente ostici, ed io, nata ariete, facevo delle vere capate per volerli capire. Tornando ai primi dell'anno 1964, subito dopo la visione della "spaccatura del palazzo" avuta in pieno giorno, la Vergine Santa mi venne in sogno, e così, mi parlò: "Oh!, cuore rozzo. E, Bontà... di un DIO!" Investita da tanto Amore, mi svegliai. I giorni seguenti, pensai di fare un altarino, con la Sua immagine, in fondo al terrazzo, nella veranda - serra, (perché, lì?).

Fatto il piccolo altarino, andavo a salutare la Madonna sempre, quando tornavo dal lavoro. A volte là in veranda, facevo qualche quadro in pittura per arredare la mia casa. A volte andavo la notte a fare un saluto alla Madonna, e poi in sogno, vedevo che lei veniva con le manine giunte verso casa mia. Subito, in quel periodo, successe di una schiera di angeli, ma questo fatto mi prefiggo, di raccontarlo in seguito.

Adesso, narro questo: era il mese di agosto 1964 e precisamente la notte del giorno due agosto. A volte, quando avevo troppo caldo in casa, mi sedevo sullo sdraio del terrazzo, perché sapevo che non avrei potuto dormire. Fu così, che il 2 agosto alle due di notte, con mio immenso stupore, vidi passare nel cielo "l'Astronave - Madre", (lo sapevo, come?, non so).

Era lucentissima e, lenta. Era meravigliosa, e saliva dal sud lentamente, e quella sera c'erano pochissime stelle, che quasi non si vedevano. Avevo tantissimo cielo sopra di me, ed ebbi così, la possibilità di guardarla e ammirarla a lungo, in tutto il suo movimento nel suo tragitto da sud a nord, finché mi passò sopra la casa.

Ero felice, e veramente beata. Non ero però pronta a questo fatto, per cui, mi sono fatta mancare la presenza di spirito, l'accortezza, la possibilità di telefonare all'osservatorio spaziale di Arcetri in Firenze. E poi erano le due di notte, e quella decisione, non ci pensai proprio a prenderla, e l'indomani, era ormai inutile fare questa telefonata. Il vedere a occhio nudo e così distintamente, e a lungo, dato il grande percorso, "l'Astronave Madre" è stato per me di uno stupore immenso, uno spettacolo che mai più, si cancellerà dalla mia mente. Era come ho detto l'agosto del 1964, e visto ciò che mi è successo poi, l'otto di dicembre, sempre 1964, cioè la Grande Apparizione della '"Regina dell'Universo", devo proprio dire che l'Astronave Madre ne era l'anticipazione, cioè un gran Biglietto da Visita. E su di questo, il resto verrà, ampiamente esplicato, in un poi. I miei entusiasmi spirituali, mi spingevano anche a fare cose, (bambinesche) come questa, che dopo aver visto il film il "Re dei Re" mi precipitavo all'agenzia cinematografica della "Metro", a chiedere i cartelloni della réclame del film, che gentilmente mi sono stati concessi, e specialmente quello della Madonna, che appena a casa misi in cornice e che ho tuttora in camera mia. Ero felice di averla, poiché io non vedevo l'attrice, ma vedevo e pensavo Lei la Madonna e basta.

Dopo un certo tempo, quando già mi ero abituata ad averla in codesta immagine il tran tran della vita mi distraeva e mi distoglieva da tutte le parti, ecco: che la figura intera, in tale aspetto, mi appare in visione in sogno. Era bellissima e surreale piena di colore. Mi si era presentata su di un ballatoio all'altezza di un metro da terra. Vedo, che con un dolcissimo sorriso, mi porge con le Sue mani, un Gesù bambino e lo appoggia davanti a me, sulla balaustra del ballatoio. Il Gesù Bambino, che Lei mi aveva porto era straordinario. Tutto di color di rosa - pesco intenso. Un bambinello di non più di due mesi, il quale, steso nudo di schiena sulla balaustra, era più che vivo, e, si volta con la rotonda testina verso di me e mi guarda beato. Ma... sorpresa per me, sorpresa!, e quale!

Il bambino Gesù, non aveva gli occhi azzurri, ma neri e belli come il velluto. Due perle nere su un corpicino tutto rosa. E dopo aver riguardato ancora un attimo la Madonna che mi sorrideva, mi sveglio a quel punto, ricordando tutto con il cuore colmo di gioia. Ho durato poi a lungo a chiedermi ma perché il Bambino Gesù cogli occhi neri?, ma perché? Ma come era bellino, anzi bellissimo, e come mi guardava! Nel corso della vita poi, il Cielo, mi ha veramente fatto chiarezza della mia sorpresa a proposito degli occhi neri. Questo lo racconterò poi, nel suo contesto. La Grande Madre mi sprona a scrivere le cose che mi sono accadute, ed io devo, per Lei, e per tutti. Ancora, nella prima metà del 1965, tornata a casa dal lavoro in ditta, mi sento molto stanca, sicché mangiucchio qualcosa e vado a letto, intenzionata a dire prima il Rosario, a sedere sul letto. Neanche incominciato il Rosario, alzo gli occhi, e sulla parete di fronte a me, vedo un grande triangolo di poco più di un metro e mezzo. Stava di fronte a me, ma in alto quasi fino al soffitto. Un grande occhio mi guardava da dentro il triangolo, e, quando si avvide che l'avevo guardato a sufficienza, mi sparì. Pensai; è il "Padre!" Iniziai a pregare con animo grato. Ma, subito dopo pochi attimi, dove si trova la parete, che si prospetta verso il terrazzo, alla mia destra, mi si gira il capo da quella parte, e, vedo il tempio di Gerusalemme con un grande sagrato davanti, rialzato di alcuni scalini, che potevano essere sei o sette. Sul sagrato, dove io vedevo il giorno, vedo un bambino, di circa dieci undici anni, biondo, ricciolino, con una tunichetta color rosa - fiorentino, lunga fino ai ginocchi. Sorrideva sereno e si muoveva un po' con le mani e gli avambracci grazioso. Le gambine sottili e bianche ed i piedini nudi sul grigio sagrato del tempio. La scena era bella ed era avvolta in una certa atmosfera, color perla. Mi piaceva, ohh! Se mi piaceva! Ma anche questa scena scomparve, lasciandomi il ricordo di quel meraviglioso Bambino. La sopraddetta parete era lì, con le persiane chiuse, ed erano le ore diciannove poco più. Io ero sempre a sedere sul letto, coll'intento, come avevo detto di dire il Rosario. Il mio pensiero è stato questo: "ho visto il simbolo del Padre, ed ho visto il Figlio". Immediatamente decisi di non dire più oltre il Rosario, e mi sprofondai all'istante sotto le coperte chiudendo con esse anche le orecchie, e, chiusi gli occhi, dissi dentro di me: "No, non voglio tentare il Signore!" Mi addormentai subito. Ma, la Volontà di Dio, mi seguì nel mio dormire. Ecco, cosa mi accadde in sogno; di fronte, mi trovo un meravigliosissimo cancello, tutto lavorato, come certi cancelli antichi, che ancora ce ne sono. Solo che, invece di essere di ferro, era lavorato tutto con la luce, tipo luce lunare. E lo vedevo alto, grande, e sullo sfondo, la notte, per cui risaltava con maggior potenza, la gran Luce di cui era composto. Era un incanto, bellissimo, ed io lo guardavo beandomi. Ad un tratto, quasi nel mezzo di quel "Cancello di Paradiso" si apre una finestrella, di circa trentacinque centimetri. Era del tutto quadrata. Con mia sorpresa e gioia, vedo volare e posarsi in detta finestra, una Colomba candidissima di Luce, più luminosa ancora, e di molto, del Cancello. Si muoveva con grazia, tenendo il capino ritto sul collo mentre lo girava verso me. Che bella! Talmente bella! E luminosa, tutta Luce, che io rimirandola emozionata, mi destai, rimpiangendo di non aver dormito ancora per rimirarla. Erano le quattro del mattino, e non dormii più per quella notte ormai. Ringraziai la Santissima Trinità, che mi aveva beneficata della Sua Presenza, e mi misi a pregare colle lacrime a fior di pelle, dalla commozione.

Ho capito, che quando, Dio delibera la Sua Volontà, non c'è nulla che potrebbe impedirglielo, neanche mettersi sotto le coperte. Sono stata molto contenta, anzi proprio felice, per la Dovizia di cose che mi stavano accadendo, e pensai che l'unica cosa era di abbandonarsi a Lui, in tutto e per tutto. In tutti gli avvenimenti di queste cose, ho notato che avvenivano quando ero in uno stato di grande serenità interiore. I giorni si susseguivano tra il lavoro uno, il lavoro due, e il lavoro tre. Passò la S. Pasqua, e venne il giorno delle Pentecoste del 1965. Io come di consueto, alla domenica andavo senz'altro in chiesa. La festa delle Pentecoste, viene sempre di domenica, circa quaranta giorni dopo la Pasqua. Quella mattina di sole, andai alla S. Messa al Preziosissimo Sangue, alle ore undici. Il sole filtrava dalle alte finestre, situate a sud, e creava in chiesa una luce pacata. Il rito era seguito da tutti in gran compostezza e silenzio. L'elevazione. Ecco cosa mi accadde in quel momento: mi sentii improvvisamente avvolta, in un Vento forte forte, che, per l'appunto si sprigionava anche da dentro me. Questo Vento fortissimo, si diparti a mo' di fiume, veloce ed impetuoso, verso, la ??? CINA...

Nel subito di questo effetto, mi volto a guardare le persone che stavano ai banchi accanto a me. Erano tutte impassibili, e sul loro capo, non si muoveva nemmeno un lembo del loro velo. Sorpresa, mi trovai a riflettere; come? per me? il Vento? lo Spirito Santo? Fino alla Cina?!!! Che fiume di Vento! Come faccio a capire questa cosa? Misericordia Signore! Nessuno si era accorto di niente! Il sole ci avvolgeva con i suoi raggi frangenti dalle finestre, nella sua luce dorata. Per me, no, non era una giornata come tutte le altre. Chi mai avrebbe neanche pensato, alla Cina?! La Pentecoste! Ma quel Vento, io lo vedevo anche. Era, sì, a mo' di fiume, ma non piatto però!, era come un grossissimo cordone, dello spessore di circa un metro e mezzo più, di raggio. Nel suo impeto faceva dei flutti, come fa il mare. In un baleno, raggiunse la Cina. Non raccontavo a nessuno o quasi, queste cose. Pensavo al lavoro e lo ritenevo il massimo dei doveri. Il lavoro lo accettavo come purificazione come espiazione, ed anche come gioia. Tutto mi si moltiplicava dalle mani, i vasi e le statue dipinte. Nel lavoro numero tre, mi erano uscite dipinte in un giorno ben diciannove Madonne, abbastanza grandi, in ceramica. Troppo, qualcuno, non mi approvava. Sbilanciavo, cogli altri, e creavo perplessità, io non mi rendevo conto, della mia stessa velocità. Lavoravo e basta, come un motore che non si ferma mai. Problemi in casa sorgevano sempre, impatti, decisioni, eh? Sennò. Questa è stata una casa avversata anche dagli elementi. Infatti gli uragani mi hanno arrecato danni e fatica da morire. Ho avuto, dieci allagamenti dall'esterno, ed uno dall'interno per rottura di tubi. Il vento mi ha divelto per ben tre volte il tetto della grande veranda serra, che sta in fondo al terrazzo. L'altro tetto, dell'altra veranda a ridosso del palazzo, anche quello è stato rifatto dopo la prima volta, altre due volte, perché doveva essere tolto per farne la facciata, e finalmente l'ultima volta l'hanno restaurata di fondo e bene. Ed io, a rifare il tetto, con conseguenti, super fatiche. E le pietre sulle spalle. Tra i susseguirsi di un anno e l'altro mi trovai ad un periodo sotto pasquale, ad andare alla sera alle ore ventuno, per pregare collettivamente in chiesa, qua vicino. Nell'entrare in chiesa, presi una paura terribile, non me l'aspettavo. La chiesa era all'interno, in buio totale, nerissimo, spaventoso, un silenzio assoluto. Tutto questo lo avevano stabilito per rito, appunto da settimana santa. Io non l'avevo mai vista una cosa simile e come ho detto, presi tanta paura da fare una fuga immediata. Ma come avevano fatto a inventare di fare una cosa simile? Avevo intuito che la chiesa era piena di gente anzi zeppa, e nemmeno una candela accesa. Avevo sentito durante il giorno, molte persone dire che ci sarebbero andate, ed era così. Ero scioccata, cercavo di capire. Sì, volevano fare un buio pasquale!, e ci sono riusciti, peggio di così, la chiesa non poteva essere conciata. Stavo male, dall'impressione. Che buio, che buio nella chiesa! Ma che buio infernale! Che spavento che ho preso! Non l'avevano mai fatto un buio così. Significava, oh significava. Ma era presto, perché capissi. Dopo quella terribile notte dentro la chiesa, che mi aveva sì tanto spaventata, passati dei giorni ebbi una visione; vidi la resurrezione del Cristo Gesù dal sepolcro, e a questo punto lo potrei disegnare e dipingere, ma non lo so descrivere, anche se l'ho ancora davanti agli occhi, della mente.

Oh!, le prove della vita sono tante, non mancano mai. Persone difficili, aggressioni psicologiche, superamenti da fare, di ogni fatta. È un continuo lottare, che si assommava alle fatiche. Beh! Una notte, sogno che mi trovavo nella chiesa, tipo quella vicina parrocchiale. I muri della chiesa dentro erano bruttissimi, pieni di teschi di morti macroscopici, e sembravano fatti di cartapesta, orribili. Vedo dentro la chiesa, dei religiosi, che cuocevano in un forno a fuoco, con delle lunghe pale, delle bistecche (sui morti?). Io chiedevo a qualcuno da mangiare, ma nessuno me ne dava, (non potevano!), non avevano il cibo per me. Allora vado un po' più in là, dentro la chiesa sul lato sinistro, e vedo un banco, tipo tavola calda, dove ci sono dei piattini con insalata. Io avrei voluto che qualcuno mi avesse dato da mangiare, ma nessuno me ne dava, (non potevano!).

Ma, perché? Fu molto triste per me tal sogno. Nella chiesa, non mi davano da mangiare. Ma allora, cosa manca? Per l'opposto un'altra notte in sogno mi trovo alla bottega di falegname a Nazzaret, dove lavorava San Giuseppe e Gesù, dodicenne. Finito il lavoro s'incamminano per una stradicciola verso casa, ed io dietro. Guardo S. Giuseppe e Gesù che camminano avanti a me. S. Giuseppe dice: "Figlio, precedimi a casa". "Sì, Padre". E Gesù veloce, va avanti. Mi trovo dopo un po', nella casetta di Nazzaret, e, Gesù era, adulto, maestoso. Intravedo a sedere su di uno sgabello la Vergine Maria. La stanzina era misera e semplice. C'era un tavolo con sopra delle bustine di caffè solubile in tazza. Mentre le guardo. Gesù dice: "Verranno tempi, in cui ci sarà il caffè solubile in tazza". Io penso, che Gesù abbia fatto essere le bustine del caffè, per farle gustare alla Madonna. Io stavo tanto bene in quella casetta, tanto bene! Guardo fuori dalla porta aperta, e vedo il cielo, tanto, con, una enorme caffettiera "Moka". A tal vista, comincio a gridare: "Uffa!, Uffa! la modernità! Uffa!"

Mi sveglio. Da allora ho cominciato a bere il caffè, come consiglio. In quel tempo feci anche un altro sogno, che era una vera chiaroveggenza vedo due bare di legno color marrone, e mezza bara bianca posate davanti all'altare in chiesa, nella parrocchia accanto. Vedo poi il parroco con la tonaca nera a bottoncini, alla sinistra di chi guarda l'altare. Ha il viso molto afflitto, e tiene alto un calice, mostrandolo alla folla che riempiva la chiesa, e che io interpreto dolore. Finito il sogno, durante la giornata, verso sera mentre mi aggiro pensierosa nella mia stanza e saranno state le ore diciotto, quindi in stato di veglia certa, mi appare, colorato, concreto, sorridente, a mezzo busto, il giovane pianista della parrocchia. So che si chiamava Roberto Gaeta mi dico; come, lui?, che c'entra col sogno? Si è fatto vedere da me, che non ho mai scambiato con lui, neanche una parola, mai! Ma è vivo! Che io sappia. Non so nulla, forse? Sorridente, diafano, direi proprio luminoso, mi guardava intenzionalmente con grande amore, ed aveva dei fiori in mano.

Non riuscivo a collegare la visione al sogno, invece, la mattina seguente andai alla messa e vengo a sapere tutto, purtroppo. Già, in chiesa c'erano due bare scure veramente! E la bianca?

La mezza bara bianca? Non c'era. Vengo a sapere questo; due ragazzi, i fratelli Gaeta, uno dei quali, il pianista della parrocchia, erano andati sulle montagne della Toscana, a fare una gita, loro due, con la fidanzata di uno dei due, con altro gruppo di amici gitanti. Loro tre si erano scostati di pochi passi dal gruppo, ed è successo la disgrazia. Precipitarono tutti e tre in un burrone. Questo è il fatto. Ricuperati i corpi, dagli amici di gruppo, furono trasportati o fatti trasportare in ospedale. La ragazza fu salvata, dopo giorni di coma ecc... Ecco, la mezza bara bianca. La ragazza si è salvata, era candida, come i due fratelli del resto. Io non ho saputo più niente, ma ho visto spesso i genitori dei due ragazzi, col loro dolore chiuso nel cuore. Erano figli unici. Io non ho mai parlato con loro. Non c'era confidenza, non avrei mai osato, non ne avevo il coraggio. Così non ho potuto mai parlar del fatto, della chiaroveggenza in sogno ed extra sogno, del meraviglioso candido giovane Roberto Gaeta. Fu un vero dolore per i parrocchiani. E per il parroco. Rimasi dunque sorpresa ed allibita.

I giorni seguenti erano copiosi di chiaroveggenze. In una di queste, mi fu mostrata una collina, che vedevo vicinissima e quasi a raggiungerla con una ventina di passi. In definitiva mi veniva fatta vedere, una notte particolare, molto particolare. Dunque, il giorno, non c'era, e non c'era la luna, ma io vedevo tutto in quella notte persino il più nascosto dei fili d'erba, che coprivano come un tappeto la collina. Il colore era smeraldino sulla tonalità salvia. Era una notte bellissima e nuova, che non avevo mai visto così sulla terra. L'aria era come un cristallo, ed io guardavo nella sua trasparenza. Una leggera brezza pettinava dolcemente l'erba. Sul fianco della collina, vedevo una piccola casa col tettino rosso, ed era notte! Ma che bella quella notte! Era una vera consolazione all'anima mia che si nutriva di così bel vedere. Avevo la sensazione di essermi lavata dentro e fuori. In quel tempo feci pure un sogno. Sognai un'altissima montagna a tre grossi picchi sulla sommità. La vedevo contro luce verso il cielo. Sapevo, non so come, che quella montagna era la montagna della S. S. Trinità. Io dovevo salire salire, fino in cima, ma le rocce erano ripidissime, verticali e scure. Allora con grande difficoltà arrivai a circa un terzo della montagna, e lì trovai un piccolo ripiano e mi potei assestare in piedi. Mi accorsi che lì sul ripiano c'era mia sorella Franca, la quale cominciò a dissuadermi dal proseguire, e faceva a me proprio imposizione di impedimento, proprio a forzatura. Alzai la testa per rimirare i tre picchi trinitari e mi consolai, per lo meno a vederli. Sapevo che era un'impresa impossibile, ma la montagna mi era amica e mi proteggeva. Era in assoluto verticale, e guardandola, mi risvegliai serenamente.

Non so come tra il tanto lavoro che dovevo fare, trovavo anche il tempo di leggere. Ero conscia di non sapere niente, e di avere bisogno di istruirmi almeno un po', un'infarinatura diciamo. Chi ha tante scuole, studia tanto anche tantissimo, sa poi tutto? Non credo proprio. Mi misi dunque a leggere (non studiare) la storia della chiesa e la vita di alcuni Santi, la Bibbia (che lessi tutta d'un fiato, 22 giorni) ma, con tanto amore. Fu così, perché ero ammalata, malattia, più che opportuna in quel caso. Leggevo l'Iliade, l'Omero, la Gerusalemme Liberata ecc... Tra i libri che avevo letto in quel periodo, mi colpì uno in particolare (doveva?) dal titolo: "Principii Divini", di Sun Myung, un cattolico – cristiano profeta dell'Asia, figlio di pure cristiani asiatici.

Anzi per il vero, fu un concetto solo, una frase sola che mi sorprese e mi interessò, ed era che sulla Terra, sarebbe disceso lo "SPIRITO SANTO" in forma femminile. Non capivo come, non riuscivo a rendermene conto, ma sentivo che era una affermazione vera, che era possibile. Mi entrò in cuore una fortissima sensibilità di questo. Oh!, DIO, è DIO, DIO! Da allora sono passati tanti anni, forse più di venticinque. E la Sorpresa la ebbi, eccome! Ma ancora non lo dico. Dopo, dopo. Ma ecco arrivare per me, periodo nero. Cominciarono ad accadermi, un fuoco di fila di sventole. Mi feci delle punture di calcio, che disgrazia mi andarono ambe in suppurazione, e perciò ventidue centimetri di squarcio, naturalmente ricoverata. Non dire delle medicazioni, con tutta quella garza che di volta in volta cacciavano dentro. Giorni e giorni. Poi, si sa chi non fa nulla, ne scansa tante.

Ma io non ero nullafacente. Tornata a casa, per risolvere cose, inavvertitamente misi un piede sopra un asse, con un chiodo ritto arrugginito, forandomi a dovere, e poi relativa antitetanica. Oh! Non era la prima. Poi, per pulire in terra nella veranda - serra, mi si girò una rete da letto, che avevo depositata laggiù, e posta in verticale, e col suo piede di ferro mi sparò sulla tempia sinistra, cascandomi addosso quasi mi ammazza. Meno male che il piede della rete era rotondo e un po' schiacciato, sennò mi andava assai peggio. Ogni tanto, come conseguenza, sento ancora questo colpo. Infine, infine, mi punse un ragno nero, piccolo e peloso. Giorni prima forse avevo io ammazzato per paura la sua partner. Era il suo turno, mi passò sul fianco del piede destro e mi fece quattro morsi ad arco, tanto che sembrava che avessi il morso di un cane.

Sentii un dolore terribile, e guardai il mio piede. Vidi il ragno nero e peloso allontanarsi. Si era ormai fatto giustizia da sé. Troppo tardi, feci viottolo su e giù dall'ospedale, e non risolsi neanche quando omeopaticamente assunsi per via orale l'aranea (medicina di ragno forse uova, non so).

Mi portai questi morsi per lunghi anni, poiché il veleno ragno è veleno vivo e terribile. Poi mi accorsi che attiravo quei piccoli ragnetti tigrettati. Mi saltavano addirittura addosso. Nove volte fui punta, forse sentivano in me il fluido – ragno. Un giorno ero in attesa dell'autobus sotto un lampione. Alzo la testa, e vedo un lungo filo di tela di ragno, con attaccato in fondo il ragno stesso. Si buttava in picchiata sopra di me. Oh!, noo, questo è il colmo! grido scansandomi.

Tra i lavori, io collaboravo anche per la parrocchia, in fondo vivevo nella cattolicità, con tutta la sincerità, e la mia spiritualità si formava nei vangeli, e nelle preghiere conosciute da tutti. Mi accadde però verso un Natale, di andare a visitare il presepe nella chiesa di fronte alla stazione di Firenze, cioè S. Maria Novella. Il presepio era posto alla destra, in una nicchia grande, in prossimità dell'altare, all'ala destra dell'altare maggiore. Io mi recai lì davanti, solitaria, infatti la chiesa era poco o niente popolata in quel pomeriggio. Dunque lì davanti al presepe mi trovai sola e tranquilla senza distrazioni. Seguivo i miei pensieri sul bambino Gesù.

Improvvisamente, alla mia sinistra, inginocchiato a distanza di circa un metro, vedo un monaco tibetano, vestito color arancione. Lo guardo e lui mi guarda sorridendo molto amabilmente, e mi proietta intensamente con forza il suo pensiero, questo: "Come vedi, anche io vengo ad adorare Lui, il Cristo Gesù!" Lo guardo ancora e vedo che sorride, mi guarda, mi imprime in mente la sua fisionomia. Non l'avrei dimenticato mai più. Lo vedo scomparire ai miei occhi, nell'alone dei suoi drappi arancione. Non potevo sapere chi era, o capire, allora non ci pensai più molto. Ma, non passò molto tempo, che un giovinetto bruno, capitò dove io lavoravo in parrocchia. Aveva tre libri sul braccio e voleva venderli. Di primo acchito, senza osservarli, dissi che non li volevo, ma poi, intravidi una foto sul retro del libro. Era Lui! il monaco arancione che mi era apparso in Santa Maria Novella. Allora! Voleva proprio farsi conoscere! Dico al giovane: "Faccia un po' vedere questo libro?" Vedo! Ma è proprio lui! Leggo il piccolo brano, quello che scrive, ed anche il suo nome: "Swami Prabbupàda Bhaktivedanta", ed esclamo: "è questo! è vivente!" ho capito che in chiesa vicino a me, Lui, era in bilocazione, come succedeva per Padre Pio. Feci aspettare il giovane, ed andai a casa a prendere i soldi, e così li comprai tutti e tre i libri, e poi pure il disco con le musiche del mantra religioso. I libri erano, "La Bhagavad-Gità", il "Libro di Krisna", e "Srimad Bhagavatam".

Li ho scorsi, diciamo anche letti, senza per questo pretendere di poter capire a fondo. Non ero decisamente adatta a comprendere queste forme di espressione, ma qualcosa di valore importante, avevo intuito. Avevo capito che lo spirito di Swami Prabbupàda, era uno spirito elevato, assai, e seppi che Lui aveva tradotto molti suoi libri, in cinquantadue lingue. Io avevo letto anni prima dei libri sulla teosofia e sulla reincarnazione di (Annie Besant).

Non sapevo se fosse così, non avevo sufficiente chiarezza, così non mi sentii mai di chiudere queste porte, e respingere il concetto. Era possibile. Dopotutto, sotto il cielo, c'è di tutto. Un giorno, non ero sola in casa, c'era con me una signorina, ed a me mi apparve in visione "Maometto" a busto grande, e con il turbante bianco. Aveva i baffi neri. Mi guardò vivamente e significativamente. Mi fece comprendere col pensiero, che le stavo a cuore e mi sorrise, poi scomparve. La signorina che era presente con me in casa, non aveva visto nulla, sebbene io subito le indicai il punto, descrivendo la grande figura che vedevo. Io non ho mai letto il Corano, e non ne sento la curiosità e il bisogno. Io so, di non cercare queste cose, avvengono spontanee da sé. Anzi, quando proprio non penso a niente, e sono serena come acqua di lago, ecco che mi accade di tutto. Distanziato nel tempo, altro fatto, per me molto importante.

Poiché io, in piedi e da sveglia, ho visto concreto in casa mia meraviglioso, solenne, stupendamente vestito, con drappeggio color granata, il Buddha. Era alto come una persona e mezza. Imponente, molto imponente.

Portava una mitria, tipo triregno. Mi ha parlato dieci parole, ed era una cosa che dovevo capire solamente io. Col tempo ho capito, il doppio significato della frase. Mi aveva voluto dire, due cose diverse, con una frase sola, e la mia riflessione si fermava su di un punto: "Come mai le religioni vengono a me?" E, per altro, come mai più e più mi sono trovata proiettata nell'Asia? Non sapevo quale risposta potessero avere le mie domande.

Nel novembre 1966 ci fu la disgrazia dell'alluvione a Firenze, ed il palazzo dove io abito, appena rialzato di sei scalini, aveva le cantine piene d'acqua e fango, con tutte le conseguenze. Mancavano 20 cm., cioè uno scalino per avere l'acqua in casa. L'acqua arrivò a raso-suolo alle due del pomeriggio, ed in tre ore crebbe tanto, che dalla finestra, vidi passare le barche in Via Monteverdi davanti a me, incredibile! Disastri immensi per questa meravigliosa città e per tutti gli abitanti desolati. Il fiume Arno, aveva straripato in un baleno. Era accaduto pure nel secolo scorso, ed i lavori di riparo, come dighe, deviazioni parziali, argini ecc...non erano stati fatti mai, e, neppure sono fatti adesso, che siamo nei tempi moderni. Tutto dire. Per quell'alluvione non facevo che piangere, e tuttora mi ingroppa il cuore e gli occhi. Mi sono data da fare come tutti, ad andare a pulire il fango in parrocchia, nei locali cinema, tanto da uscirne con febbre altissima. Dei preti della parrocchia, solo uno è andato a pulire le case dal fango. Gli altri non hanno fatto niente, non hanno mosso un dito. Tenni ospitate tre sorelle di Via Maragliano, che avevano avuto l'acqua - fango in casa. L'acqua, in tre ore, aveva portato via seggiole, mobili e cose. Una desolazione! Strati di fango da mezzo metro in su. Aiutai queste sorelle a lavare in casa mia, tutte le biancherie e gli indumenti che avevano potuto ricuperare, e lavorammo moltissimo, da ammalarsi e da avere la febbre altissima. Così per molti e molti abitanti di Firenze.

Io ammiro, questa gente operosa, e giustamente orgogliosa. Si erano saputi dei fatti molto tristi, di morti per l'alluvione, ecc... nel parco delle Cascine, sono pure morti molti cavalli che erano legati nelle loro stalle, poiché nessuno ce l'aveva fatta ad andarli a liberare in tempo, essendo precipitate le cose. Dopo un certo periodo, passando un giorno di là, al piazzale del Re, piansi al pensiero di quei poveri cavalli, e pregai per loro. Entro una diecina di giorni, feci un sogno significativo e molto evidente: vidi un grosso gruppo di cavalli, che mi passavano davanti quasi volando, vicinissimi, più precisamente, vedevo le loro anime. Erano come disegnati con un contorno di luce luminoso, ed erano bellissimi nel loro movimento. L'indomani ci pensavo, ed ero commossa, al constatare, che mi avevano sentita, e venivano a darmi la loro riconoscenza, la loro risposta, con quel sogno caro e stupendo.

Il lavoro mio, tanto in fabbrica, che in casa, che altrove, era molto pesante, ma capivo che era posto nell'universo sì, per autorealizzazione, ma anche come espiazione e purificazione, per me, e per gli altri. Allora l'offrivo a Dio per i suoi intendimenti. Il lavoro è anche sistemazione nella vita, tanto più che io, non potevo contare su nessuno non avendo famiglia mia. Le malattie e la preoccupazione, non mi hanno consentito di fare alcun passo pel matrimonio. Le mie inquiline invece, si sono tutte maritate, ed anche alcuni inquilini. Con tutto il lavoro che avevo, trovavo il tempo, magari tornando la notte a volte, di occuparmi di alcune persone ammalate, che portavo a prendere benedizioni, o guarigione. Andavo in tutti i posti spirituali, anche per me, che mi ritenevo pure io, bisognosa di tutto e di tutti, appunto per la salute, ecc.

Le visioni non mancavano in sogno, o da desta, e tante chiaro veggenze spontanee, come ho detto.

I giorni si susseguono e le situazioni cambiano. Viene da me una signora della mia stessa strada, moglie di un poliziotto, a chiedermi se potevo affittare una stanza, ad un giovane dottore americano, che veniva a studiare all'Ospedale di Careggi, per scambi culturali in medicina ecc... Avevo una stanza libera, e promisi alla signora, che gliel'avrei tenuta in serbo.

Mi sentivo in quei giorni musona e borbottina, ma non ce l'avevo con nessuno. Ce l'avevo con me stessa, tanto che camminando per la strada, chiusa nel mio cappotto con le mani in tasca, dissi a Gesù, che non volevo bene a nessuno, nemmeno agli animali, e, bu bu, bu bu, continuavo a lamentarmi. Mi viene in mente, che però, potrei fare un'eccezione, per le galline, per esempio. Mi piacciono perché hanno le piumine sono buone e simpatiche. Oh, basta! Sono in città ed è assurdo che abbia pensato alle galline. Tornata a casa, e cotto il riso per il pranzo, ne portai un piccolo piattino sul terrazzo, per i passerotti i quali si precipitarono sopra. Cominciai a servirli spesso in quel modo. Con mia sorpresa, un mattino nel risveglio, sentii i passerotti che mi parlavano, e dicevano, stando sul tetto della chiesa, che è sul retro di casa: "Faustina, quando apri (le persiane), ce lo porti un altro cremino?!" Questa comunicativa, mi fece felice. Ma come hanno fatto a comunicare con me, con sì tanta forza?

Ma quel giorno le sorprese non finirono lì. Andai ad annaffiare le piante, sul terrazzo, e, da una pianta, mi sentii dire: "grazie!" cominciai da quel giorno, a non essere più indifferente e a metterci più partecipazione quando le annaffiavo.

L'inquilino dottore proveniente dal Mato – Grosso, un certo giorno, arrivò. Si sarebbe trattenuto due mesi. Era giovane e gentile, e si insediò subito ai suoi impegni. Un giorno mentre stavo facendola fasciare di formica la porta di casa, dal falegname, ed ero intenta a seguire il lavoro, mi capita in casa questo dottore, con una scatola di cartone con dentro tre pulcini, sì e no avranno avuto tre ore di vita, tanto erano piccini. Dice: "Me li sono fatti dare lassù, all'Ospedale, per la moglie del poliziotto. Adesso andrò a portarglieli. Ma li vuole guardare, lei? ne vuole scegliere uno?" Li guardo e vedo che uno è più patito, più sofferente degli altri. Scelgo quello perché mi faceva pena. "Beh, mi dia questo (e lo prendo) però, non so, questo pulcino non può stare solo. Potrebbe morire di solitudine, le pare?" il dottore dice: "Non posso portarne uno solo, di là alla signora. Senta signorina Fausta, li tenga lei tutti e tre".

Accetto, e concluso questo, ognuno ci dirigiamo ai fatti nostri. I pulcini li porto alla sera in camera mia, perché era lì che era più caldo. Infatti c'è un bel calorifero. Misi i pulcini sopra un tappeto e ci posi davanti a loro uno specchio così si vedevano più numerosi. Invece, i pulcini mi stupirono piacevolmente, perché aggirando l'ostacolo, andavano a vedere dietro lo specchio se c'erano altri pulcini. Li misi poi in una scatola a bordo basso, li ho sfamati e posti sopra una seggiola, accanto al mio letto, per tenerli d'occhio. Li coprii in parte, con una pezza di lana leggera, ed il pulcino più patito, lo coprivo con la mano, per farle l'effetto della chioccia. Funzionava, ma se io levavo la mano, faceva subito; più più. Pensai che piangesse come un bambino, allora mi rassegnai a stare tutta la notte, col braccio tutto inteccherito fuori dal letto. L'indomani li portai in cucina e li battezzai tutti e tre. Pensavo fosse bene così. Li chiamai: Pio, Poponi, e Piùpiù.

Lo vedevo sempre più precario, quest'ultimo pulcino, e divenne immediatamente il primo nel mio cuore.

Li tenevo sempre in camera accanto al caldo. Cominciai a piangere per il pulcino, ma quando tornava a casa il dottore e mi chiedeva: "Come stanno i bambini?" non le dicevo che ero disperata per il pulcino. Lo tenevo coccolato, e ci perdevo tutto il tempo possibile attorno a lui. Non durò a lungo purtroppo, e non superò la settimana. Alle dieci del mattino, lo depongo, per andare un attimo ad aprire al postino. Torno poi subito dal mio pulcino. Lo raccolgo sul palmo sinistro, che faceva da nido e il pulcino mi fa più, e mi muore sulle mani. Mi dispero e piango sconsolata. Preparo poi una scatolina ed un bigliettino che pongo dentro dopo averci messo il pulcino con dei piccoli fiori. "Arrivederci in Paradiso, caro Piùpiù". Lo seppellisco poi nel vaso del terrazzo. Erano le undici del mattino, ed io ho durato a piangere tutto il giorno. Senza espormi col mio cuore ferito, quando il dottore torna, lo informo, e lui dice: "Eh! avevo visto che quello lì, non ce l'avrebbe fatta, mi dispiace per lei".

Alle nove di sera vado a letto col cuore gonfio per aver perso il mio pulcino, spengo la luce e colle mani aggrappate alla rovescia del lenzuolo, mi dico; non devo piangere, devo cercare di dormire, domani devo andare in ditta a lavorare, e sospiro. Improvvisamente sento due zampine che si posano sul dorso delle mie mani. Apro gli occhi all'istante e vedo il corpicino astrale del mio pulcino, tutto circondato da un alone di luce decisa. Capisco, mi sentiva: ha voluto consolarmi. Ma chi mai ha condotto questa sua azione, sennonché l'amore? ... Mi addormento sfinita, e, mi trovo in sogno in America, nel Mato – Grosso! Vedo dei prati e piccole colline, con delle capanne, dal tetto di paglia. Vedo la figura altissima di un indiano, con due grandi piume in testa.. Era tanto alto come fossero due persone insieme, una sopra l'altra. La sua ombra s'allungava, sulle basse colline, verso il villaggio, ed una certa popolazione di indiani, camminavano alla sua ombra. Era un grande, grande, buonissimo Capo indiano, del passato? Mi sveglio ricordo il sogno evidentissimo. Non so perché, lo collego al pulcino Ci penserò dopo! Vado a lavorare dopo aver accuditi gli altri due pulcini, cioè Pio e Poponi. Poi, una riflessione: chi era quel grande Capo indiano? Forse una degnissima persona! Non poteva forse accedere al "Paradiso" perché non battezzato? Aveva chiesto a Dio, o le veniva concesso da Dio, di andare colla sua anima in un pulcino, per vedere se qualcuno l'avesse voluta battezzare? E perché quel dottore era venuto ad abitare da me, per soli due mesi? Proprio dal "Mato-Grosso"! Era una missione la sua? Karmica? Penso proprio di sì. In quei giorni, sentivo nell'aria un che di mistero, in parte percepito. Gli altri due pulcini, sono cresciuti grossi. Erano i due pulcini, divenuti poi dei bellissimi galli bianchi, dalle zampette gialle e robuste.

Erano detti di razza livornese. Mi diedi daffare a costruire un pollaio di legno e rete, con tanto di quattro ruote grandine, per poterlo spostare di qua e di là sul terrazzo. Di solito lo tenevo nella serra, con la porta aperta sempre, così li vedevo, e loro mi tenevano pure d'occhio. Specialmente quando tornavo a casa dal lavoro, come s'allungavano sul collo per guardarmi, e farmi capire che m'avevano vista, dietro i vetri delta finestra di cucina.

A volte li lasciavo liberi sul terrazzo, per farli godere un po' di sole. Essendo due maschietti erano propensi a fare la lotta tra di loro, ed io m'impressionavo andando subito a dividerli e a salvarli, l'uno dall'altro. Ma io sono convinta che loro combattendo un po' giocassero come se fossero dei bambini. Li portavo a volte, sul tavolo di cucina, li facevo beccare un po' di carne macinata e soprattutto erano golosissimi della cioccolata sbriciolata. Io mangiavo tranquilla davanti a loro, che stavano buonissimi. Alla notte, là nella serra, nel loro pollaio, li coprivo sopra, con un telo nero, molte bene, perché sennò, avrebbero cominciato a cantare anche alle quattro del mattino. Alle otto del mattino li scoprivo, e allora, dai... Piano piano erano diventati dei galli giganti. Pio era serio e con più carattere severo, invece Poponi era più dolce e più mammone. Eh!, sì mi avevano presa per la mamma e specie quando piccini si accomodavano tutti e due sui miei piedi, come due pompò. Ed io mi muovevo per far le mie faccende, con tutto il rispetto per loro sui miei piedi. Venne l'estate e venne torrida. Loro i miei galletti cantavano a squarciagola. L'inquilina del piano di sopra il mio, non sopportava, anche se prima delle otto non disturbavano. Io mi preoccupavo soprattutto, del caldo infernale, che veniva assorbito anche dal ferro della veranda, e dalla plastica del tetto e dai vetri che si spaccavano al solleone. Avevo paura che i miei angelici galletti, impazzissero, dal torrido, allora m'informai su di una collina pistoiese, se potevano prendermi uno dei galletti, e mi risposero che andava benissimo avendo loro, questa famiglia, cento e più galline, senza neanche un gallo. Io avevo visto le galline libere sulla collina, decisi di portare Pio, che mi sembrava più adatto e più forte. Prima però volli pensare a Poponi, e dopo aver chiesto, lo portai presso due coniugi, miei cugini, che vivevano in campagna in Liguria.

Mi assicurarono che me lo avrebbero tenuto, e che a loro non dava nessun disturbo. Portai Poponi in un cesto coperto, in treno. Un controllore s'insospettì e mi chiese di vedere cosa avevo nel cesto coperto. Vide, e vide i miei occhi supplicanti. Mi disse: "Non se lo faccia vedere, pena la multa e glielo toglierebbero". Ringraziai la Madonna, per la protezione. Arrivai a destinazione e mi ripromisi, passata l'estate, di tornarlo a riprendere. Ero affezionatissima, me ne separavo malvolentieri e Pio, lo portai in autobus, naturalmente non esposto alle viste. Lo piazzai lassù, nel felice regno delle galline, le quali lo circondarono chiacchierando a modo loro. Pio si trovò subito a suo agio e lo vidi, mentre seduta su di un masso, osservavo come andavano le cose, e respiravo la bell'aria, che non era certo l'aria fosca della città. Una gallina si innamorò a colpo di fulmine di Pio e lo seguiva dappresso, di mezzo metro lui, di mezzo metro lei. Detti a Pio, dell'altra carne macinata, e della cioccolata, e me ne andai. Lassù tornavo ogni 15 giorni, anche per altri motivi, e andavo come si può immaginare, a trovare il mio Pio. Poponi, invece non fu bene per lui pensai di andarlo a riprendere, ma mi fu detto mendacemente, che l'avevano portato su nell'alta Italia, presso dei parenti di Forni Avoltri. Non era vero. Però io nella speranza di ritrovare il mio galletto, presi il treno e andai su nella provincia di Udine. Alla mia sorella Franca, non dissi nulla del motivo che mi premeva, non avrebbe sopportato. Lassù seppi che del galletto non ne avevano neanche sentito parlare. Dunque, naturalmente, il mio Poponi, non lo potei trovare. Ho pianto. Mi doleva dentro il petto, per questo dispiacere. Sul treno, piansi silenziosamente. Ma niente. Questo mio Poponi, così. Per Pio passò un anno, ed io andavo, come ho detto a trovarlo sulla collina. È libero e felice nel suo territorio. Però un giorno, di venerdì santo, vado su, come ho detto anche per altri motivi. Non entro subito dalla famiglia conosciuta, perché c'era tanta gente là convenuta. Vado invece giù dietro la casa, e giù giù nel pollaio all'aperto, e libero, sotto dei grandi alberi. Vedo le galline, che insolitamente mi vengono incontro e mi vedo circondata da loro, messe davanti a me in circolo. Capisco, che qualcosa deve essere successo. Le galline, per l'appunto chiacchieravano a modo loro. Mi volevano comunicare, un certo che. Dico: "Come? Dov'è Pio? Non c'è?" L'atteggiamento delle galline era più che eloquente. Pensierosa, vado su verso la casa, dalla parte dietro, dove non c'era la folla, verso le cucine. Prima ancora d'arrivare, mi viene incontro il vecchio padrone di casa e mi dice: "Oh, meno male signorina, che lei è venuta su da noi. Venga con me in cucina. Vede qui cosa è successo?" Mi aspettavo purtroppo di vedere quello che era accaduto. Vedo su di un vassoio due polli, spellati, crudi, sui quali si vedevano dei grandi morsi. "Vede, dice il padrone di casa, se lei non veniva, non ci avrebbe creduto". Le cose stavano così: un cagnaccio nero, del vicinato aveva affrontato la gallina che stava sempre, accanto a Pio, e Pio, il mio galletto che era tutt'altro che galletto, ma un gallo gigante, per difendere la sua gallina innamorata, ha trovato anche lui, la morte. Per l'appunto loro due soli, su cento, e più. Che strano! E poi, il venerdì Santo! "Se glielo avessi raccontato, senza vedere, lei non ci avrebbe creduto!" mi badava a ripetere il vecchio. "E creda ci è dispiaciuto anche a noi, era il solo gallo che avevamo". Che fare?, nulla. Lo salutai e andai su dov'era la folla. Avevo tanta voglia di piangere. Infatti le lacrime mi scorrevano giù da sole sul viso. Mi vergognai in cuore mio, al vedere che c'era tanta gente, con tanti problemi dolorosi e seri. Dopo, stata lì, con la gente e aspettato il mio turno, me ne tornai giù a Firenze che erano le ore, due e mezza. Pensai di andare a dormire un po'. Mi volsi verso il terrazzo, e c'era una giornata splendida di sole. Volevo chiudere le imposte, e non pensare più, perché mi pesava il cuore. Invece in quell'attimo, mi si aprì una bellissima chiaroveggenza, e la descrivo; vedo in mezzo a tanti garofani rossi e bianchi, alti da terra mezzo metro, proprio nel vano del finestrone, che da sul terrazzo, il mio caro Pio, il mio gallo gigante. La cosa curiosa però, era che il mio galletto, mi era presente concreto, ma, solo dalla vita in su, cioè, mezzo. Si proietta a me, amoroso. Che bello tra i fiori! Perché mezzo?, ah! sì, capisco. Ma, sì, perché l'altra metà; la sua metà, la gallina innamorata, non aveva avuto il permesso dall'universo di venire con lui. Dopo questa chiaroveggenza così meravigliosa e rasserenante, fui consolata nel cuore, perché il mio galletto mi aveva sentita, ed era venuto. Caro Pio, era benedetto, battezzato, e morto per la sua generosa azione, martire. Ecco il perché dei garofani rossi. Nelle chiaroveggenze i colori hanno una intensità ed una brillantezza e una limpidezza imprevisti. Credo di aver già raccontato, che avevo ospitato urta studentessa greca, di nome Theano, e che vennero i suoi genitori a trovarla. Li ospitai da me, e la mamma di Theano, sognò la stessa notte, due grossi galli bianchi. L'indomani, in lingua inglese, me lo disse, ed io ne apprezzai l'intuizione. In seguito dipinsi in un quadro i miei galli bianchi col pollaino su legno, poi vetrificato, ed ora lo tengo in cucina, e me li guardo. Io seguitavo sempre ad andare a lavorare in ceramica, ed una mattina, mentre lavoravo, mi accadde per la prima volta, una strana cosa. Mi venne, ed anche ripetuta, la vista all'inverso. Cioè io mi vedevo in un modo chiaro e a colori, dentro gli occhi. Perché poi, questa gamma di cose mi accadevano?, le dovevo sapere?, sperimentare? Non me l'aspettavo. Insomma, fu per me, un fatto di autoscopia, e a colori. Nel tempo poi mi successero ancora altre cose, sui generis, che racconterò in seguito. In quel tempo feci un sogno: ero nella sala di lavoro della ditta di ceramica, dove vedevo un lungo tavolaccio, sul quale avrei dovuto distendermi.

Tenevo sul mio braccio sinistro, il mio gallo bianco, Pio. Guardai il quadro a colori che avevo fatto, rappresentante la Madonna di Castelmonte di Cividale provincia di Udine, e dicevo "Il testamento l'ho fatto, il lumicino alla Madonna l'ho acceso. Deve durare otto giorni, (vedo un grosso lumone acceso di colore rosso), perché, quando si va lassù, si sa che si va, e non si sa, se si ritorna". Mi resi conto che dovevo andare sulla luna. Il tavolaccio era preparato, per infilarmi poi, nelle cabina di pressurizzazione. Io ero ancora in piedi col mio Pio in braccio. Pio mi parla e dice: "Mammina quando saremo lassù, (cioè, sulla luna), come si farà a trovare la porticina che non c'è, della casetta che non c'è?" In quel momento le mie colleghe di lavoro esclamano: "Ooh! ti ha parlato il galletto", ed io "Oh! Sì, noi comunichiamo sempre, per intelligenza!" Messa dunque, distesa, col mio galletto nella camera di pressurizzazione, dico: "Mi raccomando il lumino alla Madonna!", e partiamo nel razzo verso la luna. Arrivati lassù, io sempre con Pio in braccio, scendo due scalini bianchi, e poso il mio piede sulla luna, e dico: "Oh! guarda, è fatta come la Terra"! In quel mentre, mi risveglio da quel meraviglioso sogno, accaduto proprio, una settimana prima, che gli americani andassero sulla luna, con la loro nave spaziale. Li avevo preceduti, col mio candido galletto Pio. Quei giorni che seguirono, ero tutta emozionata per quello che avevo vissuto, e lo gioivo dentro di me. Che esperienza favolosa, che mi era capitata! Così viva! Così vera! Eh, sì, perché era proprio vera!

Qualcuno programmava per me? Non poteva non essere così. In quanto agli americani, al vederli scendere sulla luna, io sentii di essi, ma non li vidi poiché la televisione non l'avevo ancora. Ero poi l'ultima a comprare la televisione nel palazzo, e comprai l'ultimo residuo del bianconero, a due canali, quando ormai l'avevano tutti a colori. Sbagliai dunque, e tirai avanti così per qualche anno. Poi toccò anche a me, con i colori. Avevo proprio poco tempo, perché avevo troppo daffare, ed ero oberata da lavori pesanti, anche, specie in casa. Me lo addossavo anche il lavoro, tanto toccava a me, e i problemi spuntavano uno dietro l'altro, e mi trovai a piallare le sottoporte, e stuccarle e verniciarle, costruirmi cornici, mensole, panchetti, cassetti, anche se non amavo per niente questi lavori maschili. La casa andava rifinita di arredamento, e non c'entravano molte cose nelle già pesanti spese. Per la fatica, mi sentivo come schiacciata, e mi paragonavo all'incudine. Beh, pazienza. Vedevo l’ora di andarmene a dormire, ero così stanca.

Una, di quelle sere così, mi accadde ciò che narro. Faccio una premessa, che già conoscevo la chiaroveggenza, a piccoli sprazzi. Volevo dunque dormire, era tardi ed era necessario recuperarmi in forze. Chiusi dunque gli occhi, ma il sonno non veniva. Il mio cervello era bianco. Improvvisamente mi appare, una grossissima testona di leone, direi tre o quattro volte la grandezza naturale, tutto colorato con vividi colori illuminati, su fondo notte. Lo guardo ammirata, si muove, gira un po' la testa e, mi fa uno stupefacente ruggito, e poi svanisce. Io resto, così, al buio della mia stanza e, dico a me stessa:

"Ho visto un leone (constatavo)" e senza domandarmi cosa significasse, m'insisto a rincorrere il sonno. Ma, dopo un attimo, mi appare, una grossissima testa di tigre, bellissima, con dei colori meravigliosi. Anche la tigre, muove un po' la testa e, ruggisce sonoramente, poi svanisce nel buio. Questi due fatti, hanno avuto la durata, di circa una dozzina di minuti. Ma ..... non era poi finita lì, la vicenda, anche se io volevo dormire. Ecco improvvisamente, una scena mi si presenta dinanzi, di una portata insolita. Vedo, in pieno giorno; (erano invece le ore 22), un grosso gruppo di persone, che salivano la grande scalinata annessa alla chiesa del Preziosissimo Sangue, di Via Boccherini a Firenze. Quelle persone erano vestite, con costumi dell'antica storia, di Firenze. Gonne lunghe fino ai piedi, di colore rosso e verde scuro, con delle cuffiette di venuto girate graziosamente sotto le orecchie. Il loro incedere nel salire le scale era elegante e composto. Arrivato che fu il gruppo, erano una quindicina di persone, in cima alle scale, e stavano accingendosi ad entrare in chiesa, ecco che questa meravigliosa chiaroveggenza, che si era svolta come in un cinematografo, mi svanisce, e si chiude di colpo.

Che bella! Che bella! L'avrei voluta fermare, per gustare meglio tutti quei costumi, quelle movenze. Allora sì, che dopo sono stata un'eretta sveglia! Avevo capito che il leone, e la tigre, erano serviti, pel richiamo d'attenzione; cioè che avrei visto. Adesso dico, che la chiesa del Prez.mo Sangue è stata costruita, a partire dall'anno 1958. Era dunque una chiesa nuova. Che facevano quelle anime, (che di questo si trattava), che andavano su venendo dai secoli passati? Andavano ad adorare il Sangue di Cristo che le aveva redente! andavano a pregare! Assetate, andavano a raccogliere le preghiere!

Ecco, cosa facevano. Ai loro tempi, quella chiesa lì non esisteva ancora! Allora!, per le essenze spirituali, il tempo e lo spazio sono concentrati. E il leone e la tigre?, che avevo visto prima?, già, erano in una dimensione, nella quale non esisteva la paura; poiché io non avevo avuto questa sensazione, anzi per niente. Erano bellissime quelle testone, dai colori e contorni nitidi.

A volte, rare volte, le visioni e le chiaroveggenze si ripetevano. Qualcuno, disponeva per darmene la conferma. Così, pensavo. Avrei voluto un sentimento in me, di maggior riconoscenza per queste Essenze, che operavano così meravigliosamente, sul mio cammino, invece prendevo le cose, con tanta naturalezza. Torno al 1964. Devo, raccontare degli Angeli.

Una notte bianca, di luna, verso le ore due. Voglio andare li, nella serra – veranda a salutare la Madonnina che avevo sul piccolo altarino, allestito là dentro. Esco dietro casa, e mi accingo ad attraversare il terrazzo, nella luce bianca, come ho detto, della luna. Il cielo sopra è un notturno terso e squisitamente tranquillo. Non ho finito di considerare questo, che una schiera di Angeli, proveniente dal sud del cielo, passa nell'aria sopra la mia veranda, cantando canti soavi e melodie dolcissime. Li vedo riuniti in gruppo chinarsi un po' sopra il tetto, quasi in posa orizzontale, tutti uniti. Li guardo con il gaudio nel cuore, del tutto affascinata. Le loro figure, i loro veli luminosi, si muovevano dolcemente nella luce della luna. Erano consapevoli dunque che lì, nella veranda c'era l'altare della Madonna. Era gradito! Dio, che bello vederli, sentirli. Stetti immobile sui due piedi, finché si alzarono di nuovo, per scomparire dietro la casa, secondo la prima traiettoria. Entrai allora nella veranda a pregare e ringraziare la Madonna per averli visti e gioito con loro e di loro. Pregai, e dopo aver salutato la Vergine, tornai verso casa con la testa all'insù nella speranza di scorgerli ancora. Ma non c'erano più, e non mi rimaneva che andare a dormire, col ricordo vivo di quello che avevo visto.

Che notte quella! Dopo trent'anni, mi è viva nella mente come fosse oggi.

Gli Angeli!, ecco, ancora; me ne andavo per le vie di zona Puccini per andare a lavorare, ed erano circa le due e mezza pomeridiane. Era con me camminando una signorina, con la quale ci conoscevamo bene. Io soffrivo raccontandole che il mio ambiente di lavoro, era un inferno di bestemmie e spregi volgari verso la donna. Le bestemmie erano una spina continua, di tutti i giorni. Lei mi dimostrò la sua comprensione e, salutandomi mi disse: "Vada, vada Fausta, Dio l'aiuterà". Ci separiamo ed io mi svolto da una strada all'altra, fino ad appressarmi alla strada dove si trovava la ditta di ceramica.

Esco da un angolo di Via Mercadante, e sono in visuale del portone della fabbrica. Ancora un bel pezzetto di strada e poi ci sono. Ma appena voltato l'angolo, ecco, sul portone un grande Angelo, con le vesti di tinta rosa e celestino, e le grandi ali, grandi quanto la sua statura che ricopriva tutto il portone; mi sorrise amabile e cominciò a penetrare nel portone retrocedendo con la figura, sempre volto verso di me. Io le andavo incontro e Lui sembrava dicesse: "Stai tranquilla. Oggi ci sono qua io!" Il suo sorriso mi confortava. Finì di scomparire dentro il portone, che era chiuso. Suonai il campanello e subito venne ad aprirmi un collega, che lavorava al piano terra, e appunto approntava il lavoro per me. Questo collega era una persona grandemente amabile, sempre con buon viso e cordialità, simpatico e intelligente. Era una persona della quale si dice "con lui ci si parla bene". Ci si può parlare di tutto. Malgrado la simpatia che m'ispirava, non le parlai dell'Angelo. Ero riservata, e queste cose non si possono poi dire tanto facilmente. Lo salutai e salii al piano di sopra dov'era il laboratorio, e mi trovai di nuovo tra i soliti colleghi. Per la verità gli ambienti erano, uno susseguente all'altro con porta comunicativa, sempre aperta. Sicché per solito, si sentiva tutto di qua e di là. Quel pomeriggio furono tranquilli e tutt'altro che scatenati, come le altre volte. La presenza invisibile dell'Angelo aveva funzionato. Eccome! Ringraziai quel meraviglioso Angelo, con tutto il cuore. Un'altra volta, ch'io mi trovavo in grande angoscia per i medesimi motivi, e non sapendo cosa fare, poiché il dialogo naturale sarebbe stato inutile o peggiorativo con simile soggetto, pensai allora al canino di San Raffaele Arcangelo, almeno m'aiutasse lui! Improvvisamente mi sentii appresso il canino, che mi gironzolava generoso d'intorno. I miei occhi in certo qual modo, lo vedevano. Chinai il braccio per accarezzarlo, e dissi mentalmente: "Va, fai qualcosa tu, guarda quello che puoi fare, ma fallo desistere dal bestemmiare". Vidi il canino, (che era appena percettibile vederlo), partirsi di volata, e andare nella stanza attigua al salone. Come fu? Cominciò un silenzio, che durò tutto il giorno. Il collega che lavorava assieme a quello, non ce la fece ad instaurare nessun discorso. Però! Grazie canino! E grazie all'Arcangelo Raffaele, che me l'ha prestato. Tralascio per ora di narrare altre vicende, per raccontare ancora gli angeli. Un mattino dovevo svegliarmi per andare a lavorare. Mamma mia, come dormivo bene! Non riuscivo a svegliarmi e nel dormiveglia, ho sentito la presenza dell'Angelo custode accanto a me. Socchiusi gli occhi e lo intravidi proprio, alto più che persona.

Mi mise una mano sul fianco sinistro e mi disse: "Puoi rimanere sai!" Avevo sentito bene, e il tocco, e la frase. Uscii dal dormiveglia e, contraddizione mia, mi alzai per andare a lavorare. Esco di casa e vado alla fabbrica. Svoltato l'angolo di via Mercadante, vidi sul portone il principale, col suo camice bianco. Stava aspettandomi. Mi vede e mi dice "Fausta, bisogna che torni a casa, sai il lavoro non è pronto!" Non è uscita la fornata della terra cotta (o biscotto) che avrei dovuto dipingere. Lo saluto e torno indietro. Mi dice ancora: "Venga nel pomeriggio". "Va bene". Dico. E mentre cammino verso casa mi dico: ma perché non ho obbedito all'Angelo, potevo riposare, infine. Ormai era fatta. Sono testarda, e piena di difetti. Sono dell'ariete e faccio le capocciate. Sono a parlare degli angeli, e ancora: caso raro, ero andata a riposare un po', dopo il pranzo del mezzogiorno. Dovevo ritornare a lavorare alle quattordici e mezzo, o alle quindici. Mi sveglio, butto i piedi per terra, cerco le ciabatte, le trovo e mi alzo in piedi. Che stupore!, in mezzo alla camera, c'è una enorme acquasantiera di marmo. La guardo. È rotonda, levigata e c'è l'acqua santa!

Alzo gli occhi, e vedo al di là dell'acquasantiera, appoggiato ad essa, con modo naturale, l'Arcangelo Raffaele. Tutto a colori. La tunica rosa intenso, quasi rosa-fiorentino.

Il nastro dorato sulla fronte, stringeva i capelli biondi, che uscivano da esso inanellati. Il viso era di una bellezza indescrivibile. Ovale, acceso di un rosa-pesco vivo, gli occhi bruni come il velluto, mi guardava, con sorriso impercettibile. Non mi parlava, ma era come se dicesse: "Non aver paura, non vedi che c'è l'acqua santa?" La sua bellezza m'abbagliò letteralmente. Non l'avrei dimenticato più. La sua presenza, non mi sembrò un tempo breve ma un tempo infinito. Quella atmosfera mi sembrò di assorbirla dentro di me, infatti mi trovai con lo slancio per andare a lavorare. Il mio cervello, rimase con la stessa scena. Tante cose si susseguono nelle vicende di tutti i giorni, sulle quali tornerò. Ma ora devo. Sto parlando, ancora degli angeli. Ero in cucina, diciamo quasi nel centro.

Il finestrone che da sul terrazzo, è chiuso a vetri; ed è giorno. Ad un tratto vedo, appena dentro il finestrone ad una trentina di centimetri accanto all'acquaio, un Angelo volto verso di me. Bianchissimo, candidissimo, solido, come la porcellana bianca dei lavori dell'artista detto della Robbia. Lucido. Lo guardo, è a tutto tondo di persona, e non in medio o alto rilievo. Guardo le pieghe delle sue vesti, e vedo che lui aspetta proprio, che lo guardi. Infatti lo guardo, e vedo, che pur essendo solido comincia a girare un pochino la testa verso di me. Io ero poco più di un metro lontana da lui, e per questo lo vedevo proprio bene. Girata che ebbe la testa, verso di me, cominciò a sbattere le ciglia ed a muovere la bocca, e cominciò così verso di me a parlare: "Tu hai lavorato molto su di me" disse.

"Ora ti chiedo, di riposare!" Io non ho potuto rispondere, l'Angelo non c'era più. Erano le cinque del pomeriggio.. Pensai: riposare... certo!!! quante stanchezze mi sentivo addosso. Effettivamente lavoravo troppo. Cenai, e decisi di svignarmela a letto, che mi pareva di conoscerlo poco, veramente. Mi addormentai profondamente, ma.... Cosa facevo in sogno? Lavoravo!, dipingevo una parete intera, di figure trasparenti meravigliose, dai colori tenui. Ero ritta alla parete e mi pareva di essere anch'io un po' trasparente! Improvvisamente, mi vedo circondata, da figure eteree. Erano angeli e mi parlavano. "Vedi, dicevano, come si fa a dipingere quando vuole Dio?" Avrei voluto in eterno, dipingere così a colori delicati. Invece, nel |tempo, extra lavoro in ditta, a casa lavoravo quadri con colori forti, per arredare la mia casa e quella della mia sorella a Udine.

Lavoravo anche orci e ceramiche a freddo, come si dice, quando non si usa il forno. Erano orci enormi e pesantissimi da manipolare. In quanto a venderli, non avrei saputo vendere neanche un fazzoletto. A volte ho fatto e ceduto qualche pezzo in cambio di lavoro, sulla manutenzione della casa. Ero molto oculata sulle mie spese, e mi fissavo un tot che avrei potuto spendere settimanalmente. Lavoravo in due o tre posti e approfittavo della mia età per questo. Mi dicevo che dovevo risolvere tutto da sola. Era una vera battaglia, poiché pur essendo naturalmente forte, mi colpivano le malattie, una dopo l'altra.

Riprendo un altro fatto. Primi mesi del 1965. Un giorno andando a lavorare in ditta, come sempre passavo spedita in Via Boccherini davanti alla chiesa che ha quella grande scalinata. Mi voltai per salutare il Signore Gesù, silenzioso nel tabernacolo, ma, sulle scale c'era San Michele Arcangelo. Lo vidi nell'atto di scendere verso di me. Era altissimo, molto, molto più, di qualsiasi persona umana. Era del colore dell'acqua, semi materializzato con una certa dimensione di densità che non so descrivere e stabilire a quale gradazione fosse. So, che era bellissimo, solenne e splendido nel suo aspetto. Le vesti fluttuavano nel suo movimento nell'atto di scendere. Io lo guardavo e lui guardandomi con tanto Amore, mi colpì con la spada tra le costole, un poco più in su del fegato. Rimasi senza fiato e sorpresa. Tutta questa azione, si svolse in un flutto.

Appena Lui scomparve, continuai a camminare più lentamente, per recarmi in ditta. Un dolore fisico, da sopportare, tra le costole. Un Segno!, San Michele, l'Arcangelo che si è sacrificato con il Cristo Gesù, si era fatto vedere e mi aveva dato un segno, che rimase interno, e si fa sentire ogni tanto. Un giorno mi è accaduta una cosa, alquanto curiosa. Mi trovai in chiesa, con una signora amica, e stavano per amministrare il battesimo collettivo, ad otto neonati. Tra queste mamme c'era una conoscente di questa signora, e da lei protetta, il cui bambino aveva ormai sette mesi e mezzo, e non era stato battezzato ancora. Lo volevano chiamare Carmelo.

La signora in questione, mi dice: "Vada lei a far da madrina a Carmelo", ed io: "Eh, no, signora!, c'è tanta responsabilità spirituale, ed io non sono poi adatta, non mi sento di assumerla. "Allora vado io" mi dice, e va accanto al bambino. Il parroco passa in rassegna i bambini e dice: "Ma questo bambino, non ce l'ha il padrino! Ci vuole anche il padrino!" No, il bambino non ce l'aveva, non aveva nessuno.

Ero rimasta indietro al mio posto, e mi sento interpellare dal parroco che mi chiama col cognome e, dice; "Venga qua lei, e faccia da padrino a questo bambino". Penso; sarà Volontà di Dio, e ubbidiente vado. Il bambino viene dunque battezzato col nome di Carmelo, insieme agli altri sette, e la cosa, con i nostri nomi, va sui registri della parrocchia. Vengo a sapere, che l'indomani, la signora amica, si era recata dal parroco, per farsi ascrivere come padrino, di Carmelo, al posto mio, e che le fu risposto: "Ciò che è fatto è fatto, non si può cambiare". La signora, l'aveva fatto per generosità verso di me, essendo lei tanto buona, e avendomi sentito dire, a proposito della responsabilità. Dunque, io, padrino (da padre), sostituivo il padre, ero e sono spiritualmente, il padre di Carmelo. Figurarsi! Avevo appena visto e conosciuta lì in chiesa, la madre di Carmelo la signora Daniela, ma dopo tre o quattro giorni, mi sento telefonare dalla signora amica, che mi dice: "Senta Fausta, ho in casa il bambino di Daniela poiché lei, deve cercarsi un lavoro avendo ella altri due bimbi. Mio marito fa il riottoso e non vuole, che io lo tenga, sebbene che sarebbe solo per una settimana. Me lo prenderebbe lei in casa sua, per un po' di giorni?" Vado per prendere il bambino, e di primo acchito lui si ribella decisamente, "Vede signora, non vuole!" "Allora non forziamolo". Dico: "Signora, vado a casa, non c'è ragione che stia a disturbare". Faccio per andare verso l'uscio dell'appartamento, che avevo poi già aperto, quando Carmelo, tendendo le manine verso di me, fa capire che vuole venire con me. Tomo indietro e lo prendo in braccio e lo porto a casa, con me. Che bello, avevo un bambino in casa, biondo coi capellini d'oro, e gli occhi azzurri. Chi l'avrebbe mai immaginato! Carmelino era molto buono, un vero angioletto. Mangiava, dormiva, e giocava seduto su delle grosse coperte in cucina. Sembrava un vero Gesù Bambino. Io, le mie apprensioni me le facevo lo stesso anche se tutto andava bene, poiché sono facile a preoccuparmi sul niente. Finì poi la settimana e la madre sua lo riprese. Ma che vuoto mi lasciò! Lo penso spesso, alla dolcezza che mi ha messo in cuore. Non l'ho più veduto, e poi, non ho mai potuto sapere di quella signora Daniela, l'indirizzo che a quanto le uniche notizie, abitava verso Scandicci, al di là d'Arno.

La mia distrazione erano gli uccellini sul terrazzo. Come gli piacevano i chicchi di riso cotto! I passerotti sono fieri e superintelligenti. Qualcuno di loro li ho avuti in cucina. Poi, sul terrazzo sono stati un poi detronizzati dai colombi, i quali rappresentano l'amore, veramente. I colombi mi fecero sovvenire, che anni addietro, quando frequentai per breve, una scuola di recitazione, io avevo l'unica battuta che suonava così: "E, un volo di colombe, uscì dal Tempio!" I piccioni, o colombi, sono veramente amorosi e si affezionano all'essere umano, si sa, previa conoscenza. Avevo cominciato a curare loro le zampette, ed è una gran disgrazia per loro, impigliarsi in capelli, fili, fili di nailon, o radicine ecc. Li liberavo, li curavo con la penicillina in polvere, e dove avevano perso qualche ditino mettevo loro un cerottino. Una volta feci ad un piccioncino, le scarpine di morbida pelle, siccome aveva perso tutte le ditine, ed era con i soli moncherini, così avrebbe camminato senza troppo dolore. Li prendevo facilmente, poiché entravano laggiù nella veranda - serra, in fondo al terrazzo. Li nutrivo e mi conoscevano ormai tantissimo. Li definivo, quelli di color marrone i frati, quelli neri i preti, quelli bianchi i papi, quelli bianchi e neri i domenicani.

Il principale della ditta dove lavoravo, mi consegnò una rondine, che era caduta lì nel cortiletto della fabbrica. "Ci pensi lei," mi disse, ed io me la portai a casa. Cominciai ad accudirla, e la battezzai "Azzurrina". Si stabilì una simpatia reciproca, la facevo volare un po' in cucina, gettandola io, piano piano ad altezza di una sessantina di centimetri da terra, per allenarla piano piano. Le sue zampette erano cartilaginose senz'ossa. Gli occhi acutissimi, nerissimi, lucidissimi. Ci guardavamo a tu per tu. I giorni passavano ed io dovevo pensare per riportarla nel suo elemento, cioè l'aria. Non avevo tempo, e poi con una collega di Sesto, la Luisa, avevamo fatto un programma di andare a Roma, dalla mattina alla sera in treno, l'indomani trecento chilometri. Durante il giorno la rondine stava nella gabbietta sul terrazzo, attaccata con le zampine alle sbarre a guardare il cielo, sua patria. Alla sera la portavo dentro la veranda, quella accanto alla cucina. Il clima era buono. Io volevo dormire, per partire l'indomani al mattino presto per Roma. Ma quando stavo per farcela, ecco che la rondine si fa sentire con i suoi piccoli guaiti. Vuole me. Me la prendo con tutta la gabbietta e la metto in terra accanto al mio letto, per vedere se sta più buona e se dorme anche lei, naturalmente al buio. Niente! Mi chiama a modo suo, ed io mi arrendo, la levo dalla gabbietta e lei mi si attacca sul petto, col capino sotto il collo. Si acquieta come un bambino, ed io finalmente dormo, con la rondine sul cuore.

La mattina di poi io e la Luisa partiamo per Roma.

La rondine la lascio in casa, vicino alle gabbiette delle tortorine e dei pappagallini. In un giorno a Roma, visitammo parecchi posti, e la giornata fu veramente piena. Mangiammo alla tavola calda della stazione, e il pomeriggio volevamo visitare le catacombe di San Callisto, che ci erano più prossime.

Arrivammo sul posto, e la Luisa ci ripensò. Non volle scendere alle catacombe. "Vada lei" mi diceva. Io vado, ero interessata a vederle. Lei mi aspetta su. Scendo e mi inoltro. Un guardiano si propone a mia guida. Dopo pochi metri mi avvedo di essere in trappola, con una persona di cattive intenzioni. Riesco a sfuggire fuori, e trovo poco lontano un giovane prete, che sembrava un santino e lo era per me. Le racconto la cosa, e lui, diventa pallido come un canovaccio. Si dispiace e si ripromette di provvedere per allontanare il cattivo personaggio. Si era reso conto, che poteva essere la fine, anche per la mia vita. La Luisa?, come passibile così intuitiva, da non voler scendere? Tant'è ci siamo ritrovate, e dirette alla stazione Termini ripartite per Firenze. Tutto in un giorno.

La mattina dopo programmai per la rondine. Ormai era pronta e riallenata a volare. La nutrii con chicchini di miglio, panico ed altro, e le detti un cucchiaino di acqua ed uno di caffè zuccherato per renderla forte, e la guardai a lungo negli occhini espressivi. La portai subito, in quella solare mattinata, al campo degli sportivi di Via Paisiello, e dopo averla riguardata negli occhini, con tanto amore e averle baciato il capino, con un salto, la lanciai più in alto possibile, e.. ce la feci.

La rondine tenne l'aria e volò in giù attraverso il campo sportivo, riconoscendo il suo territorio e riunendosi al suo gruppo di famiglia. Ritornò un attimo dopo, a girarmi sul capo, ed erano giri di vera riconoscenza.

La ricordo così. Anche un sogno, fu per me significativo; sognai che ruffolavo tra dei cenci, o stracci, e dicevo "Voglio vedere cosa c'è qui", e mentre cercavo, tra gli stracci mi si affaccia la rondine, mi guarda allegra, comunicandomi un dolcissimo buon umore, come a dirmi: "Sei sorpresa, eh!" Queste cosine, non si dimenticano. Ho avuto anche un'altra rondine nel tempo, sempre proveniente da quel certo gruppo e, idem; col medesimo risultato, cioè, ha rivolato. Mi succedeva che qualcuno mi portava dei colombini a curare. Lo sapevano in qualche modo. I colombi che frequentavano il mio terrazzo scendendo dal tetto della chiesa, finivano col fare le loro covatine nei vasi delle piante, ed anche nella veranda - serra. Il primo colombo che ebbi in casa, me lo raccolse impigliato sul terrazzo, tra gli alberini, un giovane cui avevo dato ospitalità, in attesa che trovasse casa per sposare la sua prescelta. Curai il piccione e lo chiamai "Titti", e lo tenni in cucina perché era inverno.

Dopo tre giorni, con mia sorpresa, il principale della ditta di ceramica, trovò, entrata dalla finestra del salone di lavoro, una piccola piccioncina, che si era andata a posare proprio sul mio tavolo di lavoro.

Era sperduta, non scappava. Il principale disse: "La prenda lei". Me la portai a casa e la chiamai "Dida". Titti si innamorò subito di lei, anzi si innamorarono. Pensai: ma guarda che roba! il Buon Dio, provvede appunto, anche al destino degli animali! Andai col pensiero, al mio posto di lavoro in ceramica, e mi dico, che mai e poi mai, era entrato un piccioncino in circa vent'anni che lavoravo lì, e poi proprio al mio posto! Venne la primavera, ed io sloggiai i miei due piccioncini dalla cucina, e l'alloggiai in fondo al terrazzo, nella veranda-serra e loro furono felici e fecero subito apprezzamento. Era Primavera potevano volare fuori, che la porta era aperta, e così fecero. Successe che Dida si perse e non sapeva più tornare. Titti piangeva a modo suo, sullo stipite interno dalla porta, ed ero disperata. Non voleva uscire dalla veranda, che se lei fosse tornata, non l'avrebbe più trovato, e allora? compresi, e a gesti, mi feci capire. Dissi: "Vai Titti, vai a cercarla, qui ci sto io". Titti parti in quarta, volando a cercare Dida, per il cielo della zona.

Io purtroppo dovevo andare a lavorare per quel pomeriggio, e la sera tornata a casa dal lavoro, mi precipitai alla veranda, preoccupata per la mia coppietta di piccioncini. Arrivo dentro, e li vedo tutti e due insieme sugli stipiti, dalla porta.

Titti, aveva avuto fortuna e l'aveva ritrovata la sua Dida. Li guardai compiacendomi, felice anch'io. "Oh! Titti, che bravo!" Lui, la guardava e mi guardava orgoglioso. In breve fecero il loro nidino, e la Dida non si perse più. Io seguii, naturalmente tutta la faccenda. Il primo maggio 1970 posero le due uova, uno più grossetto dell'altro. Il venti maggio nacquero i due piccioncini. Purtroppo dopo tre quattro giorni, sentivo che questi piccoli genitori piccioncini, piangevano col loro uh! Uh! Uh! Capii, che qualcosa non andava. Mi accorsi che inavvertitamente, avevano pestato non volendo, uno dei due piccioncini, che erano appena appena, più grossi di una noce. Avevano decretato, di non dare più da mangiare al piccioncino infelice, con l'anca e la zampina storta. Piangevano tanto, ed io li avvertii a piccoli gesti, che l'avrei preso io e ci avrei pensato. Lo presi e lo portai in cucina. Mammina mia, come faccio adesso? Decisi di imboccarlo con un minuscolo cucchiaino. La situazione era disperata. Cosa faccio? mi dicevo. Improvvisamente, sento la Voce, che io pensavo della Madonna, che mi dice "Chiamalo Maggiolino!" Lo battezzo "Maggiolino", e... tiro avanti. Lui mangiava con fame e presto beccava da solo. Passavano i mesi e non cresceva molto. Venne l'inverno, ed io le misi una piccola maglietta per tenerlo caldo. Era attento e vispo, se non fosse stato per quella zampina e coscina disgraziata, avrei anche cercato per il suo meglio di liberarlo. Ma non avrebbe mai potuto volare. Lo tenevo in cucina, in un cestino imbottito proprio sopra il tavolo, ed aveva tanto di lenzuolino e copertina per stare caldo, che lui gradiva. Alla sera, portavo il cestino, accanto al mio cuscino. Siccome io, al mio piccioncino parlavo sempre, così alla sera prima di addormentarmi scandivo l’Ave Maria, cosicché, Maggiolino, di frase in frase la ripeteva nel suo linguaggio, "gu gu, gu gu" e così via.

Fuori sul terrazzo, nelle ciotole di terracotta, dove avevo provveduto l'acqua, piccioni e passerotti facevano il bagno, e poi s'asciugavano al sole. Pensai che dovevo fare il bagno, anche a Maggiolino e glielo feci così, mettendo lo sciampoo nell'acqua. Era contentissimo, che le facessi il bagnetto. Poi lo asciugavo col fon e lui, alzava l'aluccia per farsi asciugare. Capiva molte cosine. Indovinai, nel farle un cuscino pneumatico, fatto con un guanto di gomma rosso, imbottito. Piazzai questa creaturina sopra il guanto, e con due striscioline di gomma passate sotto le alucce, le feci un fiocchetto sulla schienina. Provai così, a posarlo in terra in cucina, e con mia grande gioia, lo vedevo spostarsi vibrando da un punto all'altro, come per camminare. Aveva capito che lo volevo aiutare, ed era contento.

Il guanto imbottito era leggero e morbido, e le consentiva di posare la zampetta sana in terra. Quando poi lo raccoglievo da terra, mi riempiva ai bacini il viso. Era affettuoso, e una signora che mi veniva a trovare, rimaneva stupita e mi diceva: "oh!, me li fai dare anche a me i bacini. Non avrei mai creduto, di vedere un piccioncino in sintonia con te, così". A volte lo portavo in ditta sul lavoro e lui stava buono sulla sedia accanto alla mia. A volte lo tenevo sul petto, dentro il golf, col capino sotto il mento, e lui guardava mentre lavoravo dipingendo sulle ceramiche.

Nell'anno 1970 avevo comperata l'auto 500L. D'estate andavo a portare con la mia cinquecento al mare, una famiglia le cui signore erano le mie amiche spirituali, e così portavo anche Maggiolino. Le si faceva fare il bagnetto al mare e poi lui si asciugava sulla sabbia e se la tirava addosso con le alucce da sé. Un giorno mentre mangiavo a casa mia, in Firenze, piangevo e mangiavo. Piangevo per qualcosa che ora non ricordo. Improvvisamente sento la Voce, della Madonna che mi dice: "Maggiolino viene da Me a Lourdes in autopullmann, vuoi venire anche tu?" Io mi rimetto a piangere ancora di più, e non so come facevo a mandar giù il boccone. Sento ancora la Voce, dire così: "NOI, (S. S. Trinità) vogliamo molto bene a Maggiolino". E ancora, la Grande Madre, mi ripete: "Maggiolino, viene da Me a Lourdes, in autopullmann, vuoi venire anche tu?"

Io penso; come faccio?, non ho che ventimila lire. Non potrei. Non ho mai formulato il pensiero di andare a Lourdes. Mi rendo conto del desiderio della Madonna e tranquillizzandomi mi dico; ci penserò. Non sapevo come, ma ci avrei pensato. Dopo giorni vengo a sapere che la parrocchia della zona, proponeva il pellegrinaggio a Lourdes in pullman. Vado a sentire qualcosa. Il viaggio costa ottantamila lire, ed è fra un mese. Decisa, do la caparra di ventimila lire, e dico a me stessa; "Di qui a un mese avrò il resto, il lavoro ce l'ho".

Nel frattempo avendo promesso in cuore alla Madonna, che, non avrei rivelato la presenza di Maggiolino in viaggio, e a nessuno, mi misi a cucire una borsa in tela medioevale, che è un tessuto rado respirante, apposta, per portarci Maggiolino. La borsa era comoda e alta in modo che non si vedesse nulla dalla imboccatura, che sarebbe rimasta aperta. Il giorno della partenza venne stabilito. Io avevo versato il resto del prezzo, e arrivò da Roma appositamente l'autopullmann, con i due autisti impegnati. E così una mattina presto, io arrivai ultima a salire sull'autobus. C'erano il parroco e le suore e la gente, già pieno. Trovo comunque il posto quasi in fondo nella terzultima fila, accanto ad una signora di mezza età, moglie di un ex diplomatico, che abitava all'Impruneta. Era una Signora distinta, ed io mi trovai quieta, con una discreta e sommessa conversazione. Poco parlammo. Commentammo tacitamente, uno scatenio cioè un chiasso (inopportuno) che facevano, stranamente le suore. Ma che avevano addosso? Avevano il registratore con incise canzonette profane e lo mandavano a tutta birra. Dava un certo fastidio e la signora accanto a me disse così sottovoce: "Qui ci sono persone anche con problemi gravi, si immagini? e questo le suore fanno?, sono messe male. Invece di tenere laudi Sacre, che in questa circostanza sarebbero più gradite". "Io non le ho mai viste a far così", dissi io. "Speriamo si chetino" invece durarono anche troppo. Ma bisogna sopportare. Il viaggio sarebbe durato una settimana. Comunque, arrivati ai confine, salirono i controllori e arrivarono a controllare fino alla persona che sedeva avanti a me, e poi tornarono indietro e scesero. La Madonna aveva provveduto che non mi controllassero la borsa. Io tenevo la mano dentro la borsa accanto a Maggiolino per farmi sentire a lui vicino. Il tempo per tutti i sette giorni del viaggio è stato splendido. Dopo Nizza, arrivammo a Marsiglia e salimmo al santuario della Madonna della Guardia. Pernottammo a Marsiglia, e l'indomani la prossima città, era Nimes. Scesi dall'autobus il parroco ci disse che bastava essere puntuali, per il mezzogiorno, per ripartire, e che potevamo andare dove ci pareva, per la città.

Io mi allontanai sola, ma rimasi nei pressi e m'inoltrai oltre un portone in un porticato. Il posto era giusto, per dare da mangiare al mio Maggiolino. Lui beccava con gusto il suo miglio, e poi faceva le sue bevute. Guardavo naturalmente il mio orologio, ed ero in anticipo. Maggiolino poteva prendere ancora un po' d'aria. Io ero seduta su dei scalini al sole, e lo tenevo in grembo il mio piccioncino. Fedele al tempo fissato, mi mossi in anticipo. Arrivo nella piazza stabilita e non vedo il gruppo, né l'autopullmann. Erano partiti in anticipo, addirittura!!! Il peggio è stato per me, che mi sono enormemente preoccupata, non conoscendo la lingua francese. Mi feci capire e pochissimo a gesti. Che il pullman era oramai partito, era un fatto. Mi rivolsi ad alcune persone domandando, purtroppo senza speranza, in quale viale si fosse diretto il pullman. Come abbia fatto a farmi capire da una suora francese, di quelle suore vestite di blu e bianco. Fatto è che lei, mi ha condotta giù, per dei viali alberati, e mi faceva capire che forse lì, stazionavano questi pullman. Facemmo un bel pezzo di strada a piedi. Le dissi dove eravamo diretti, cioè a Lourdes, e pensai che se non avessi trovato la comitiva, avrei preso forse il treno, per raggiungerli alla meta. Oppure, male male mi sarei rivolta ai Consolato italiano, per ritornare in Italia. In fondo al viale, trovammo il pulman fermo, con i passeggeri a terra. Si erano accorti, che io mancavo. Meno male!

Li vidi puntarmi gli occhi addosso, tutti in silenzio. La faccia del parroco era eloquente, preoccupata e seria, non mi disse, neanche una parola. Si vede che si era promesso di non rimproverarmi, purché mi avessero ritrovata, e che la cosa con questa responsabilità, fosse andata bene. Anch'io taccio, e salgo sul mezzo con tutti, e vado al mio posto. Partiamo, e, dentro di me, "ma chi glielo ha fatto fare di partire, in anticipo dall'ora fissata?"

Dopo un certo tempo facciamo, per riposo degli autisti, tappa di pochi minuti, e ci fanno discendere a sgranchire le gambe. Nel discendere quei grandi scalini del pullman, non so come, mi succede che, un autista butta il suo sguardo, proprio dentro l'imboccatura della borsa mia e dice: "Che cos'ha lì? Un uccellino?" Mi sento morire, e non rispondo. Ahimè!, sono fregata, penso. L'autista era altissimo di statura, ed è stato per questo, che, gli occhi suoi, accipicchia!, sono caduti nella mia borsa. Non risposi, e m'allontanai da' lui con sussiego. Adesso, l'avrebbe saputo il parroco, magari tutti, e speravo no. Il viaggio proseguì e andammo a Carcasson, dove ci fermammo a pernottare. Nessuno mi diceva niente, ed io mi tranquillizzai. Feci una bella dormita e il mio Maggiolino pure. Al mattino mi alzai prestissimo prima delle cinque, e scesi nella piazza, per fare una passeggiata e dare dei biscotti, che avevo d'avanzo ai piccioni della piazza. C'era già un bel sole stupendo! Fatto lo sbriciolo dei biscotti a quei famelici, cominciai a passeggiare beatamente attorno a quella grande e bella fontana. Dopotutto non mi capitava facilmente di passeggiare al sole delle cinque del mattino, e sinceramente godevo di quella cristallina meravigliosa mattinata.

Lentamente camminando attorno alla grande vasca, mi ritrovai che tornavo verso l'albergo, quando vedo scesa nell'atrio e ferma all'ingresso, una signora che conoscevo da sempre, e facente parte della comitiva, e che abita nella mia stessa zona a Firenze. Mi stava guardando, e appena arrivo mi dice: "Signorina Fausta, che spettacolo!, è un po' che sto guardando la scena. Lei girava camminando attorno alla fontana, e non si è accorta che tutti i piccioni le camminavano dietro, passo passo. Sembrava una processione!" No, non mi ero accorta, ma io potevo capire, cosa avrebbero voluto. Avevano assaggiato i biscotti! Birichini!

Partimmo per Lourdes e arrivammo alle dieci del mattino, e prendemmo alloggio. Io avevo chiesto sempre una camerina singola per via di Maggiolino, e per non disturbare alcuno o impormi. Dopo scendemmo alla grotta per vedere e salutare la Vergine. Bevemmo alle fontanine, che erano messe tutte in fila sul muro. Molti bevevano, tutti, e si alternavano. C'erano però per me, anche squarci di possibilità, per far bere Maggiolino. Lui beveva moltissimo, non avrei mai creduto così tanto. Caro piccioncino! Lo tenevo sempre nascosto a tutti, come avevo promesso alla Madonna a Firenze, prima di partire.

Ma devo dire che sul tratto di viaggio, tra Carcasson e Lourdes, avevo intuito che gli autisti avevano parlato. Ma, ti pare! Pensassero ai fatti propri. Avevano detto al parroco, ed era diventato il segreto di Pulcinella, tra le suore ed altri. Non mi dicevano niente, ed io facevo in modo che non mi dicessero, non dando a nessuno confidenza, e stando sulle mie. Avevo capito poi, che nessuno si sarebbe potuto fare il bagno di guarigioni, ed io avevo male, avevo dolori e mi davo daffare alle fontanelle per bagnarmi le mani, e poi pure la zampina di Maggiolino. All'ora del pranzo andammo in albergo. Salii in camera a mettermi in ordine e pensai di lasciare Maggiolino in camera al sicuro.

Come avrei fatto, sennò, al ristorante? Mangiammo tutti, ai diversi tavolini e quando avevo ormai finito di mangiare, sento il parroco che accenna qualcosa del mio piccione verso di me. Non aveva resistito. Mi alzo silenziosa col viso serio, mi allontano dalla sala, e risalgo in camera. Che timore! E se me lo volessero portar via? Prendo il mio Maggiolino ed esco con lui nella alla borsa traspirante. Scendo le scale, incontro gente che sale, tra cui il parroco. Mi rivolge la parola dicendo: "È sempre la nostra signorina," io non parlo, e, scendo Era così, il mio atteggiamento, come a dire, che non ne volevo proprio parlare. Non mi conveniva, come avrei giustificato? Uscii e ritornai alla grotta, a pregare.

Alla sera, essendo giunte a Lourdes col treno circa ottocento persone, si riunirono per la famosa processione, e noi tutti del nostro pellegrinaggio partecipammo. La processione lentissima si snodò per il suo percorso. Era buio e la gente aveva molte fiaccole. Camminiamo piano, io ad un tratto mi sento più stanca, ma penso; starò fino in fondo. Questa stanchezza mi porta, a fare, un'azione sciagurata. Faccio questo; butto sulle spalle la borsa con Maggiolino, e cammino. Dopo un po', tiro di nuovo la borsa giù dalle spalle, e metto la mano dentro per toccare il piccioncino e sentire come stavano le cose. Rimango di sale. Angosciata, scopro che Maggiolino è ghiaccio e indurito. Mi rendo conto che è morto. Lo prendo sul cuore e piangendo, dico: "Vergine Santa, se doveva morire, tanto valeva, che accadesse a Firenze. L'hai voluto qui, ed è morto!" Me lo stringevo al petto. Era buio ed io, ero indietro nella processione. Piangevo silenziosamente. Tutto ad un tratto sento che Maggiolino si riprende, si riscalda, si muove. Dio mio!, è vivo! Madonna Santa, grazie, grazie! Ma, che errore, che avevo fatto, a mettere la borsa sulle spalle! Ero pienamente colpevole! Meno male che, la Madonna, me l'ha ridato! Piango dalla commozione, Maggiolino era di nuovo con me, mi pareva di sognare. L'avevo toccato prima, era inteccherito e ghiaccio, e non avevo dubbio che se n'era andato. Finisce la processione e ognuno va al suo proprio alloggio. Era tardi tardi, c'erano comunque delle fiaccole ancora accese. Mi ritiro a rifocillare Maggiolino con chicchini e biscotti sbriciolati, beve, e lo metto a nanna.

Abbiamo dormito come ghiri.

L'indomani siamo ripartiti per l'Italia. Non ricordo se abbiamo pernottato in qualche posto, nel viaggio di ritorno. Eravamo pregando, che, viaggia viaggia, ci avvicinammo al confine, arrivati al quale, appena superato, mi accorsi, che non c'era stato controllo. Tutto è andato bene, penso. Io stavo a sedere sempre nel terzultimo posto.

Ad un tratto dai primi posti del pulman, si alza in piedi il parroco e dice: "Allora, fuori questo piccione! Vogliamo vedere il piccione!" Tutti sull'autobus gridano: "Vogliamo vedere il piccione!"

Come avevo detto, era il segreto di Pulcinella. Ora sentivo, che non potevo fare a meno di accontentarli. Prendo il mio piccioncino tra le mani, sotto le ascelline, cioè, con le alucce libere, e lo alzo alla loro vista. Molti, la maggioranza, battono le mani e fanno festa a Maggiolino. Lui capisce e si mette a sua volta a ricambiare, vibrando le ali festoso. Subito lo ritiro, e lo ripongo al suo posto, nella borsa, fatta da me appositamente per lui. Alcune persone erano intenerite. Sorridevano e dicevano: "Che bellino!, ci pensate che abbiamo viaggiato con un piccioncino? È il simbolo dello Spirito Santo!" Naturalmente, ho sentito anche la critica di due persone, sussurrata, sotto sotto, così: "Un piccione, un piccione, che roba! Non si può poi, portare un animale, in queste situazioni. Le è, andata bene! Glielo potevano sequestrare, non si può portare un animale oltre il confine". Io tacevo, purtroppo me ne rendevo conto. Ringrazio in cuore Dio e la Vergine Santa della loro protezione, e di essere finalmente in Italia.

L'indomani dell'arrivo a Firenze, nella mattinata dovetti andare in canonica a motivo di ufficio. In qualche modo io lavoravo anche per loro. Mentre, stavo arrivando nell'ingresso, sento che un gruppetto di preti, stavano ridendo a crepapelle, e intuisco che parlavano del giorno prima. Faccio come nulla fosse, ed entro per sbrigare il mio ufficio. Le risate cessano di colpo. Visi seri, compunti, di circostanza. Il parroco, mi apostrofa: "Signorina, non me le faccia più, queste cose!"

Sarà, che io ero contenta, per mio conto, sarà il contrasto coi loro visi atteggiati a severità, fatto è, che io sbottai in una risata a pieno, che mi fece proprio bene, mi sbloccò così dalla tensione. Non dissi nulla, e me ne andai a casa che ancora, mi rideva tranquillamente il cuore.

I primi due o tre mesi del 1970, appena acquistata da poco la macchina 500L-Fiat, mi recai a Torino in auto. Andai alla chiesa della "Consolata" dove, nel cui istituto, il mio povero fratello Sandrino, aveva studiato tanti anni per missionario. Ero sola, e lì, davanti alla Madonna mi pareva di ritrovarlo il caro Sandrino, che purtroppo è morto poi in Russia a NOWA-KALIT VA Kolubaia Krinizka, nella seconda guerra mondiale. Ero andata a Torino, anche per andare, nella chiesa di Maria Ausiliatrice, siccome io sono stata salesiana e mi sentivo tale. Volevo confessarmi cioè fare, una confessione generale, come in passato avevo sentito consigliare in Convitto, quand'ero ancora giovinetta. Arrivai giù, nella discesina stradale, davanti alla chiesa di Don Bosco dedicata a "Maria Ausiliatrice". Erano poco più delle nove e trenta. C'era uno splendido sole, ed il portale della chiesa era spalancato, tanto che la luce solare rimbalzava dentro tutta la chiesa. Che bella! E che bella la Madonna di Don Bosco, ausilio dei cristiani!

Sulla destra entrando c'è l'urna, con il corpo imbalsamato, di Maria Mazzarello, la capostipite delle suore salesiane di Don Bosco. Voltando il capo sull'angolo destro entrando, c'è il confessionale di legno scuro. Avevo osservato che nella chiesa non c'era nessuno, eccetto che, una suora che stava inginocchiata proprio al confessionale, Mi dissi: "Che fortuna, c'è qualcuno a confessare!" La suora si allontana e al suo posto vado io. Dico, che voglio fare la confessione generale e che venivo da Firenze. Con mia sorpresa, il confessore rifiuta di confessarmi, consigliandomi come non necessario. Avevo la possibilità di vedere bene attraverso la grata bucherellata, il viso del confessore, con la luce riflessa dalla parete di fronte, proprio dove c'era l'immagine grandissima della Madonna. Guardo, guardo, e, mi avvedo che è Don Bosco stesso! Aguzzo gli occhi, e guardo guardo ancora, e vedo bene. È lui. Lui! Conoscevo bene il suo viso, per averlo rimirato all'infinito nella sua immagine, quando mi trovavo dalle suore a Novara. Mi dà un consiglio, che non dico, senza accettare la mia confessione. Mah! ero venuta da Firenze! Mi accomiata benedicendomi, ed io mi ritiro serena e leggera, e tomo a casa. Avevo capito delle cose. Però dirò poi, quanto son testarda, appunto dell'ariete.

A Firenze una signora amica m'invita ad andare sul cucuzzolo di una collinetta, dove c'è un convento di frati francescani, a prendere benedizioni. La prima volta andammo in più persone. Sono scrupolosa dentro il cuore e penso di tornare da sola, per fare la confessione generale. Sì, malgrado Torino. Anzi, penso di farla un po' alla volta, addirittura a rate. Così faccio. Torno su da sola, alla prima volta. Mi riceve il frate X, quello delle benedizioni, ed io le chiedo: "Posso ritornare?" "Certo!"  Dopo dieci giorni io torno. Lo trovo nel piazzale o cortilone, dove c'è un grande pozzo in mezzo. Pozzo antico. Mi avvicino e lo saluto. Lui era al di là del pozzo. Si volta e mi guarda. In quel momento io vedo il pozzo, che è logico contenitore di acqua, contenitore invece di grossissimo braci accese, pieno fin sopra all'orlo. È molto bello! Il frate francescano mi guarda, ed io le dico: "Padre, Lei può adesso confessarmi?" Dal di là del pozzo, con le meravigliose braci, lui mi risponde: "Perché?, hai bisogno di essere confessata tu?" Io taccio, alzando espressiva le sopracciglia e lui seguita: "Anzi, ti dirò; tu, non ti confesserai più, per tutta la vita!" Io rimango pensierosa, e guardando le bellissime braci, penso allo Spirito Santo. Il frate mi saluta sorridente, e s'allontana, ed io vado via, pensando che questo fatto, è un vero e proprio Svincolo per Volontà di Dio, che infine, devo e voglio accettare. Nell'andarmene, gettai ancora uno sguardo al pozzo. Il pozzo era normale. Prima, era pieno di braci fino all'orlo, e un po' di più. Braci, cioè fuoco, simbolo dello Spirito Santo, e dopo, il pozzo era normale.

Anche se io mi sentivo interiormente serena, pure questo fatto incise dentro di me. Non c'era che aspettare di capire meglio in seguito. Prendevo ormai le cose dalle mani di Dio. Scesi poi a casa, che era ancora pieno mattino. Sole! Oltre al solito lavoro, adesso mi sentivo di realizzare un quadro in casa, e raffigurare i miei due galletti-giganti, di cui ne avevo tanta nostalgia. Li raffigurai nello stesso pollaino che avevo costruito per loro, facendo la (falegnama), e poi vetrificato il pannello lo incorniciai con cornice bianca. Tenendo il quadro in cucina, è un po' come averli con me. Stanno proprio bene, loro candidi in quella cornice. "Sono proprio loro", mi dissi, e almeno li posso vedere, il mio Pio e il mio Poponi, e stanno ormai nel mio cuore, come due grandi fiocchi di neve". Era appena iniziata la primavera e non era molto, che mia sorella Franca e suo marito erano stati a trovarmi, e mi avevano portato di tutto, uova fresche, formaggio friulano, funghi cotti, ecc.

Il mio frigorifero era sufficientemente rifornito. Avrebbero potuto stare di più con me, ma avevano in programma di andare al mare a Grado. Con me erano nervosi, motivo la presenza di Maggiolino. Figurarsi! Partiti loro, io ero intenzionata ad andare ai santuario d'Oropa nel Biellese di cui avevo nostalgia essendoci stata con le suore salesiane, in comitiva con le ragazze del convitto Olcese nel 1939. Avrei potuto così fare il viaggio poi, ad arco dell'Italia, toccando Genova, Torino, Biella, e Oropa, Milano e Udine. C'ero stata più di trent'anni prima, e desideravo andarci da sola. Naturalmente con Maggiolino. Lui stava sempre con me ormai, persino sul lavoro. Questa volta ero sola con il mio Maggiolino sul sedile accanto a me in macchina. Il viaggio è tutto positivo. Ogni tanto; mi fermavo per far beccare cicchi e bere, al mio piccioncino. Qualcosa mangiavo anch'io, più acqua e caffè. I viveri del frigo li avevo caricati tutti sulla macchina. Il tempo non poteva essere più splendido di così. Passata Genova, Torino, arrivo a Biella, e subito mi trovo, abbastanza vicino alla salita per la montagna.

Arrivare su ad Oropa, con il verde degli alberi baciato dal sole, mi fu più breve, di quello che avrei immaginato. Non ricordavo, i grandissimi piazzali, antistanti al santuario. Con mia sorpresa, vidi in essi tantissime macchine automobili, e mi resi conto del boom, della montagna.

Tanta tanta gente, vestita di tutti i colori, spiccava, tra il verde che circondava gli edifici. Mi diressi al santuario a onorare la Madonna nera. Sembra che risalisse ai primi secoli del cristianesimo, addirittura da San Luca. Ero felice di essere lì. Uscii, per andare a vedere se trovavo alloggio per una sera. Chiesi lì prezzo, lire settecento (solamente?) per una camerina semplicissima e pulita. Decisi di stare lassù una settimana, perché la cifra era convenientissima, una vera inezia. Fui contenta. Venni a sapere che lassù in quegli edifici fatti di sasso, e rosi dalle intemperie, vi erano più di tremila camere, che ricordavano, le celle del frati. Dalla finestrella della camera, vedevo i tetti fatti di pietra. Grosse pietre piatte e scure. Dietro il santuario svettavano le montagne della Val d'Aosta, e fra di loro scorrevano le sorgenti che piombavano poi in cascate e cascatelle, come perle al sole. Tutto era limpido lì, colori, aria, acqua. La gente si spingeva a piedi a fare delle passeggiate, per perlustrare sempre più in su, e godersi l'aria fine. Io salii di poco sui sassi a piastra, nel sole, e mi sedei poi a respirare, con il mio Maggiolino in grembo. Stavo ben accorta a non espormi alle viste, non doveva importare a nessuno. Le nuvole bianche scorrevano veloci nell'azzurro. Nei giorni che seguirono la pioggia e il sole si alternavano direi ogni tre ore. La situazione atmosferica era in continuo cambiamento. Tutto bellissimo e suggestivo.

Per mangiare scendevo e andavo nella macchina dove avevo i viveri. Maggiolino, sempre con me. Non lo mollavo un attimo, né giorno né notte. Tutti i giorni scendevo in chiesa a pregare. Poi girellavo un po' in qua e in là. Mi ricordai che una trentina di anni prima, quando andammo con le cento e più ragazze lassù, ci avevano fatto visitare, le sale del tesoro, con tanti ori e pietre, ecc... Pensai di andarlo a rivedere, ma non c'era più. Era stato traslocato altrove, chissà dove, per sicurezza, forse per via della guerra. Speriamo che non sia stato trafugato dagli svariati nemici, purtroppo. Io lassù ci sono stata proprio bene, tranquilla e mi svagavo, al veder andare e venire la gente, i cui colori erano una vera festa. Finiti i miei viveri, decisi di andare per una volta, in trattoria, per ricordarmene. Dopo mangiato ed essere ritornata con Maggiolino a salutare la Madonna e detto l'Ave Maria con lui, che io tenevo vicino alla guancia, per cui lo sentivo a ripetermi a suo modo, quando scandivo le frasi, gù, gù, gù. Scesi la montagna, e mi diressi verso Milano e poi a Udine. A Udine non trovai i miei parenti.

Erano tutti al mare a Bibbione, dove così mi diressi. C'era anche la Franca, tutti i figli di Mario, ed anche la mia matrigna. Erano tutti lì. Mi fermai pochi minuti, salutai tutti, e ripartii per Firenze. Con la mia fedele cinquecento, andavo a giusta velocità, cioè, ottanta ottantacinque novanta. Avevo da bere e da mangiare quel che mi bastava per arrivare a casa. Per Maggiolino non mancava il miglio ed i biscotti. La tazza della sua acqua, non si rovesciava per niente pur viaggiando. Fatte le dovute fermate, ci ritrovammo in breve a casa. Il viaggio attraverso l'Italia era andato bene, grazie a Dio e alla Madonna!

Ero contenta. Ero finalmente tornata ad Oropa, e soddisfatta la mia grande nostalgia di quel santuario. A casa mi circondai di nuovo di tanti piccioncini e li rifocillai tutti volentieri. Anche Titti e Dida, i genitori di Maggiolino erano lì sul terrazzo e nella veranda. Dopo due giorni si scatenò un terribile uragano, giorno e notte, lampi e tuoni e saette. Pensai di tenere con me in cucina i miei piccioncini. La notte era movimentata di lampi fulmini tuoni e saette, ed io stavo a luce spenta per paura. Seduta davanti al finestrone con i miei piccioncini sul grembo, ed ogni lampo era giorno. Io tenevo Maggiolino in una mano e la Dida mamma sua, nell'altra. Le parlavo, a Dida, e le dicevo che doveva voler bene al suo Maggiolino. Credo proprio che Dida mi abbia inteso, perché ha voluto salire su di me, sulla spalla, e mi ha messo il suo beccuccio nell'orecchio, come dire: "Come facevo io, a tirar su il mio colombino così conciato, con quella zampina?!" Capivo che era proprio questo, che mi intendeva trasmettere.

Allora la consolai facendole capire che il suo colombino, aveva me per mamma, Dida, capiva. Era piuttosto piccola, quasi nana, ed anche Maggiolino era piccolo, e mi stava sul palmo della mano. Titti invece, era un bel piccione, importante come aspetto. Purtroppo per dolore a lui e a me, dopo un anno o due la Dida muore, e lui la vede, e si dispera all'infinito. Racconto la cosa al mio dentista e quel dottore mi dice: "Le metta subito accanto un'altra piccioncina, se no, il suo Titti muore!"

Trovo, tra il gruppo dei piccioni, che scendevano sul terrazzo, una piccioncina deliziosamente bianca. La prendo e la porto in cucina accanto a Titti. Titti non si dava pace. Per farli familiarizzare con serenità, li porto giù nella veranda - serra riforniti di cibo. Ci potevano stare bene essendo inverno. Tornando a casa dal lavoro io andavo subito a vedere se tutto andava bene tra di loro due. Purtroppo, con mio dispiacere e sorpresa, trovavo la candida piccioncina, nel secchio della spazzatura che stava lì, senza coperchio, col suo sacchetto nero. Titti non l'accettava e si vede, che, rincorrendola malamente, la obbligava, nel bidoncino della spazzatura.

Mi dissi, la prima volta; forse, mi sbaglio, sarà un caso? Mi accorsi invece, dopo giorni di attenzione, che effettivamente, non era un caso. Titti aveva avuto un solo amore, la sua piccola Dida, e non riconosceva altre. Io soffrivo per la colombina bianca e anche per Titti. Venne la primavera ed io dovetti giustamente dare loro la libertà. Lasciai aperto, nella speranza anche che tornassero. La prima a fuggire, fu la colombina. Titti, si allontanò subito in giornata anche lui.

Non lo vidi più. E andato senz'altro a morire, che il suo dolore era più forte della vita. Se non fosse finita così, Titti sarebbe senz'altro ritornato qui; che, questa casa lui la conosceva, era la sua.

Non ho finito, di parlare di queste creaturine. Avevo sempre Maggiolino. Non tutte le volte lo portavo sul lavoro, ma vedevo l'ora di tornare a casa. Lo tenevo, in un cestino imbottito, sul tavolo in cucina. Mangiavamo insieme. Quando mi mettevo a guardare un po' la televisione. Maggiolino era, su di una seggiola accanto a me, e guardava anche lui, e non voleva essere disturbato, capito? Io pensavo, che era un angelo, tanto era buono. Un giorno sentii la Madonna a dirmi: "NOI, vogliamo molto bene a Maggiolino!" Testuali parole. E poi altra volta: "Maggiolino sarà per te, un autentico Spirito Santo". Queste cose le sentivo veramente, e mi pareva naturale, che potessero sentire anche gli altri.

Non amano gli animali i miei parenti, cioè Franca e Guido, perché non li hanno scoperti ancora, quanto sono meravigliosi. La Franca e suo marito si sono comunque dedicati molto ai bambini di Mario mio fratello, che ne ha avuti cinque. Loro hanno fatto sempre molto del bene, e poi la mia sorella ha grande affezione per Mario. Abitano ambedue le famiglie a Udine, poco lontano una dall'altra, per cui si aiutano vicendevolmente Quando mia sorella e suo marito venivano in passato giù da me, non sopportavano i miei animalini, e mi apostrofavano severamente. Mi brontolavano in continuazione. Non ci badavo poi troppo, se no, sarei stata troppo male. Venne un'estate, che m'invitarono a Grado con loro, che andavano al mare. Risposi che non potevo, perché avevo Maggiolino. Mia sorella al telefono mi obbiettò: "Ebbene vieni lo stesso, vieni con Maggiolino". Queste, sono state le sue parole. Allora, io partii con la cinquecento per Grado.

Desideravo davvero stare un poco con loro, e prendere un po' d'aria di mare, e così, presi in parola la Franca. Loro avevano preso in affitto, per un mese, il solito loro appartamentino, che prendevano tutti gli anni. C'era cucina bagno, camera matrimoniale e salotto con un lettino, che sarebbe stato per me. Era tutto semplice e pulito, col linoleum per terra. Maggiolino nel suo cestino imbottito, con i suoi lenzuolini, stava per terra, accanto al mio lettino. Ma non fu pace. Franca con i suoi occhi grigi lo fulminò subito, e m'investì col suo isterismo, dicendomi: "Levalo di lì, buttalo nel bagno, sotto il lavello". Risposi: "No, non posso". E poi zitta, e lei brontola brontola che sembra una coccoina di caffè. Poi succede questo, che lei e suo marito, cominciano a litigare tra loro due a causa, del famigerato, Maggiolino. Io non ci metto bocca. Tanto loro litigano sempre, di abitudine. Sto quieta, ma non dormo poi bene.

L'indomani si preparano per andare al mare, e mi accorgo che fuggono via, seminandomi. Non mi aspettano dunque, non mi vogliono con sé. Ma che razza d'invito è questo! Non so dove, e in quale pezzo di spiaggia sono andati. Io vado giù nella piazzetta, dove avevo posteggiato la macchina. In macchina mi sentivo in casa mia. Davo da beccare e da bere a Maggiolino, e stavo lì a guardare i ragazzini che giocavano rincorrendosi per la strada. Loro si accorgono di me e di Maggiolino e mi fanno capannello intorno. Sto tutto il giorno lì, fino a che non vedo i miei, arrivare per la cena. Li saluto, e loro sono scuri, non rispondono. Decido di ripartire l'indomani prestissimo, per Firenze. Stare ancora, è assurdo. Lì, non è aria, per me. Avevo lasciato giù nella macchina, una grossa picciona scura, che mi avevano portato quei bambini, durante il giorno. Era una picciona, robusta e forte, proprio tipo mare. Non so come l'avevano presa.

Mi dissero che non volava, che aveva bisogno di cure e che me l'affidavano a me, perché la curassi. Alla Franca dico solo: "Ti saluto, domani parto". Lei non dice parola, è scura, e basta. Se avesse saputo, che giù in macchina avevo un altro piccione, sarebbe andata su tutte le furie. Non sapeva a che ora sarei partita. Era la seconda notte che dormivo lì, e s'immagina come. Nella notte il tempo si guasta di brutto, tempesta e pioggia a non finire. Scendo alle quattro e un quarto del mattino che era un buio pesto. Salgo in macchina tra gli scrosci dell'acqua e parto subito. Non so, come imboccai la strada. Non c'era quasi per niente illuminazione, buio, buio, e strade allagate. Io piangevo a dirotto, come la pioggia di fuori. Mi premeva allontanarmi, sempre più. Non mi potevo poi fermare, in quelle strade deserte e buie a quell'ora. Mi avrebbero potuto tamponare. Il buio, durò fino alle sette. La pioggia sferzava sulla macchina, e la macchina fendeva l'allagamento stradale. Ma finalmente la luce mattutina, avrebbe avuto la meglio. Io viaggiai fin sotto Padova, prima di fermarmi un po'. Mi fermai al sicuro, per far benzina e dare poi da mangiare, ai miei due angioletti piccioncini. Il tempo cattivo, l'avevo ormai lasciato alle spalle, e meno male! Io sarei ormai arrivata a Firenze, con facilità. Pensavo; come ci sono cascata a credere che sarebbe, stato pace, sul mio piccioncino. Ma, anche sola, sarebbe stato così. Mia sorella soffre, di umori neri.

Nel tempo sono ritornata a Udine a trovare i miei, sempre per breve tempo, pochi giorni. Mia sorella non si sentiva bene, aveva la pressione alta, ed io ero in pensiero per lei, che un giorno me la vidi come morta tra le braccia. La pressione era andata altissima. Meno male che superò, che paura di perderla, questa mia sorella. Poche ore; addietro, avevo avuto di lei una super-chiaroveggenza che era una risposta alle mie ansietà a proposito del suo atteggiamento e delle sue reazioni.

Avevo visto, il suo cranio aperto totalmente. Nel cervello di lei, c'erano fitte fitte, delle foglioline di "pungitopo" con a tratti in qua e in là, delle gocce di sangue. Dovevo trame il significato.

Il messaggio era forte. Mi spiego; "pungitopo", non può che essere il simbolo di: stizza, ruspaggine, repulsione, come a dire: statemi lontano, sennò, vi tratto male! L'Universo mi dava spontanea chiarezza della situazione; c'era da allibire!! Dio mio!, dovevo comprendere, dovevo compatire. Malgrado i suoi litigi costruiti sul niente, la sua ruspaggine, io so, che mia sorella Franca è buona e generosa di sé, del suo lavoro. A me però, pare proprio di aver rincorso tutta la vita, la sua buona grazia, ma non siamo mai, potute entrare in sintonia, in dialogo, in confidenza. Con altre persone lei era frizzante, festosa, a volte caricata all'eccesso. Precisa, elegante con misura, buon gusto nel vestire. Io la definisco, la donna cigno. Meno male che tra marito e moglie si vogliono bene, malgrado i litigi, che per me sono inutili, e futili. Ora sono quarantasette anni che sono sposati, e spero nella loro pace, e salute, che è un bene grandissimo.

Dunque, io tornata a Firenze con i due piccioni, cominciai poi le mie vicende col lavoro ecc... Venne presto l'inverno, ed io tenevo in cucina Maggiolino e Gugù, la picciona la chiamai così, Gugù. Era bellissima, scura, non proprio nera. Andava d'accordo con Maggiolino. Era sana. Deponeva però le uova, che naturalmente non erano fecondate, e le covava regolarmente nel suo cestino. Io non volevo che si atrofizzasse a covare sempre, per cui gliele levavo dopo un po' di giorni, e le buttavo via. Una volta che credevo, che per un po' si riposasse e non facesse uova, mi accorsi del primo uovo deposto, ed esclamai: "Oh! no! come fare?" Gugù era in un cestino, accanto al cestino di Maggiolino. Pensai che le dovevo chiedere quel primo uovo, col suo permesso, così feci, facendolo vedere che tenevo poi con cura l'uovo in petto. Gugù non ci pensò molto, fece una cosa incredibile, uscì dal suo cestino, ed entrò nel cestino dove stava Maggiolino, sorprendendolo, oltre modo. Si affiancò a lui, e le depose il secondo uovo, accanto.

Io guardavo, con meraviglia, Gugù, uscì dal cesto di Maggiolino, lasciando a lui, regalandole l'altro uovo. Aveva pensato; un uovo, ho accettato di donarlo alla (mamma), è giusto, che anche Maggiolino, abbia in dono da me, l'uovo. Mi complimentai con Gugù, che era stata così brava. Lei capiva, ed approvava battendo il beccuccio. Mi aveva riempito il cuore di tenerezza, per il sentimento e la giustizia. Ma quanto c'insegnano gli animali! Ringrazio Dio, che mi ha aperto il cuore e la mente, a, guardarli e vederli! Venne la primavera, ed io lasciai andare Gugù sul terrazzo, assieme ai piccioni liberi. Un certo piccione (dongiovanni), approfittò subito di lei; era un piccione di quelli che non si affezionano, infatti Gugù volle tornare in cucina. Depose due uova, uno più grossetto (maschio), ed uno più piccolo (femminuccia). Erano fecondate, ed ora lei, sapeva. Sapeva, che avrebbe avuto i piccioncini, e fu così. Nacquero belli, forti e robusti. Uno maschio e uno femmina. Cresciuti, il maschietto diventò lo sposo di Gugù, e fecero in seguito, tanti nidini e la razza si rinforzò, perché Gugù, era originaria da posto di mare. Io li lasciai liberi, fuori, ma loro non si allontanarono mai, dal terrazzo.

Che corazzine, che avevano! Un giorno che stavo sulla scala nell'ingresso, ad attaccare la carta da parati, vedo Gugù arrivare a cercarmi, mi vide sulla scala e stette a guardare cosa facevo. Per arrivare nell'ingresso, aveva dovuto attraversare due ambienti, veranda e cucina. Erano liberi ormai. Con me rimaneva Maggiolino, con la maglietta, perché aveva poche piumine, e poteva avere freddo. Le feci tre cappottini di panno lenci, uno bianco, uno rosso, uno verde, con rispettive passamanerie per guarnizione. Qualche amica, cucì per lui un simpatico gilè a quadretti, e le portò un uovo di Pasqua di regalo, con dentro la sorpresa; un uccellino russo coloratissimo, di metallo smaltato, che aveva diversi movimenti; apriva le ali, girava la testa, batteva il becco, muoveva la coda, camminava, pigolava, con la molla di carica sotto la pancia. Bellissimo insomma.

Maggiolino vedendolo sul tavolo in azione, diventò euforico, e le fece letteralmente le feste. Com'era contento. Fu a lui regalato anche un aeroplanino, con i colori della Madonna di Castelmonte, giallo e celestone. Io lo facevo giocare un po’, l'ho fatto riprendere dalla cinepresa di persone amiche. Lo fotografai sulla neve, e altrove. Voleva sempre stare coperto al caldo, con lenzuolini per benino ecc.. Lui era felice. Il marito della mia amica, si dette daffare per approntarle un passeggino di legno, con le ruote a sfera. Non fu di riuscita, assieme ad altri passeggini, che avevo provato a fare io. L'unico indovinato, era il passeggino pneumatico, che io avevo fatto per primo, con i guanti di gomma, da casa. Maggiolino, pur non potendo volare, ha però fatto a questo due eccezioni. Una volta sentì nell'ingresso di casa, una voce grossa, che non lo lasciò tranquillo. Io parlavo lì con un inquilino. Ad un tratto mi vedo arrivare a volo dalla cucina il mio piccioncino, mi piomba ad ali aperte sul petto. Veniva a difendermi. Aveva avuto paura che mi portassero via, o che mi succedesse qualcosa di male. Un'altra volta lo lasciai un attimo, accanto alla cassiera di un cinema, ed entrai per un minuto nella sala. Ne uscii subito fuori, e sorpresa mia. Maggiolino stava volando nell'atrio del locale. Era alto. Appena mi vide, mi scese addosso e cominciò a darmi bacini sul viso. Una amica lo vide e m'invidiò. Fui contenta di averlo visto volare, soprattutto per la sua gioia. A casa provavo a buttarlo un po', in piccoli velini, ma cadeva sempre sulla coperta. Era felice se facevo così, e me lo dimostrava facendo festa con le alucce e vibrando dalla gioia. Andavo, a volte, fuori Firenze con la macchina, per portare dei malati, a prendere benedizioni, e lo portavo con me nella borsa, col suo cestino. La persona che benediva, lo sapeva, e metteva la sua benedetta mano, nella borsa per benedire pure Maggiolino. Dove andavo per le benedizioni, io sentivo forte la presenza della Madonna, che mi mandava dei profumi e delle luci nell'anima.

Andavo anche in altri posti, dove potevo. Anch'io, con la mia feroce malattia (poliartrite reumatoide progressiva), ho pensato sempre, che io avevo bisogno di tutti. Se non guarivo, avrei trovato la forza spirituale, per superare le difficoltà della vita.

Tanti anni è stato con me Maggiolino, ed io una sera, tornata a casa alla mia solita ora, cioè alle diciotto, era estate, le giornate nella loro piena lunghezza, lo trovo depresso. Scuoteva il capino. Non l'aveva mai fatto questo. Cerco di scoprire perché, se sta forse male d'intestino. Ma no, non c'entra l'intestino. Penso lo stesso di farle bere un po' d'acqua con gocce di limone. Guardo, non avevo limone. Avverto Maggiolino che vado via, per un po'. Le dico: "Maggiolino, mamma, va, vieni!", Maggiolino non vuole, e scuote ancora il capino. Vado lo stesso, e torno subito col limone. Le do un cucchiaino d'acqua con cinque sei gocce di limone, e mentre lo raccolgo un po' nelle mie mani, per capire cosa poteva avere, scopro, con terrore, che ha una crosta scura sul pettino. Una crosta secca, scura, grande quanto un'unghia di pollice. Mi spavento e dubito il peggio. E l'unica cosa che posso fare, le applico della penicillina. Sono stanca, lo metto nel cestino e lo porto accanto a me, sdraiandomi sul letto.

Era presto, ed a me piaceva di stare un po' a luce accesa. Ero preoccupata per il mio piccioncino. Lo lascio tranquillo. Non lo accarezzo, non parlo neanche. Mi pareva di disturbarlo. Ora a raccontarlo, ho le lacrime agli occhi. Mi aveva fatto capire, scuotendo il capino, che stava molto male.

Il cestino era alla mia destra, accanto al mio cuscino. Tacevo. Dopo pochi brevi minuti, Maggiolino fa una cosa, che non aveva mai fatto, uscendo dal suo cestino, si arranca sulla mia spalla destra e trascinandosi mi arriva sul cuore. Io ancora tacevo, che a parlare, mi pareva di farle male. Troppo, avevo capito ciò che succedeva. Io tacevo. Invece, stranamente lui si mette, a (diciamo chiacchierare) a modo suo. Quanto parlava!, e forte, quante cosine mi diceva! Diceva forse, a modo suo l'Ave Maria?, (che io l'avevo abituato, alla sera). Mi parlò, per buoni tre quattro minuti, stando sul mio cuore. Poi, tutto ad un tratto, tacque, e, morì. Il capino, le cascò su di me. Sentii immediatamente, una sfera psichica, entrarmi nel petto, dentro il cuore. Sapevo, che sarebbe stato sempre con me.

Ho interpretato perfettamente, il suo discorsino, che era tutto amoroso, non c'è di che. Lui era consapevole, che si sentiva molto male, e me lo comunicava col suo linguaggio. Mi diceva senz'altro, che voleva stare sempre con me. Caro, mio piccolo Maggiolino, quanto sei stato per me! Nato, il 20/5/70, e morto il 5/7/80. Dopo un certo tempo, il famoso nodo psichico, che mi era entrato nel cuore, e che sentivo forte, inspiegabilmente mi salì nel cervello, ed io sentivo Maggiolino dentro di me. Sempre. Mistero. Mah!, così.

L'ho sognato spesso, ma ne dico due di sogni. Uno, che mi aspettava, con le zampette nell'acqua in riva al mare, ed era con le piumine tutte d'oro. L'altro, che mi guardava, col suo occhino color arancio. Già, mi teneva d'occhio! Dieci anni, due mesi e cinque giorni, mi ha riempito la vita. Grazie!!!, mio piccolo dolce Maggiolino!

Avevo tenuto poi, per una signora, le sue, due tartarughe d'acqua, colorate bellissime e grandi venticinque centimetri. Poi pure tortorine. Tutte creaturine deliziose. Animalini straordinari, buonissimi! Hanno cambiato possessori. Io non potevo, dovevo andare spesso per ospedali, per curarmi. La malattia non mi dava requie, e poi m'indebitavo per una cosa o per un'altra. Avevo sempre un impegno di lavoro, oltre agli altri, che ho chiuso nel 1984. Poi non ho più avuto impegni fissi. Qualcuno, mi ha pregato di prestare aiuto e custodire i propri genitori ammalati. Di fronte a queste urgenti necessità, io non mi potevo esimere di soccorrere, se avevano bisogno, anche se già io, stavo male, accorrevo, e mi prestavo per quel che potevo. A volte anche la sola presenza è utile. Durante una di queste incombenze, mi trovai un giorno a dover andare a pagare le tasse, per me.

Era il quindici febbraio 1985. Pensavo a sbrigare questa cosa, ed a tornare quanto prima, a presenziarmi in una casa, dov'ero per essere a disposizione di una signora, che non sapeva di essere gravemente ammalata, e non lo doveva sapere. Era una persona di quelle, che proprio, non lo dovevano sapere. Con una scusa, mi tenevano in casa, per non lasciarla mai sola. Quel giorno, prima di tornare in detta casa, mi fermai ad una bancarella (già bancarella) di libri usati, che sta di fronte al tribunale di Firenze. Guardai il venditore. Un vecchio caratteristico, con barba e lunghi capelli bianchi. Con un'occhiata di sfuggita, l'avevo catalogato, come una figura di Padre Eterno, una figura michelangiolesca.

Scorsi, con sguardo veloce i libretti, che stavano sul banco; tutti gialli, o giù di lì. Mi dico tra me: "non abbia a esserci, qualcosa di buono, qui". Un po' dietro il banco, sul muretto di pietra c'erano altri libri, messi verticali, contro il muro. Guardo. Nulla, ma, ma uno!, con copertina celeste, mi attira inspiegabilmente. Leggo il titolo: "La Meccanica Celeste", di ELVIRA GIRO. Una donna!? Apro in fondo alle pagine, e vedo una foto-ritratto di un Signore distinto, ed esclamo a me stessa: "Ah! ma questo, io lo conosco!. L'ho visto da piccina! Come? In visione! In sogno!? Ma io, lo conosco!" Leggo sotto il ritratto: DAVID LAZZARETTI il "Cristo Duce e Giudice" (1834/ 1878). Non avrei mai immaginato, che da quel momento, mi si apriva il Cielo addosso. Guardo interessata al libro, le prime pagine, per interpellare l'indice. Sfoglio, e mi trovo davanti ad un meravigliose ritratto di una Signora, con un dolcissimo sorriso. Leggo il nome, Elvira Giro. È l'autrice! Cerco l'indice, eccolo, leggo; "Indice del settimo libretto". Scorro velocissima i primi  capitoli.  "Il  mio  richiamo  ai  popoli"  "La  mia Missione e l'Apocalisse" ...ecc. ecc... Capitoli interessantissimi. Pagine 55, più, tavole fuori testo, e disegni e quadri interni. Lo compro, dopo aver chiesto al vecchio il prezzo. Lire cinquecento, non mi par vero, così poco, per tanto contenuto! Non succede spesso.

 

 

 

 

 

 

La Chiesa Giurisdavidica, l’Eremo e la Torre Davidica, costruite

sul Monte Labro, dal 1868 al 1878

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

M'incammino veloce, per tornare, diciamo a fare la presenza, il mio compito, in quella numerosa e bella famiglia. Dopo mangiato e sistemato le masserie con loro, potevo andare nella camerina assegnata a me, accanto alla quale, si trovava quella della ammalata. Ero addolorata, per le pene, di quella famiglia, ed io pure dovevo far finta di niente.

In quello stesso giorno, nel pomeriggio alle ore quattordici e trenta, nella camerina, mi ripromettevo di leggere quanto prima, il libretto celeste, A tal proposito, mi siedo al lato del lettino posto in angolo. Nella stanza, soffusa dalla dolce luce pomeridiana, io stavo a mio agio, perfettamente tranquilla. Alzo la testa, e guardo verso la porta, per confermarmi di averla proprio chiusa, ma proprio mentre faccio questo, ecco, una vera e propria apparizione! Oh!, credetemi bene, che non so come fare a dirla. Devo usare, questo mio povero linguaggio umano, per dire una cosa, così Grande. Ebbene; in una Luce piena, circolare, dorata, mi si presenta, l'Eterno Iddio Vivo, cioè (non in statua), tutto d'oro.

Vestito, come un'extra terrestre, con un indumento tutto d'oro a girocollo, tipo oro brunito. È bellissimo! Mi guarda. La pelle del Suo Viso, con delle impercettibili movenze, è tutta d'oro chiaro in differenza al vestito. I capelli ritti ritti, alti circa cinque centimetri, come tagliati a "spazzola" e, tutti d'oro, più chiaro ancora del viso. Mi guardava, e si tratteneva, per essere visto bene. Lo vedevo circondato dall'alone della luce dorata, che aveva forse il diametro un po' più di due metri e mezzo. La Sua Figura tridimensionale, fin quasi alle ginocchia. Si lasciò guardare, e considerare. Non era, per niente vecchio!, oh!, no. Era di aspetto stupendo, sui quarantacinque anni, e imponente, più che persona umana.

Non parlò per niente, mi trasmise, di Sé, mi trasmise… Mio Dio! Dio mio! Oh!! che amabile, la Sua espressione! Altro che vecchio, (come l'hanno sempre raffigurato)! La vecchiaia, non è certo una definizione, per LUI! Che Bello! Il Suo vestito, tipo extraterrestre, era di un oro dal colore caldo particolare. Il Viso, cioè la pelle, era di un oro leggermente più chiaro, ed i capelli, fitti e ritti, erano di un oro ancora più chiaro, luminoso.

Erano decisamente d'oro, che non avevano niente a che vedere col biondo. Finita l'Apparizione, a me pareva di non essere in questo mondo. Che ansioso timore nel cuore! Era Dio, era l'Eterno Iddio, che mi era apparso! Rientrata nella consuetudine di me, capii, che mi trovavo nella strada giusta, con quel libretto nelle mani. Era questo che mi voleva confermare. Mi misi in preghiera per ringraziare. Dopo, mi misi a leggere, e, capii, piano piano capii, capii!... Nei giorni prossimi, leggevo e rileggevo. Mi apparivano, in sogno, figure spirituali altissime, non mi parlavano, ma mi facevano sentire la loro protezione ed il loro sostegno spirituale. Non passarono sette giorni, che una visione da sveglia, mi accadde così. Anzi, descrivo prima, lo stato atmosferico degli ultimi due giorni: giornate grigie, bigie, e piovigginose, di quelle, che non hanno reazione di cambiamento. Io, con i miei dolori non potevo dormire, ed erano le tre di notte. Ecco, la visione. Vedo un cielo notturno pieno di stelle. Su nel cielo, vedo tre grandi "ottagoni", piuttosto bislunghi, cioè, rettangolari. Tutti fatti di luce dorata. Erano grandi e messi uno dentro l'altro, in gradazione, cioè, più grande, più piccolo, ed ancora più piccolo. Le stelle erano palpitanti, ed una parte di esse, erano attaccate, cioè tutt'uno, cogli ottagoni luminosi.

Tutto il cielo e le stelle, mi erano più vicine, più prone, ed io le vedevo, più grosse del consueto comune vedere. Ad un tratto succede che, un numero di stelle cominciano a fioccare giù, verso la Terra. Ed anche tra quelle che erano unite agli ottagoni, alcune, scendevano, pacifiche, verso la Terra. Erano luminosissime, meravigliose e contrastavano armonicamente, col colore blu-notte del cielo. Ma, che spettacolo! Che significava tutto ciò?, pensavo agli ottagoni e mi dicevo che l'otto in sé, può significare continuità, per sempre. Erano tre. Potevano esprimere; tre opere, tre intendimenti, la Santissima Trinità, e, e altro? Non lo sapevo! Finita la visione, mi alzai, ed andai ad aprire finestra e scurette. Mi resi conto che piovigginava, ed era esattamente il prosieguo dei due giorni precedenti, noiosi e bigi, col cielo perpetuamente coperto. Era magnifico, quello che avevo visto in visione, ma ancora non capivo per bene. Avevo letto e riletto il libretto scientifico spirituale, dalla copertina celeste, e dal titolo "La Meccanica Celeste" e cercato su di esso un riferimento, per rintracciare la provenienza, e poter tirare i fili di questa conoscenza, così interessante. Da quella casa io tornavo alla mia dimora, solamente per vedere se avevo posta ecc. A casa col comodo del mio telefono, telefonai a Roma, dov'era la sede romana, dei giurisdavidici seguaci di David Lazzaretti il "Cristo" nella seconda venuta. Anzi, era la stessa abitazione, della Grande Signora, autrice del libretto. Mi rispose, un Sacerdote. Le parlai e le chiesi degli altri scritti, per capire di più al proposito. Mi avrebbe mandato qualche altra pubblicazione. Le parlai della visione delle stelle, (solo di quella, per brevità di telefono) e le dissi, che non l'avevo potuta capire. Subito mi rispose la sua interpretazione; "È la discesa dei nuovi Maestri Spirituali, per il Terzo Testamento del futuro millennio". Compresi, mi convinsi, lo ringraziai, le chiesi di salutare per me, la "Signora".

Era una cosa affascinante, quello che mi era capitato.

Avevo il bandolo di una cosa Grande, immensa, che non mi potevo ancora capacitare né immaginare. Barlumi?, oh, no, non solo barlumi! Molto più che barlumi! Tutt'altro, che barlumi. Avevo interpellato dei sacerdoti, un tempo sull'Apocalisse, ma non mi seppero dire nulla. Non toccava a loro!, "Vieni alla predica!" Mi dicevano come avrei io potuto fare, una sola domanda?, alla predica? Infatti, non toccava a loro, quella spiegazione. L'ho capito dopo, quando nelle mie mani arrivò, quella grande benedizione, che sono i libretti, dell'Opera Giurisdavidica, di "Elvira Giro". Con le apparizioni dei 1964 dell'otto dicembre, e quella del 15 febbraio 1985, più le visioni e le chiaroveggenze ricevute, nel corso dei miei giorni, avevo compreso di essere stata preparata a Capire, a Sapere, che la "Grande Signora ELVIRA GIRO" era la stessa "REGINA dell'UNIVERSO", che avevo visto nell'apparizione dell'otto dicembre del 1964, dove mi ha fatto vedere, un tema di cose. Ne sono certa, sicura, al mille per mille. Era Lei stessa che avevo visto scendere dall'Empireo sulla Terra. Il Suo Spirito, si è incarnato, per compiere il Suo intendimento e quello dell'Eterno Padre. In quei giorni, le visioni e le scoperte avvenivano così frequentemente, che non posso descrivere tutto, così, mi limiterò agli accadimenti giornalieri, ecc... In quella casa, dove mi trovavo, non dissi nulla delle visioni ecc... Entro il mese di febbraio, la persona ammalata morì. Sua nuora, mi congedò, regalandomi un vaso con piantine di mughetti (che mi piacciono tanto) e l'orologio appartenuto alla suocera. Mi chiese: "Cosa farà lei Fausta adesso che non sarà più con noi?," Ed io "Entrerò in ospedale a Ponte a Niccheri, per curarmi dei dolori della poliartrite". "Torni a trovarci!" "Penso di si!" Ma non ci sono poi tornata, pur sentendo amorevolezza per tutti loro, essendo piuttosto lontani da casa mia. Tornata a casa dunque, per la fine di febbraio, assesto un po' la casa e preparo i fogli per l'ospedale.

Di notte e di giorno passo diverse ore a leggere e rileggere i libretti giurisdavidici. Io capivo, avevo capito subito. Non mi sazio mai di essi, nemmeno adesso.

Telefono a Roma per ringraziare e dico del fatto dell'ospedale. Dico che mi piacerebbe prima, venire a Roma a conoscere la benedetta "Signora". Non finisco di dire, che il Sacerdote Leone Graziani, mi invita senz'altro. Figurarsi, se mi lascio scappare una occasione simile. Mi ospitano per due giorni. Porterò un paio di piccole lenzuola, per il tettino, per non dare daffare in più. Arrivo col treno a Roma al mattino, lì Sacerdote Ing. Leone, viene a ricevermi alla stazione Termini. Non avrei saputo districarmi nelle strade di Roma. Con la sua macchina in breve siamo in Via Tevere 21. Una casa stile antico. Grande, vecchio, portone. Il mio cuore, sa! È sicuro! Salgo le grandi scale, di casa vecchia ma semplice e pulita. Il Sac. Leone da giù, aveva suonato il campanello, per cui svoltata la prima rampa, il primo pianerottolo, vedo in cima all'altra rampa affacciata all'uscio del proprio appartamento, l'Elvira mi aspetta!

(Ma, come, tanta confidenza. Fausta?!, Come scrivo?!) Salgo le scale con le ali ai piedi, e abbraccio e bacio, "l'Elvira".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DAVID LAZZARETTI, il Cristo Duce e Giudice della Terra (1834-1878), dopo aver vinto il Potente Serpente Dragone, in unione all’Eterno IDDIO, ha stabilito la nostra Eterna Alleanza, abbinata all’Unica Legge, dell’Umano Diritto Divino. Egli aprì il Libro della Nuova Vita, accompagnato dal Battesimo del Fuoco, per il Regno dello Spirito Santo. Prima di essere ucciso, il 18 agosto, alle ore 11,20 e in un giorno di domenica disse:

“Che i destini dell’umanità si compiano! Io ho tutto fatto, per Vostro comando, mio Eterno Signore!”

Il mio cuore esulta. Io, so! So chi È! Cerco di essere me stessa, cioè, calma di fuori. Come sono felice di spirito! Ecco; il posto del mondo, dove è Lei, la Madonna stessa! Sulla Terra! Non ho, nessun dubbio. Nel mio cuore non c'è posto per il dubbio, e nella mia mente, non c'è malpensanza. Quando ci viene manifestato, nessuno, può togliere, ciò che è stabilito nell'Universo, per la evoluzione umana, cioè, delle anime-spirito. È così, e si realizzerà così. Avevo avuto in forti visioni o chiaroveggenze, rivelazioni su alcune mie vite precedenti, ed anche future, dove vedevo il posto, e la mia nascita ecc..., e mi consideravo fortunata a non aver mai chiuso le sette porte, specialmente quella della reincarnazione.

Qui devo dire che, in quel febbraio, prima che io uscissi dalla casa menzionata, ebbi in sogno una forte visione: "Vidi il Signore, e mi pareva che mi tenesse le mani nelle Sue, ma io Lo guardavo in Volto perché Lui mi parlava, scandendo le parole, diceva: "Ripeti con Me; Io, sono Ebraica, Cristiana, Giuris davidica!" Io con Lui a voce forte ho ripetuto, tanto che su questa visione, mi sono immediatamente destata.

Perplessa mi dicevo: "Ma perché, non mi ha fatto dire cattolica?; e ci pensavo sopra. Oh!, certo che capivo ormai, anche se capivo piano piano. Per conto mio, io nata e cresciuta nel cattolicesimo, mi consideravo cattolica, ed è stato un bene che fossi in sincerità così, altrimenti, non mi sarebbe stato concesso il passo, che direttamente di Sua Volontà, l'Eterno Iddio, mi ha fatto fare. Dunque, io ero ospite a Roma, e nella mia mente, c'era ormai, la consapevolezza di quello, che era successo in Italia, precisamente in Toscana nel secolo scorso. Cose, non sapute che da pochi. Tenute nascoste, abbuiate il più possibile. Libri spariti, trafugati, nascosti, distrutti, per non farci conoscere. Sì, il "Cristo" nella seconda venuta aveva scritto, diciassette, e forse più scritti, e anche all'estero. David Lazzaretti, Spirito Santo, "Cristo Duce e Giudice", in seconda venuta, nato il 1/11/1834, ad Arcidosso (Amiata), provincia di Grosseto, era stato ucciso dai nemici del bene, nel giorno del 18/8/1878, con una fucilata in fronte, nel corso di una processione ad onore della Madonna Assunta, Processione che si preparava sin dal quindici d'agosto, e che si differiva, per insidie che si prospettavano. A David Lazzaretti, dopo che in dieci anni, ha concluso la Sua Altissima Missione, era riserbato questo triste destino.

Praticamente, la storia si ripete. Così il "Cristo", come nella prima, anche nella seconda venuta è stato ucciso barbaramente. Gesù Nazareno, che era venuto per ristabilire sulla Terra il piano spirituale, profetizzando il "Consolatore" = (togliere dalla crocefissione l'umanità), lo stabiliva all'ordine del piano sociale, e infatti David Lazzaretti, come "Cristo Duce e Giudice della Terra", portandoci la Legge del "Diritto Divino e Umano", aveva impostato sul Monte Labro (Amiata), un piccolo campione sociale con ottanta famiglie, coordinate all'esigenza.

La sua storia è splendida, e va conosciuta, maggiormente perché, il "CRISTO" Padre con Gesù, operavano in Lui. Ma in Italia, c'era chi aveva intendimento a coprire e annullare, questo fatto increscioso della sua uccisione, conniventi stato italiano e parte religiosa, che ha dimostrato che, sulla spiritualità, si erano scatenate gelosie velenose, malvagie, proprio come ai tempi di Gesù Cristo. E non ammetterebbero mai di sbagliare. Invece, solo Dio è Infallibile. Dunque, ero arrivata a Roma l'11/3/85, e fui ospitata come dissi, da quella "Persona" che io sapevo essere la "Grande Madre Regina dell'Universo". La sua struttura di persona piccola di statura, e nello stesso tempo imponente, mi ricordava bene l'apparizione del 1964, in Santa Maria Novella a Firenze. Le manine le manine, le manine, mi commuovevano al richiamo. La sua semplicità umana, nascondeva troppo bene la Sua Grandezza, tanto che io fui priva di soggezione, anche se nel cuore, sentivo una grande riverenza. Parlammo assieme con il sacerdote Leone Graziani di cose spirituali, poi, preparato il lettino in sala da pranzo, ci congedammo per la notte. Dormii, tutta una tirata fino al mattino. In mattinata, Leone mi portò con la macchina a percorrere alcune strade di Roma, e me ne spiegava i significati. Rimasi sorpresa da tutte le coincidenze simboliche. Per l'ora di pranzo ritornammo a casa. Riflettevo, e pensavo a tutto il lavoro di Elvira e Leone, per l'apertura spirituale a beneficio dell'umanità, e sentivo, e sento, in cuore tanta riconoscenza, per il passaggio dal buio alla Luce. L'Opera Giuris-davidica di Elvira Giro, l'ho trovata positiva al massimo, stupenda Viva meravigliosa. Come vorrei, che tutta l'umanità la conoscesse! Specialmente le persone che soffrono tanto, di ogni specie di dolori, fisici e psichici. La speranza e la consolazione sono in quest'Opera realizzate ad impieno. Sentivo la Verità, l'Amore, la Giustizia, concentrate in quest'Opera, e desideravo assorbirne sempre di più. Grazie, grazie Signore!

Il pomeriggio pregammo insieme, e ricevei la Santa Comunione dalle mani di Elvira. Il Sacerdote Leone mi chiese, se volevo essere battezzata, nel Fuoco dello Spirito Santo. Compresi, che era quello che desideravo più di tutto in quel momento, e che non avrei mai osato chiederlo o sperarlo. Accettai con il cuore in giubilo e ringraziai. Cominciò la preparazione dell'olio d'ulivo consacrato, e il timbro d'argento era lì pronto. Leone si accingeva a battezzarmi nel "Battesimo del Fuoco dello SPIRITO SANTO" istituito dal "Cristo" David Lazzaretti, il Duce e Giudice della Terra. Lui era anche la reincarnazione di San Giovanni Battista, istitutore pure del Battesimo dell'Acqua.

San Giovanni Battista aveva detto: "Verrà Uno, dopo di me (cioè, Lui stesso), che vi battezzerà nel "Fuoco e nello Spirito". Il sangue di Giovanni Battista, rimasto sulla terra, avrebbe fiorito comunque nell'Opera Cristica, che Lui stesso aveva sancito, col battesimo dell'acqua, battezzando Gesù stesso. Le parole di Gesù, arrivate fino a noi, dicono: "Nessuno è più Grande di Giovanni Battista tra i nati di donna". David Lazzaretti, era anche la reincarnazione di Dante Alighieri, al quale nella salita verso il Paradiso, furono stampati in fronte, i sette P, cioè le sette potenze angeliche, i sette Doni dello Spirito Santo. Prima ancora, ch'io conoscessi l'Opera Giuris davidica. Dante Alighieri mi era venuto a colori in sogno, senza parlare la prima volta, e dopo.....(richiami, alla conferma stabilita).

Io ero convinta, pronta per il Battesimo del Fuoco, e interiormente supplicavo il Signor dei Signori, lo Spirito Santo, di accogliermi con sé. Al battesimo, avevo come assistente, Elvira, la "Colomba Madre" Spirito di Verità, Spirito Santo (nel suo aspetto femminile, incarnato sulla Terra) La prassi del battesimo del "Fuoco", stabiliva che, per l'uomo il timbro d'argento toccato nell'olio d'oliva appena caldo, fosse applicato sulla spalla sinistra davanti. Per la donna invece, fosse applicato, sempre sulla spalla sinistra, ma dietro. L'Elvira volle, che io fossi eccezionalmente, battezzata sulla spalla sinistra davanti, il rito, ebbe luogo nella sala da pranzo dell'abitazione di Elvira. Pregammo, e devo dire, che non eravamo soli in quella stanza. Elvira vedeva e parlava con David, che vestito di bianco le appariva nel suo aspetto marziale.

C'era la presenza anche di San Michele Arcangelo, senza la spada. Io non solo, li percepivo, ma anche li vedevo in parte, però non li sentivo. Leone anche lui percepiva queste due presenze importanti. Il pianeta Marte a modo suo inviava i suoi influssi. Il simbolo giuris davidico mi fu posto al collo con un provvisorio cordoncino. Il simbolo giurisdavidico è con due C contrapposti con una croce in mezzo. Era il Sigillo del Dio vivo, il simbolo del "Cristo" nella prima e seconda venuta. Significa; apertura alla conoscenza (cerchio aperto), e molte altre cose. Cerco di riprodurlo qui in piccolo )+( su diametro di tre centimetri, plasticato bianco neve. Di già, leggendo l'Opera, quel simbolo mi era entrato nel cuore e nella mente, con una forza di splendore, di Luce di Vita, di cui non avrei mai più potuto separarmene, pena il morire. Mi era entrata una profonda consapevolezza della Altissima Dimensione Primaria Spirituale, fonte di ogni Vita e di ogni Bene. Assolutamente da non confondere, con talismani, amuleti, quella roba lì, ecc... Beato giorno il mio!

Elvira, scrisse subito, quelle cose che David Lazzaretti le parlava, e riporto qui, ciò letto sul suo foglio; Parla David: "Elvira, oggi è la giornata più fatidica, di quanto potete immaginare! Un fattore, che un questo pianeta terrestre, è la prima volta che avviene, dopo milioni di milioni di milioni di anni. Una Vittoria che era nei Piani del Creatore dell'Universo, ma non si sperava di poterlo raggiungere, con una "donnetta" come te!" E qui, faccio la mia riflessione; all'inizio del libro dissi, che in fondo al vertice, del triangolo della creazione c'ero io. In fondo, ho detto, l'ELVIRA, la Somma, l'Altissima (altro che donnetta), al vertice più alto, del triangolo della "Stella Davidica", era scesa a raccogliere anche me tapina, nel profondo del nulla.

L'otto dicembre 1964, l'avevo vista discendere Soprannaturalmente, con grande Magnificenza sulla Terra. Era Lei! Lo sapevo!! Mistero d'Amore, Mistero di Vita, che m'investiva. Giorno beato, io ero Felice e dentro il mio cuore, toccavo il Cielo col dito. come si suol dire. Oh! Bontà Infinita! Anche San Michele Arcangelo, sollecitato da Elvira si espresse così: "Mia Signora, non ho parole per elogiare la Sua ardua Missione Terrestre. In Cielo questa sera è grande festa. Marte è pieno di giubilo, di entusiasmo e di volontà ferrea, per il trionfo della Giustizia e del Bene creativo terrestre". È vestito con la gonnellina, non ha la spada, ma è, meraviglioso. Come ho detto, io pure lo vedevo, lo intravedevo, ma solo in parte, con la gonnellina e la corazzetta, direi tipo squamata. Finito il rito, il Sacerdote Leone, mi fece ascoltare il disco con la storia, parlata e cantata, ed in musica, sul personaggio di David Lazzaretti, incisa ad Arcidosso dov'è nato David, dalla Fonit Cetra per la Saga del paese. Quelli del paese e dintorni non tutti si erano molto resi conto, che David era il Cristo, e di Lui dicevano; il "Santo David", e invece, era il "Cristo", in seconda venuta. Colui, che è stato detto, che sarebbe venuto come un ladro di notte, (cioè, quando l'umanità, era più che mai avvolta, nella cecità spirituale). "Tenete le lanterne accese" disse, il Signore, alle dieci Vergini (o Nazioni), e cioè gli occhi aperti, e le orecchie attente. La Storia come sta, e come è stata, io non la racconto qui. Ci sono coloro, che l'hanno lasciata scritta. Due fonti importanti.

Una, "Storia di David Lazzaretti, Profeta d'Arcidosso", scritta da Don Filippo Imperiuzzi, e stampata a Siena nel 1905. L'altra Storia che contiene preziose notizie, su tutti i fatti d'Arcidosso e sulla persona di David Lazzaretti, scritta da Don Giovan Battista Polverini, dal titolo: "Io e il Monte Labro", nel 1915, tutti e due, questi sacerdoti, affiancati a David dalla chiesa, in un primo tempo, per otto o più anni, l'avevano tanto amato e creduto e seguito, nella sua manifestazione Cristica, anche se uno dei due, cioè Don Polverini, da ultimo ha deflesso, per coinvolgimento, dello spirito materiale negativo religioso. Ma ciò, fa parte del difetto umano. Io sono riconoscente anche a lui anche se... perché, ne ho potuto avere anche da lui, notizie sull'amato David L. Qui faccio una mia riflessione o constatazione; lo Spirito Cristico del "Padre" è sceso tra il popolo, con "Gesù Nazareno" (falegname), con "David Lazzaretti" (barrocciaio), con "Elvira Giro" (sarta), e, e, non nelle caste sacerdotali.

Il mio battesimo dunque, è avvenuto il giorno 12/3/1985, dalle ore 18,30 -19,10. I Battesimi, sono infatti importantissimi e voluti dall'Eterno Iddio, per la nostra evoluzione umana. Il Buon Dio, ci vuole ricuperare, anche attraverso gli elementi. È annunciato, dalla "Divina Madre", il "Battesimo dell'Aria", per il terzo millennio dello Spirito Santo, nel '"terzo Testamento", cominciato, dopo la venuta del Cristo David. Certamente il battesimo del "Fuoco" per il suo valore immenso, deve, come il battesimo dell'Acqua, estendersi nell'umanità, prima che venga, per ordine Divino, l'apertura al "battesimo dell'Aria".

Tornata a Firenze il giorno 13 marzo, con due libri con dedica, uno donatami dal Fratello Leone, dal titolo "Angeli in astronave", di Giorgio Dibitonto. L'altro, donatami da Elvira, dal titolo "La saggia novella, che novella non è". È un libro medianico, scritto da "Atalanta di Campofiore e Gaia Fontana (pseudonimi)", dove nel contenuto, parla di una fanciulla di nome "Meteora", che scendendo negli abissi tenebrosi, ne ridonda vittoriosa, portando in salvo, ogni genere di genti, per Volontà e intervento, del Centro Cosmico Universale. "Meteora" è il riflesso esatto di "Elvira". Lei in quel personaggio, si è riconosciuta.

Mi son detta: li leggerò dopo stata in ospedale.

Dopo tornata a casa, mi preparai per entrare in ospedale, che questi dolori atroci, non mi hanno mai dato pace. Chissà che trovassi il modo di risolvere. Ma non fu così, purtroppo, malattia Karmica, persistente e feroce come dolore fisico, da non si dire, ancora oggi dopo ventotto anni, è sempre presente e medicine e calmanti di conseguenza. Poi le cose non vengono mai sole. Dopo alcuni mesi, tornata a casa, mi richiesero per stare a dormire presso una signora che purtroppo stava male. Aveva il morbo di Alzaimer. Veniva l'infermiere a curarla, ed una donna a pulire la casa. Io dovevo stare lì per aprire anche al dottore, andare in farmacia, far la spesa e da mangiare ecc... In quella casa ebbi delle chiaroveggenze in sogno. Ero andata a coricarmi alla sera piuttosto tardi, ed ero in pensiero, se mi sarei svegliata al mattino alle sette, per aprire al dottore, che doveva fare il prelievo del sangue, alla personcina ammalata. Dormivo io profondamente, quando un sogno mi manifesta un avambraccio, che mi tira in faccia, una manciata di polvere di stelle dai riflessi azzurri. Era bello il sogno!, e la polvere di stelle luminosa, che mi ha fatto piacere. Mi sono dunque, svegliata così, con la polvere di stelle sul viso, in giusto tempo, per aprire al dottor X per il prelievo ematico.

Altra, chiaroveggenza (o più?), in sogno. Vedo che mi viene messo sotto il braccio sinistro un cofanetto di circa 17 o 18 cm., di lato orizzontale e alto sui 13 cm., così mi sembra, ed ha il coperchio convesso. È rinforzato e rivestito di una peluria leggera, tipo camoscio, del colore grigio perla. Mi rimane la curiosità; cosa poteva esserci in quel cofanetto?, dei minerali forse? Accanto a me, nel sogno, mi fu posta anche una grossa pera sbucciata. Così il sogno. Penso; la pera, significa l'Opera Giurisdavidica, tutta sbucciata, per me, fatica alleviata e frutto di somma delizia. Bene, bene.

Altro giorno, altra chiaroveggenza in sogno; vedo due avambracci, che dall'alto mi tendono una macchina da scrivere color grigio - perla. (Era il periodo natalizio del 1985). Mi sveglio. Il messaggio è chiaro. Io so, che non mi è mai attirato di scrivere, che sono riottosa oltremodo al farlo. Forse perché non ho scuola all'uopo. Il sogno mi rimase impresso, tanto che vedendo una macchina da scrivere in una vetrina, ci facevo il filo. Ma se non mi piace per niente scrivere, che me ne faccio? Ma si approssimava il Natale, ed io casualmente ripassai davanti a quella vetrina. Mi dico; e, se realizzassi il consiglio? Entro e la compro. Compro una piccola macchina da scrivere, però color arancio. Penso, si vedrà! È stata lì, anni inutilizzata. Non so dattilografia, non so letteratura, non so grammatica, non so, non so, non so, e così via, e scrivo, capito? scrivo! Allora, ero di nuovo a casa per lunghissimi periodi. Io non cercavo mai il lavoro per via dei dolori, ma a volte il lavoro cercava me, e allora non dicevo mai di no, per le estreme necessità altrui. Intanto leggevo l'Opera Giurisdavidica, della quale, come ho detto, non mi sento mai sazia. Credo, di averla letta tutta per ben tredici volte, ed anche i libri scritti dal "Cristo Duce e Giudice" David Lazzaretti, e libri scritti su David L.

Sentivo questi libri, tanto preziosi, che, dal timore di perderli ne feci delle fotocopie, che poi ho portato in qualche biblioteca, oppure donati a persona scelta. Libri che non si trovavano nelle librerie, altrimenti ne avrei comperati molti, per me e per gli altri. Mi dicevo; che i libri più importanti del mondo, erano la "Bibbia ", i "Vangeli", i "libri scritti da David Lazzaretti" e "l'Opera Giurisdavidica, per l'Era dello Spirito Santo", scritta dalla "Colomba Madre" ELVIRA GIRO. Questi, e non altri. Scoprivo in essi (libri), sempre cose nuove, che non capivo prima. "Opera" meravigliosa, da non, sottovalutare, in nessun modo, perché linfa di Vita. Negli anni '86 - '87, ebbi delle visioni dirette (non in sogno), di David Lazzaretti; alla prima visione, lo vidi alto, vestito di bianco e nero, con il grande mantello e con il cappello con le piume. Passò davanti a me, ed il mantello e le piume avevano il movimento, come con l'aria. Altra visione; lo vidi tutto trasparente con colori tenui e delicati. Altra volta, molto più che visione, un'Apparizione, a busto - spalla. Era molto grande, e a colori pastello meravigliosi. Come Lui, la Sua Testa, era meravigliosa. Si voltò verso di me, guardandomi amorevole, con un dolce impercettibile sorriso, che mai più potrò dimenticare. Non mi parlò, ma mi trasmise, mi trasmise. Finita l'Apparizione, immantinente, sapevo Chi, avevo visto. Avevo visto, il "Super - Ultra Genio dell'Universo". Questo è l'effetto avuto. Questo è accaduto in pieno mattino. Finita l'Apparizione, (che non è visione) poiché c'è una differenza enorme. E, così, differiscono apparizione da Apparizione, visione da Visione, chiaroveggenza da Chiaroveggenza. Non mi aspettavo niente e mi arrivava di tutto. La mia vita era tutta una sorpresa. Fui tanto felice, che "David", si fosse così meravigliosamente manifestato a me.

Col conoscere DAVID, trovavo ancora di più GESÙ. L'Opera Cristica mi veniva ancora più chiara, più vivida. Osservavo tutti gli avvenimenti del mondo, non riuscivo proprio ad esserne estraniata e indifferente. Soffrivo, di tutti i dolori delle genti, e mi pareva di aver tanto pianto, d'avere di conseguenza un solco nelle guance. Una notte in sogno, sento, e intravedo "David". Mi parla e dice: "La desolazione, e... la Consolazione!" Io le rispondo: "Lacrime secche!" E, Lui ancora: "Io ve le veggo, ad una, ad una, e sono amaro!" Ecco, non si può forse fare interpretazione, in, Amor, dell'ultima parola? Questa è la firma!, e cioè Amore, Spirito Santo! Mi ha parlato, mi ha risposto, in poesia, confermando che Lui è la reincarnazione di Dante Alighieri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“CRISTO GIUDICE” DAVID LAZZARETTI

 

 

 

 

 

Il sommo Poeta aveva profetizzato, che dopo cinquecento e quindici anni, cioè DUX (in lettere romane), un Messo di Dio, avrebbe inciso la Lotta, (cioè) l'Azione Divina.

A proposito di Azione Divina inserisco questa pagina per spiegarmi meglio, poiché è molto importante ciò che l'Eterno Iddio ha decretato attraverso David Lazzaretti, "Cristo Duce e Giudice", e attraverso la Sua Sposa la "Regina dell'Universo" in Elvira Giro la Colomba Madre, "Spirito di Verità, Spirito Santo", in merito alla confessione. Il "Cristo Duce e Giudice" David Lazzaretti ha abolito la confessione perché, non da Dio stabilita. Spiegò che ogni anima si trova davanti a Dio a rispondere dei propri errori, mancanze o difetti più o meno gravi, che deve cercare di modificare e superare. E David dice; che nessuno può frapporsi tra DIO e un'anima, e che per quest'ultima non è dignitoso rivolgersi in questa circostanza ad un uomo, sia pure un sacerdote. Siamo creature di Dio, e Lui ambisce che ci si rivolga a Lui con confidenza, poiché Lui pure desidera rivolgersi a noi, col Suo Immenso Amore.

La sera prima di morire (e David, lo sapeva che l'avrebbero ucciso, per diretto avvertimento dell'Eterno Iddio) nella chiesa affollatissima di Monte Labro, dove si stavano facendo le preghiere per preparare la Festa dell'Assunta, consigliò ed invitò tutti ad accostarsi con semplicità alla Santa Comunione con Lui. E quelli fecero con tutto il cuore quello che Lui aveva suggerito e perciò, anche stabilito nel Diritto Divino. La Divina Colomba Madre, ribadisce l'Opera ed i concetti del "Cristo" in seconda venuta, e aggiunge che la confessione è controproducente. È necessario obbedire il "Cristo", e superare ogni bigotteria e resistenza oscura, accostandosi ugualmente alla Santa Comunione con la dovuta devozione e rispetto perché riceviamo Dio. La confessione auricolare perciò è abolita e superata! Facciamo dunque la Santa Comunione con tutto il cuore e con tutto l'amore di cui siamo capaci, ricevendo Dio Uno e Trino, con tanta fiducia e serenità, che l'aiuto di Lui non mancherà! Prima di conoscere l'Opera Giurisdavidica, ricevetti svincolo da Don Bosco che vedevo (visione?) nel confessionale a Torino, dove mi recai a fare confessione generale nella chiesa di Maria Ausiliatrice. La visione di Don Bosco e quello che mi ha detto l'avrei dovuto capire un giorno. La conferma la ebbi a Firenze concernente lo Svincolo, in modo straordinario al "Pozzo" di braci accese, su al Convento, da frate A. E quando vuole lo Spirito Santo, da la grazia di capire!!!

Ormai avevo capito, che il Cristo nel piano spirituale, era in piena corrispondenza al "Cristo" del piano sociale. Ed era una cosa, da ponderare e proiettare, per i nuovi ordinamenti futuri per l'umanità. Le anime-gruppo più evolute spiritualmente, attueranno, per la salvezza in tutti i sensi, perché capiranno! Le Nuove Scienze Spirituali, saranno un giorno, confrontate e studiate nelle scuole, e senza faziosità, speriamo! Non potranno, essere escluse o eluse. Perché è troppo importante, conoscere come stanno veramente le cose di lassù, per poter condurre al meglio le cose quaggiù.

L'Eterno Iddio, che ha iniziato l'Opera Cristica con Nostro Signore Gesù, attraverso di Lui ci ha promesso il Consolatore, cioè il Cristo, nella seconda venuta. Questo, è avvenuto! Gli spiriti oscuri, non l'hanno riconosciuto, l'hanno respinto e ucciso. Se Gesù è venuto per insegnarci, e farci conoscere il valore dello spirito, sulla parte materiale, il Cristo, nella Seconda venuta, avrebbe senz'altro inciso la Sua spirituale - azione - missione, sul piano sociale, per gli ordinamenti terrestri. E così ha fatto, istituendo un campione perfetto, in piccolo, sul "Monte Labro", in Toscana, dove un buon numero di famiglie si erano recate a pregare e lavorare, gli uni per gli altri. Il Consolatore promesso era "David Lazzaretti", per far risorgere, tutti i Lazzari della terra. Ma, causa-effetto, uccidendolo e respingendo il Bene, per invidia e gelosia spirituale, la povera umanità, ne ha ricevuto, il boomerang negativo, prodotto da cedesti frenatori, del Bene. Loro lo sanno, quello che hanno nascosto e soffocato. Non mi curo di nominarli.

Ad ognuno il peso, delle proprie coscienze. Bisogna vedere attraverso i secoli, anche gli errori. San Francesco d'Assisi, che era la reincarnazione di San Giovanni Evangelista, ha cercato di sostenere la Chiesa con le sue spalle, e la Chiesa doveva riconoscere le Opere di Dio, ma così non è stato o per lo meno, non sempre. Adesso bisognerebbe, chinando li capo, tornare nel secolo scorso, e ricuperare i Valori perduti, e saperli e volerli riconoscere. Pensiamo dunque, che solo Dio è infallibile Iddio, vuole stare nei cuori, di coloro che Lo cercano, e che Lo riconoscono.

 

 

 

 

 

 

La Torre Davidica, al Monte Labro e l’Arca dell’ultima ed Eterna

ALLEANZA, di Dio cogli uomini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo Spirito "CRISTO" del Padre sceso in "Gesù Nazzareno", in "David Lazzaretti" e in ''Elvira Giro", incarnatesi in completenza immediata o in crescendo graduale, come che sia, ci ha fatto Dono di Sé, con immenso Amore. Anche l'umanità anela essere permeata dall'incarnazione Cristica, e per la "redenzione e la resurrezione". "Il Risveglio dei Popoli", profetizzato nel suo primo libro da "David Lazzaretti" nella pace, nella non violenza, sgabbiati dai regimi schiavizzatori e da sempre traditori, troveranno la loro liberatoria ed elevazione, perché Dio ci Ama. Infine capiranno e non si lasceranno più coinvolgere, in trappole di assolutismi, ma si responsabilizzeranno, partecipando all'auto – governo, in misura e ragione, di proposte chiare e libere, da superflui impedimenti conservatori, nel beneficio di tutti, col diritto ai referendum, che sono Volontà di Dio, per la sana libertà dei Popoli. In questo secolo nostro invece, (1910-1991), che la LUCE Divina, nello Spirito della Grande Madre, la "REGINA dell'Universo" si è incarnata nella "Persona" della Signora "Elvira Giro", dovremmo noi, che siamo sulla Terra, saperLa riconoscere, accettare nel cuore, ed amare come Unica Vera Madre. Allora comprenderemo, che la Sua Opera e la Sua Missione, sono per l'umanità, l'uscita dalla crocefissione. in una parola, l'apertura delle porte del "Paradiso" per noi terreni. E la riconoscenza ci riempirà il cuore: "Venga il Tuo Regno in Terra, come in Cielo!"

Per ora sono andata oltre a quello che volevo dire, cioè, voglio stare sul mio piano personale.

Leggevo tutti i libri che mi inviava Leone, più volte, anche perché alla prima volta che si legge, nessuno, capisce tutto presto e subito.

A volte, la domenica, o telefonavo io, o mi telefonavano loro, Fratello Leone e la "Colomba Madre". Io imparavo tante cose, e mi si aprivano sempre nuove porte. Una notte mi, trovai proiettata su Giove il pianeta era con colorì caldi, sabbia ocra, di diverse tonalità. Vedevo alcune presenze, poche alte, rarefatte non materiali. Quando poi mi riebbi, non capivo poi, perché ero stata là. Un'altra notte, mi vidi, che con il mio corpo astrale abbracciavo tutta la Terra, fino alle Americhe. Le mie braccia e le mie gambe si allungavano smisuratamente, fino appunto ad abbracciare tutto questo nostro pianeta, con i mari e le terre dai magnifici colori. Avevo la sensazione di essere senza corpo, ma solo braccia e gambe, che lentamente e lentamente, circondavano come due anelli, scorrenti a binario, tutto il globo. Mi vedevo allungare, ed avevo la volontà la sensazione, di proteggerlo. Questo mi succedeva durante la notte. Un'altra notte ancora, mi trovai sul pianeta Marte, e mi pareva di essere a casa mia, cioè, di essere sempre stata lì. Lì i colori, erano pure di svariate tonalità di ocra, ma non solo, c'erano anche colori brunetti. Era molto frequentato, da figure in movimento semiastrali, che non camminavano, ma fluttuavano da destra a sinistra. I loro contorni li vedevo ben disegnati, e così anche le loro teste con linee convesse, morbide, senza spigolature.

I loro movimenti erano dolcissimi. I vestiti differivano gli uni dagli altri, appunto per la tonalità, ed erano lineari senza fronzoli, e non erano proprio lisci, ma direi un po' increspati. Finita questa vicenda, mi dissi: "Ma, se io, non faccio proprio nulla perché mi accadano queste cose!" Mi sento tranquilla, e non sto neanche, a trovarne spiegazioni. E avvenuto questo, e basta! A luglio del 1988, Fratello Leone ed Elvira, invitano me e Rosa di Sanbuceto di Pescara, al Monte Labro. Io desideravo moltissimo stare su al monte con loro, così avrei conosciuto anche Rosa di cui sentivo parlarne. Il Monte Labro (Toscana), è il posto dove il "Cristo David" ha operato la Sua Missione in dieci anni, e lassù, per Volontà Divina, c'è "l'Arca dell'eterna ed, ultima Alleanza di Dio cogli uomini". E c'è la torre Davidica, costruita da David, ed era a tre rialzi a cono. Adesso, dopo la devastazione e distruzione compiuta dai nemici, ne rimane solo il primo rialzo. Vestigia della Torre, che sono ora sotto la protezione delle Belle Arti. Con l'Opera di David, lassù era stata costruita anche la chiesa e il convento, che ora non ci sono più, per le su accennate ragioni. Le distruzioni, non ci dovrebbero mai essere. Per la storia dell'umanità, tutto andrebbe conservato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La “COLOMBA MADRE” Elvira Giro.

Fausta di Moggio e Rosa di Sanbuceto al Monte Labro – 1988

 

 

Rosa ed io, fummo venute a ricevere all'autobus da Leone, con la sua macchina salimmo al Monte Labro. Arrivati davanti alla Sede Giurisdavidica, la Signora Elvira, ci aspettava sul terrazzino. La Sede, l'hanno fatta costruire, con il sacrificio del loro lavoro e delle loro pensioni. Molto lavoro, l'ha fatto assieme con Elvira, anche Leone. Lui era ingegnere e ci mise tutta la sua esperienza e attività. Sulla facciata, il simbolo giurisdavidico. Al piano terra nella Sede anche la chiesa, con le immagini, della religione. Al primo piano, una grande cucina, un tinello e le camere. Al secondo piano altre stanze, molte, per tutto il piano. Sotto la casa, cantine, lavanderia, garage, per depositi legna ecc... Così descrivo, grosso modo la Sede. Per la torre invece, bisognava salire, un altro poco, più in su sul monte. Dunque, per la seconda volta, vedevo la Signora "Elvira" e osservavo in cuore, che anche se non era alta, cioè longilinea, a me, pareva imponente!, e la comparavo nella sua struttura, all'Apparizione, che ebbi l'otto dicembre del 1964 nella chiesa di Santa Maria Novella (cioè, Nuova Maria) a Firenze, chiesa che si trova davanti alla stazione. Anche Elvira, nel 1935, frequentò questa chiesa, considerata di grande spiritualità. Leone ci fece vedere la chiesa giurisdavidica, poi ci condusse di nuovo su nel tinello, a parlare un po' con la "Colomba Madre". Lei sapeva senz'altro i miei pensieri, e capiva, che ero sicura della Sua Essenza spirituale. Anche Rosa era sicura, perché anche lei aveva avuto tante visioni.

Allora, la "Colomba Madre", c'invitò a non esternare, ed a essere prudenti. Ci disse: "Non sono venuta per ricevere, ma per fare l'Opera della "Madre Scienza", a favore degli umani". Parlammo tutti insieme, e poi io, Rosa e Fratello Leone, andammo su alla "Torre". Facemmo le foto lassù. Anche di fronte all'Arca della Alleanza. Poi lassù, mi sentii di cantare una laude alla Grande Madre. Leone ascoltava. Rosa, colse fiori per l'altare della chiesa. Rosa la trovavo semplice, e spiritualmente profondissima. Mi meravigliavo del suo acume spirituale, appunto. Lei aveva intuito, cose altissime, che io neanche mi sarei sognata di pensare. Che benedizione di donna! Tornammo giù alla Sede, e trovammo pronto da mangiare, fatto da Elvira, dopo io e Rosa assestammo la cucina. Lassù eravamo oltre i mille metri, e si vedeva un panorama vastissimo. Dalla sommità della "Torre" ancora di più, cioè, tutt'intorno. Di fronte al "Monte Labro" si vedeva direttamente il Monte Amiata. Io e Rosa ci fermammo qualche giorno. Avevamo una camera con due lettini. Rosa, non stava tanto bene di cuore, forse troppa altitudine. La sentivo respirare con difficoltà, mentre dormiva. Appena che io ero entrata in camera a luce accesa, vidi un viso concreto, con tutti i colori. Una bella testa femminile con i capelli bruni.

Era a mezz'aria, proprio nel centro della stanza, proprio sotto la luce accesa. Io la conobbi con l'anima, anche se umanamente non l'ho mai conosciuta, mai vista e non sapevo (e non so) se era ancora vivente oppure no. Dico subito qui, chi è, o era; la Signora Egle Galgani - Fanelli. Il suo nome l'avevo letto in qualche posto, tempo addietro. La sua presenza, mi confermò positivamente, quel viso mi piaceva nell'anima, sembrava lì, per ricevermi, salutarmi. L'indomani scendemmo nella bella chiesina a pregare, e facemmo la Comunione, tutti assieme, nella Santissima Trinità.

Avevo saputo che Rosa e Leone ed Elvira, avevano avuto, anche loro, delle visioni, ed anch'io, ne ebbi una, simbolica, sull'Opera Giurisdavidica. Di apertura positiva. Ne ebbi altre, e la Signora Elvira, me le spiegò. Il tempo era meraviglioso, non c'è che dire. L'indomani in mattinata fratello Leone ci portò giù alle sorgenti di Santa Fiora. Che acqua! Ci portò poi ad Arcidosso, dove hanno colpito David, e a vedere la lapide con la scritta, purtroppo depauperata dagli ignobili. Poi scendemmo a Bagnorè (bagno di sangue ) del RE, dice Leone, dove dopo nove ore di agonia, David il "Cristo Duce e Giudice", spirò. Ci portò poi di nuovo giù a Santa Fiora, a visitare la tomba di David, dove per me, personalmente, ci fu una vera sorpresa. La taccio. Ritornammo su alla sede, e ritrovammo la Signora "Elvira", che ci aveva preparato da mangiare. Parlammo, le raccontammo le cose e dopo andammo un po' a riposare.

Eravamo al 17/7/1988. Lo dico perché è una specificazione importante per me e Rosa. Nel pomeriggio ci recammo tutti giù in chiesa a pregare e per la funzione delle ore diciassette.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rosa e Fausta al Monte Labro – 1988

La Chiesa Giurisdavidica, al Monte Labro

 

 

 

La "Colomba Madre " e il Sacerdote Leone, officiavano nei loro abiti sacerdotali. La Colomba Madre vestiva l'abito bianco con cintura e fregi e simboli rossi, e Leone vestiva la tunica d'argento con fregi cintura e simboli azzurri. Le immagini e le scritte alle pareti sono bellissime. Rosa ricevette il "Battesimo del Fuoco" dello "Spirito Santo", e durante la Funzione delle ore diciassette, fummo in seguito Consacrate ambe due, dopo ricevuta la Santa Comunione, al Sacerdozio nello Spirito Santo "Madre", nella chiesa "Universale Giurisdavidica, della Santissima Trinità di DIO", per il "Terzo Testamento". Come sempre, io non mi aspettavo niente, ma ormai so troppo bene, che il Signore arriva diretto nelle Sue Volontà, ed allora non c'è che abbandonarsi definitivamente a Lui. Oh!, no! Le Sue conferme, non sono mancate nel tempo. L'inesauribile dovizia Divina, mai nessuno potrà fermare. Sono compresa, di questa responsabilità, e nel cuore e nell'anima sento e seguo, e accetto, dalle mani di Dio e della Grande Madre, la Sua Volontà. Nella Funzione la "Colomba Madre", sembrava non toccasse terra con i piedi, ed io sentivo l'effluvio del Suo Spirito, quasi ad incoraggiarmi. Pregammo, e pregammo in quei giorni, e dopo io tornai a Firenze, e Rosa ai lidi suoi.

Tornata a casa, ritrovai la preziosa Opera della Madre, che ormai ero riuscita a riunire del tutto. Possedendo gli originali, ne divenni gelosissima, (non si trovavano nelle librerie), allora mi occupai di farne delle copie, che ponevo o presso privati, o nelle biblioteche, in qua e in là, per la Toscana, e fuori. Sono stata lunghi periodi a casa, ad occuparmi liberamente, di fotocopie, ho sbracciato tanto, e lavorato tantissimo, a far le (paroline) come dicevo io, quando venivano sbiadite nelle miriadi di fotocopie. Pur troppo non avevo io la macchina fotocopiatrice. Fotocopiavo, leggevo, e pregavo. Passato del tempo, io ebbi occasione, di dover andare a Roma, per fatto mio, cioè per portare una lettera – documento in un ufficio della capitale. Avvertii il Sacerdote Leone di questo, e mi concesse di rivedere e parlare con la "Colomba Madre". Arrivata in Via Tevere, dalla "Madre", fui felicemente sorpresa, dai suoi piccoli orecchini, per l'appunto, uguali ai miei. Mi ricevette amabilmente. Conobbi, così il figlio Franco con la moglie. Il beato Monforte, aveva profetizzato la venuta della "Grande Madre", che si sarebbe incarnata sul suolo italiano, sarebbe stata madre e avrebbe avuto un figlio. Dante Alighieri era un profeta, oltre che poeta, e la sua Beatrice, non era altro che la Vergine del Fuoco, che si sarebbe manifestata in "Elvira". Come ho detto l'Eterno Iddio ci vuole ricuperare anche attraverso gli elementi. In quegli anni io mandavo, di mia iniziativa anche all'estero i libri giurisdavidici, come ho potuto. Ma stavo, sopra dicendo, che mi ero recata a Roma, di nuovo in casa, della "Colomba Madre". Leone decise di portarmi alla Madonna delle Fontane. Si racconta che alle tre fontane di Roma, nel primo secolo del cristianesimo, la Testa di San Paolo l'Apostolo, nel suo martirio, girò tre volte su se stessa dicendo ancora per tre volte il Nome di Nostro Signore Gesù, quasi a sancire "Qui si compirà, l'Opera Trinitaria".

La Vergine Santa apparsa alle Fontane, il 12/4/1947 ad un uomo con i suoi tre figli disse: "Io sono colei, che sono nella Trinità, sono la Vergine della Rivelazione!" Aveva un libro in mano, e a significare che avrebbe operato sulla terra italiana, vestiva appunto con i colori della bandiera italiana; "Cinta d'oliva ,ecc..." come aveva profetizzato Dante Alighieri per il futuro, e non per, il passato che era già compiuto e superato. Arrivati lì, davanti alla statua della Madonna, Leone mi lasciò sola, e andò a girare un po' nei pressi. Io m'inginocchiai nei banchi e con la lettera in mano, cominciai a fare qualche orazione. Alzai la testa e mi vidi la "Madonna" luminosa, nei suoi colori, a poco più di un metro davanti a me. Era in carne viva un poco trasparente. Amabile mi parlò. Mi disse: "Io sono l'Elvira". Io chinai la testa, crogiolandomi in cuore, con tanta riconoscenza per la Divina Madre. Rialzai la testa, con la volontà di pregare. La Vergine era di nuovo nella statua, ma per darmene la conferma, tornò verso di me alla distanza di prima, e come prima Lei era, e mi parlò ancora, così: "Farò tutto Io!" Non posso dire, la mia felicità.

Due volte in quella solare e benedetta mattinata, io "La" vidi, e le Sue conferme, ebbi. Tornato Leone, glielo dissi, ma lui non mi disse nulla. Ripartimmo con la sua macchina, ed andai a portare la mia lettera - documento, nell'ufficio preposto, a questa mia necessità. Tornati in Via Tevere 21, tutti insieme pranzammo. Poi la Signora Elvira, volle mettersi sullo sdraio al sole, che entrava dalla finestra di camera sua. Arrivato anche Leone per parlare, tra noi tre, mi esortò a riposarmi un po' sul

lettino di Elvira, e così feci. Lei volente. Le riflessioni che facevo e che facevamo, i discorsi ecc.., non le sto a raccontare, perché sono troppi dettagli. "Elvira" sentiva, il (fuoco) dei movimenti umani, che rimbalzava su di lei, e naturalmente ne soffriva, anche se non lo diceva. Ad una certa ora del pomeriggio mi preparo per andare. Elvira, mi donò due maglioni disusati della sua nuora. Erano belli, e li ho portati per un po'. Io ripartii verso le ore 17 per Firenze. Ero contenta. L'avevo vista, per la terza volta nel mondo. Lei, era estremamente semplice, nell'aspetto esteriore, ma estremamente Alta e Grande, nella Sua Essenza interna. Un Genio - super, nel Pensiero e nel Cuore; la "Donna" delle donne! Che Altissimi Spiriti, questi Spiriti! Dico di "Gesù", "David", "Elvira". Spiriti Perfettissimi! Sapientissimi!, di Sommo, Primo Grado!

Li dobbiamo considerare! Li dobbiamo adorare. Loro sono il nostro Bene! Il caos umano, deve scomparire, se noi uniamo a Loro le nostre valvoline, cioè, le nostre menti, le nostre anime - spirito. A casa, oltre a leggere e riprodurre l'Opera e gli scritti di David e di Elvira, realizzavo dei propositi a pro della conoscenza dell'Opera. Mandai notizie e libri all'estero, in pochi posti importanti, in modo che l'Opera Giurisdavidica, abbia la sua Voce al momento opportuno, quando le genti si risveglieranno veramente alla Luce spirituale. In quei giorni, sognai, un velocissimo treno di ferro antico, che pieno di fuoco, attraversava l'Europa. Quel treno di fuoco, l'ho ritenuto di sommo auspicio. Era un Fuoco Divino. Dopo un altro, certo tempo, appunto a proposito sempre di fuoco, ecco cosa mi accadde; io ero da sveglia e in piedi, ecco il fatto; mi sono vista il petto, tutto acceso, ma non di fiamme. Erano invece, delle grosse braci, incandescenti. Vedevo contenuto, questo fuoco - braci, in un triangolo, ben disegnato, aperto sul mio petto. Il triangolo era posto col vertice in basso, fino alla bocca dello stomaco. Gli altri due vertici partivano dal punto estremo delle spalle, e la linea retta orizzontale dei triangolo, mi passava alla base del collo. Io mi guardavo il petto acceso, e dalla mente, non si è mai dispersa questa immagine viva, e impensabile. Il fuoco-braci, che avevo in petto, non bruciava. Era Vita. Pensai allo Spirito Santo, e, mi abbandonai in Lui, con tutte le mie miserie, e difetti, ohimè, purtroppo. Come ho detto ero sveglia e in piedi. La visuale era molto forte, e molto limpida e definita e vedersi, e soprattutto estremamente strabiliante.

D'estate, mi allontanavo a giorni, per andare a respirare buona aria. Meglio per questo è Viareggio, dove l'aria ha tre valenze, essendo aria di monti, di campagna, e di mare miste insieme. Sicché aria salubre, pane e acqua, sono molto buoni. Viareggio, è un nome di città positivo, e significa secondo Fratello Leone "Via del Re", più ha nove lettere, cioè tre volte tre: "Trinità". Quando mi trovavo là, uno degli anni, che c'ero andata, penso che fosse l'ottobre 1992, mi aggravai per i dolori da poliartrite, e conseguenti medicinali, ed avevo svenimenti frequenti. Non c'era telefono e mi rivolsi, ad abitazione appresso, per farmi chiamare l'autoambulanza. Erano le ore ventidue e trenta. Arrivò l'ambulanza e parti per portarmi all'ospedale: sempre in Viareggio. Era buio e pioveva. Posto all'ospedale non ce n'era, e l'autoambulanza si diresse all'ospedale di Camaiore. Si era scatenata una violenta intemperia, ed io, ero impaurita anche dal buio nero, e più che nero, delle strade non illuminate. Il vento sibilava gettando l'acqua a schiaffo sull'ambulanza. Arrivata, non riuscii a vedere niente all'esterno. Fui portata in una stanza, che mi parve proprio buia e trascurata. Il vento soffiava feroce, ed io mi dicevo: "Ma, dove sono arrivata? all'inferno?" Era terribile! Meno male che dopo un po', si affacciò un professore che faceva la notte, e un'infermiera a farmi la prova del diabete, che, meno male, non c'era. Mi sono accorta, che accanto al mio lettino, ce n'era un altro, con un mucchio scuro sopra. Una persona, che dopo un po', si agita urla e impreca. Ce l'aveva gratuitamente con le infermiere. Mamma mia! Questa poveretta. È pazza! Proprio così. Non la vedevo bene, poiché dal corridoio entrava pochissima luce, da un lucernario sopra la porta. Penso; "Dio mio!, dove mi hanno portato? mi sembra tutto così brutto!" Ho chiuso gli occhi, per non veder più nulla, e mi sveglio al mattino dopo.

Guardo in giro. La luce del mattino entra da una alta grande finestra. Ci sono tre lettini, uno vuoto. Un lavandino, il tavolino, l'armadino. Quella stanza mi sembrava, anzi era, decisamente più grande, di come la vedevo la sera prima in quel semibuio. Non pioveva più ed il vento taceva. La mia vicina di letto era più calma, anche se inveiva ancora alle spalle delle infermiere. Si aspettava corda da me, ma io invece la scaricavo, sviandole i mali pensieri, perché non stesse male in soprappiù. Dopo alcuni giorni se ne andò. Seppi che la riportarono in istituto per anziani, da dove proveniva. Aveva dimenticato la corona del rosario, e gliela feci riavere tramite posta. A me, fecero esami, ecc...

Alcuni esami, mi portarono in ambulanza a Massa, a farli, e poi di nuovo lì. Nel lettino accanto portarono una giovanotta e proveniente dall'ospedale di Viareggio, dove le avevano fatto le lavande gastriche ecc... per avvelenamento da funghi. Il suo stesso padre, disperato, li aveva colti, forse in punto di terreno negativo. La sua famiglia era rimasta illesa essendo rientrata più tardi a casa. A Laura, le seguitavano la cura detossicante. Lei era tutta gialla di pelle. Una dozzina di persone si alternavano a trovarla. La famiglia l'adorava. Quella stanza si riempì di fiori, e ne dettero anche a me. Io venivo curata per più cose, tra l'altro di tre ulcerette nello stomaco. Dopo circa una settimana 9/IO, che mi trovavo ricoverata, mi trovai nel sogno, in chiaroveggenza, in una situazione per lo meno terribile. Mi trovavo nientemenocché, nell'inferno! Io passo per la selva oscura. Difatti ero circondata da vegetali neri furiosi e malvagi. Io, orripilata, nel mezzo. Erano molti, violenti e contorti. M'insidiavano da ogni parte, quasi a volermi trattenere, con mani lunghe e ombrose, che uscivano da essi insidiose e fastidianti. Mi volevano impedire, di proseguire nella mia volontà di uscire dalla disgrazia, che erano, si gonfiavano e ondeggiavano sembrando dei grossissimi pompò. Io lottando per uscirne, da quell'orrenda atmosfera, guardai in terra, per vedere come muovermi con i passi, e vidi che c'era, tutta ghiaia (guai) tagliuzzente. A sforzi immani mi divincolai dalle grinfie delle piante nere, e riuscii ad uscirne fuori, un poco più in su, gridando dieci parole..

Mi trovai sul cucuzzolo, di un monte, brullo, di una collina tutta sassi, con rari ciuffi d'erba, poco meno che totalmente secca. Avevo capito di essere libera, e nell'aria buona. Ero veramente uscita dall'inferno. Quel monte, intuii, che era, il "Monte Labro". Dopo pochi giorni dalla così menzionata, uscita dall'inferno, ebbi una visione 15/IO, in sogno pure. Mi trovai sul piano terra, su di un vasto prato, verde smeraldo. Il colore era luminoso e mi beneficava gli occhi. Li alzo poi al cielo. Che azzurro!, che intenso colore! Mentre che stavo guardando, vedo che il cielo si muove e fa come un'apertura rotonda, che sale a forma di cono. Vedo formarsi delle figure più alte, anzi altissime di statura, ed altre più piccole, come bambini settenni. Queste figure, erano poste orizzontalmente e roteavano nel tondo aperto nel cielo. E su su, c'erano in questo immenso cono, altre figure vive che roteavano piano piano, di strato in strato, ponendosi a cerchio orizzontale. Le figure si muovevano, ed erano tutte bianche, senza colori, cioè lattiginose. E spiccavano nell'azzurro del cielo. E, mentre il mio sguardo spaziava nel cono mi sono destata. Ed il mio pensiero fu: ho visto il "Paradiso in formazione". Sì, perché, non è una cosa indifferente. Avevo capito, che questa visione, era venuta, in bilanciamento alla mia uscita dall'inferno. Ero felice di aver visto il Paradiso, seppure uno scorcio.

Vi meraviglierete che nell'inferno, non c'era fuoco! Anch'io! Ora so, che il fuoco appartiene alla Vita, allo Spirito Santo, al Sole come centro Solare Cristico.

Dall'ospedale, telefonavo a mia sorella Franca a Udine, rassicurandola e tranquillizzandola. Purtroppo la distanza era troppo grande e non era possibile vedersi. Lei stessa non si sentiva mai bene. Le promisi che avrei telefonato di frequente. Laura si schiarì dal veleno dei funghi, fu dimessa, e mi promise, che, quando sarebbe toccato a me di andar via, sua madre con la macchina, mi avrebbe portato a Viareggio, da dove ero stata prelevata. Così fu, nell'ospedale intanto al suo posto, entrò una giovane piccola signora, Donatella. Ci si parlava bene insieme. In quel residuo periodo, che io mi trovai ancora in ospedale, ebbi delle visioni interessanti. Vidi, in sogno, una parete bianchissima, posta a luce del mattino. Parete che era quasi la stessa della camera dell'ospedale. Improvvisamente, sulla parete, compaiono tante roselline rosse, distanziate l'una dall'altra, di circa una quindicina di centimetri. Le guardavo, erano bellissime.

Ad un tratto si accesero tutte, come tante lucine, ed in mezzo a loro, mi comparve, un bel quadro incorniciato, con l'immagine dello "Madonna del Rosario" di Pompei. So di aver assorbito nel cuore, quella parete. Com'era bella!!! No bene, che mi sono svegliata! Mi consolai, a raccontare a Donatella, questa cosa stupenda, dalla quale atmosfera non ne volevo uscire. Dopo alcuni giorni, (non so se in sogno o da sveglia), vedo in chiaroveggenza nel cielo, sopra gli alberi, controluce, passare dinamici, quattro cavalli scuri molto grossi. Vedendoli, pensai alla apocalisse. (C'era). Li vidi inghiottire, e dagli alberi e dalle nubi, che scendevano sopra di loro. Ripresami, mi trovai ansiosa e un po' preoccupata. Venne il giorno della mia dimissione dall'ospedale e dopo aver fatto la biopsia allo stomaco, che mi doleva oltremodo, per una piccola ferita interna. Vennero a prendermi. Laura e la sua madre con l'automobile, e mi riportarono a Viareggio. Era mattina inoltrata, e bel tempo. Nel viaggio, gustai in pieno la bellezza dei colori dei paesaggi. Che contrasto!, dalla nottataccia, in cui ero portata a ricoverarmi. A Viareggio, cominciai subito la cura prescrittami. Di giorno sbrigavo le mie commissioni. Non giravo molto, per via dei dolori, che non mi permettevano di camminare più di un tanto. Stavo in casa, mi facevo da mangiare, e leggevo l'Opera Giurisdavidica che è veramente l'Opera più meravigliosa, del mondo. Il mio cuore era sempre, unito allo Spirito della Madonna, che io sapevo essere stato incarnato sulla Terra, nella Persona di ELVIRA GIRO, 1910/1991 la meravigliosa Signora, la "Colomba Madre Scienza". Alla notte, nel sonno, lo Spirito Santo mi fece ripetere per tre volte i versi di Dante Alighieri, questi: "E, la vedrai lassù, nel Terzo Giro, al Sommo Grado, ( cioè, dove la TRINITÀ) sul Trono, che li Suoi merti (meriti) Le sortirò".

Mi sono svegliata ricordandoli benissimo questi versi, e mi dissi: "Ma guarda! Io, che non ho neanche studiato, sono istruita nel sonno! Che, Scuola!" Per due volte, avevo avuto in visione (in sogno), nel corso della vita. Dante Alighieri, e per me, era già stato uno stupore. Non mi aveva parlato. Ma era come se l'avesse fatto. Mi aveva investita, di una intensa sensazione. Era ieratico e tutto a colori. La mia malattia della poliartrite reumatoide progressiva, non si attutiva, ed anzi, a volte si acuiva talmente, da aver dolori ferocissimi diffusi dappertutto, anche sulla crosta cranica, tanto da perdere parecchio sangue dal naso. Prendevo soprattutto dei calmanti e più di uno, perché questi dolori duravano anche cinque ore, e non mi lasciavano mai del tutto, e non erano sopportabili. Poi mi dicevo: "Nessuno potrebbe credere a questi dolori".

Mentre così sussurravo, mi vedo a fianco del letto, Gesù chino su di me, e: "Io ti credo" mi dice, "i tuoi dolori, sono anche i miei"! Oh! Gesù! Un'altra volta, in un attacco similare, nel quale urlavo e gridavo veramente, per questi dolori da capo a piedi, sento Gesù che con voce dentro di me, parlava al "Padre", diceva: "Basta Padre! Basta! Basta!" Perorava, per me. I sollievi per dire il vero, c'erano, ma limitati e sporadici e non completi. La mia consolazione, era l'Opera Giurisdavidica, che leggevo e rileggevo scoprendone, tra le righe, anche recondite meravigliose cose.

Questa, è l'Opera Unica che chiuderà la crocefissione sulla terra.

Chi, vorrà capire e conoscere, saprà, la positività, dell'Opera Giurisdavidica, della Scienza Madre, unica su tutta la terra. Lei non è affatto una donna qualunque! Lei, la "Colomba Madre Scienza", è il Super Genio Spirituale Femminile, dell'Universo! E Iddio Madre, il "Principio Creativo" stesso, dell'Ordine Divino Naturale. La "Madre Cosmica Spirito Santo"! Gesù Nazareno, il Cristo in prima venuta, David Lazzaretti, il Cristo nella seconda venuta. Elvira Giro la Divina Madre Cosmica, sono i Genii elusi dall'ignoranza concentrata, specialmente di coloro, che dovrebbero capire di più spiritualmente, che sono preposti a questo, per la conduzione dei popoli, per farli evolvere. Invece gli oscuri, non vogliono questo, lo impediscono, e tenterebbero di legare, ancora le mani a Dio. Ma la Luce, splende nelle tenebre! Io spero che il mondo un giorno conosca, e quanto prima, questi grandi avvenimenti, successi sulla Terra, in questi due secoli. Se non si vorranno conoscere le cose spirituali, come stanno cioè, le cose di lassù, come potranno mai, mettere a posto le cose di quaggiù? Quelle sono opere che vanno conosciute!, come la "Bibbia ", il "Vangelo", gli "Scritti del Cristo David Lazzaretti", e "l'Opera di Rivelazioni Spirituali Cosmiche" della Chiesa Universale Giurisdavidica, scritte dalla stessa "Divina Madre" in e con, Elvira Giro. Sono il crescendo della Spiritualità nello spazio, nel tempo, nei popoli. Il Cristo nella prima venuta in Gesù, ci ha rivestito della sensibilità nel piano Spirituale con tutta la Sua Forza. Il Cristo nella seconda venuta in David Lazzaretti, ci ha stabilito con la Sua Sapienza in unione al Padre ed a Gesù, nel piano sociale, di cui aveva fatto, un campione sul Monte Labro (Toscana), con il raduno di ottanta famiglie cristiane, che avevano messo in pratica, il loro amore per Dio e per il prossimo, sviluppandolo, appunto sul piano sociale. I nemici del bene hanno riucciso il Cristo. Ci sono i documenti in Toscana, e altrove.

So di posporre a volte, oppure anteporre i tempi come ho fatto adesso nell'episodio dell'ospedale di Camaiore, ma cercherò di ricucire i fatti, anche andandoli a riprendere a ritroso.

Volevo dire, che già erano alcuni anni, che mi recavo a Viareggio, per l'aria e per curarmi, nel possibile. Narrerò dunque le cose, via via, così, come mi verranno in mente. Tempi addietro, trovandomi a Viareggio, per il grande beneficio dell'ossigeno e dell'aria, andavo in pineta e ci stavo tutta la mattinata a leggere. Poi tornavo a casa a mangiare, a fare le pulizie e altri lavori necessari ad accomodare le cose, e dormire.

Il Sacerdote Leone, mi mandava qualche cartolina da Roma, o da Monte Labro, con i saluti anche della "Colomba Madre", e mi consolavo. A volte piangevo per fatti miei, e una volta mi successe di vedere, (come avevo visto Padre PIO) in bilocazione, LEONE nei suoi abiti sacerdotali, e con la stola pure. Mi parlava, interrogandomi preoccupato sul perché dei miei pianti. Come Padre Pio, in bilocazione, e luminoso era Leone. Lui non sapeva perché piangevo, ma la Grande Madre sì, perché mi parlava nel sonno, e Lei allora era ancora nulla Terra. Dopo alcuni giorni ebbi una visione in sogno, sul mattino. Vidi la S. S. Trinità Materna, vestita con veli neri, (lutto?). La figura nel mezzo era altissima, come due persone soprammesse, e snella nei suoi veli neri. Ero accanto a Lei, e la guardavo dal basso in alto, e vedevo che era mia madre Maria Valeriana. Il suo viso era ieratico, e leggermente colorito. La sua movenza era men che minima, appena percettibile. Alla sua destra, una figura in ginocchio, appena distante da lei di mezzo metro o più, tutta vestita pure di veli neri fin sopra il capo, che però lasciavano scoperto un meraviglioso viso ovale, di delicati colori.

Era, in atteggiamento devoto. Guardava la Madre, e guardava poi anche me, che stavo alla sinistra della Madre, prona non proprio inginocchiata, ma quasi. Ero pure io, vestita con veli neri, ma solo fino alla fine delle anche, all'inguine, perché dalle anche in giù, avevo una grandissima coda di pesce e coloratissima fosforescente e dalle grosse squame dure, di circa quattro centimetri e di tutti i colori vividi e brillantissimi. I miei capelli erano puntati raccolti al capo e più bruni del solito, con un lembo di velo nero, appena posato sopra. Mi vedevo pallida, col capo inclinato verso la Madre. Facevamo insieme un gruppo unico. Questa scena mi entrò nell'anima, di queste tre figure femminili e di cui una ero io. Mi sono svegliata poi, che il giorno era evidentemente avanzato. Attonita, mi dicevo; "Perché, io?, forse per la parte fisica!?, Mezza pesce!?" Il pesce, mi rispondevo, è il simbolo del cristianesimo nel Cristo Gesù, il Cristo dell'elemento acqua, il Cristo dell'acqua. Poi, anche se non ci entrava niente, pensai al fatto che la "Grande Madre Scienza", in una sua visione, aveva trasformato un grosso pesce, in un colombo. Leggendo l'Opera Sua questo si capisce. Cioè, che dall'Opera nel Cristo Gesù, si deve passare all'opera dello Spirito Santo. Sicché, il vero e proprio passaggio, nel "Terzo Testamento". L'Opera Sua va ponderata, per scoprire vieppiù, lo sfocio altamente positivo, per tutta l'umanità. Benedetta! "Colomba Madre Elvira"! Vorrei che tutte le anime-spirito maschili e femminili, che sono sulla faccia della Terra, fossero orgogliosi di Lei ~, perché è il Genio Primo Spirituale Femminile, ed ha operato per il grande Bene nostro e per la salvezza di molti. Nei giorni dopo che Leone, nelle sue vesti sacerdotali era venuto in bilocazione ebbi una visione 16/9/90, della strada, in Viareggio, in cui abitavo in quel momento, all'inizio della quale vedevo una vasca a muro di pietra serena, lunga vasca di tre metri e qualcosa. Vedevo al, muro, fissati, tre grossi grossi rubinetti gialli d'ottone, di fattura antica robusti, che scintillavano al sole.

Da uno di essi, il primo all'inizio della strada, scendeva un rivolino di perle luccicanti al sole, una dietro l'altra, quella era acqua a gocce grosse, che si rincorrevano stupende.

Mi significava senz'altro l'Opera del Cristo Gesù. Quel rubinetto nel mezzo, era un po' più grosso e mi significava l'Opera del Padre con Gesù, nel Cristo RE in David. Su quel rubinetto, il sole brillava di più che sugli altri due. Pensai alla Santissima Trinità con la Madre. La vasca di pietra - serena, era il compito di Pietro apostolo, nei duemila anni. Nel mezzo della strada, vedo poi un agnellino tutto dorato. Che, bello! Penso che è in pericolo, e corro a prenderlo in braccio e lo porto al sicuro dentro casa. Nel mentre che faccio quel piccolo tratto di strada, noto al di là della strada un pastore e un gruppo di pecore grasse. Mi rendo conto che sono insidiate, da animalacci orrendi e bruttamente dentuti. Penso; devo salvare anche quelle. Così, dopo portato in casa l'agnellino dorato, esco di nuovo immediatamente, ed una ad una porto le pecore dentro casa, e le pongo nella vasca da bagno, per lavarle. Via, via, che le levo dalla vasca, le vedo pulite e un po' dorate. Poi, mi riprendo. Ebbene, per questa ultima parte del racconto, faccio io la psicologa di me stessa. Io conosco ormai, le Opere del Cristo Gesù e del Cristo David, che si sono sacrificati per noi. Il Cristo Agnello.

Le due rose rosse che stanno, uno alla destra e uno alla sinistra del Padre. L'Opera Giurisdavidica che ormai risplende nell'Universo, perché gli spiriti disincarnati la conoscono, io l'ho portata, gelosamente, al sicuro dentro casa, cioè (dentro di me) nella mia anima, nella mia mente e nel mio cuore.

Ma è una cosa troppo grande, troppo bella, per contenerla solo dentro di me! Lo spirito cammina da se stesso, e va dove vuole. Non avevo mai tregua, per i dolori alle mani alle braccia, ed al collo dei piedi. Era un po' di tempo che mi rivolgevo in preghiera ad un dottore sudamericano e considerato un santo. Il suo nome: José Hernandez de Gregorio. In sud America, tengono la sua immagine sulle macchine automobili. Lui era un medico di molto buono, ed è morto in un incidente stradale, per andare a compiere il suo dovere. Tutta la gente di laggiù si rivolge a lui per aiuto, e così, ho fatto anch'io per aver attutiti i miei dolori. Una notte sogno; José Hernandez presso il mio letto, mi dice: "Vieni con me!" Mi fa alzare e dopo due attimi mi trovo su nel cielo, in una sala operatoria, tutta allestita modernissima con colori verde salvia intenso e bianco.

Ho visto un gruppo di medici, che si davano daffare attorno a me, poi, non compresi più nulla. Mi trovai nella mia camerina con José Hernandez, che stava asciugandosi le mani e mi dice: "Sei contenta ora?" e mi sparisce. Avevo notato che era un uomo di statura media, bruno, con capelli lisci ben pettinati, ed elegante, vestito color verde un po' viridian scuro, con camicia bianca aperta al collo, cioè senza cravatta. Fui contenta che mi avesse sentita, e lo ringraziai pensando a quella sala operatoria su nel cielo, mah, speriamo. Un aiuto ci sarà, mi dico.

Ma, causa-effetto, nel corso delle mie svariate vite, mi sono, mie ero, costruita un Karma pesante e duro di sopportare, e che perdura tuttora, anche se avvengono, via via delle attenuazioni, e questo, meno male! Ricordo un fatto che mi è accaduto in una chiesina di Firenze. Ero entrata piangendo e mi diressi davanti ad un altare, dov'è una bella statua della Madonna che direi, sembrava lì viva e umana. Piangevo dunque, per le immense sofferenze, che mi procura questa malattia della poliartrite reumatoide, che mi è scoppiata dentro, come una bomba atomica. Guardai la Madonna e la Supplicai; "Oh! Madre, che malattia è questa?, che non mi riesce di guarire!" E giù, lacrime. In chiesa ero sola, e non c'era nessuno, proprio, fin da quando ero entrata. Ecco la Divina Madre, mi parla, e dice: "Ma il tuo è un Karma!!" Questa è stata la Sua affermazione. Mi accorsi che continuavo a piangere, ma non più solo per l'afflizione, ma anche per l'emozione. Riflettei molto su ciò, e finii per avere una certa chiarezza nell'anima.

Pazienza, pazienza! "In tuam patientiam, possedisti animam tuam!" Di volta in volta, quando potevo, mi recavo a Viareggio l'estate, per l'aria, anche se non potevo per il sole e per i bagni. Potevo camminare poco, e presi la biciclettina per non fare strada a piedi. Ma anche la bicicletta mi faceva disagio. Dolori mani piedi, ecc... Andavo comunque in pineta prima, con la signora amica e sua nipote, che ne ha avuto beneficio nello sviluppo del linguaggio. Questa, è la pineta fa tanto bene! Dopo la morte della mia amica, andavo in pineta da sola, sempre al mattino per l'ossigeno. Con uno o l'altro libro, dell'Opera Giurisdavidica della "Madre Scienza".

Una notte ebbi una specie di visione molto concreta, in sogno, in sul mattino. Vidi fuori di casa, al di là della strada, un palo altissimo, argentato, che con la punta arrivava fino al cielo. Dei meccanici celesti, andavano su e giù per questo palo, per appoggiare in cima a questo, un piccolo palo orizzontale, sul quale si dettero daffare, ad attaccarci sopra, sette fari grossi, alcuni cioè due, erano rossi, con luce rossa. Intendevano fare questo, per farmi vedere i tramonti. Me ne fecero vedere due di tramonti, uno a cielo pulito da nembi, e l'altro, all'inverso, con tanti nuvoloni neri e scuri.

Cosa dovevo pensare? Vidi tutto questo lavoro, e, capii, che erano i meccanici celesti, anche perché nei loro indumenti c'era qualcosa di metallico. Non erano molto alti, ma velocissimi. Il palo era sui generis, così: Io i tramonti a Viareggio, comunque li vedevo, ma sul retro casa,   verso il fiume cioè dalla parte opposta. Ci fu poi un giorno, che sentii una  voce – rumore angosciata, e angosciante. Si ripeteva e si ripeteva, e così anche la notte. Impressionantissima! Cos'era successo? Venni a sapere che alcuni navigatori – pescatori, avevano, per disgrazia, ucciso un coniuge di una coppia di grossi cetacei, balene. Il rimasto, urlava il suo dolore a modo suo, finché dopo parecchio soffrire, si allontanò nel suo mare "amaro". Io stavo afflitta nel sentirlo. Non potevo sopportare che soffrisse, e non dormii quasi per niente quella notte. Nei tempi, che ritornavo là in quel di Viareggio (leggasi: Via del Re) ebbi un'altra forte visione in sogno. Mi trovai con un'altra persona, che non vedevo, ma percepivo, al di sopra di bianche nuvole. Mi accorsi che avevano due grosse aperture a tondo, direi due grandi oblò. Sembravano lì apposta formati per guardare giù verso la Terra. Così feci. Mi misi a guardare giù. Mi resi conto e che guardavo le spiagge di Viareggio appunto, ma erano poste più ad ovest. Viareggio, era un posto completamente deserto. Guardai allora alle rive della spiaggia, e vidi alcune barche, quattro o cinque, che erano lì approdate, ma vuote. Erano barche semplici, e alquanto lunghe, senza vele. Erano piuttosto scure, ed avevano sulle fiancate delle strisce larghe dipinte di rosso scarlatto. Pensai che qualcuno, doveva essere approdato. Ma in quali tempi?! Quando? Non c'erano più le persone! Non ne vedevo, e rimasi molto perplessa. Ci pensai poi durante il giorno. Chi, poteva essere l'altra persona, che percepivo ma non vedevo? Forse, la signora amica, che al tempo per altro, era ancora viva? Sapevo che era molto buona, e che faceva sempre del bene a tante persone. Non sapevo, ma mi piaceva di pensare, che poteva essere lei. Questa scena desolata, mi rimase impressa nella mente e la conservo ancora oggi nel mio interno. La domenica ed altre feste giurisdavidiche celebravo la Funzione, come da investitura, nel rito Trinitario, come stabilito dalla "Colomba Madre" per il Terzo Testamento, nell'Onda della "Madre Scienza, Spirito di Verità, Spirito Santo", secondo la "Rivelazione" promessa dalla Vergine delle Tre Fontane, in Roma 12/4/47. Preghiere di massima positività, per la povera umanità tribolata. La conferma alla mia consacrazione, la ebbi da Gesù stesso, per ben due volte, così: "Tu es sacerdos, 1". Ed, io: "Oh!, Signore, Tu Sei!" e Lui, ancora: "Tu, compagna di tutte le vite!" Tacevo. Molte volte mi aveva già, chiamata così: "compagna di tutte le vite!" Ero quasi sempre sola alla Funzione, ma a volte no. Si avvicendavano due persone femminili, anime che avevano capito. Si è sempre saputo, che l'intuito spirituale femminile, precorre di gran lunga. Con Gesù, furono proprio le donne ad ascoltare, ed afferrare per prime gli insegnamenti, infatti, lo seguivano con dedizione. L'intuito spirituale maschile, loro arriveranno dopo. Ma arriveranno. Oh! Se arriveranno. Arriveranno, arriveranno! E moltissimi passeranno avanti! Il "Cristo David Duce e Giudice", ha lasciato nero su bianco. E così, la "Grande Madre Cosmica, ELVIRA" (eterna, luce, verbo, irradiante, rivoluzionario, Alfa).

( Principio Creativo), ha lasciato bianco su nero. I loro libri, le loro Opere, vanno lette, studiate, poiché sono Vita. Viareggio. Visione in sogno 1988. Mi trovo in chiesa, mentre il celebrante officia. Sta esattamente volto verso il pubblico. È vestito con la pianeta verde smeraldo luminescente, su bianco camice. Predica. Sento che dice: "David Lazzaretti". Io tendo l'orecchio per udire di più, e, vedo che si da daffare, per distribuire la Santa Comunione alle persone che si avvicendavano a gruppi. La luce chiara mattutina è bella in quella chiesa, e mi piace. Mentre abbraccio tutta la scena cogli occhi, vedo che il Sacerdote distribuisce la Santa Comunione, con delle ostie grandi, di colore verde. Guardo sorpresa, e sento il Sacerdote che m'invita alla S. Comunione, chiamandomi per nome, "Fausta, lei venga qua"! Io che stavo in disparte, vado a ricevere la S. Comunione - verde.

Il Sacerdote mi dice ancora: " Lei, dopo, mi attenda fuori, che le voglio parlare". Poi passando tra le acquasantiere, sono uscita ad aspettare pensando. Tutti un giorno, riceveranno la Santa Comunione verde, simbolo della congiunzione della natura umana con la "Natura - Divina".

Mi sveglio, con ancora l'immagine delle ostie verdi negli occhi, e negli orecchi il nome Santissimo di David Lazzaretti, pronunciato, proclamato dal Sacerdote, quasi a presentazione di Sé, del suo Io interiore.

Anche quando ero sola alla funzione, io non ero proprio sola, lo sapevo di per certo. Tanti, tanti segni, indicatori, di consiglio, d'insegnamento, venivano in soccorso alle mie insufficienze alle mie lacune, e a completare le mie certezze ormai. Anche le cose che succedevano all'esterno, erano a volte conferme abbaglianti per l'anima mia. In quegli anni (le date mi sono sfuggite) ci fu una grandissima manifestazione di Popolo a Roma. Manifestavano per la "PACE fra i popoli". Io non ero proprio, in casa mia quel giorno, ma in un'altra, dove avevano un grande televisore a colori. Vidi, grazie Dio!, la manifestazione, con una scena meravigliosa a vedere. Avevano costruito una enorme colomba (forse di cartapesta), così bella, così bene, con tutte le piumine attaccate. Tutta bianca, col becchino rosso, e le ali un poco aperte.

Fui felice della circostanza, di poter vedere quel Simbolo dello Spirito Santo e della "Colomba Madre", portato in trionfo, per le vie di Roma. So che esclamai: "Ma che intuizione!, questi promotori della manifestazione! Se sapessero che Lei è lì, a Roma! In Corpo Umano! Dio voglia che lo sappiano!!!" Che sappiano tutti, in tutto il mondo, sarebbe proprio la scoperta, l'ora della Felicità della Terra! Oh!, io voglio dire a tutti, grandi e piccoli; "Cercatela!, guardate all'Opera Sua!"

L'ha fatta per noi tutti, lì 12/4/1947; la Vergine apparsa alle tre fontane, di Roma, aveva così affermato: "Io Sono Colei, che Sono nella Trinità! ( cioè, una Persona Divina, di Primo Grado) e Sono la Vergine della Rivelazione!"... Ed io dico; che rivelazione avrebbe fatto, se poi, dopo averlo detto, non l'avesse fatta ?! Invece sì! L'ha fatta! Era, a piedi nudi sulla terra, vestita con i colori della bandiera italiana, (come profetizzata da Dante Alighieri), bianca veste, fascia rossa e manto verde oliva. Significava che avrebbe operato, sulla terra italiana. Così è Stato. L'Anima idonea a ricevere il Suo Spirito era già stabilita, pronta e rispondente. La estremamente semplice, ma estremamente Grande Signora Elvira Giro, vivente nel secolo a Roma, nella veste di sarta, ha così altamente corrisposto alla Volontà Divina, da incarnare Lei, la Grande Madre Scienza, la Madre Cosmica, la "Regina dell'Universo", da divenire Lei, da essere Lei! Con Lei l'Umanità non camminerà più al buio. Poco tempo dopo, aver un po' recepito l'Opera Giurisdavidica, mi trovai in sogno una bellissima molto grande "ape", che in un'atmosfera giallo - dorata, mi ronzava beatamente sopra la persona e mentre io stavo, come protetta dalle sue ali trasparenti. Ho detto sopra, beatamente, ma al risveglio, beata ero io ancora avvolta in quella luce d'oro meravigliosa Questo fatto è stato un'anticipazione, che poi, avrei conosciuto, che l'Opera della Grande Madre in "Elvira", era l'Opera dell'Ape"! E la Vergine Maria? Lo Spirito della Grande Madre, nella Vergine Maria, era l'Opera della "Gallina", agli inizi dell'Opera Cristica e appunto con la Vergine Maria, con Gesù, e San Giovanni Battista. Conoscere queste cose semplici e grandi mi piaceva assai.

Tra le riflessioni mi trovavo a pensare, ma chi è, che pretende, di legare mani e piedi all'Eterno Iddio ed alla Grande Madre, per impedire Loro di incarnarsi, o reincarnarsi a Loro piacimento, e secondo i Loro intendimenti?, perché tante oscurità, per noi poveri umani?!

Qualcuno del passato, ha affermato, che la religione fosse l'oppio dei popoli, tentando di soffocare così, gran parte del pensiero umano togliendo la vasta visuale delle cose, e comprimendo ogni speranza alle povere genti. Ma la "Regina dell'Universo" invece, dice, che la Religione, sarà proprio in futuro la Grande Consolazione dell'Umanità. "Lei" ha aperto definitivamente e Spiritualmente le "Porte del Paradiso" Dante Alighieri grande Santo, Poeta e Profeta, ha parlato per questi tempi, e non per il passato che era già stato. Dante stesso sì è reincarnato nel 1834 in David Lazzaretti il "Cristo Duce e Giudice", (dopo cinquecentoquindici anni) DUX, quale "Messo di Dio", portando con sé, nella sua anima e spirito, i sette P. o sette potente Angeliche, i sette Doni dello Spirito Santo. David Lazzaretti nato ad Arcidosso (Italia), il 1° novembre 1834, festa di tutti i Santi, Lui il "Santo dei Santi", con il Padre e con Gesù, nella "Trinità Paterna", sedendo alla Loro Sinistra, ha Operato sulla Terra con Essi, nella "Forza, nella Potenza, e nella Sapienza Cristica", essendo tutt'Uno con Loro "Il Cristo Re".

Operando nell'Amore, nel Sacrificio e nella Giustizia, per il "Diritto Divino e Umano" e riaffermando così, il D. A. I. (Diritto Armonico Irradiante). E, come Cristo RE, presiede ora dunque, salito ai Vertici dell'Avvocatura Celeste, come "Cristo Duce e Giudice", la Legge del Diritto. La Divina Madre Cosmica, nella Sua Opera Giurisdavidica della Madre Scienza" (che è Lei stessa), ci rivela che il posto del D. A. I. o Diritto Divino Armonico Irradiante, è all'apice dei Centri Divini di Comando, e richiamandoci alla Sua affermazione nell'Apparizione alle Tre Fontane di Roma: "Io Sono Colei che Sono nella S. S. Trinità, ecc..." si pone alla Sinistra del Padre e del Figlio, formando così, l'unisono della "S. S. Trinità Paterna e Materna Cosmica", facendoci intendere che adesso la Sua Azione si svolgerà Operante, anche sul piano sociale, a conferma pure dell'Opera del Divin Padre, in David Lazzaretti. Iddio è Padre e Madre. I figli, non sono dappiù del Padre e della Madre. Vediamo dunque, se con tanto Amore, le daremo tutti, maggior considerazione, attenzione, pensiero. La Divina Madre, con la Sua Scienza, Ella mi dice adesso, come stavano e come stanno le cose. Non esiste più il dogma, ma ora tutto è rivelato e lo sarà sempre più, anche per l'intervento prossimo o futuro, del Padre Santissimo. Il millennio, nel quale fra poco entreremo, è stabilito per la conoscenza Cristica, nell'Opera dello Spirito Santo Madre, e per il Battesimo del Fuoco istituito da David Lazzaretti, il Giovanni Battista reincarnato sulla Terra, (Giov. B.; "Verrà Uno dopo di me, che vi battezzerà nel fuoco e nello Spirito, cioè, lui stesso).

Il Suo Sangue ha trionfato ancora. Ha detto Gesù: "Nessuno sulla Terra, tra i figli di donna, è più grande di Giovanni Batt.". L'Opera "Madre" è ora diventata "Sigillo Irradiante Operante". In quest'Opera ci sono grandi cose, che non ci è ancora dato di comprendere, ma tutto è stabilito che le vicende umane, convergeranno ad essa. Io so che noi umani, abbiamo e facciamo tanti errori di comportamento e perciò nessuno di noi, possiamo mai puntarsi il dito contro l'un l'altro salvo subire il boomerang, che produce il nostro stesso difetto. Comunque, specie ora, con l'informatica, deve passare sincero lo studio di tutta la storia dell'umanità, con i suoi valori migliori che sono in primo luogo, le religioni, non escluse le minoranze, in modo che il filtro non pregiudichi lo slancio "evolutivo vitale" per l'umanità. Non posso io, coordinare tutte le date, nelle quali mi sono avvenute le visioni, per cui molte non le includo ma solo alcune, e magari contrapposte nel tempo. Ecco qui una, 5/10/90, vedo nel cielo il numero cinque e sento: "Leggi! Leggi! Leggi!" e capisco che è inteso il quinto libretto della "Colomba Madre". Dunque, era scritto nel cielo! Sono passati ora alcuni anni, ma io trovo sempre bellissimo quel libro e non finirei mai di leggerlo.

Altro sogno forte; sono sul ponte (passaggio), ed ho con me due pentole una in mano ed una in borsa. Mi lamento perché le pentole dovevano essere tre (le Opere). Qualcuno mi tranquillizza, facendomi vedere un magazzino, mi dice che se l'ho dimenticata lì, (nel cervello, nella memoria), la ritroverò. Poi mi trovo vicino ai binari ferroviari, e vedo poco lontano l'arco di una galleria, in una atmosfera color arancione con tante scintille di tutti i colori.

All'improvviso, mi passa di fianco, un po' alle spalle un treno velocissimo, che sembra pieno di fuoco arancione e blu, alto il fuoco circa un metro. Sembra un'onda del mare, quando si rompe il flutto in aria, e poi nella velocità questo fuoco penetra nel terreno, tra i sassi delle rotaie, lasciando una scia di sé. Io esclamo: "Quello lì, (il treno) va anche all'estero!" E mi sveglio pensando all'Europa. Ci fu un periodo sotto gli anni novanta, che io stavo proprio, dolorosamente preoccupata, per le sorti della mia nazione, dato tutti gli sconvolgimenti esterni (guerre in Jugoslavia) ed interni, su attriti politici ed economici, ecc... e mi domandavo in cuore: "Cosa mai succederà, in questo nostro Paese?" e mi affliggevo in me stessa, così. Quando una notte, in sogno, vedo dalle Alpi alla Sicilia, tutto, il territorio italiano, con i suoi monti pianure e contorni. Mentre guardo, vedo ben bene, appunto con tutti i contorni e colori, la nostra bella Italia. Vedo che comincia ad illuminarsi, con tutte stelline d'oro, fitte fitte, da coprire tutto il territorio dello stivale. Rimango affascinata ed abbagliata, da tutto quel luccichio, in crescendo. La nostra Italia tutta d'oro!, Che meraviglia! Quante stelline! Poi vedo una porta bianca che si apre, e rimirando mi sveglio. Che visione è mai questa?! Chi? mi ha voluto, così tanto, consolare o confortare? Grazie! Mi sovvenni, che nei Suoi scritti, la Divina Colomba Madre, ha affermato: "La Civiltà partirà dall'Italia!" Allora, ben venga quel giorno, in cui il simbolo negativo plutonico e pagano di "Roma", avrà raddrizzato il suo nome in "AMOR".

E banditi tutti gli odi della terra, sarà applicato l'Amore per tutto e per tutti, per i più bisognosi, i più piccoli, i più dimenticati, i più deboli, e i più disprezzati e disperati, di tutto il mondo. Dopo qualche giorno, nella notte, sento una preghiera intensa, che esprime: "Deh! Salvatore! Bandiera Vivente! Unisci le tue Corone, a quelle di Gesù Cristo!" Avevo sentito bene! Di che Salvatore parlava, se non che del secondo Cristo? Che è stato ucciso e sacrificato, come il primo? Innocente! Dopo che la Sua missione era stata compiuta, in dieci anni, che purtroppo, è stata boicottata, compressa e nascosta, dalle tremende gelosie spirituali di alcuni, di quel tempo 1878. David Lazzaretti, il "Cristo" nella seconda venuta! In Lui, c'era il Padre S. S. con Gesù il Figlio Divino che aveva a noi, promesso il Consolatore, per la resurrezione umana. Ma respingendo il Bene, il positivo, da noi stessi ci diamo lo schiaffo negativo, e così e la povera umanità continua a soffrire le atroci crocifissioni, a non finire.

E di chi, le colpe? Dio lo sa. Oh!, anche molte persone l'hanno saputo pure in Europa, e molti documenti in Italia e all'estero ne parlano. Ma ci sono stati, e ci nono tuttora sulla terra, esseri talmente comprimenti di ogni libertà di spirito, che soffocano ogni slancio evolutivo umano. Ma il Signore Gesù ha detto: "Conoscerete la Verità, e la Verità, vi farà liberi". Io penso, che, se in duemila anni, è stato portato avanti un compito, magari più bene che male, potrà pur subentrare la Nuova Azione di Dio!?, o no? E il Signore Gesù, disse pure: "Non si addice porre una toppa di stoffa nuova su di un vestito vecchio, altrimenti si strappa e perde l'utilità. Quindi, ogni Opera Divina è preposta nel contesto del tempo per il quale è stata attuata, così l'Opera Giurisdavidica" o "Giovannitica" dello "Spirito Santo, Padre - Madre" è stabilita per la Sua fioritura e sviluppo, proprio per il terzo millennio che si prospetta.

Il Signore Gesù, disse pure a Pietro: "Vattene, che mi sei di scandalo!" e poi: "Che importa a te Pietro, se io metto il Giovanni ad attendermi?" E il Giovanni Ev. reincarnato poi in San Francesco d'Assisi, ha sostenuto la chiesa del Cristo Gesù "crocefisso", perché si preparasse e fosse pronta alla venuta del "Cristo Spirito Santo in David", in seconda venuta. E ancora! La Chiesa Universale Giurisdavidica è anche detta: "Giovannitica" perché contenente e contenuta nell'Apocalisse (rivelazione), di S. Giovanni Evangelista. La Chiesa Universale Giurisdavidica Trinitaria con lo Spirito Santo Madre, contempla i benedetti Spiriti dei due Giovanni, e Battista ed Evangelista, che s'incontrano e si compenetrano significando appieno, nell'Opera Davidica. E la Divina Madre?, che aveva in affido tutta l'umanità ? non ha forse mostrato con le sue Apparizioni, Visioni e Presenze tutta la Sua Sollecitudine? fino al punto di incarnarsi, in questo nostro diciannovesimo secolo? Chi? glielo poteva impedire? Non doveva forse sbocciare l'Opera del Cristo nella seconda venuta? e l'Opera della Divina Madre, nella cristianità? nella cattolicità? Ma, di chi, la responsabilità? Di chi poteva capire e sapere! Cioè, dei pochi, che potevano sapere e dovevano capire. I molti, che non sapevano, così, non potevano capire, non ne hanno certo responsabilità.

Ma la cattolicità distruggendo i suoi stessi Fiori di Vita, ha respinto credendosi infallibile, quando invece, solo Dio è Infallibile. Dunque, a quelle Corone citate nella preghiera sentita, non sono forse da unire tutte le Corone della umanità sofferente che sprizza il sangue da tutti i pori? Quella preghiera che univa i due "Cristi", usciva dal Cuore della S. S. Trinità, per insegnarmi a pregare e per consolidarmi, a capire. Il Signore Cristo Gesù, col suo compito di Redenzione Spirituale, ha pervaso col Suo Spirito tutta la Terra, il Signore Cristo David, in unione allo Spirito di Gesù e del Padre, ci portava la Resurrezione, ed anche sul piano sociale, di cui aveva impostato, in piccolo, il campione.

Respingendo dunque il Bene, causa-effetto, il boomerang. Ed al contrario, la faticosa risalita dell'umanità, che tanto sta a Cuore al Divin Padre, ed alla Madre. Molto spesso mi trovavo a pensare al Monte Labro, dove si trova "l'Arca della terza ed ultima Alleanza di Dio" cogli uomini. Desideravo ritornarci, desideravo quell'aria, dal profumo di preghiere, rimasto dal secolo scorso. I secoli scorrano pure, ma lo Spirito di Dio Assoluto, nella Sua Essenza e nelle Sue Opere pervade indelebile nel luogo da Lui prescelto, diffondendosi nello spazio e nel tempo, come di Suo intento. David Lazzaretti ci portava la "Legge del Diritto Divino e Umano".

Solo il "Cristo", poteva darci questa "Legge". Nessuno può usurparsela, e farsela sua, senza riconoscere la "Persona Divina", dalla quale proviene. Sarebbe come, appropriarsi del Vangelo, escludendo e rifiutando la "Divina Persona di Gesù". Chiudo questa nota sull'appropriazione della "Legge del Diritto Divino e Umano", sperando, che chi ha fallito, lo riconosca, poiché è una mancanza grave, che supera di gran lunga, tutte le altre. Non s'illudano, di scantonare nella loro propria diffidenza, o peggio di fare i furbi.

Lo Spirito di Dio, è talmente forte, da sbriciolare qualsiasi inganno! Oh!, il Monte Labro!, la volevo respirare di nuovo quell'Aria. Non sapevo se ci sarei tornata lassù. Ero tanto grata al Sacerdote Leone, per avermi imprestato, anche altri libri d'archivio, su David Lazzaretti. Ero assetata di qualsiasi notizie che parlassero di Lui. Poi, Leone mi aveva donato anche un libro importantissimo, di ricerche fatta da lui stesso, un documento, dove sono elencate moltissime opere, che parlano di David in pro o in contro.

Un bellissimo lavoro, una bibliografia sul nome di '"David Lazzaretti". Uno studio serio, tante notizie preziose. Io per conto mio, cercavo nelle librerie e nelle biblioteche, tutto quel che potevo trovare che parlasse di David Lazzaretti. Qualcosa c'era, anche se il resto era stato sottratto nel tempo, o abbuiato purtroppo. Purtroppo, siamo stati defraudati, del gran bene del Suo Spirito, che è Spirito Santo. Lui nel profetizzare l'Opera della Madre, la "Regina dell'Universo", la proclamò "Regina delle Vittorie", perché sapeva, che avrebbe "Lei" portato a compimento, anche per l'Opera Sua.

Le mie giornate passavano un po', impegnate e un po' no. Ogni tanto mi trovavo, con degli sprazzi di chiaroveggenze nelle quali, vedevo la "Madre Scienza Elvira", che si affaccendava nella Sua Azione, ed in una chiaroveggenza, la vidi in atteggiamento pensante, passeggiare nella stanza, vestita di scuro, riflessiva e meditabonda, seria. Come ho detto addietro, sono intercorse delle telefonate, con me con loro, con Leone e con Elvira. Non erano telefonate comuni, poiché oltre al valore spirituale, c'era la dilatazione della visuale delle cose, su altri livelli e dimensioni.

Io nell'Apparizione dove vidi in grande il Volto, la Testa di David Lazzaretti, ho visto il GENIO dell'Universo. Così è, per la "Colomba Madre Elvira". Lei è il GENIO Spirituale Femminile dell'Universo. Questo livello altissimo nessun presuntuoso della Terra, potrà mai competere. Sul Monte Labro i vandali distruttori hanno fatto quello che hanno fatto, in nome di una religione che ha degenerato negli individui, in fanatismo chiusura fondamentalista cieca, e basta. Manco si accorgevano, che i nuovi germogli della Pianta Cristica, erano quelli promessi da Gesù stesso. Quelli, pur di togliere la libertà di spirito, e di chiudere nel quadrato buio, le genti, e tenerle più incolte possibile, a pecorone, per loro, non devono pensare, non devono evolversi. Devono credere, solo quello che loro stabiliscono. Ma che inganno è questo! In quale impostura ci avvolgono!? Decretano loro nel loro modo, la nostra salvezza! Eh, no! Solo Dio è la nostra salvezza!

E Lui lo fa, e lo farà, a modo Suo. Grazie a Dio! Le assurde divisioni sulla terra, fomentate dall'ignoranza, saranno superate solamente con la conoscenza, e la chiarezza. La Fratellanza Universale, si svilupperà con lo studio della "Scienza Madre" di questo la "Divina Madre Cosmica", è stata chiara a lo studio delle Scienze Spirituali va fatto nelle scuole, fin dai più teneri anni, perché anche se sono superate o ferme, le religioni, sono pur sempre la Storia più viva dell'umanità e vanno studiate con rispetto. In quanto all'evoluzione nel futuro, della Religione Giuris Davidica o (Giovannitica) della S. S. Trinità di Dio con lo Spirito Santo la "Madre Scienza", Dio stesso prenderà in mano le Vicende Umane per farla trionfare. Lui ha voluto così, perciò ha affermato, "Così, IO ordino, così, IO eseguisco!"

E non si entra alla presenza del "RE" se non si passa dalla Stanza della "REGINA". Trovando David Lazzaretti il "Cristo Duce e Giudice" e la "Divina Colomba Madre Cosmica", in Elvira Giro, si trova ancora di più Gesù e la Vergine Maria, che poi è il Suo stesso Spirito nel Suo secondo aspetto. Io che ho visto soprannaturalmente, e terrenamente, vorrei che tutti vedessero. Nella Bibbia c'è scritto; "...e molti vedranno e fidenti spereran nel Signore...!" È proprio così. Saranno consapevoli di altre dimensioni! Ma chi non vede lo Spirito, non vorrebbe che vedessero, neanche gli altri. Gesù disse: "Non Vogliono entrare loro, e non vorrebbero lasciare entrare nemmeno gli altri". Ma io spero nel "Risveglio dei Popoli", (primo libro scritto da David), che sarà proprio così poiché, i tempi sono questi.

Venne per me, un tristissimo giorno. Ebbi da Roma, da Leone, la notizia della dipartita di Elvira, la Grande Luce, 6/11/1991. E adesso, il più Grande Spirito dell'Universo, (Dio è Padre e Madre), lascia alla Terra, la Sua piccola Spoglia, nella quale e si era immedesimata, facendosi ancora più piccola nella Sua estrema, vera semplicità. Lei, la "Parola (Labro)" la più Grande, in obbedienza al S. S. Padre il "Pensiero" il più Grande, ha attuato appunto operando, con Lui, pel beneficio della Umanità tutta e per portarla dal negativo al positivo, uscirla dalla crocefissione, e impostarla nell'Ordine e nella Pace, nell'Opera dello SPIRITO SANTO. Ed ora, come ho detto; la più Grande-piccola spoglia della Terra, riposa sotto una piccola pietra in Roma, nel cimitero di "Prima Porta " ed il Suo Spirito, riposa nel tabernacolo, dell'Eredità del Signore.

"Non sono venuta per ricevere", mi diceva "ma per dare e compiere l'Opera, tanto desiderata e da Dio comandata". Fatto! Altre cose che mi riguardano, non le posso dire, ecco. Dopo la telefonata di Leone, io e la Rosa di San Buceto, ci telefonammo, su questo, e piangemmo insieme, il nostro dolore, noi, che sapevamo! Al Sacerdote Leone, che le aveva chiesto: "Signora, quando te ne vai, portami via con Te". Lei, la "Colomba Madre", alzò la mano con tre dita, e disse: "Tre anni!"

Col tempo che le era rimasto Fratello Leone, portò su alla Sede Giurisdavidica, al Monte Labro, tutte le cose che ha ritenuto opportuno, e poi si stabilì lassù, dal primo trimestre del 1992.

Da anni aveva stabilito la sua residenza lassù, perché voleva stare, dove aveva vissuto David Lazzaretti, l'amato Cristo, e morire lassù, per poi essere sepolto accanto a David, nel cimitero di Santa Fiora, Comune di Arcidosso, provincia di Grosseto. Fratello Leone, telefonava a me ed a Rosa di San Buceto, e qualche volta. Lui era in un vortice, di manifestazioni e di visioni lassù sulla montagna, e ci raccontava, dandocene le interpretazioni e gli insegnamenti nuovi, per il Bene, che senz'altro trionferà sulla Terra. Quante cose mi ha insegnato, e ci ha insegnato Leone! Io le ho scritte in qualche posto e in piccoli appunti, difficili da spiegare. Venne la stagione, l'estate come s'intende, e Leone m'invitò su al Monte Labro, alla Sede per due o tre giorni. Andai con il pullman, ed arrivai di mattina ad Arcidosso. Leone mi aspettava nella piazzetta, con la macchina. Avrebbe voluto invitare anche Rosa, ma lei era precaria con il cuore, e anzi ha dovuto curarsi a lungo, e poi anche in ospedale. Rosa è della provincia di Pescara, e le sarebbe stato scomodo e cagionevole venire su con noi. L'Elvira diceva, che Rosa le simboleggiava la Nuova "CHIESA-GIURISDAVIDICA-UNIVERSALE", ed un giorno, avendomi Rosa raccontato una sua visione, compresi che quel concetto, si adattava ad impiego, a quel simbolo. Io Fausta, ad Elvira simboleggiavo altre cose sul piano umano e Sociale. Dopo la Sua dipartita, Elvira mi fece un dono molto speciale. Qui solo lo accenno, mi fece per una volta, aprire il canale di comunicazione con il "Centro Motor dell'Infinito". Ritornerò su questo. Penso che l'umanità un giorno verrà, che avrà questa apertura per la sua felicità. Dopotutto, all'inizio della creazione, l'Eterno Iddio, parlava con gli uomini. Altre cose mi suggerì la Divina Madre, dopo il Suo ritorno nel Seno dell'Eterno e, altro... Io andai dunque al Monte Labro, e dopo che Leone aveva fatto la spesa, e fatto aggiustare qualcosa alla macchina, lì in Arcidosso, e andammo su alla Sede Giurisdavidica. L'aria era fine, ed il tempo bello. La Sede, ha molte stanze, su tre piani. Pregammo nella chiesetta al pian terreno, e poi salimmo al primo piano a mangiare. Io dopo andai in cucina e mi resi conto, che in tutta la casa doveva farsi ordine.

Fui contenta di poter essere d'aiuto, per tutto questo. Io avevo ricevuto moltissimo spiritualmente, oltre che da Elvira anche da Leone. Allora mi misi di buona lena a pulire e ad assestare, rifacendomi da una stanza all'altra, e così via, un po' per giorno. Nelle ore di riflessione, scendevo, nella saletta al pian terreno. Facevamo delle meditazioni con preci. C'erano sulle pareti esposti, ben nove attestati a colori, di riconoscimenti ad Elvira. Mi trovai sola lì un giorno, ed io li fotografai i diplomi, ma non so, se Leone fosse contento di questo. Il giorno stesso Leone arrivò nella saletta da pranzo, al primo piano, con una scatoletta antica in mano. Mi disse: "Ti farò vedere qualcosa di cui tu, sarai tanto contenta. Non te lo potresti neanche immaginare cosa c'è in questa scatola!"

La tiene nelle mani. Vedo una scatola di un metallo scuro lavorato a piccolo traforo, e da tutti i lati esagonale. Il volume che io vedevo di questa scatola, era come un arancio piccolo. Non avrei mai saputo aprirla che era un po' misteriosa, perciò la lasciai nella mano di Leone. Leone si decise ad aprirla e dice: "Ecco l'orologio di David Lazzaretti!" La mia emozione toccò il Cielo. Me lo concesse nelle mani, ed io ero più che soddisfatta solo ad averlo visto e toccato e mi dicevo in cuore: "Ma come sono fortunata!"

Leone dice: "Tieni, te lo do a te, lo puoi tenere". "A me?! oh! grazie Leone". "Portatelo in camera tua". L'orologio di David, era di quelli a forma di cipolla, d'argento inciso col simbolo giurisdavidico, o sigillo del Dio Vivo. L'aveva donato a David Lazzaretti, il giudice francese Leone du Wachat. Conoscevo la storia. Non c'è che dire, me lo tenni per tre giorni e tre notti. Lo tenevo sul cuore. Di questo ero proprio felice e mi dicevo nel contempo, non posso tenerlo, poiché quando morirò, a chi andrà? In mani noncuranti e magari poi, sperso. No, no, non posso tenerlo. Non è il caso.

Non è un orologio qualsiasi, di preziosità qualsiasi. Pensavo, ma non trovavo una giusta soluzione. Pensavo di farlo certificare da un notaio, con tutte le affermazioni e garanzie possibili, per l'autenticità ed il grande valore spirituale, che le è derivato essendo appartenuto al "Cristo Duce e Giudice, David Lazzaretti". Non dico nulla a Leone, e aspetto per questo. Decido di far la fotografia all'orologio sulla mia mano, però già la luce si accingeva ad imbrunire e la mia macchinuccia fotografica era proprio, un modellino che lasciava tutto a desiderare. Malgrado ciò, la foto è stata possibile. L'orologio che non avrei mai pensato, l'avrei almeno avuto in fotografia, e sulla mia mano, con tre dita, color del fuoco, già, quasi a confermarmi e ricordarmi, il Battesimo nel Fuoco dello Spirito Santo. Intanto tutti i giorni lavoro a pulire e ordinare e assestare tutte le stanze, che sono molte su tre piani. Nella camerina dove io dormivo, c'era un mobile, con tanti nastri registrati. Un cassetto pieno. Leone me ne aveva parlato, anzi mi fece sentire un giorno, per telefono da Monte Labro a Firenze, una cassetta con la voce di Elvira mentre parlava coi carcerati. Così, portai il registratore e chiesi di registrare a Leone la voce della "Colomba Madre". Mi disse sì, e poi il mio registratore invece, non funzionò per registrare. Potevo ascoltarle solo le cassette. Fratello Leone mi promise che mi avrebbe regalato qualche cassetta, ma poi si dimenticò. Io ci tenevo moltissimo, e mi ripromettevo di tornare un'altra volta al Monte Labro, per aiutare Leone a dare una ulteriore assestata alla casa. Il lavoro lì, non mancava.

Sacerdote Leone mi portò a vedere diverse sorgenti. Che acqua! Anche a Santa Fiora! Passammo anche davanti alla chiesa dell'Incoronata, poi a Bagnorè, e al cimitero di S. Fiora a vedere la tomba di David Lazzaretti e della Sua famiglia. Accendemmo le candele, e feci la fotografia alla tomba.

Ritornammo su al Monte Labro, alla Sede Giurisdavidica, a cenare e fare le preghiere. Poi andai ad ascoltare le cassette, in camera mia. E sentivo da Elvira. E le cose per me, erano cose belle e interessanti. Alle ore ventitre e mezza dormivo. L'indomani, Sacerdote Leone mi disse di andare giù nella chiesa (che bella chiesina)!, che avremmo celebrato. Le finestre erano tutte spalancate al tempo bello. Saranno state le dieci del mattino. Mi dette a vestire, la veste sacerdotale di Elvira, che era bianca con simboli, guarnizioni rosse. Io in cuore, ero contenta e pensavo a benedizione per me, e pei bisogni spirituali per tutti.. Su questo fatto, ci sta una riflessione; nell'Apparizione dell'otto dicembre 1964 "LEI" la "Regina dell'Universo", mi aveva presa sotto il Suo manto, ed ora, estate 1992 io mi trovavo nella Sua veste sacerdotale, che "LEI" ha usato sulla Terra. Leone vestiva la veste grigio-argento, con i simboli giurisdavidici azzurri. Celebrammo all'altare, con le nostre care preghiere positive, stabilite per la Funzione, nell'Era dello Spirito Santo "Madre". Leone ebbe una visione. Guardando fuori dalla finestra, verso la torre Davidica, vide la "Grande Madre", seduta sul Trono nel Cielo, proprio sopra la Torre. Elvira voleva cucirmi il vestito sacerdotale per me, nel 1988 per Natale, ma io sapevo che Lei lavorava moltissimo, e non volevo si stancasse in soprappiù. Potevo cucirlo da me, e glielo dissi.

 

 

 

 

 

 

L’orologio d’argento, donato a David Lazzaretti dal giudice Leone du Vachat,

con lo stemma giuris davidico.

In basso a destra: le scarpe insanguinate di David Lazzaretti. Il Profeta le indossava

nella processione del 18 agosto 1878.

 

 

Opera della Chiesa Universale Giuris-Davidica

DEL REGNO DELLO SPIRITO SANTO

 

Chiesi di che colore, per i simboli giurisdavidici e Lei mi disse "Azzurri sul bianco". Così feci, quando dissi che l'avevo fatto, e con cintura azzurra, disse "Va bene così!" Ho dunque, ridato l'orologio di David, al Sacerdote Leone, e lui capiva perché. Una responsabilità su di un oggetto, che va oltre ogni valore di oggetti umani. Chi avrebbe capito, che non era una cosa qualsiasi?, la persona di alto linguaggio, o di altre possibilità umane? Non era detto che avessero senso spirituale, e conoscenza, delle vicende di David Lazzaretti. Leone, avrebbe senz'altro avuto intuito, per la persona a cui affidarlo, gelosamente, con continuità di custodia generazionale. La scatolina esagonale antica, l'aveva sempre lui, in salotto. L'orologio, tornò al suo posto. Sono contenta di averlo ridato a Leone, tanto come pure col Suo Nome, l'orologio di David, io l'avevo già nel cuore. Voglio ancora un po' descriverlo però; è un orologio d'argento, così detto a cipolla, con quadrante bianco, e lancette sottili, fissate alle ore sei e tre minuti. Sul quadrante, i numeri romani grandi, e sopra essi, in piccolo, i numeri arabi. Sul retro inciso, il "Sigillo Cristico" dei due C contrapposti con la croce in mezzo, così: )+(.

Attorno al Simbolo Cristico due rame di alloro con bacche, circondano abbracciandolo il "Segno del Dio Vivo". Significano anche le due palme, descritte da San Giovanni Ev. nell'Apocalisse, e che sono la dimostrazione del martirio di "Gesù e di David". Purtroppo la storia si ripete. L'orologio era un dono del Giudice francese Leone du Wachat, lui aveva riconosciuto in David il "Cristo" in seconda venuta, e lo ebbe ospite nella sua casa, con la Sua famiglia, poiché David aveva famiglia, e sappiamo che la Famiglia è una delle più belle creazioni di Dio. Nell'interno, del retro dell'orologio, c'è la dedica, che Leone du Wachat fece a David, che recita così: "All'Esimio e onorevole Signor David Lazzaretti, Leone ..." Ecco, ho raccontato dell'Orologio. Certo, che sono orgogliosa che per tre giorni, sia stato mio. È l'Orologio del "Cristo". Al Monte Labro, avevo terminato, ed un amico di Leone, mi portò giù ad Arcidosso con la sua macchina, al pulman per Firenze. Al Monte Labro in tutto andai su per cinque volte, di cui la prima il 14/8/86. Ero sola, con la macchina 500. Il tempo era bellissimo, però lassù sul monte non ci trovai anima viva, stranamente, perché il 14 d'agosto tutti gli anni lassù, ci vanno moltissime genti. Vengono anche dalla Francia, e sono tra coloro che si sono tramandati di padre in figlio, dal secolo scorso, la "Storia di David Lazzaretti". In quell'anno, nessuno! Anche nella Sede non c'era nessuno, né Elvira né Leone. Per impossibilità non si erano mossi da Roma. Sono ritornata giù il pomeriggio.

Ero contenta lo stesso, avevo respirato quell'aria pensando alle preghiere che erano state fatte da David e dai suoi seguaci lassù. Ero partita da Castiglion della Pescaia, e sono ritornata lì, dove avevo due signore amiche. Mi canzonavano benevolmente per il viaggio a vuoto, ma io ridevo perché sapevo, che erano buonissime, ma non conoscendo le cose, non capivano. Dunque, dalla volta ultima, scesa a Firenze, mi trovai a dovermi occupare delle mie cose, anche perché per me, nessuno faceva nulla, e c'erano i lavori di casa e le commissioni da risolvere. Anche se mi sentivo male, dovevo fare lo stesso. Io sarò sempre riconoscente a Leone, per tutto quello ha fatto, per la dedizione all'Opera Giurisdavidica. Passavano i mesi e sapevo che Fratello Leone, era ricoverato a Grosseto.

Mi faceva qualche telefonata. Si riprendeva e tornava lassù sul monte, ricascando poi di nuovo in ospedale, e così via. Il Monte Labro è di altitudine mt. 1166, e l'aria è fine, ma l'inverno è duro, e Leone deve aver sofferto assai. A me l'altezza faceva venire un po' di affanno. Non avrei potuto resistere..; io avevo moltissime visioni e manifestazioni, ed il mio cuore stava sempre ai piedi di Gesù di David e di Elvira.

Mi trovai una volta, trasportata su nel cielo tra le stelle, ero immersa tra loro, e le vedevo così vicine, poco più di una lunghezza, di braccio. Tra le stelle non c'era la notte ma giorno splendido. Era tutto così terso, così limpido! Le stelle che erano fitte fitte, erano vicinissime, e mi pareva che avrei potuto allungare un braccio per toccarle. Indescrivibile sensazione, una pace arcana, un mio guardare attraverso l'aria, un po' verdolina. Meraviglia inimmaginabile. Questa scena è rimasta forte per sempre nel mio cuore. Queste cose, sono serbate per molti. E dice la Bibbia: "E molti vedranno, e fidenti spereran nel Signore..." quindi vedranno. Così, oltre, un similare episodio, mi occorse. Ecco: mi sono trovata proiettata, proprio davanti al Carro Maggiore. Lo sfondo del cielo, era di color blu-notte o piuttosto blu-madonna. Le stelle del carro (io vedevo, solo quelle), erano grosse e scintillavano vive, palpitando verso di me, sottile, ineffabile abbraccio. Tutte le volte dopo, aver visto, mi sorprendevo, per il fattore che io, non mi aspettavo proprio un bel niente, e invece mi accadeva di tutto, ed io ero serena come a galla sull'acqua. Dopo qualche settimana del carro-maggiore mi accadde di trovarmi, davanti alle stelle del carro minore. Ma perché?

Chi ci pensava al carro minore, distratta, come sono! Non saprei spiegarmi queste cose, se non che l'umanità futura è destinata a popolare l'universo. Come? Non lo so. Qualcosa significa. E cioè, che bisogna vedere le cose, sotto altri aspetti. Si preparino gli umani, a cose incredibili. Dopo del tempo, ebbi una chiaroveggenza in sogno, a conferma, di qualcosa. Vedo sulla spiaggia paglierina, delle stelle blu, proprio color blu madonna. Sui sei sette centimetri grosse. Erano disposte circa venticinque centimetri l'una dall'altra, e scintillavano pure. La cosa curiosa, era che formavano insieme, esattamente il "Carro Maggiore". La vista per me, era bellissima, tanto che mi svegliai tutta emozionata e stupita. E dopo dicevo: "Come?! Il Carro Maggiore, sceso sulla Terra!!? Che bello!!!" Me lo spiegavo così. Il Carro Maggiore, tiene le sette stelle, che sono la sede dello Spirito dei sette Arcangeli, come, la loro casa direi. Sono i sette Spiriti di Dio. Ma, allora, allora, sono scesi sulla Terra, mi dicevo, per ordine della Madonna (il blu)! Sono scesi, senz'altro, per aiutarci, per compiere le loro azioni le loro opere nel comando di Dio. Dunque, a conferma della prima volta che mi trovai lassù, nel Cielo, proprio di fronte a Loro. Io ero lassù, proprio lì, anche se non mi sentivo e non mi vedevo nel corpo, come quando ero scesa sulla luna, col galletto. Erano le stelle blu luminose poste sulla spiaggia, precisamente, sulla sabbia (si-abbia)! Ecco, per noi! Oh!, se abbiamo bisogno del loro aiuto! Tutti! noi! E tutti Loro opereranno sul piano spirituale-sociale, invisibili nelle persone stesse. Le esperienze terrene della vita con delusioni o no, dispiaceri più o meno dipendono da troppe circostanze, dalle vicende e dagli accadimenti vari, che comunque, fanno maturare dentro di sé, sempre in positivo la persona. Purtroppo le solitudini sono molte anche dove non si supporrebbe, e la solitudine più desolante è il cuore vuoto. La mancanza del dialogo, dei tempi passati si riflette ancora purtroppo negativamente nei più e nei meno, e ciò fa pagare, ma viene superata dal buon senso che un'anima acquisisce, per dono di Dio, secondo l'individualità, la naturalezza e l'educazione o l'autoeducazione per quanto possibile. In questi tempi, c'è molto più dialogo nei gruppi e nelle famiglie, anche grazie ad un po' d'informazione che va ampliata ancora, la televisione e meno male! La televisione conta, eccome! Ma deve fare di più, e non eludere dimensioni sconosciute, o peggio svillaneggiare ciò che non si sa, poiché le cose che non si sanno, sono moltissime. Siamo destinati ad aprirsi alla quarta dimensione, (per ora), e perciò si svilupperanno, spontaneamente, le chiaroveggenze e chiaroudienze, i medium positivi e chiaroscriventi. Impedire con violenze mentali tutto questo, chiudere drasticamente questi campi, che Dio apre di Sua Volontà, scandalizzarsi e scandalizzare, a chi conviene? L'Amore tutto tutto comprende, tutto considera! Si prega sempre troppo poco, e dovremmo farlo di più, con tutto il cuore, senza ossessione, ma tenendo tranquillamente il nostro pensiero, sempre unito alla S.S. Trinità, al Centro Motor dell'Infinito, che dice dal Suo Benedetto Canale di congiunzione con la natura umana: " Ti sento"!

E sente, anche, la Divina Madre, che, con le Sue stesse parole, dice "La tua sola Madre, sono Io!" I grandi mezzi che il nostro tempo mette a disposizione, dovrebbero essere usati per la conoscenza dell'Opera Giurisdavidica, per prima cosa. Perché, se non sapremo le cose di lassù, non potremo mai comprendere e ordinare neanche le situazioni e le cose di quaggiù. In questo momento che sto scrivendo, mi sento dire: "Fausta Fausta, su di te, molte speranze si posano!" Ed io sussurro: "Dio mio, se non faccio nulla! Povera me! Cosa posso fare?" Mi viene in mente, che alcuni anni fa, Gesù mi disse fortemente: "Tu, farai miracoli!" Ma che cosa sto scrivendo, mio Signore!? Io non li ho mai fatti i miracoli, neanche mezzo. Lo so bene che quelli vengono solo da Dio, perciò non desidero farli, non ci penso nemmeno. Desidero solo invece, che vengano conosciute l'Opere Tue Cristiche, nelle Tue due venute nel mondo, e l'Opera della Divina Madre la "Regina dell'Universo, Madre Scienza", nelle Rivelazioni Spirituali Giurisdavidiche, che ci ha consegnato in questo stesso secolo, annunciandosi alle tre Fontane di Roma il 12/4/1947. Ma possibile, che le genti delle montagne dell'Amiata in Toscana, che pure l'hanno vista terrenamente, poiché è stata anche tra loro, non sia nessuno che l'abbia vista anche Soprannaturalmente, come me?!

Eppure, molti di loro hanno i suoi libri. Li vorranno capire?! Qualcuno, deve aver visto soprannaturalmente! Il cielo, conferma sempre questi grandi Eventi, per il bene dell'umanità. Ma, perché queste cose così, grandi, sono eluse?, non comprese e magari derise soffocate?, per il peggio, come lo è stato per David Lazzaretti. Va invece, tenuto conto dello Spirito della "Colomba Madre", perché è Spirito Santo, spirito di Verità. La "Regina dell'Universo" manifestatasi come "Madre Scienza", è prettamente preposta per governare la famiglia umana e cioè, anche all'Ordine Spirituale e Sociale, per tutta la Terra, e crea le Anime. Mentre il "Padre Santissimo" è legislatore, e crea lo Spirito, dandoci il senso della Legge. Tutta l'Opera giurisdavidica è volta a togliere l'umanità dalla crocefissione. E l'Opera vitale e positiva per eccellenza, perché è l'Opera dello Spirito Santo Madre Spirito di Verità. La Sua dolcezza, la proveranno tutti coloro, che la cercheranno con cuore fidente, nell'Opera Sua. Le Porte del "Paradiso" sono aperte, con l'Opera Spirituale Giurisdavidica della Scienza Madre, la "Regina dell'Universo", in Elvira Giro, appunto nella "Chiesa Universale della S. S Trinità di Dio con lo Spirito Santo Madre".

Che è anche detta "Giovannitica", e verrà data ai Frati Francescani da condurre. San Giovanni Ev. disse pure: "Avrete un libriccino dolce come il miele''. Infatti la parola della Madre, è miele, la Sua Opera, è anche detta l'Opera dell'Ape. (Così La Grande Madre, nel Suo secondo aspetto!) nel Suo primo aspetto, come Vergine Maria invece, preferì farsi definire l'opera della Gallina, (che raccoglie i Suoi pulcini sotto le Sue ali). Delle Persone Divine si parla di Incarnazione (fattore d'Azione assoluto), il "CRISTO PADRE" dal Sole dell'elettro s'Incarna, nel Figlio Gesù il Divin Padre con Gesù incarna Se stesso in David Consolatore, il "Cristo" Padre con Gesù e con David s'incarna in Elvira "CRISTO MADRE". S. Santo Femminile, la "Colomba", la "Regina dell'Universo". Ecco; la S. S Trinità, nelle Sue Tre Persone, operanti ciascuna di Sua propria Opera, e sebbene nel misterioso unisono, ognuna nella singolarità della propria Persona, e nel massimo primario Grado d'Azione. Allora "Incarnazione" è sì superiore ad ogni altro concetto, mentre per le persone umane si parla di "reincarnazione", nel (fattore d'azione relativo), cioè l'anima-spirito muta la Sua spoglia di volta in volta, e per il tempo e per il luogo, in cui è stabilita la sua evoluzione umana spirituale.

Ed ecco a noi con la vita, la reincarnazione, dono d'Amore di Dio, che nell'"Opera Cristica Trinitaria", dona tutto Se Stesso nell'Amore più Grande, che È Spirito Santo, Signore del Cielo e della Terra.

Non vale dividere questi Valori enunciati e perché la reincarnazione, senza l'"Opera Cristica Trinitaria", è mozza, senza punto d'arrivo, nel vuoto, senza luce. Purtroppo, all'Opera Cristica, "Opera Benedetta", di cui sulla Terra non v'è uguale, perché perfetta e assoluta, senza la reincarnazione per noi umani, non possiamo né presumere né sperare, dato i miseri piccoli passi, che possiamo fare nel bene. Parole, della Divina Madre: "Non basta una vita per evolversi". L'Apocalisse (o Rivelazione), è già sotto i nostri occhi, con tutti gli accadimenti e le angosce terribili, che si notano sulla faccia della Terra. Cosa e quanto ci costerà l'uscirne? Inutile domandarselo ora, dal momento, che stiamo per uscirne!

Il Grande Bene che ne seguirà, sarà lo stupore degli intelletti delle anime-spirito, e la felicità sulla Terra. Le menti si apriranno e si risveglieranno, e, adoreranno Dio in Spirito e Verità. Non siamo ignorati da Dio! Siamo noi che ignoriamo Lui! Ritorno alle mie vicende. Dicevo di me, che andavo l'estate con una Signora amica e con la sua famiglia a Viareggio. Loro avevano costruito su di un rudere, una casa a piano strada nel 1970.

Io li portavo di qua in là (da Firenze) e viceversa con la mia cinquecento fiat, e a volte rimanevo da loro, uno o due giorni, a seconda della mia libertà. Loro erano quattro persone adulte ed una bimba. Erano sempre disponibili ad aiutare tutti, e gentili. Nel 1972, la Signora mi disse: "Perché signorina non compra lei, il rudere (casetta dissestata) accanto a noi?" Spontaneamente le rispondo: "Con quali Signora?" Intendevo con che soldi. Pensai che il mio capitale era nelle braccia, anche se in quel momento mi facevano male da morire, come sempre del resto. La casetta rudere, era col tetto aperto e dissestata fortissimamente. L'edera, da dietro la casa saliva dal fiume, e si diramava ad impieno proprio dentro la casa. I topi, grossi come gatti; ci stavano dentro e fuori. Non ne feci di nulla, non ci pensai nemmeno. Dal discorso del 1972, fattomi dalla Signora amica, trascorsero altri sette anni. Loro avevano già la casa coperta e naturalmente dovevano rifinirla, cose che durano all'infinito, anche se molte cose, facevano da sé. Dunque dicevo, che erano passati altri sette anni, dal primo invito alla compera del rudere. La Signora amica, ci ritorna sopra, e mi dice ancora: "Ma vada a sentire, provi". Io le avevo dato la stessa risposta, con quali soldi? Però, decisi di andare a sentire a Lucca due persone, fratello e sorella, così, più per fare contenta questa amica..

Prima di andare a Lucca, feci una passeggiata verso il mare.

Pensavo, che mi sarebbe piaciuto proprio vederlo d'inverno. Sicché mi incamminai soletta, stringendomi nel cappotto. Arrivata, mi sedei su di una panchina di pietra, che era all'inizio della spiaggia. Non c'era d'attorno anima viva, proprio nessuno.

Erano le dieci e mezza del mattino. Respiravo l'aria a pieni polmoni, era fresca e odorosa, da mangiarsi. Mi ero stesa sulla grossa panchina-muretto avvolta nel mio cappotto. Sono stata lì, tranquilla, circa un'ora, un po' pregavo un po' pensavo. Mi dicevo; chissà?! Sarà volontà di Dio questo fatto, che mi si prospetta davanti per la seconda volta? Mentre facevo questo pensiero, sento una forza interna che mi fa voltare decisamente la testa, come a rovesciarsi indietro, verso un cartello smaltato blu, nel quale c'è scritto in bianco la parola; CUSTODITO. Ma questa, dico, è una risposta! Già da sette anni! "Custodito?" Addirittura, vistata! Penso allora di prendere una decisione. Mi rinforzai dunque, in questo proposito, e mi diressi a Lucca, a parlare con questi fratello e sorella, proprietari del rudere. Loro erano brave persone però non in sintonia tra loro. Quel rudere era cagione di dissapori. Costruire lì, ossia ricostruire, risanare, non conveniva loro per niente, assolutamente. In seguito attraverso il loro geometra, mi fecero avere il loro assenso. Il prezzo era possibile, e mi consigliai, con la Franca.

Mia Sorella mi avrebbe aiutata un po' alla volta, cosa che ha fatto, anzi è venuta giù da Udine a fare tutte le pratiche con me.

Dopo, dato che era giù con me, ci demmo daffare a lavorare per districare, tutta l'edera che c'era dentro la casa. Portammo nella Spazzatura 22 grandissimi sacchi neri, pieni d'edera e ramolacci. Sul retro, verso il fiume, c'era rimasto un vero selvaio di sterpi e d'edera. Eravamo stanche, e decidemmo di tornare a Firenze. Il piano casa, era uno scalino sotto il livello della strada, per cui quando pioveva, entrava tutta l'acqua che poteva. La portaccia, non si poteva chiudete per niente, e la lasciammo accostata solamente. Cosicché agli ultimi mesi del 1979, il rudere era mio. Moralmente anche di mia sorella per il sostegno finanziario via via nel tempo. Lei mi diceva: "Se poi, ti sposti da Firenze a Viareggio, avresti risolto per le spese condominiali, che non sono indifferenti".

Il condominio in caso di malattie e ospedalità, non transige. Mi preoccupai di ottenere regolare concessione dal Comune, per opere di risanamento, e trovati i muratori, impostai subito le soluzioni da prendere.

Pensai al tetto mezzo caduto, aperto e squarciato. Presi la decisione di far gettare un anello grossissimo di cemento armato, all'altezza di tre metri e più, per sostenere il tetto da risanare, e in buon modo fu possibile.

I muratori che non sarebbero stati di quella idea, furono poi contenti di avermi ascoltata, e dicevano: "è proprio curiosa questa cosa, di cominciare una casa costruendola dall'alto!" Non si è mai detto. Il lavoro poi riuscì, e fu molto azzeccato.

Dopo per il resto lasciai tutto a loro discrezione, dopo aver accennato alcune disposizioni principali. Vidi che disponevano il rialzo dal piano strada di due scalini, e facevano relativo vespaio o intercapedine, contro l'umidità. I muratori furono bravi e modesti, ma le spese seguitarono dopo, per le rifiniture e infissi. Io cercavo di stare più contenuta possibile, e anzi, mi muovevo con la cinquecento, a ordinare porte e finestre, portando le apposite misure, e scegliendo materiali da rivestimento, più convenienti possibile, e poi li facevo caricare sulla macchina e li portavo al posto, pronti all'opera. Non si finiva mai.

Il lavoro era lungo, ed io mi davo daffare a stuccare le rifiniture da me per quanto potevo. Ero fastidiosa degli insetti, e delle bestie. Sul retro del fiume fu risanato, con un cortiletto, ecc. Alcuni disegni per risolvere le cose, li centrai da me, e andarono bene. La casina riuscì bellina, modesta e igienica. Io ero contenta perché era iniziata dall'alto. In quei giorni feci un sogno; mi vedevo il tetto rosso della casa, e sopra un cielo meravigliosamente, azzurro. Ad un tratto vidi scendere dal cielo una lunghissima ragnatela perpendicolare. Una estremità di essa toccava posandosi, proprio il tetto. Io cominciai a gridare in sogno: "Dio mio, quanta misericordia!" Ed in quel grido, lanciato in quella limpida visuale, mi svegliai. La Signora amica accanto, mi aiutava allungandomi del cibo. Finalmente eravamo vicine, e potevamo qualche volta conversare i nostri argomenti, a seconda del tempo di cui disponevamo. Lei era veramente tanto buona, e penso che bisognerebbe, ringraziare il Signore, per quante persone buone s'incontrano nella vita. Io ne ho incontrate, e non poche. Io anche se mi davo daffare, avevo pur sempre i miei problemi coi dolori della poliartrite reumatoide progressiva, a volte gridavo e urlavo per essi. Curavo il dolore, e avevo l'urlo facile. I miei medicinali erano quelli indicati per questa malattia più i calmanti necessari, purtroppo. Me la sto sopportando, e male, dal 1970. Dolore fisico eccessivo con tutte le aggiunte di tante altre cose e disagi. Mia sorella Franca e suo marito mi aiutavano, a buon rendere. Finita la casina, vennero giù da me a Viareggio e facemmo la S. Pasqua insieme.

Poi ritornarono a Udine a casa loro. Col tempo poi, persi quella cara Signora amica della casa appresso a Viareggio, purtroppo per morte. Anni prima morì sua madre, e poi sua nipote, così quella famiglia diminuì di tre componenti. A me dispiacque moltissimo. Di amicizie ne facevo poche, anche perché avevo sempre daffare qualcosa. Poi conobbi "l'Opera Giurisdavidica", come ho detto. La Grande Madre "Regina dell'Universo" mi attirava letteralmente all'Opera Sua, con sogni, con visioni, allocuzioni ecc... Mi riempii la casa di immagini di "Gesù di David e di Elvira", che io sapevo essere Lei la "Colomba Madre Spirito Santo", e fotocopiavo i suoi libri dall'originale, per averli di più e dappertutto, a portata di mano. Se li avessi potuti trovare nelle librerie, ne avrei comprate tantissime copie, anche per donarle ad altri. La Grande Madre e il Sacerdote Leone, non avevano potuto stamparle che poche copie per insufficienti mezzi. Leggevo e rileggevo sempre l'Opera, che per me è veramente come il miele, e non mi bastava mai. Che meravigliosa! E poi, è l'Opera della Madonna. E, tra Iddio e la Madonna, e le anime-spirito, nessuno ha il diritto di infrapporsi, nessuno. Anche il "Cristo David", ha espresso questo. Di anno in anno, nella casina di Viareggio, portavo tanti accorgimenti, stuccature rifiniture, tutto per debellare un'infinità di bestie, topi, insetti, vespe, cechi, ecc.

C'era di tutto. I vicini, erano contenti di non vedere più un rudere lì, che danneggiava anche loro col dissesto. Io non uscivo molto perché soffrivo troppo a camminare, per via dei dolori, ma in casa avevo sempre qualcosa da fare. Pur precaria nella salute, per un'infinità di cose, non stavo mai ferma e mi arrabattavo come un bove. Da piccina mi avevano messa a sgobbare, e dopo non mi sono fermata più, salvo ospedalità varie. Fidavo nel lavoro, anche quello spicciolo di casa, faticavo sempre moltissimo, ma il risultato era concludente e soddisfacente. Mi dicevo: "Chissà perché questo mio destino, di lavorare cosi tanto!" Affacciandomi sul retro verso il fiume, vedevo al di là, un bel boschetto verde, e delle belle montagne in lontananza. I gabbiani sorvolavano il Fiume, e si buttavano in picchiata a pescare. L'aria buona, era proprio quello che mi ci voleva e ne respiravo a iosa. Quando tornavo poi a Firenze, rassettata di nuovo la casa, (tutto lavoro), mi tuffavo di nuovo a fare le fotocopie dei cari libri di Elvira e di David. Per quanto più potevo, per donarli a qualche persona o persone, che mi premeva l'avessero nella biblioteca di casa, e poi in qualche altro posto sicuro, che non possa mai andare persa o distrutta. E per questo, avevo ormai capito, quanto può essere distruttivo, lo spirito materiale negativo umano. Spendevo fino all'ultimo soldo, senza rimpianto. Era giusto! Pensavo che li spendevo per costruire la casa dello Spirito Santo, nei cuori e nelle anime e che sono innamorate della Madonna, la "Regina delle Vittorie", la "Grande Madre Scienza ELVIRA"

ETERNA – LUCE – VERBO – IRRADIANTE – RIVOLUZIONARIO – ALFA.

Lei. È così! E benedetta rivoluzione la Sua! Della Sua Presenza, io avevo ricevuto tanto, soprannaturalmente e terrenamente! Gesù, mi aveva detto anche questo: "Tu avrai tutto!" Avrai tutto, e per tutto, significava: la "Conoscenza dell'Opera Trinitaria nelle Tre Persone Divine, di Primo Grado". Sì, io ho tutto nell'anima nella mente e nel cuore. Io, la più miserevolmente difettosa e puerile, ma la più fortunata, poiché la "Grande Madre Cosmica" è scesa con tutta Se Stessa nel fondo del vertice del triangolo, a raccogliere anche me sotto il Suo Manto, e a stabilire la chiusura dell'inferno, cosicché conseguentemente, io dico con Dante A. 52 "La forma generai di paradiso, già tutta lo mio sguardo avea compresa, in nulla parte ancor fermato il viso". Allora perché non fare il possibile o per comunicare agli altri, quello che sapevo?, la conoscenza dell'Opera Giurisdavidica, coi santissimi Nomi, di; Gesù Nazareno, David Lazzaretti, Elvira Giro, Spiriti Altissimi di Primo Grado?! Nell'apparizione alle Tre Fontane di Roma, il 12/4/1947, a quei tre bimbi, col padre. Lei, la Colomba Madre Scienza, Spirito Santo, Spirito di Verità, si presentò dicendo; " Io Sono Colei, che Sono nella Trinità! Sono la Vergine della Rivelazione!" La Rivelazione, l'Opera Sua. Dopo la Sua dipartita dall'umana Spoglia, alla fine dell'anno 1991-6-11, la "Grande Colomba Madre ", la sentii parlare nel Cielo, diceva: "Sarà conosciuta (l'Opera?), da tutti i figli della Redenzione!" Poi altre volte rivolta a me: "Scrivi la tua storia collegata alla Mia!" Ed altro. Io mi spaventavo, poiché non ci pensavo proprio a questo. Non ho sufficiente istruzione, ed anche non mi piaceva di scrivere non c'ero proprio. Nessuna passione per scrivere. Invece mi sarebbe piaciuto aver buone mani per dipingere ancora. Avrei avuto caro poter dipingere la storia di David Lazzaretti, come passava davanti alla mia mente, e soprattutto dipingere o cercare di dipingere l'Apparizione, le Visioni ricevute da Lui, di Lui.

Ed anche la storia della Divina Madre Elvira, mi sarebbe piaciuto porre in pittura. Ma ormai è tardi per me, ho poco tempo da vivere. Precaria e insufficiente come sono, potrò mai?

Fare qualcosa? Oggi è il dodici maggio, festa della mamma.

E quale più "Mamma" di Lei, che è la Creatrice delle nostre anime?! Il mio desiderio oggi, il mio voto per Lei è che tutti la sappiano riconoscere nei suoi aspetti, nei quali si è manifestata, ed amare e darle Gloria. Per prima cosa ascoltare i Suoi insegnamenti e avvalendosi del battesimo del Fuoco, istituito sul Monte Labro dal Cristo David Lazzaretti (Battista). L'Eterno Iddio ci vuole ricuperare, anche attraverso gli elementi, di cui siamo composti, e nei quali siamo immersi. I battesimi sono importantissimi per la nostra evoluzione, e stabiliti da Dio. Tutti dovrebbero battezzarsi, e così disponendosi l'anima, e, magari le anime-gruppo, attireranno la Presenza Divina vieppiù nell'umanità.

Eccome ce n'è bisogno!

È prima necessario il battesimo dell'acqua nel "Cristo Gesù", possibilmente nei primi diciassette giorni di vita. Il battesimo del fuoco nel "Cristo David", seguirà a diciassette anni, (età di maturazione civile), ed inoltre essere istruiti su tutta l'Opera Spirituale della S.S. Trinità di Dio. Questo battesimo equivale a rinascere di acqua e spirito. In quanto al battesimo dell'Aria, (elemento Materno), dopo l'estensione del battesimo del Fuoco sulla Terra, entrerà in azione nel terzo millennio, ed il suo compimento, sarà il "BACIO" con DIO cioè Redenzione Completa dell'Umanità, su tutti i popoli. Rispettate i battesimi!, che sono Voluti da Dio, e sappiate discernere e riflettere senza contese, che sarebbero autolesive.

Pure il popolo ebreo, dovrà accettarli un giorno, e dovranno comprendere la misteriosa parola di salvezza, che è stata a loro data, e cioè VIR – A – EL (Elvira) dunque! Forse quel giorno, porterà, la cessazione del sangue sulla Terra. Al capitolo n. 35 dello "Statuto Giurisdavidico", per la "Celeste Milizia Crocifera dello Spirito Santo", ottavo libretto dell'Opera, c'è scritto: "La Chiesa Universale Giuris-davidica, con tutte le sue "Scienze" ha un compito molto vasto; soprattutto quello di unire tutte le "religioni" della Terra, in un solo "Ovile" per "l'Unico Pastore" il "CRISTO RE", come era stato profetizzato. Deve allacciare con saggezza i buoni rapporti ecumenici, con le altre "confessioni religiose", affinché gradualmente, entrino nel nuovo "ordine creativo", della S. S. Trinità di Dio, e della S. S.ma MADRE SCIENZA. Ed io dico, questo Statuto, va letto, con attenzione, ed amore, e non abbracciarlo per soffocarlo. La Divina Colomba Madre Cosmica ci offre il Suo sostegno.

Lei "Regina delle Vittorie e dell'Universo" l'ha scritto per noi tutti sulla Terra, e credetemi, conviene a tutti, conoscere, e nutrirsi dell'Opera Sua! Tutto questo, doveva fiorire, ed è fiorito nella cristianità, ed in particolare centratura nella cattolicità. Purtroppo, i suoi negativi hanno respinto, gravemente, responsabili. Poi tutto abbuiato da loro, ma non da Dio. David Lazzaretti, ospite di Don Bosco nel 1873, e lì presso di lui, ci fu l'incontro col giudice Leone du Wachat del Tribunale francese di Bellej, che fu il suo "Lazzaro" protettore, cioè, del secondo "Cristo" venuto, profetizzato dal "Cristo Gesù Redentore", per la "Consolazione e la Resurrezione", cioè, per far risorgere tutti i "lazzari" della Terra. Lo affiancò con la sua Fede, sostenendo l'Opera Sua sulla Terra, con la sua graziosa ospitale disponibilità. Don Bosco è stato ed è un Santo speciale. Per le sue Opere spirituali e sociali, fatte nella sincerità dell'amor di Dio e del prossimo, si meritò di conoscere David, il "Cristo Duce e Giudice", il "Consolatore", promesso da Gesù.

E Don Bosco saputo di una incresciosa circostanza, della detenzione di David Lazzaretti, scriveva una lettera di testimonianza per Lui, che l'avvocato Pasquale Stanislao Mancini, produsse alla Corte di Appello di Perugia, e che si trova ora (conservata autografa fra le carte del Fondo Romei). E così scrive Don Bosco: "Oratorio di S. Francesco di Sales, Via Cottolengo n. 32, Torino, 28 dicembre 1873.

Preg.mo Signore, abbiamo inteso qualche sinistra voce, sul conto del Signor David Lazzaretti, che cioè sia stato incarcerato. Se mai potesse giovare la mia parola in suo vantaggio, io sono disposto a pronunciarla ben di cuore; giacché avendo avuto il piacere di conoscerlo nella scorsa primavera anzi avendogli io dato ospitalità in questa mia Casa per alcune settimane, riconobbi in Lui una persona veramente dabbene desiderosa di far del bene al prossimo, noncurante dei propri interessi purché possa giovare agli altri. Se avrà occasione di rivederlo, lo riverisca per parte mia lo conforti coi sentimenti religiosi che la sua carità saprà ispirarle, e se posso in qualche modo giovarle, conti pure sul suo obbligatissimo servitore. Sacerdote Giovanni Bosco".

Ecco, questa è la lettera. Sì, come Gesù, David è stato incarcerato, e più volte, per le manovre dei nemici, e così dopo la sua morte violenta, anche i suoi seguaci e famigliari sono stati incarcerati innocenti, nell'agosto del 1878. Così fa il mondo nemico. Ed ora, a proposito di carcerati o carceri mi sovviene un episodio di qualche anno addietro. Sentivo dalla televisione commentare di uno scrittore straniero russo di nome Solgenitsin, dei suoi libri. A quanto capivo tutti li leggevano, favorevoli o contrari, per sapere cosa trattavano. M'incuriosii e mi ripromisi che avrei letto qualcosa, se mi capitava tra le mani. Mi capitò presto, e il titolo era "Arcipelago Gulac". Mi dicevo: "Se li leggono tutti, mi renderò conto anch'io delle cose viste dall'interno di un paese". Ebbene, non appena mi accinsi a leggere, che non avevo che da un attimo, preso il libro in mano, una forza misteriosa mi ha fatto alzare la testa, ed ebbi una visione, così; librate in aria, in mezzo alla camera, vidi delle grosse sbarre intrecciate, e dietro di esse, una grande testa, di, Gesù, a colori. Il Viso diafano, soffuso di luce, mi guardava con dolcezza ed intento, come a dire: "Io sono anche qui". Finita la visione, dissi a me stessa: "Già quanti Gesù dietro le sbarre"! Compresi pure, che era volontà Sua che leggessi quel libro. Adesso sapevo che nulla mi capitava a caso. Dovevo imparare, dovevo comprendere. Era una scuola per la rozza anima mia.

E qui dico, che sono stata completamente repulsiva, nel corso della mia vita, per la politica.

Non la capivo e non mi importava di capirla. Era astrusa allora, e figurarsi ora! Le persone per me sono tutte dissimili ed io dissimile a loro. Le dovevo accettare tutte indistintamente, e così ho sempre fatto. In quanto a sensibilizzarmi per il futuro, dal basso e dai piccoli, e dai non violenti, viene il bene. Così, penso! La visione di Gesù dietro le sbarre, accadde molto prima che io conoscessi l'Opera Giuris-davidica. Lo dico poiché so, che a volte mi capita di posporre, o anteporre i fatti così come posso, poiché sono pure sofferente. Nel 1985 a febbraio, avevo principiato a conoscere l'"Opera Giurisdavidica", nella quale cominciai a intravederne l'uscita dalla staticità negativa, di tutte le situazioni più o meno orrende terrene. È veramente lo Spirito Santo in quest'Opera e mi dicevo, che porterà le soluzioni al positivo per i futuri tempi. Quanto, abbiamo bisogno di Lui!

Ora so, che l'Eterno Iddio, ha preso di nuovo a cuore le vicende umane, per i supermeriti della "Colomba Madre Elvira", e condurrà le cose, che si volgeranno in suo favore. Appena ricordo quel tempo, poiché feci un sogno singolare, questo: fuori del balcone della mia camera, aveva fatto un nido l'aquila, e vedevo un aquilotto biondo, tra gli altri più scuri. Era bello, qualcosa poteva significare, poi, più tardi avrei capito un po'. Ora siamo nel 1996 ed è il maggio. Ebbene, un mese fa, nella prima metà d'aprile, mi trovai in sogno dentro un'astronave (che sapevo essere tale), che viaggiava nel cielo. Vedevo l'interno, e non era come l'interno di un aeroplano. Era esagonale e illuminato a giorno. Ne vedevo i colori. Le pareti erano color crema chiaro, ed avevano all'altezza di un metro, una striscia di cinque centimetri di color rosso, sopra della quale, era agganciato uno scorrimano tubolare di metallo bronzeo. Non c'erano i motori e non si sentiva rumore.

L'interno era alto di circa due metri e mezzo. Il conduttore era a sedere su di una poltroncina metallica, posta sulla sinistra, di questo vano esagonale io, ero quasi nel mezzo, con un piccolo gruppo di persone, sorridenti, con un bambino di sette, anni, ed il conduttore, eravamo in tutto sei persone. Il conduttore, aveva una testa di struttura piuttosto rotonda, ben fatta, capelli bruni, senza copricapo.

Mentre l'astronave viaggiava io vedevo il cielo e le nubi, fuori da tre finestrini rettangolari, concavi, posti in fila orizzontale, sul davanti di noi. Mi girai ancora a guardare il conduttore, perché parlava, e volevo ascoltare ciò che diceva. Si era girato di poco, con la bella testa verso di me, tanto che potevo vederne bene lo scorcio.

Stava dicendo: "Noi si scenderà sulla Terra, se loro, i terrestri, continueranno a fare il male"! Penso; questa astronave proviene dalle costellazioni. Ad un tratto, vidi, che si stava facendo l'atterraggio.

Fatto che si ebbe, si aprì uno sportello esagonale, e ci trovammo fuori, in un paesaggio color ocra chiaro. Sabbia, e verde a cespugli. Mi risvegliai serena ricordando, questo fatto così singolare, per Pasqua ‘96. Mi sono data anche una spiegazione, in merito al bambino di sette anni, che era sull'astronave. Penso, che rappresentasse il "Verbo Nuovo Universale Materno", nato da Elvira e portato in Cielo dagli Angeli. Adesso potrebbe essere settenne, o su di lì.

Le Persone Divine, operano distintamente l'una dall'altra, pur collegandosi, con immenso Amore.

Il 19/4/1996, in sogno al mattino, vedo librarsi in aria sulla sinistra all'altezza di un braccio dalla mia spalla, una grande Ostia bianca, in un alone luminoso. La guardavo, perché vedevo che tutt'intorno, sempre entro i margini dell'Ostia, c'era scritto, impresso a stampo. Vedevo la frase e a lettere maiuscole a stampatello, ma non sono riuscita a leggerla. Svegliandomi, i miei pensieri così formularono: "il Signore, un po' in alto, di un braccio, sopra la mia spalla sinistra, un'indicazione!" Penso ancora; siamo in periodo elettorale, li 21 aprile si vota. Infatti fu così, le cose conversero per le sinistre. Ci pensavo poi, quei giorni e al fatto dell'Ostia e che non era siglata come al solito, ma era scritta. Pensai a David Lazzaretti il "Cristo" nella seconda venuta, che a differenza del "Cristo" Gesù, che non ha lasciato scrittura. Lui invece David, ha scritto diversi libri e pubblicati, anche se purtroppo, sono stati osteggiati, trafugati, boicottati e non capiti, come per esempio: "I Celesti Fiori", del 1873, scritto nella Gran Certosa di Grenoble in Francia, per desiderio della Madonna.

Sono libri di spirito, sono libri di vita.

Il Cristo Gesù, il Cristo della Redenzione, era ed è, col Padre, in David, il Cristo Duce e Giudice, il Consolatore promesso. Allora, cerchiamo di saperLo! di conoscerLo! Non eludiamoLo dunque! Come fare, per conoscerLo? Come sarebbe questo, se non che, con la Divina Madre Scienza, attraverso di Lei, dell'Opera Sua Giurisdavidica? Quell'Opera meravigliosa femminile, che apre i Cieli sulla Terra? Oh! Sì, le porte del "Paradiso" (Firenze), le apre spiritualmente (Realtà Superiore). Lei Elvira, la Grande Madre Cosmica, che ha fatto fiorire l'Opera di Maria "Santa Maria del Fiore" (Firenze). Questi i simboli che Dio ispira agli artisti, e li fa fare, e poi li realizza a modo Suo mostrandoli a noi, cogli eventi Benedetto sia il Suo Spirito! Dopo tornata da Roma il 13/3/1985, andai a dormire il pomeriggio, e vidi in sogno una grande vetrata, come da cattedrale, a colori, e vidi la Divina Madre Elvira, raffigurata sulla vetrata appunto a colori, ed aveva la veste che le lasciava scoperta la spalla sinistra.

Poi vidi due grossi colombi, color grigio-perla, che espressivi volteggiando avanti a me, mi parlarono così: "Io sono laureata in lettere ", dice la colomba, "Ed io sono un ingegnere minerario", così il colombo. Nella colomba pensai l'Elvira e nel colombo pensai il Suo marito operatore minerario, deceduto in Africa, ancor giovane con la malaria.

Nella notte di poi, poco prima del risveglio mattutino, vidi in sogno posarmi accanto alla testa, sul cuscino, quattro cipolle bianche. Al mattino, pensai che le cipolle fossero simbolo di lacrime, e allora decisi di buttare via dalla mia cucina, appunto quattro cipolle bianche. Di lacrime ne avevo già versate tante nella vita. Raccontai la cosa a Leone, che mi diede un'altra interpretazione; le cipolle significavano vestiti bianchi. Erano quattro e potevano essere figurati i quattro Arcangeli, del piano sociale, operanti in Terra, dal quattro punti cardinali.

La Loro opera è attesa proprio per questi tempi.

Per me ricevere ogni tanto una telefonata da Roma, era tanto confortante, specialmente quando al telefono, veniva anche la "Colomba Madre Elvira". Io che l'avevo vista soprannaturalmente l’8/12/1964, e poi incontrata terrenamente l'avevo riconosciuta, e anche dalla Sua struttura fisica umana. Ho pianto tanto, per tante cose, nel corso della vita, e a volte avrei proprio voluto morire, eccome! Ma se morivo non avrei mai saputo quante cose, l'Eterno Iddio nel Suo Amore, avrebbe riserbato a me ed anche agli altri.

Il lavoro di casa mi assorbiva, e non avevo nessuno che mi aiutasse, per cui avevo poco tempo, persino di pensare. Ero sempre affaticata, di una fatica, che non finiva mai.

Anche se dormivo poco, non so però come mai, mi si riproduceva dentro un'energia insolita, e poi superavo superavo, altre fatiche ed altre fatiche. Mi dicevo: sono dell'ariete, la casa della vita, e speravo anche di guarire dei miei dolori. Invece no! Arrivavano ad una intensità terribile. A volte io, vedevo il dolore, in un certo modo; mi entrava a vortice, dalle estremità dalle mani. Lo vedevo salire a spirale sulle braccia, con cerchi più larghi, e più ancora larghi vertiginosi, e non capivo perché li vedevo, soffrendo così tanto, tanto fino a gridare e urlare. Poi, dopo preso il mio calmante, seguito a mezz'ora da un altro, chiudevo gli occhi offrendo a Dio con Gesù, tutti i miei soffriri, assieme a quelli dell'umanità.

Il mio era un Karma, e non c'era nulla da fare. Dopo due o tre giorni dalle grandi batoste, mi pareva di avere un'altra alchimia, di essere diversa, di avere la carne diversa addosso. Ero più percettiva, sotto un certo aspetto disgraziatamente, poiché mi era manifesto a (sprazzi) il pensiero altrui, e a distanza conoscevo le loro azioni. Oh! si non bene! Non ero contenta di questo solo sorpresa. Grazie a Dio, gli episodi, mutavano in altre cose, quasi a compensazione consolatoria. Mi trovai a vedere le mie passate esistenze, con particolari e nomi, due, o tre quasi. Poi più forti ancora, vennero le future cose. Una proiezione nitida a colori, che s'imprimeva nella mia mente in modo fortissimo a tutto campo. Le vedevo benissimo e le capivo. Mi trovai trasportata in una luce cristallina, in un posto quasi sul confine tra la Cina e la Russia, e poi in un palazzo, all'interno del quale, vidi una culla rosa, con tutti i fiori d'intorno. Ma lì, c'era lusso! Le sete rosa, spiccavano coi loro riflessi e lucicchi, e la luce di quella sala di palazzo, si uniformava in gradazioni di tinte, su svariati toni di rosa-arancini.

Nella culla, c'era una bambina poco più che neonata, ed aveva il visino paffutino di color arancino-rosa, ed i capellini nerissimi e senza ricci, lunghi circa quattro o cinque centimetri. La guardai molto bene, come avevo guardato la sala, che aveva anche tre scalini per salirci. Guardavo la bambina e.... sapevo. Sapevo che quella bambina ero io, io! Però lì, troppo lusso! Mah! Quando mi resi conto di tutto, e di più, di quello che dico, ritornai al mio attuale. Era, tutto questo, un'anticipazione, su di una, delle mie future reincarnazioni.

Ma quando?, questo non ho potuto saperlo. Non passarono poi, troppi altri mesi, che altre due, future cose, sui generis, mi vennero rivelate, queste però in Italia. Ma anche queste, non ho potuto sapere, il quando.

Future reincarnazioni. Posti.... Invece, in una visione in sogno, mi trovai proprio ad affermare: "Ed io ritorno nel ....., (penso che in questa circostanza, tornerò sulla Terra, con anime-gruppo)". In un'altra manifestazione, mi veniva decisamente rivelato, a voce, dall'Alto: "Tu, ti reincarnerai (cioè di sicuro) fra trecento anni!"

Dove?, non so. Mi rimetto alla Volontà di Dio, solo Le chiedo di avere sempre nell'anima, nella mente, e nel cuore, la conoscenza dell'Opera Giurisdavidica. Si va via con quello che si sa, non con quello che si ha.

Chi sa, sa, chi non sa, non sa a suo danno. E l'Opera Giurisdavidica è troppo bella, positiva, meravigliosa, vera! Sì poiché il Cielo la conferma, manifestandosi nelle sue dimensioni e con le Sue Realtà superiori, e non è da poco! Si sbriciolano tanti discorsi umani, di fronte alle Opere di Dio. Vorrei trovare, tornando sulla Terra, che i popoli si fossero risvegliati alla vera spiritualità, nella pace, e soprattutto consapevoli di dover dare Gloria al Cristo Duce e Giudice David Lazzaretti ed alla Divina Madre Scienza Elvira Giro, per il loro Amore e in unione a quello del Cristo Gesù, per la liberazione dalla crocefissione per tutta l'umanità.

Liberazione in atto per Volontà Divina I.

Questa è la strada! Gli umani, dovranno riconoscere le tre "Persone Divine", e non presumere di fare senza di Loro e cioè di essere, autonomi (sarebbe grave errore). Devono proprio riconoscerLe, nei Loro Nomi, coi Loro stessi Nomi, e nelle Loro Opere. E per spiegarmi; come potrebbero "loro", riconoscere il "Diritto Divino", la Sua Legge? senza riconoscere, chi, ce l'ha portato?, la Persona, attraverso la quale l'Eterno Iddio si è Manifestato con, questo Principio?, e per questo Principio? Che, include, tutte le Leggi Divine, ed in principal modo, la Legge di Giustizia e di Giudizio, che spetta, a LUI solo? L'Eterno Iddio vuole essere conosciuto e amato e ascoltato.

Perciò, predisporsi a conoscerLo è cosa buona.

Come si farebbe, ad amare chi non si conosce?!

Mi preme la felicità e la gioia delle genti, e per questo, frequente, mi si riaffaccia in cuore, una aspettazione ansiosa, che mi porta al ricordo del 22/9/1993, quando in stato analogo, ecco ho ascoltato: "E Sia, e Sia, e Sia! Tutte le menti, abbiano nozione di quest'Opera, tanto gradita al Mio Cospetto!" Dio mio, in chi confidare, se non in Te? E la Divina Colomba Madre Scienza?, nella data; Roma 25/7/1991, nel "Comunicato della Regina dell'Universo". Al Presidente Francesco Cossiga, al Pontefice Giovanni Paolo II, e per conoscenza, Ai Capi di tutti gli "Stati" del Mondo, ai Capi di tutte le "Chiese", alle "Agenzie giornalistiche", e "Quotidiani" chiude il Suo importantissimo "Comunicato" affermando che, l'umanità in disfacimento, sarà salvata solo attraverso questa Sua Opera (Giurisdavidica) delle "Rivelazioni Spirituali".

Rivelazioni annunciate dalla Vergine delle Tre Fontane a Roma, nell'Apparizione del 12/4/1947, e che per darle, logicamente, aveva bisogno di un Corpo Anima e Spirito, a Lei dedicato, preparato per Lei.

Il libro delle "Rivelazioni Spirituali" di Elvira Giro, stampato nel 1954, con ristampa 1991. Libro dunque, da prendere in massima considerazione, con tutta l'Opera, altrimenti sarà la disfatta sociale dell'umanità.

Opera scritta dalla "Colomba Madre" Elvira Giro, nella "Regina dell'Universo, la Grande Madre Cosmica".

I Nomi Divini vanno dunque conosciuti, amati, rispettati e adorati.

Leggere l'Opera Giurisdavidica, senza prevenzioni e diffidenze o malizie, è il dolce miele (S. Giov. Ev.) che scende nel cuore e sale nella mente, aprendoci ai Cieli.

Opera positiva per eccellenza, per tutti i Beni Celesti e Umani

L'Eterno Iddio vuole la nostra evoluzione spirituale per l'Umanità redenta. Evoluzione che ci dobbiamo guadagnare con pensieri ed opere, di vita, in vita, per entrare poi, in congiunzione, con Lui, e col Centro Motor dell'infinito, che è Lui Stesso. Le Opere già incise di Gesù, David, Elvira, essendo Vittoriose, hanno già prodotto questa apertura. Il Cristo David Lazzaretti Duce e Giudice, Cristo nella seconda venuta, ha scritto e scritto profetizzando, anche, nel Suo primo libro, intitolato il "Risveglio dei Popoli" che il cammino delle anime e delle coscienze dovrebbe uscire dal buio, dal torpore, e dall'ignavia, e trovare più chiara in sé la ragione di vita. Lui, lo Spirito Santo Consolatore David Lazzaretti, che è stato degno di sedere come Figlio dell'Uomo, alla Sinistra del Padre S. S. con Gesù seduto alla Destra del Padre stesso, formare insieme la S.S. Trinità Paterna, è, per i Suoi meriti, avendoci conquistata, portata la "Legge del Diritto Divino" sull'Umano Diritto, risalito poi ai vertici del Pensiero del Padre, nel Centro del Comando Divino, appunto come Cristo Duce e Giudice della Terra.

Con David Lazzaretti, al vertice di Comando, la Divina Madre Cosmica appare ora alla Sinistra con Gesù alla Destra. Lei stessa, apparendo alle Tre Fontane di San Paolo a Roma, così ha affermato: "Io Sono Colei che Sono nella S. S. Trinità! Sono la Vergine della Rivelazione!" In questo grande Macrocosmo del Corpo Mistico Cristico, invece. Lei, la Divina Madre Scienza, ne presiede il vertice con doppio Comando, con Gesù alla Sua Destra, e con David alla Sua Sinistra. Ma nel "Centro Solare Cristico" il vertice di Comando, risponde al D.A.I. (Diritto Armonico Irradiante) cioè al Padre S.S. in David Lazzaretti.

Nella Sua meravigliosa Opera, la "Divina Colomba Madre ", è stata chiara nell'esporre queste cose, ed anche se per noi è difficile afferrarne i concetti, non è poi impossibile poiché Dio caro, ci ha dotato di intelligenze anche se diverse. Dovranno, pur collimare, un giorno, sintonizzare, non siamo forse, tutte scintille di Dio?! Oh! affrettiamo quel giorno! Stiamo per uscirne definitivamente dagli inferni.

Gesù, ha detto: "Venga Padre, il Tuo Regno in Terra, come in Cielo". Vivremo, già, da presto, nella quarta dimensione, sebbene gradualmente. Il nostro spirito, la nostra anima, vivrà fra le stelle. Concretamente, consapevolmente. E tutto, grazie a "Lei" alla "Regina dell'Universo" che ha definitivamente aperto, con la Sua Opera, le "Porte del Paradiso". Ma, non si entra nella Stanza del Re, se non si passa per la Stanza della Regina!

Per i miei difetti, io non ho meriti, ma "Lei" ha voluto, consacrarmi a Sé, nel Suo Sacerdozio, e l'ha fatto, soprannaturalmente, e terrenamente (sul Monte Labro). (In quanto a questo fatto, mi fu confermato da Gesù stesso, per ben due volte in modo inequivocabile, con le sue stesse parole....... e seppure di ciò io mi schermivo. Lui Volle ribadirmi e riconfermarmi).

La Potente "Regina" dal Suo Manto, nel quale mi ha accolta, nell'Apparizione dell'8/12/1964 in Santa Maria Novella, (che io leggo "Nuova Maria") a Firenze, io spero non me ne voglia mai allontanare, finché esalerò l'estremo respiro ed oltre. Non so se la vita, mi concederà di andare ancora al Monte Labro, poiché, il mio capolinea si avvicina proprio a proposito della salute. Sin dai primi tempi del mio conoscere le vicende, accadute su quel Monte mi crebbe in cuore l'aspirazione di essere sepolta lì, sul Monte Labro, nel suolo scabro, e abbandonato dagli uomini, ma non da Dio. Quel Monte, come il Monte degli Ulivi, è consacrato da Dio col Suo Sangue. Io, a Firenze abito e confino sul retro con la chiesa del Preziosissimo Sangue, dove s'intende adorare il "Sangue del Cristo Gesù" Bene!

Ebbene, pure il "Sangue del Cristo Duce e Giudice in David Lazzaretti", dovremmo adorare, unito a quello di Gesù, in codesta chiesa e dovunque nel mondo. Anzi, la chiesa, il tempio, dovrebbe essere il nostro cuore e la nostra mente, dove adorare Dio in spirito e verità. Nel '92, quando mi trovai sul Monte Labro, dove ero salita, sola, col pullman fino ad Arcidosso e poi con una signora del paese accompagnata su alla Torre di David sul Monte Labro, lei si espresse con me, a proposito della "Colomba Madre Elvira Giro", dicendo: "Ci ha fatto promesse, promesse" così lei, come permalosamente delusa, nelle sue, non so quali aspettative. Io non ci pensai tanto al suo dire che ero tutta presa a bere cogli occhi e con l'anima l'aria la luce, i colori, il paesaggio circostante e vastissimo per altro, tutt'intorno.

Tornata a Firenze il giorno dopo, verso sera, stanca me ne andai a dormire quanto prima, pasciuta d'aria.

Nella notte una fortissima chiaroudienza che scendeva dall'alto squarciando i Cieli e una Voce, solenne arcana e femminile, dice: "Manterrò le mie promesse!"

Al che, mi sveglio, nel cuore della notte, riconoscendo lo Spirito della "Divina Madre Cosmica"!

Aveva sentito, ed era venuta, la risposta dal mistico canale di congiunzione. "Manterrò le mie promesse!"

Ora sappiamo, che tutto, e tutte le vicende umane, convergeranno all'Opera Sua, cioè a Lei. Questo ha disposto, e dispone l'Eterno Signore. Sicuramente Lui protegge l'Opera di Lei, ed i negativi e renitenti si annulleranno in se stessi, e molti di loro non saranno ammessi a reincarnarsi, per abitare la Terra nel "Regno di Pace".

Il Divin Figlio Cristo Gesù, ha trionfato presso Iddio! Il Cristo Duce e Giudice David Lazzaretti ha trionfato presso Iddio! La Divina Madre Cosmica, in Elvira Giro, ha trionfato presso Iddio! Era profetizzata, che sarebbe tornata sulla Terra e sarebbe stata Madre. David Lazzaretti, la proclamò "Regina delle Vittorie" .

Aguzziamo allora l'attenzione e la sensibilità spirituale, per capire come stanno le cose, per accettare questo grande Evento, questo dono di liberazione, che lo Spirito Santo ci fa, attraverso le "Persone Divine di Primo Grado", per farci risorgere, dalla dolorosissima crocefissione umana .

Non è forse l'ora di liberare l'umanità dal dolore? L'insegnamento della "Colomba Madre", anche a proposito della salute fisica umana è molto significativo, nei Suoi scritti. Lei dà le indicazioni di radice, per il risanamento degli umani, fin dal loro entrare alla vita terrena. Chi sa leggere anche tra le righe di una piccola frase ne capta l'insegnamento ed il consiglio. Se sarà compresa la Sua Dottrina non ci saranno più dubbi, e le anime non si condurranno a vanvera o a casaccio nelle determinazioni o azioni per impostare la propria vita.

Dopo la dipartita della "Grande Colomba Madre" nel novembre 1991 in pieno giorno ho sentito distintamente forte e chiara la Sua Voce scendere dall'Alto come per dire a tutti "Io sono scesa tra voi, e non mi avete riconosciuta!" La Sua Voce, scendeva dal Centro Cosmico, come quando disse "Manterrò le promesse che ho fatto!" In quel mentre, io mi sentii in modo misterioso, spirito anima e mente, collegata a tutti gli esseri umani della Terra, e ne trassi una mortificazione ed una sofferenza psichica atroce.

Pensai alla Sua amarezza, oltre che alle Sue fatiche e sudori, per l'impegno nell'Opera tanto desiderata e da "Dio comandata" e mi afflissi anch'io, sino al pianto. Contemporaneamente, uno stuolo d'Angeli s'attorniò a me, e così espressero: "Anche noi, in tono dimesso, versiamo lacrime per la Madonna"!

Si dispiacevano anch'essi dunque, per l'aridità umana, che non la vuole riconoscere, o, solamente superficialmente, solo per proforma, relegandola all'inferiorità al Figlio, offendendo così ambedue, questi Spiriti Perfetti, che per le Loro Opere, addiverrà una beatitudine per tutto l'Universo. Il Loro Amore è già riversato su di noi. Oh! adoriamoli! pensiamoli! preghiamoli, doniamo a Loro, il nostro amore! E amor di "Amor" si ricambia.

La Madre "Stai tranquilla che Io farò uscire sulla Terra il Mio Spirito, e si vedranno gli effetti. Compi il tuo intento, con amore e fede. Eletti dell'Eterno Iddio, avete ricevuto il premio, del Bacio del Perdono e dell'Armonia del Creato".

"Signore degli Eserciti, Nostro Cristo Re, che Operi per la Rinascita dell'Ordine Terrestre, io Ti adoro!" "Prega così! E, dopo il tenero lavoro .... Un azzurro .......

E a conferma, poi, nel sogno della notte, mi vedo porgere, come date dall'alto, un paio di meravigliose pantofoline azzurre, di un azzurro luminoso. Non ne ho mai viste di più belle. Ancora mi sono rimaste, nella vista interna.

Ma io sono ansiosa emotiva, e mi dicevo; come faranno a cadere le oscurità delle anime?! Come faranno a Conoscere le anime, che magari sono pronte di già da tempo? Chi mai le farà edotte, degli avvenimenti importantissimi accaduti sulla Terra, di così Alti contenuti Spirituali? Mi accoravo per le genti depauperate di tanto Bene. Quando nel mio cuore supplicante, è scesa dal Centro Motor dell'Infinito, questa consolante affermazione: "E sia!, e sia!, e sia!, tutte le menti avranno una nozione di quest'Opera Giurisdavidica, tanto gradita al Mio Cospetto. Scrivi anche questo, ormai sei in buone mani, (3)". S. S. Trinità, così interpreto il numero.

Era la data del ventitre settembre 1993. Eh, sì! Ormai, dall'Apparizione ricevuta, del martedì otto dicembre 1964, per il Messaggio inteso, della "Regina dell'Universo", che facendomi vedere un tema di cose, mi esortava, m'incaricava di indicare al mondo il Suo Volto. Ecco, io compio il Suo desiderio, io indico il Suo Volto, nel Volto di Elvira Giro, la dolce Signora, raffinata e gentile, dall'animo Grande, che L'ha impersonata, rappresentata sulla Terra in questo stesso secolo 1900. Io Fausta, indico il Suo Volto in Lei, poiché soprannaturalmente così mi è stato conferito di agire, e con giusta coscienza faccio.

"ELVIRA GIRO" è il Genio spirituale, la Madre Scienza, la Colomba Madre, Spirito Santo Spirito di Verità, che ha servito con la Sua Persona, la Causa dell'Eccelsa "Regina del Cielo", profetizzata dal "Cristo Duce e Giudice David Lazzaretti", come "Regina delle Vittorie". Dante Alighieri, ha pure profetizzato per i nostri tempi, non per quelli passati, di cui non c'era più bisogno, essendo già avvenute le cose. Lui La vide, vestita dei colori della bandiera italiana, cioè vestito bianco, e fascia o cintura rossa, e manto verde-oliva. Significava che sarebbe venuta sulla terra italiana, a proseguire l'Opera del Figlio Gesù, e che sarebbe stata madre, come pure La vide il Beato Monforte così. Dante La vide ancora, col Volto color del Fuoco, poiché LEI era illuminata e rivestita del "SOLE CRISTICO".

Alle Tre Fontane di Roma, il 12/4/1947 è Apparsa al Signor Cornacchiola e bimbi, vestita coi colori della bandiera italiana, con i piedini nudi sulla nostra terra, come a dire che avrebbe operato su questa.

I miei difetti, non potranno mai ostacolare, le Volontà Divine che si vogliono attuare. So quello che dico. Il Fiume del Vento Spirituale che nel dì di "Pentecoste", 1965, partiva impetuoso, dalla mia povera persona, nella chiesa del "Preziosissimo Sangue", e che si slanciava verso la Cina (come ho descritto) porterà adesso anche il Nome di "Elvira Giro", con la Sua Opera Giurisdavidica, e la Sua Storia meravigliosa. Così sarà.

Ed anche, pure l'America, invocherà aiuto al Suo Nome. Così, sarà! E faranno quello che Lei 31/3/’92, ha detto a me: cioè: "Stringiti sempre a Me, per ogni lato, Io Sono la tua sola Madre, la Colomba Madre, Elvira!" Tutti dovranno capire, chi È la Madre Cosmica, la Creatrice delle anime nostre, e "Iddio Madre". Iddio è uno solo, ma Padre e Madre, dunque aspetto maschile e femminile, genitori dunque, e col Figlio Dio Gesù Famiglia.

Famiglia, la Prima, Famiglia Perfetta che ci dona la Vita, al pensiero, allo spirito, alla mente, all'anima ed al corpo, che un dì, dopo le esperienze ripetute e susseguite delle nostre reincarnazioni, per la nostra individuale evoluzione, non conoscerà più la morte. Ma invece, conoscerà la redenzione totale, e la resurrezione completa, nel positivo Vitale del Corpo Mistico Cristico, dove siamo immersi. L'Opera Cristica Giurisdavidica sarà comunque completata sulla Terra, nei popoli, soprattutto nel senso della conoscenza, anche perché seppure inconsciamente, di spiriti pronti rispondenti, ce ne sono già molti che seguono e si collegano agli Spiriti Primi di primo Grado, per forza di attrazione e di azioni d'Amore. D'Amore, e solo d'Amore, non di potere.

Gli spiriti ostili oscuri, renitenti e indifferenti al "Bene", si annullano in se stessi, anche se la compassione va loro in aiuto, in mille modi.

La Vergine apparsa ai pastorelli di Fatima, è la Vera manifestazione della "Compassione", col Cuore esposto palpitante. Lo Spirito della Divina Madre, è stato sempre presente, in tutti questi duemila anni, con le Sue manifestazioni con il corpo glorioso. E molti l'hanno veduta in svariate parti del mondo. Nessuno le poteva perciò impedire di Incarnarsi in, e con, un Corpo Umano, da Lei stabilito e prescelto, per compiere l'Opera Sua preannunciata con l'Apparizione alle Tre Fontane di Roma, come "Vergine della Rivelazione" e Colei che è nella S. S. Trinità col Padre e col Figlio.

È venuta come "Madre Scienza " per vincere l'ignoranza e debellare lo spirito negativo materiale dalla faccia della Terra. L'Opera Sua, con l'Opera del Cristo della prima e seconda venuta sul mondo, è ormai vittoriosa, e disintegrerà gli spiriti avversi al bene. La Terra, entrata per le Loro Opere nell'Armonia Divina, conoscerà a tempo prossimo, la sua Pace e la Luce Vera illuminerà le anime.

Il costato sinistro è il "Cristo della povera gente" col Suo scettro e la Sua corona. In ogni caso lo scettro è in mano al sacerdozio giurisdavidico (guida), e la corona e il manto, sono sul capo del popolo povero e semplice, così dice la S. S. Trinità.

Tredici settembre 1990, sento: "L'Agnello è già consumato".

Già, l'Agnello è già consumato. Il sacrificio del Cristo Padre nel Cristo Figlio in Gesù, e nel Cristo Duce e Giudice della Terra in David, e in Cristo Madre in Elvira, ha raggiunto la somma vetta, l'apice, lo zenit dell'Amore infinito per le Sue creature. Mi riposo alcune ore, e, poi ecco una allocuzione decisa e inflessibile: "Mezzo libro!" Rimango stupefatta e mi dico: "Come, solo mezzo libro!" Ho capito, io non scrittrice, per giunta incapace, devo pure continuare. Mezzo libro; circa due anni fa, questo, mi sentii a dire, e mi fermai. Ma non perché volevo fermarmi. Una sventola di colpi contro la mia già precaria salute si frappose, e io mi trovai fatta fuori, piuttosto malamente. Le sofferenze fisiche si univano a quelle psicologiche, di sentirmi una inattiva, una vera nullità, e per giunta disprezzandomi, perché dopo aver ricevuto tanto dall'Universo, non corrispondevo con una azione a riconoscimento. Nulla. Quante volte avrei voluto morire, e mi dicevo; "Ma, perché il Signore non si è scelta una persona più idonea a manifestare le cose, le perle preziose d'Amore, che mi pioveva sul cuore dal Cielo". E sono convinta, che questo libro, io non lo finirò mai. E poi non avrei mai pensato di trovarmi a dover scrivere un libro.

Certo che, ho tralasciato tantissime vicende, episodi, visioni. Non li ho detti, e non li ho scritti inseriti nei contesti del loro tempo avvenienti. Difetto di ordine.

Prima però, devo raccontare anche la batosta, che mi è capitata tra capo e collo nel 1996. Ne avevo già tante con i dolori della poliartrite in tutta la persona. Ebbene. Dal gennaio ‘96 ho incominciato a non aver più forza di stare in piedi, e mi trovavo spesso in una situazione, mai prima provata, e in contrasto con la mia dinamicità ed energia. Così mi trovavo afflosciata e spesso a letto, come un sacco di patate. Naturalmente dovevo farmi le commissioni, farmi la spesa e farmi da mangiare, ecc. Mi dispiaceva e soffrivo, quando ho cominciato a sentirmi sul dorso, come un grande ragno, un granchio, che mi prendeva fino alle spalle. Era il giugno, ed io non avevo reazione, ero completamente priva di forza organica vitale. Mi resi conto da me di avere il cancro o tumore. Avevo levato nel 1991 chirurgicamente un neo dolorante, ambulatorialmente. Come sarebbe convenuto, non è stato invece analizzato. Ecco questa situazione riaffacciarsi in modo terribile, ed evidente in modo inequivocabile e purtroppo a me stessa. Decido di entrare in day-hospital ai primi di luglio. Fui subito operata ad anestesia locale, con tre buchi nella schiena. Analizzato poi, era come avevo pensato; carcinoma-basocellulare. Ai miei parenti non dissi nulla, loro avevano già i loro problemi di salute. Quel male mi aveva ormai privata di energia vitale e precipitata psicologicamente. Dovevo farmi le medicazioni ed era disagevole. Sulla schiena non mi vedevo. Dovevo curarmi, e mi meravigliai moltissimo, che non mi veniva data nessuna terapia per il tumore, poiché io avevo tanto dolore. Sentivo, come se avessi un coltello, sempre infilato nel dorso. Calvario, afflizione e annullamento psicologico impossibilità d'azione. E per tutto questo io mi sentivo più di là che di qua. Non avrei voluto raccontare questo, ma tant'è. E perché poi tacerlo? Cosa da sopportare tutti i giorni. Non è più come prima. Allora mi trovai a riflettere; come reagire?, non posso far nulla né scrivere né leggere, anche per gli occhiali insufficienti.

Per prima cosa, mi procurai gli occhiali, e convinta dell'anoressia dell'anima, mi decisi a rileggere per la quattordicesima volta l'Opera Giurisdavidica dello Spirito Santo Madre, Spirito di Verità.

Finalmente, dopo tanto tempo, potevo rileggere la benedetta "Opera Materna". Il sostegno e gli aiuti spirituali li ricevevo e tanti, specie nelle domeniche, quando facevo le Funzione giurisdavidica. Il Cielo non è indifferente.

Cominciai a farmi degli esami, e mi curai con calmanti, secondo, le mie piccole vedute, ed altro, per cercare di risalire almeno un po' psicologicamente e ricuperare un minimo di energia. Sapevo che potevo solo rivolgermi al Signore, e che da Lui solo scende la salute. Così davo da mangiare all'anima, leggendo l'Opera Madre. La leggevo con più attenzione, e ne godevo della bellezza e positività, del traguardo spirituale. La chiarezza, la certezza facevano colonne all'anima. Comunque ormai devo convivere con questo nuovo male, finché l'Eterno Iddio non susciterà nuove scoperte e nuovi medici per le cure. Per ora non c'è che sperare di stare meno peggio, e avanti.

E adesso, allora non c'è che andare a ritroso a recuperare le memorie, che avevo oltrepassate nel racconto.

Lo devo fare. Io devo alla Eccelsa Madre, che così, dopo la Sua dipartita mi ha esortato a questo compito: "Cara Fausta, scrivi un libro, scrivi la tua storia, collegata alla Mia. Cara Fausta, scrivi!" Così la "Colomba Madre", che proprio agli inizi di questo nuovo anno 1998, nell'aspetto proprio di una colomba, me la sono vista volata sul cuore, dove, dopo avermi guardata, graziosamente ne ha posato il capino sul petto. E questo, lo specifico, in sogno. Ma era davvero solo un sogno?, o di più?

Nel ricupero delle vicende, comincerò con gli episodi del cuore. Dunque, estate 1982. Sopra uno spiazzo di neve, mi trovavo in un semicerchio un po' più aperto, in mezzo a delle ragazze che mi pareva di conoscere. Non mi sembravano terrene, perché avevano una faccia completamente rotonda e piatta, come delle sfere un po' luminose. I loro vestiti, erano di colori tenui sul rosa e celeste. Ne avevo sette alla mia destra e sette alla mia sinistra. Mi guardavano tutte, silenziose. Io mi guardai e vidi che avevo tra le mani, un grossissimo cuore, di circa venticinque centimetri. Aveva il suo peso tanto che stentavo a reggerlo, ed era gonfio e sanguinante, rosso vivo. Allora, guardai le ragazze e poi, guardai avanti a me, dove c'erano dei mucchi di neve. Feci tre passi decisa, e andai a posare il cuore sulla neve. Il cuore spiccava nel suo colore, le ragazze guardavano e tacevano. Anch'io tacevo. E dopo averle guardate ancora, nelle loro graziose figure quasi piatte, mi ritrovai di un subito alla consueta dimensione. Prima della visione descritta, ed anche dopo, mi succedeva di sentirmi disegnare sulla faccia, con un dito indice psichico astrale, un cuore, e non una, ma e due volte quasi a conferma. E questo, si ripeteva di quando in quando, e non solo sul viso, ma anche sul petto, quell'indice, mi disegnava due cuori.

E di questi cuori disegnati a pieno sul viso, mi rimaneva alquanto tempo, la sensazione come tattile. Data 1984, visione.

Mi trovo dentro proprio dentro il S. S. Cuore di Gesù. È immenso. Vedo le pareti interne alle cavità, che sono altissime, tanto grandi e color cuore. Mi erano d'intorno, ed io le guardavo, mentre mi muovevo dentro il Cuore come a poter circolare dentro, e a poter camminare. E mentre guardo, sento la Voce di Gesù che mi dice: "Con queste braccia, tu, puoi prendere tutto quello che vuoi!" Mi dona tutto! Ed io dono, e prendo, e dono a tutti, questo, questo e questo! Per i bisogni temporali e spirituali di tutti. Derelitti e malati, carcerati, sofferenti di tutti i tempi e di ogni sofferenza. Anch'io conoscevo le sofferenze e ed anche acute. 1984 giugno, Gesù: "Compagna di tutte le vite, questa è la mia casa!" Più volte mi sono sentita appellare così da Gesù. Dicendo compagna di tutte le vite, sentivo che lo intendeva in modo generale, e per i secoli passati e futuri. Ed io mi sentivo veramente vicino a tutti buoni e meno buoni. Sentivo che volevo veramente aiutare tutti nei loro bisogni mentali, e di provvidenza.

Di quel tempo, altra visione. Vedo scendere dal cielo una colonna (schiera) numerosa di angeli bellissimi e dorati. In mezzo a loro scendono Gesù e la Madonna, tenendosi per mano, si mettono a camminare lentamente e tristemente per il mondo. Noto la grande tristezza dei loro volti, mentre vanno tra la gente. Altra visione: dalla terra al cielo, salgono a mo' di fiume, una scia di lenzuola bianche e che mi fanno pensare ai martiri di ogni accadimento. Ma, a quanti innocenti in tutto il mondo, viene tolta la vita, dai violenti, dagli oppressori dei popoli, purtroppo, o per male intesa religione. Dove andranno costoro?, nell'Universo? Ma quanti universi ci sono in un Universo?! Ci sarà anche quello morto, dove andranno le anime, senza l'amore di Dio e del prossimo. Quelle anime che sono feroci crudeli ecc. anime morte. Dove andrebbero, se non che, in un universo morto, dove tutto è morte, dove si annullano nel niente, e dopo aver ricevuto tanto: la vita, l'intelligenza da Dio. Essi non ritornano a Dio, perché a Lui non torna che l'amore, perché Lui è Amore! Solo le anime che sono amore, tornano a Lui nell'Universo vivo. Dio è Amore e non rinnega l'amore. L'umanità dovrà trovare le vie dell'amore, e delle sistemazioni umane di governo, nell'amore. Notte, dormo, sogno di giacere sugli spilli (dolori?), sento: "E, adesso andiamo a prendere Lucia!" (Luce?) E poi: "Anche gli auguri, venivano su dalle pietre, (come da Pietro?)? = uguale cattolici?! =. E vedo tanta tanta gente di tutti i colori. Questo, così. Qui, ora ricordo anche che in sogno, mi trovai a metà pendio di una montagna. Era pieno mattino, e un guardiano, di statura alta, che mi pareva di conoscere, mi dice: "Venga qua lei, venga con me." E mi porta dentro la montagna, dove pure li era giorno, e mi lascia lì sola. Vedo che dentro la montagna, c'è una vasta stanza, tutta imbiancata. Dei trespoli tipo cavalletti, sui quali erano poste delle traverse orizzontali, più di una, sulle quali, vedo delle file di piccioncini nerissimi col beccuccio rosso fiamma, tutti col beccuccio rosso. Neri lucidi, uniti come panini, ordinatissimi.

Mi guardavano e si compiacevano con me, che li guardavo. Io entro poi in un'altra stanzona, anche quella tutta imbiancata a calce.

Dentro, vedo pure lì dei cavalletti di legno, con dei pali di traverso, come quelli di prima. C'erano anche lì, tanti tanti piccioncini, ma, tutti bianchi candidi, pure col becchino rosso, fitti, in riga, in ordine, mi guardano e li guardo. E con sorpresa, vedo in mezzo alla riga più alta, tra i colombini bianchi, ne vedo uno tutto verde brillante luminoso, col becchino rosso-fuoco. Ooh!, ma com'è bello! Dico. Che avventura splendida tra questi piccioncini, dentro questa montagna. Non so proprio come mai facessi un sogno simile, così forte, che pensai ad una vera chiaroveggenza.

(Visione 1965). La Sfinge. Giorno pieno. Entro in una specie di stato, all'istante. Che non saprei dire che stato di essere, fosse quello. Calma, tanta calma! Vedo un cielo di intenso colore azzurro, particolarissimo limpidissimo, splendido! Mentre osservo e noto questo magnifico colore, mi trovo davanti una grande, grande Sfinge, che io vedevo di profilo, maestosa. Era grandissima e la vedevo sul suo lato destro, io distante, di circa sei o sette metri. Mi pareva messa lì, per custodire un "Mistero", ed io la rimiravo attonita. Era bellissima di un bianco avorio, e tutta illuminata, come se la luce bianchissima, che la contrastava con l'azzurro del cielo, e che tutta la illuminava come la luna, provenisse da dietro di me. Nel mentre che la guardavo, vedo improvvisamente, che la Sfinge volta la sua grande testa, verso di me, e mi guarda come fosse viva!

Mi guarda attenta, e, questo, devo dirlo, mi guarda con ammirazione!!! Perché?!, non so. Forse perché ero io, che avrei saputo, il Grande Mistero, e avrei visto "l'Evento più Grande", che stava accadendo sulla Terra. E su questo fatto, ne ebbi ben donde da pensare. Che luce!!! Che colori!! Ebbene, il giorno dopo andando al lavoro, non ho resistito dall'accennare di questo fatto, qualcosa ad una collega. Premetto, che mi ero peritata di parlare dell'ammirazione della Sfinge, mi pareva una cosa. Lei dice: "Chiederò a mio marito che interpretazione ne trae".

Pur sapendo da me per intuizione azzardare, un principio di spiegazione, sono contenta di far esprimere una persona, di cui nutro considerazione. Quando torna al lavoro la mia collega mi dice, che il marito di lei, catalogava con una sola espressione, e cioè così: "È una tentazione!". Io penso; ecco, questo è il modo negativo, di vedere le cose. Capisco che i modi di vedere, intendere, o meglio interpretare le cose, sono essenzialmente due, opposti. Io ero serena e sapevo bene, che quelli sono interruttori, o più propriamente accenditori, contatti, che scattano per Volontà Supreme, che oltrepassano le dimensioni umane, cioè cose, che nessuno saprebbe o potrebbe gestire da sé. Io non ho fatto che le elementari, ed anche se ho trovato il modo di leggere, rimango pur sempre senza istruzione e senza scuole, perciò mi sono sempre sentita povera, povera di dentro e tuttora mi sento così. Sento di aver bisogno di tutti e di tutto.

Questo mio sentire, dentro di me, non è mai cambiato. Io sono povera, povera di una povertà strana, che non è la solita concezione della povertà che si conosce. Forse per questo l'Universo mi ha aiutata, facendomi conoscere una gamma di cose, per farmi scuola.

Una notte in sogno, vedo una persona spirituale, che so passata a miglior vita. La riconosco, è Maria Valtorta bionda con colori delicati, veste un soprabito grigio-argento. La vedo in riva a un fiume che scorre. Mi guarda con dolce sorriso e tace. Il fiume scorre lento, e vedo sulla riva di esso, verso me, un piccolo alberino di faggio, non più alto di circa trentasette centimetri, così, reputo sia. Era stracarico di foglioline verde smeraldo, e graziose. Ma, fra esse non vedo nessun frutto, cioè (fàe). Ne ho una stretta ai cuore. Subito però, mi accorgo che, questo alberino di faggio in riva al fiume, è tutto cinto dal sole, come una bella cintura, una fascia. Mi rincuoro, e ... mi sveglio. Sapevo che quell'alberino ero, sono io, essendo un simbolo mio, di alta montagna. Il mio nome include il suo nome, Fàu (cioè: faggio). Il sole mi conforta, cinge a fascia il mio albero. Il sole!, simbolo del Sole Cristico in Gesù! Dovrei essere contenta, così e basta, invece però dopo mi lamento, perché non ci sono i frutti.

14/10/97 La Colomba Madre: "I frutti li raccoglieranno coloro che non hanno avuto niente nella vita. La Comunione Trinitaria, sarà per molti cibo e catarsi, una catarsi, cinque volte superiore, a quelle state sulla Terra". E in dicembre 12/12/91, dopo la Sua dipartita, allocuzione conscia: "è giunta l'ora, che questi nodi, debbano essere sciolti". E poi, sempre in dicembre ‘91: "Tutti gli scatenamenti, sul piano fisico, e sociale. Dovremo, come si dice, un giorno, tirare le somme". E ottobre 1997, sempre la Divina Madre: "Il Mio Testamento (il terzo Testamento), nasce da anni Luce".

E a me, "Tu puoi benedire anche con la sinistra mano. Sei nel Corpo Mistico Cristico!"

Una volta, io mi trovai troppo sensibile, alle forze mentali negative di una persona, la quale si vantava, di tirarmi colpi neri psicologicamente, per divertirsi e sperimentare le sue stesse potenze. Sciagurata! Era riuscita a farmi star molto male, ed io soffrivo veramente di paura. Era questo che voleva ottenere, e queste invasioni di dominio altrui erano veramente terribili. Mi rivolgevo a Dio ed alla Madonna, per la protezione in cui credo assolutamente. Infatti una notte mi trovai, che due grandi ali, si rinchiudevano su di me dalle spalle al piedi. Ne vedevo le grandi piume di color avanino chiaro chiaro, e mi sentivo chiusa tra esse come un fusetto, incrociato a X. Avevo capito la protezione e ringraziavo. Adesso, che conosco l'Opera Materna Giurisdavidica, mi pare di avere superate tutte le paure perché nell'Opera ho trovato tutte le certezze e tutte le chiarezze di cui avevo bisogno, anche perché ho visto.

Un giorno mentre facevo la Santa Funzione, mi sono visto infilare sul capo, fino alla base del collo, un triangolo luminoso di luce azzurrina, così perfetto, che questa luce aveva un'intensità da parere rigida.

Oltre ai quattro centimetri della sua asta di luce interna densa, questo triangolo, aveva anche un alone sempre di luce azzurra tutt'intorno di circa un centimetro e mezzo.

I suoi lati dovevano superare i trentacinque centimetri, perché mi si infilò proprio sulla testa, fino alle spalle. Questo mi è accaduto, ed è rimasta dentro di me la visuale, in modo forte e reale. Una persona, una signora di Firenze, M. B., che mesi prima aveva avuto un grande dolore per un lutto, e piangeva tanto, aveva gradito conoscere l'Opera Giurisdavidica della "Madre Scienza", e malgrado il suo dolore e occupatissima col suo lavoro, ne afferrò subito la portata ed il grande valore e significato di essa. Non pianse più. Dopo alcuni mesi o poco più, mi chiese di essere battezzata nel Battesimo del Fuoco, istituito dal "Cristo David (Battista)", chiedendo la partecipazione di San Gabriele Arcangelo. Le amministrai il battesimo, dopo aver officiato la Funzione nell'Opera Madre. Un'altra persona della Toscana, che mi scrive da sette anni la quale, io ancora non conosco personalmente, si interessava alla "Colomba Madre" ed alla Sua Opera Giurisdavidica delle Rivelazioni Spirituali, anzi voleva incontrarla, anni prima, quando Lei era ancora sul suolo italiano. Non ce la fece a combinare di soddisfare questo suo grande desiderio, purtroppo! La Divina Colomba Madre il 6/11/1991, si era dipartita dal mondo, lasciandoci la Sua Meravigliosa Opera ed il Suo dolcissimo sorriso. Questa persona della Toscana è un giovane Signore laureato in legge. Mi ha scritto ultimamente, anno 1997 chiedendomi formalmente, di poter essere battezzato col Battesimo del Fuoco di David Lazzaretti, nello "Spirito Santo". Le ho promesso che al momento opportuno sarà soddisfatto il suo anelito. Per ora, io ho dovuto temporeggiare, per motivo di ricuperare un po' della mia insufficiente salute. La mia salute, ricupera troppo lentamente. Spero, mah!

Sono stata molto contenta che questo Signore, sia riuscito da solo a capire perfettamente, dopo aver riunito a sé, tutta l'Opera Giurisdavidica della "Madre Scienza", e tutti i libri di David Lazzaretti, ed anche altri libri che hanno parlato di lui in Europa. Spero di non morire prima di averlo visto, e battezzato. Per ora ringrazio Dio e la Regina dell'universo, che lo hanno illuminato così doviziosamente. In futuro, per ricevere il "Battesimo dell'Aria", istituito dalla "Colomba Madre" (elemento aria) la Regina dell'universo, cioè, "il Bacio del Perdono dell'Eterno Iddio", deve essere prima esteso su tutta la Terra, il "Battesimo del Fuoco dello Spirito Santo di Dio" Istituito dal "Cristo Duce e Giudice" in David Lazzaretti, il (Battista reincarnato). Se l'Opera di Gesù Cristo Nazareno è stata la "Redenzione" l'Opera di David Lazzaretti è stata la "Resurrezione" per noi.

È venuto, "Consolatore Promesso", ed ha operato, per far risorgere tutti i "lazzari" della terra. Fatte le sue incisioni, che l'Eterno Iddio le ha comandato di fare, ha poi, in unione a Lui aperto il libro dei "Sette Sigilli", libro della Vita, che era stato chiuso con la caduta nella colpa. Solo Dio nel "Cristo", poteva fare questo. Ci ha portato la "Legge del Diritto Divino", sopra l'Umano Diritto, e solo il "Cristo" nell'Eterno Iddio in David, poteva fare questo. Nessuno sulla Terra, ha diritto di usurpare questa Legge, facendosela sua, senza chinare il capo a riconoscere la Persona e tramite la quale Dio ce l'ha donata. E, quella "Persona" è Trinitaria, perché con Gesù alla destra del "Padre", e con David alla sinistra, essi formano. Sono la "Trinità Paterna".

C'è un quadro, dipinto nel 1909 da Giuseppe Corsini discepolo di David, nel quale è ben rappresentata questa "Benedetta"! "Trinità Paterna". Nel quadro dalla parte destra, è dipinta anche la "Vergine Madre", col simbolo giurisdavidico, sul petto. Quadro profetico, perché proprio l'anno dopo, cioè 1910, nasceva al passaggio di una cometa, (di Halley), una bambina a (Noventa Vicentina, il quattro febbraio), che venne chiamata Elvira, destinata a ricevere nel corso della sua vita lo "Spirito Cristico della Grande Madre, la Regina dell'universo, la Madre Cosmica" nel Suo secondo aspetto di Vergine del Fuoco, elemento dell'Amore Divino dello Spirito Santo. È venuta appunto come Spirito Santo, Spirito di Verità. La "Parola", come "Madre Scienza", per darci con l'Opera Sua la " Rivelazione Spirituale " ed aprire il cerchio (che era chiuso) della conoscenza, per noi umani. La Sua Opera, l'ha compiuta in più di quarant'anni, rimanendo occulta al mondo, perché non doveva essere sacrificata nel sangue, come lo sono stati Gesù e David, le due rose rosse. Lei la bianca Rosa simbolo della Chiesa Universale Trinitaria Giurisdavidica o Giovannitica. Alle Tre Fontane di Roma nella apparizione si presentò, vestita coi colori della bandiera italiana ed ha detto: "Io Sono Colei che Sono nella S. S. Trinità. Sono la Vergine della Rivelazione". E nella Persona umana in Elvira, si presentò al mondo (perché sapesse) nella conferenza di Sorrento il 10 agosto 1954, per la milizia crocifera dello S. Santo.

Il Corpo idoneo a ricevere il Suo Spirito, era già preparato e pronto sulla terra. Lo Spirito "CRISTO" del Padre-Madre, è sceso in Gesù, in David, e in Elvira, di un subito immediato totale?, oppure in modo graduale? Non sappiamo. Nell'umanità, sappiamo che scende graduale. Dipende dalla accettazione e disposizione delle anime-gruppo e dei popoli. Quando sarà per noi la completezza, il momento stabilito? Oh, affrettiamolo! cercando il Bene e la Bontà, tutti insieme.

Lo Spirito Cristico del Padre in Gesù sul fiume Giordano, è sceso senz'altro totalmente, perché Gesù doveva iniziare la Opera Cristica con Giovanni Battista e la Vergine Maria.

Il Sangue di Giovanni Battista, rimasto sulla Terra col Sangue del Cristo Gesù, doveva poi trionfare in David Lazzaretti, nell'Opera Cristica GIURISDAVIDICA, del Cristo Duce e Giudice della Terra ed essere poi sparso ancora in Lui per la nostra resurrezione. Gesù è stato ucciso in croce e David, con una fucilata in fronte, nel corso di una processione, svolta per commemorare l'Assunzione al Cielo della Vergine Maria. David è stato colpito sulla fronte, dove teneva lo stigma del Dio Vivo. E David, aveva detto: "Ed in quel segno mi riconoscerete, (cioè il Cristo), perché è un segno eterno". L'Eterno Iddio, l'aveva messo sull'avviso, che Lui Dio, avrebbe dovuto farsi riuccidere in Lui (David), per accusare di scarsa sensibilità spirituale, i religiosi di quel tempo. David, così, consapevole ha dato il Suo Sangue per la nostra resurrezione umana. Aveva rinunciato alle potenze della Terra, perché l'Eterno Iddio, concedesse ad altri la Sua Potenza e cioè alla Divina Colomba Madre, che sarebbe scesa sulla Terra, a completare l'Opera Sua. Lui la vedeva Gloriosa e la chiamò: "La Regina delle Vittorie". Tutto si è compiuto così, e il mondo non lo sa... !

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il “CRISTO” nella prima venuta in GESÙ NAZZARENO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Opera della SS. Trinità di Dio

I sette Arcangeli hanno suonato le loro squillantissime trombe per il trionfo cristico.

Il quadro profetico dipinto nel 1909 da Giuseppe Corsini, apostolo di David

Lazzaretti, e realizzatosi con la “Missione” della “Madre Scienza” in Elvira Giro.

 

 

 

 

E Lei, dal Cielo dove è risalita nel Seno dell'Eterno, così si espresse dal Centro Motor dell'Infinito: "Sono Scesa tra voi e non mi avete voluta (ai religiosi) riconoscere!" Questo, la Divina Colomba Madre, dopo essersi incarnata nel mondo per rivendicare l'Opera di Gesù e David, i Figli prediletti. In questo secolo diciannovesimo, la Sua Luce splende nelle tenebre, con l'Opera dell'elemento Aria, super elemento vitale per gli umani, i quali si salveranno, proprio a detta della Madre, solo attraverso all'Opera Sua Giurisdavidica e nella Scienza dello Spirito Santo Madre, per la Chiesa Trinitaria Universale, terzo gradino di evoluzione per il "Terzo Testamento". Sono dispiaciuta di essere così precaria nella salute, e di potermi spostare con troppa difficoltà. Vorrei tanto, tornare al Monte Labro, che per ben più volte; me lo sento nominare in sogno così: "Monte Labro. Monte Labro! Monte Labro!", e che io vidi in visione come un quarzo rosa e tutto internamente illuminato, e perciò, come una pietra splendente, che io miravo dall'alto, vedendo ai suoi piedi, alle sue falde, gli omini piccoli piccoli di trenta centimetri, vestiti con pantaloni neri e camicie rosse e verdi, e con il basco nero. In quei tempi, mi vidi anche in visione, passare di slancio, con due palme sotto il braccio sinistro, attraverso un Arco tutto rosa. L'atmosfera, era pure tutta rosa, e al di là dell'Arco, c'era una montagna tutta rosa, che io, al ritorno in me, interpretai fosse il Monte Labro. E le due palme?, cosa potevano essere, se non che Gesù e David, come ha menzionato San Giovanni Evangelista, nel suo libro l'Apocalisse? Il pensiero delle palme e dell'Arco mi penetrava l'intelletto, e senz'altro le palme significavano il martirio di Gesù e di David. L'Arco significava il Loro trionfo Spirituale. Io ero affascinata da tutta quell'atmosfera rosa, e da quel monte di quarzo ancor più rosa, sublimato in una pietra preziosa a sfaccettature, brillanti come specchi, ed io stanziata nell'aria in traiettoria alla cima del monte, così guardavo giù e vedevo gli omini col basco indaffarati attorno al monte.

Tornavo in me, mentre sentivo: "Ti dobbiamo comunque invitare, o cara, all'Opera del Buon Dio!" Chi, mi diceva questo? Dolce voce femminile! Adesso, racconto questo. Sotto gli anni '70, mi trovai con la mia amica, quella Signora di Firenze L. L., in una chiesa di Via S. Gallo, dove eravamo colà convenute, con molte altre persone, perché veniva su costà da Roma Fratello Gino, un figlio spirituale di Padre Pio. Già lo conoscevamo come persona speciale, e da cui cercavamo aiuti spirituali e consigli. La gente era tanta e non tutti riuscivamo a parlare con lui, per cui rinunciavamo, e ci bastava stare lì. Io e la mia amica, già andando e poi tornando, sentivamo i profumi di Cielo, fortissimi e deliziosi. Fratello Gino aveva a Roma, fatto costruire un santuario, in San Vittorino Romano, nell'intento similare al Santuario di Fatima. Venendo su a Firenze Lui portava con sé una nicchia-tabernacolo, con la statuina della Madonnina di Fatima.

Ce la espose alla vista e gioimmo. Non sapeva dove posare il tabernacolino, che la gente riempiva gli spazi da tutte le parti. Non me l'aspettavo, ma ecco cosa accadde; tra tutte le persone che erano lì d'intorno, ed erano tante, mi vedo posare sulle braccia, proprio a me, il tabernacolino aperto con l'immagine della Madonnina di Fatima. Sarà stato alto sul quarantacinque centimetri. Fecero le fotografie, che ancora le tengo. Adesso, penso che non sia stato un caso, ma che Lei, la Vergine Santa, voleva che fossi proprio io, a mostrarLa al mondo, anche sotto quel Suo aspetto. E poi nel tempo, nella Sua manifestazione fisica nell'Opera della "Regina dell'Universo" per la "Chiesa Universale Giuris-Davidica, della S. S. Trinità di Dio, con lo Spirito Santo la Madre Scienza, in e con Elvira Giro". Opera della Divina Madre Cosmica, per il "Terzo Testamento" e per il terzo millennio. Io lenta di comprendonio, dovevo capire le cose, specialmente dopo l'apparizione dell'8/12/64 in Santa Maria Novella a Firenze, dove il mio spirito è stato preso, nell'amore alla Madonna. Ai primissimi anni ’58, ‘59 – ’60, che ero entrata ad alloggiare in questo appartamento, e dopo il detto sogno, della passeggiata a braccetto con la "morte", che mi lasciava poi andare sulla radura, ebbi, sempre in sogno, una visione; vidi una larghissima scala tutta fatta d'aria densa, (da non confondere con il vetro). Questa scala si proiettava trasparente, su su fino al cielo. Io la vedevo immersa nell'infinito, e, cominciai a salire, salire, salire. Ed era comoda, tanto comoda!, con scalini larghissimi. Ed era così bello il cielo!, ed io salivo salivo nell'aria viva, felice! Poi, mi squagliavo con tutta la scala nell'azzurro meraviglioso. Non l'ho più potuta dimenticare questa scala.

Adesso penso che quella scala, mi significava che sarei stata facilitata a comprendere poi in seguito, l'Opera Spirituale Materna dello S. Santo, nella "Regina dell'Universo", per la Chiesa Universale Giovannitica o Giurisdavidica. E adesso consideriamo; Gesù il Cristo dell'Acqua, accettando per la nostra purificazione il "Battesimo dell'acqua" istituito da Giovanni Battista, ha poi cambiato l'acqua in vino ha camminato sull'acqua, ha versato sulla croce dal Suo costato, sangue ed acqua, ha agito nell'elemento acqua, perché voleva vincere la preponderanza delle forze negative dell'acqua, in tutto il nostro pianeta. David Lazzaretti il Cristo del Fuoco, il Consolatore promesso, il "Cristo Duce e Giudice", nella sua opera ha agito nell'elemento fuoco, passando, a richiesta dell'Eterno in Lui, nella Fornace Ardente, quando penitente, si trovava nella grotta di Santa Sabina, in Montorio Romano. Quel fuoco era il fuoco dell'uranio in cui, l'Eterno voleva provare il Suo Spirito. E perché ce la potuta fare?, perché era Iddio stesso che ce la faceva in lui. David Lazzaretti ha poi, sul Monte Labro, istituito il "Battesimo del Fuoco" dello Spirito Santo, essendo Lui, lo stesso Spirito di San Giovanni Battista reincarnato, il quale aveva detto: "Verrà Uno (cioè Lui stesso) dopo di me, che vi battezzerà nel Fuoco e nello Spirito". La "Grande Madre", come ho fatto intendere, ha agito nell'elemento Aria di cui Lei è la Sovrana Assoluta.

E l'Aria sappiamo sta sopra l'Acqua ed il Fuoco, perciò elemento vitale assoluto per tutti. Il nostro corpo umano, che è fatto gran parte di acqua, e calore = energia = fuoco, ha bisogno dell'Aria il cui presidio è nei polmoni, e non solo nei polmoni fisici.

Dopo che l'umanità avrà applicato, per il suo bene, il "Battesimo del Fuoco dello Spirito Santo nell'Opera Giurisdavidica", allora, per Volontà di Dio, entrerà in azione per il terzo millennio, il "Battesimo dell'Aria". L'Eterno Iddio vuole glorificare la Sua Sposa, e serba per questo a Lei, il terzo millennio, a Lei la Creatrice delle Anime, forse serbando a Sé in assoluto il quarto millennio?, essendo Lui il Creatore dello Spirito, il Signore e Padrone del quaternario. Così noi, alla Grande Madre, Creatrice delle anime nostre dobbiamo a Lei, il dono super vitale dell'aria, elemento principale nell'azzurro del Suo colore, e riconoscerLe il Suo Diritto Divino al Governo della famiglia Umana. Nell'Opera di Lei, nella Madre Scienza, si nota, che nel "Corpo Mistico Cristico" il Vertice di Comando, è presieduto da Lei stessa, con la Sua sede sulla fronte, nel centro stesso della fronte. Per capirci di più, bisogna leggere l'Opera delle Rivelazioni Spirituali, con serietà ed attenzione. È indispensabile anche perché ci salveremo spiritualmente e socialmente solo, attraverso a quest'Opera Giurisdavidica, perché è l'Opera Trinitaria per eccellenza, poiché le Tre Persone Divine hanno operato la Loro Missione d'Amore, distinte e collegate insieme. Ed io, che c'entro?! Già, "Ti dobbiamo comunque invitare o cara, all'Opera del Buon Dio!" Già, io che non ho neanche mai saputo, guardare in me stessa, per sapere che vocazione mai avessi, non ci pensavo proprio. E poi...Gesù mi aveva detto: "Tu es sacerdos"! ed io: "Oh!, no, Signore Gesù, Tu Sei!", E, Gesù: "Ti dico, tu!" Ed io, sono stata consacrata, assieme a Rosa di Sanbuceto di Pescara, sul Monte Labro, proprio dalla "Colomba Madre" e da Leone, al "Sacerdozio" dello Spirito Santo Madre, per la Chiesa Universale Giurisdavidica della "Santissima Trinità di Dio". Ecco come mi trovo, io, la più insufficiente comune persona, nata per altro a Moggio di Sotto, (lampada sotto il moggio??), direi lucignolo, appena appena. Leone, mi diceva: "Fausta, siine consapevole"!

Forse capiva, con quanta infantile responsabilità, entravo in questa situazione. Sapevo però, che il mio piccolo cuore e la mia piccola mente, erano proni ai piedi adorati della Santissima Madre. Ormai sapevo come stavano le cose. Ed ora ricordo ancora, presago propizio, quel treno di fuoco, treno di ferro antico, che attraversava spumeggiante di fiamme tutta l'Europa, con flutti di fuoco, con scintille, che impermeavano tutta la ghiaia del binario. Propizio? Dopo, che la Divina Madre se n'era dipartita, io, nel dicembre del ‘91, una sera mentre girellavo per la casa, pregavo mentalmente con i miei pensieri, l'Eterno Padre e il Centro Motor dell'Infinito, quando, improvvisamente, dall'alto, in una dimensione Spirituale e visibile con la mente, e non cogli occhi umani, mi sento rispondere, con due sole parole, e con Voce Solenne Arcana maschile: "Ti sento!" Che gioia, e che tremore!, il Centro Cosmico, dove il "Padre e la Madre", il Centro Motor dell'Infinito, mi aveva parlato! Che emozione! Il canale di congiunzione era aperto!

Certamente la "Colomba Madre Elvira", mi ha ottenuto Lei, questo contatto spontaneo. "Lei", che era sempre congiunta all'Eterno Signore. Oh!, grazie!, cara dolce Grande Madre Elvira Giro! "Regina dell'Universo!" Torno indietro al 13/9/90, avevo sentito; "L'Agnello è già consumato!" Penso, già. Agnello, è anche il popolo, i popoli, l'umanità, che soffrono mille angustie, a causa di mali governanti e i quali sono lontani, dal volere il vero bene delle genti. Pensano a se stessi, ingabbiandoci nei loro partiti, che sono a pro loro, e così nel caos, s'impediscono a vicenda dall'operare, per veri e buoni ordinamenti, per tutti sulla Terra. Dio solo sa, i popoli e le genti, cosa sopportano.

15/9/90. Vedo; l'Eterno Iddio con la "maschera-antigas" color fumo scurissimo, (fumo di Londra), sui generis. Si aprono e si chiudono sul viso tre sportelli fatti così:  poi, si volta leggermente e vedo dalla base del naso una specie di sfiatatoio, fatto così:  che va in su, sfaccettato, piegato a triangolo, di lamiera grossa, lungo circa 40 o 45 centimetri. Anche l'armatura che vedevo, era color fumo scuro. Che poteva significare?, brutti tempi "90/91?" E adesso "1998" non sono forse, altrettanto pericolosi?

Va da sé, che vedremo....

25/4/1992. Visione - chiaroveggenza in sogno: vedo una torre-palazzo (tipo città), o gran palazzo-torre, con tantissime finestre fitte strette e bislunghe. Palazzo-Altissimo con pareti color arancio, e sopra esso tutt'intorno, tanti smerli, sempre color arancio ma più brunito. È bellissimo ed io lo voglio fotografare. Mi rimangono scattabili, solo tre fotografie. Io mi vedo a sedere sul letto, e in piedi accanto a me c'è la Rosa di Sanbuceto, (simbolo della Chiesa Giurisdavidica), ed io le dico: "Ci vuole un altro rullino e scattarne tre di là, tre di là, e poi, e tre qua e tre qua". Intendevo tutt'intorno. I quattro punti del Palazzo ch'io volevo fotografare, a tre foto per punto (cioè, con l'Opera Trinitaria con Gesù David Elvira), significava il lavoro, che d'ora innanzi, faranno i quattro Arcangeli, preposti ai quattro punti cardinali, per operare sui piano spirituale e anche sul piano sociale della Terra. I loro nomi sono nel "Corpo Mistico Cristico nel Macrocosmo", Ailè, Murè, Sirè, Arlè.

Il Grande Palazzo-Torruto è modernissimo (cioè, l'Opera Giurisdavidica della Madre Scienza in Elvira Giro), ed ha gli smerli in cima tutt'intorno. Mi dico: gli smerli di per se stessi sono antichi, e visti in cima, al modernissimo palazzo-torre, mi significa, che al termine dei tempi, si ricollegherà tutto coll'inizio dei tempi, cioè; con l'Opera prima ed ultima dell'Eterno Iddio. Chiudo qui questa visione. 24/1/92 e 24/8/92 (allocuzione da sveglia)... e poi ribattezzare e popoli e pastori. E poi, .. ribattezzare, e popoli e pastori. Ma ecco, pure in sogno, mi vedo, porre infilato sulla testa fino alla base del collo (come una collana), un triangolo di luce candidissima, e sento: "Sia nota a tutti i figli della Redenzione!" Chi?, Elvira, penso. Giorni dopo alla S. Comunione Trinitaria: "Innalza il pensiero a Me e opererai con Me. Anche tu sei una risorta, farai.... Sono il Padre!" Io balbetto con l'anima: "La Tua Destra, Signore!, la Tua Destra!" Sento: "Azione!", e, vedo un Pomodoro. Sento: "Ora tu puoi benedire pure con la sinistra mano!, è già stato tutto sofferto!"

8/1993 "Se il sette sta nel quattro, lasciamolo state. Ora vado in Cielo, con un carico di azioni che lasciano a desiderare.

Ti saluto!, Contaci, ci vedremo col Cuore di Cristo!, Sono fratello Leone!" Purtroppo il carico ce l'abbiamo tutti, e chi no? Leone per la sua umiltà mi è stato d'esempio, ed anche per la sua intensa spiritualità. Da lui ho imparato tanto, e ricevuto tanta conoscenza. Le devo tanto non finirò mai di esserle grata.

Ottobre '93, visione in sogno; Elvira nello Spirito della Grande Madre, mi abbraccia sulle spalle, abbraccio di (Iddio Madre), e dice: "Sarà conosciuta da tutti i figli della Redenzione! L'Opera Giurisdavidica della Madre Scienza, la farò trionfare su tutta la Terra!"

In pieno giorno, Gesù mi parla: "Fai una Congregazione libera, di "Amici di Elvira"! Volontà di Dio!" Ma a me è difficile contattare le persone, che io per malattia, non esco, quasi di casa, così ho fatto poche persone "Amiche di Elvira". Credo di interpretare la voce "libera", appunto a voce, cioè senza iscrizioni né formalità, passando parola. L'adesione dell'anima-spirito è sufficiente. Preghiera: "Le Pupille di Gesù e di David e di Elvira in armonia, ogni male caccian via". Poi ci sono le preghiere scritte nell'Opera, che sono positive, come tutta l'Opera d'altronde. L'Opera va conosciuta e approfondita, come la Bibbia, il Vangelo, ed i libri di David Lazzaretti. Quattro letture, le più meravigliose della Terra! Ricordo ora, che Padre Pio mi disse: "Guardati, dagli idioti e dagli indifferenti!" Io, nell'entourage dove lavoravo in quel tempo, c'era una persona che mi lasciava un po' perplessa, ed in cuore mi dissi: "chissà, come sarà lei?" Improvvisamente, lei si mette quasi a gridare, questo: "Io, sono un'idiota". Accipicchia, che affermazione diretta, penso! Io non le domando il perché, lascio stare, fatti suoi. Padre PIO, sì ! Io aggiungerei che bisogna guardarsi anche dai superficiali, che non utilizzano il ben dell'intelletto, che il Buon Dio ha donato loro, e magari respingono a priori, ciò che non capiscono, e ciò che non conoscono, mancando di buon senso e di sensibilità spirituale.

Prima di conoscere l'Opera Giurisdavidica Materna, ebbi in visione (in sogno) l'Ostensorio con il Santissimo, che librandosi in aria nel mio ingresso; alquanto buio, veniva verso di me. Che visita è mai quella! Dio mio!, stammi vicino, come Vuoi Tu!

Altra volta in sogno, mi vedo all'interno di una chiesa gotica, nella navata di sinistra. Nella navata centrale c'erano le suore ad adorare il Santissimo che era esposto nell'Ostensorio sull'altare. Io stavo in disparte sola, nella solita navata di sinistra ed adoravo il Signore che contemplavo appieno tra una colonna e l'altra. Ero in una traiettoria felice, diretta con Gesù, ed era una luce, così bella, così soave e solare, che mi gioiva il cuore. Questi miei sogni erano delle vere trasfusioni spirituali per me. Ma non solo così. In quel periodo, feci anche un sogno così; vidi gironzolare avanti casa delle bestie oscure e feroci, erano nere. Allora dalla paura, decisa, chiusi la porta, perché non entrassero.

Ce la feci quasi del tutto, però lì fuori, c'era un maiale nero anche quello, il quale con sfrontatezza voleva entrare in casa Allora io afferro una sedia, e le punto contro i quattro piedi della sedia, la quale si allungava sempre di più lunga lunga, fino ad allontanare quel maiale grugnente lontano, fuori da casa mia, mentre dicevo: "Vattene in nome di Dio!" Fatto questo, mi avvedo che ci sono in casa due oche grosse e bianche candide. Allora vado ad una acqua-santiera a conchiglia che avevo lì dappresso, ed intingo la mano per discacciare anche le oche. Invece quelle vengono ai miei piedi e mi parlano così: "Siamo venute da te, per volere di Dio! Ci hanno fatto tanto male!" Rimango impressionata del loro sfogo e lamento.

Così in sogno. Tempo prima, avevo saputo che a Milano, in un circo, dove lavoravano sul palcoscenico, queste due splendide oche, a suon di musica. La sera, poi, durante la notte, un cattivo soggetto uomo del circo, ubriacatesi, e in lite con la fidanzata per gelosia se la rifece malamente su quelle povere bestie, con pura cattiveria, per fare dispetto alla fidanzata, che così non poteva più lavorare con loro, esibendosi bellamente. Questa la storia. In seguito trovai una loro fotografia, tutte due insieme, su di una rivista. Le tengo ancora, in qualche posto della casa.

1977 Sogno un'antica città, tipo medioevale, fatta tutta di muraglie e di bastioni pure con smerli. E tutta color perla, ed è avvolta in una luce di primissimo mattino. Io la vedevo in una visuale piuttosto obliqua, come dall'alto. Sembrava soprattutto addormentata, quella città, ed inespugnabile. Era bella e forte. Sui bastioni, in cima agli smerli, c'era un bel gallo bianco. Non cantava, ma era perplesso e in aspettativa, sembrava lì a custodia. Nel sogno stesso formulo una convinzione, che quella città, tra l'altro così suggestiva, ero io. Mi sveglio con la città negli occhi, e dico: forse è così.

Una notte in sogno, mi vedo girare per la città di Firenze, illuminata a notte, cioè con la gialla luce dei lampioni e lampade La città era quasi deserta, ed io camminavo per le sue strade, con uno striscione che tenevo con le braccia aperte. Sullo striscione erano figurati, dei punti esclamativi o affermativi, molto grossi. Nero su bianco. I punti affermativi erano sette, sei interi ed uno mezzo. Che strano, non ho potuto mai capire perché il settimo punto fosse mezzo appena. Adesso qui devo, e anche voglio raccontare una vera visione (non chiaroveggenza), che mi ha molto colpito. Mi trovavo a Viareggio ed era il 21/8/1994. C'erano con me la Signora M. B. e sua sorella che facevano le vacanze. Allora, la visione fu così (ed io la intitolo: L'anima degli alberi); notte e dormo, mi vedo che ero in una stanza con M. B., e c'erano due finestre a vetri multipli, una di fronte all'altra, cioè una sulla mia sinistra ed una sulla mia destra. Stavo parlando con Maria e le mettevo la mano sulla spalla sinistra dicendo: "Meno male che ti ho ritrovata!" Guardo dopo ciò, verso la finestra a sinistra e vedo in una forte visione (attraverso i vetri) tanti alberi spogli, alti, tronchi dritti e fitti. I rami degli alberi si muovevano, come braccia imploranti. Tutta la scena era fissa come in una luce di lampi statica come lunare e di più. Gli alberi chiedevano a me aiuto, mostrandomi la loro anima angosciata, sublimata in una luce candidissima e piena.

Ahi! La loro anima (come dovrei dire sennò), mi supplicava lampeggiando verso di me, in una candidissima elettricità, quasi a volermi dire a volermi comunicare la loro afflizione. Non mi sarei mai immaginata una cosa simile. Dopo averli osservati e ben ben guardati, e recepito in me l'implorazione del loro messaggio, io addolorata, volto il capo verso la destra parte dove era quell'altra finestra.

Ed anche attraverso quei vetri io vedo alberi con la loro anima di luce, ma noto, alquanto più attutita. Non capisco il perché della differenza e, mi rivolgo ancora di nuovo sulla sinistra parte, e vedo sempre i medesimi alberi di prima, che con la loro anima di luce bianchissima e splendente, agitavano le braccine (i rami), sempre tendendo supplicanti verso me.

Mi sento molto male; è come se avessi una spina nel cuore, e, mi sveglio ...! Capisco la sofferenza della Natura, per essere devastata, spregiata e maltrattata, e soprattutto dagli esseri umani!, poco umani!, poco umani!.... e piango, piango, e prego disperata.

Per sommi capi, accenno in mattinata a Maria la cosa, e lei mi dice: "Che vuol dire tutto ciò?" dico: non so, proprio bene, ma so che tu eri con me, nella stanza! Poi, riflettei tra me, alle parole di Nostro Signore Gesù: "Nel Regno del Padre Mio, ci sono molte stanze", cioè ( molte conoscenze), e, penso anche dolorose, per quello che ho visto. Tornata a Firenze, dopo del tempo, mi vidi, in sogno: tutta stesa a terra, pancia in giù, con le caviglie legate dietro la schiena con cordoni neri, come incaprettata. Mentre mi guardavo in quella infelice posizione, notai improvvisamente, che venivo investita da una luce gialla, bellissima intensa, che mi avvolgeva tutta la persona. Contemporaneamente, vedevo che i brutti lacci, che mi tenevano legata mani e piedi, si scioglievano da soli, ed io ero libera, in quella meravigliosa luce gialla solare, che mi fece risvegliare per ricordare. Io non mi rendevo conto del come e dei perché...... ma, Grazie Dio! Nel ‘92, quando sono tornata su ad Arcidosso sola, per salire al Monte Labro, fui accompagnata su alla torre di David, da Delia, una signora del posto. Anzi, mi accompagnò su anche l'indomani, dopo avermi ospitata per la notte. Il secondo giorno, entrammo nel pertugio della montagna dove, dopo alcuni metri nell'interno, si trova il piccolo altare dedicato a David Lazzaretti, con la Sua preghiera alla S. S. Trinità, incorniciata in un quadretto. Lì ci trovai delle persone, ed uno era il capo dei giurisdavidici della montagna T. C. con la moglie, e qualche d'un altro, (probabilmente) avvisati da Delia, che io sacerdotessa dell'Opera Madre, sarei stata lassù. Questo capo dei giurisdavidici del posto, aveva preso di contrasto il posto del Sacerdote Leone Graziani, appunto per contrapporsi all'Opera Materna Femminile, nella Persona di Elvira Giro, di cui non sopportava la schiettezza della determinazione, e la forza del Suo affermarsi, nella Potenza dello Spirito Santo Madre. Questo signore, mi fece (tigre), cioè contro, a proposito di una seconda preghiera di David Lazzaretti, che non era come la prima in cornice, dentro la montagna, ma era invece scritta in libri che forse loro avevano nell'archivio. Bastava cercarla. La moglie di lui, volle ascoltare la preghiera da me, che la dissi forte con tutte il cuore, e qui ho caro di scriverla; "Sommo Architetto dell'Universo, Eterno Infinito ed Uno. A Te ascenda la mia preghiera. Io T'imploro con tutto l'esser mio, schiudi la mia mente al sapere, talché possa comprendere le grandi Opere della Creazione, scoprirne le leggi ed amarTi in esse. Apri il mio cuore agli effetti più puri e caritatevoli, perché possa seguire le vie della Bontà, della Virtù, e della Giustizia.

Reggi le mie forze, onde con le fatiche delle braccia e del pensiero, possa guadagnarmi il pane quotidiano per me, per la mia famiglia, e pei deboli, pei bisognosi. Bandisci il male dalla Terra, e affretta il giorno della Pace Universale, affinché i Popoli formino una sola comunione, e l'Umanità sia Una, come Tu sei Uno. Così sia!" Questa una delle preghiere di David Lazzaretti. Lei, la moglie, disse: "Uh! Bella!" Sì, diss'io, la troverete sui libri. Lui, dopo la preghiera, si chetò, ma prima facendomi la tigre in faccia, mi mostrò il suo disappunto sul giurisdavidici di Roma. Io non dissi nulla. Lui non era stato beneficato come me, con l'Apparizione della "Regina dell'Universo", che avevo avuto l’8/12/1964 in Santa Maria Novella a Firenze, dove "Lei" mi manifestava un tema di cose e che si riferivano alla. Sua Azione sulla Terra.

Perciò, ebbi compassione di lui, che era accecato magari, dall'aspetto di fattori umani, e la cui malizia era solo nel suo cuore.

La moglie la intuii più dolce e delicata di spirito, e le sono riconoscente per questo, che così io ho potuto pregare dentro il pertugio della montagna, all'altarino, tutte e due le preghiere di David Lazzaretti.

Io non potevo dire a loro, ciò che l'universo mi aveva manifestato sulla integrità e la rettezza e "l'Altezza", di Elvira. Era una cosa manifestata a me sola e basta, e comprendeva il piano spirituale e pure umano, di Elvira. Purtroppo, è tanta la malizia umana che, non c'è che augurarsi, che il "Buon Dio" ci illumini nel miglior modo. Beati coloro che scelgono il pensar-bene al pensar-male.

Sono ritornata giù a Firenze, e, mi sono convinta che loro sulla montagna, non avrebbero superato questa loro opposizione, tra l'altro avvenuta, dopo che il Sacerdote Leone Graziani, primo vero Capo dei Giurisdavidici nella Chiesa Universale Giurisdavidica Trinitaria con lo Spirito Santo Madre, aveva Lui stesso chiesto ed ottenuto.

Il visto Ministeriale dello Stato Italiano, per la Nuova Istituzione a carattere civile e religioso, il giorno 26/7/1960. L'Eterno Iddio nel Suo Diritto Divino aveva voluto questo, perché sulla Terra, sapessero e capissero gli umani, che Lui Stesso avrebbe condotto le vicende di quest'Opera Spirituale, compiuta sulla Terra dalla Sua Sposa la "Regina dell'Universo", in e con Elvira Giro Suo strumento specialissimo, nostra LUCE.

Allora è detto, che Gesù Nazareno con la Sua Opera, aveva vinto la superbia in Lucifero. David Lazzaretti nello Spirito del Giovanni Battista (reincarnato in Lui), aveva vinto la lussuria nel Satana-serpente, con la dedizione nell'Opera Sua decennale. E, Elvira Giro, la (DONNA), come è stato profetizzato, ha vinto il Diavolo debellando l'ignoranza, e distruggendo lo spirito negativo materiale, dell'insidioso ciarlatanesimo politico, colpevole della morte di tanti Santi e Martiri, di tutti i tempi.

Occhio dunque all'Opera Sua, che sulla Terra è l'unica indispensabile per tutti. Come "è scritto", le religioni sono tutte ormai destinate a superarsi, o superate? con la Nuova RELIGIONE, con l'avvento dello Spirito Santo la Madre Scienza, compresa la cattolica Chiesa, (che ha respinto prima, l'Opera di Dio in e con David Lazzaretti) che ci portava la Sua Legge del "Diritto Divino nell'umano Diritto", e (N. R. N. R.) nuova riforma, nuova religione, con i Suoi "29" Editti al Codice della nuova Riforma, per l'Ordine Crocifero, detto della "Milizia dello Spirito Santo".

Editti scritti da Lui stesso in Roma il quattordici marzo milleottocento 78.

E, non da uomo, poteva avvenire la Riforma: tanto desiata, come hanno tentato i seicento e più protestantesimi nel mondo, ma solo da Dio attraverso il "Cristo Consolatore", da Lui stabilito in David Lazzaretti. Così la cattolica Chiesa che ha respinto prima il "Cristo" in seconda venuta, si è trovata a respingere poi, ed a ostacolare, anche l'Opera Materna nella "Regina dell'Universo" in Elvira Giro che ci portava la "Rivelazione", annunciataci, dallo Spirito Santo Madre, alle tre Fontane di Roma il 12/4/1947, con la Sua Apparizione in quel tempo assai clamorosa, dopo quella della "Vergine Maria" a Lourdes, della massima importanza per il contenuto dei Suoi intendimenti a proposito della "Rivelazione" alle Tre Fontane, perché lì, si sarebbe compiuta la Opera Trinitaria delle Tre Persone Divine e Umane, sulle basi del sangue di San Paolo e San Pietro, che lasceranno il passo all'Opera Giovannitica o (Giurisdavidica), del "Giovanni evangelista dell'Amore".

Le religioni tutte, le riguarderemo con rispetto e amore, perché ci hanno accompagnato nella Storia dell'umanità, e nella Storia dell'Umanità rimarranno, per la conoscenza e studio del passato. Ed è implicito nell'Opera della "Madre Cosmica", che l'infima parola "rinnegare" sia bandita, e non diventi scusa per lotte fratricide inutili e assurde. Nell'Opera Sua, si riuniranno tutte le religioni, e nessuna potrà sussistere senza quest'Opera, salvo fermare per sempre la sua stessa evoluzione. Compresa la cattolica Chiesa dunque, nel cui seno sono, (e così doveva essere), sbocciati questi Fiori del promesso Consolatore in David Lazzaretti, il "Cristo Duce e Giudice della Terra", nel quale, lo Spirito Cristo del Padre e di Gesù è sceso a compiere l'Opera Sua, consegnandoci con Lui la "Legge del Diritto Divino e Umano". Nessuno, sulla Terra poteva darci questa Legge! Solo l'Eterno Iddio, attraverso il Suo Cristo in David, dimostrando così che era Dio stesso in Lui ad agire. David Lazzaretti si è sempre affermato cattolico, perché in sincerità lo era così, finché l'Eterno Iddio nello stabilire, "l'Eterna ed Ultima Alleanza Sua cogli uomini", in Lui (sul Monte Labro) non le ha dato un nuovo Nome, al di sopra di ogni altro Nome, e chiamati i Suoi discendenti "GIURISDAVIDICI".

E questo Nome in David e con David il 14/3/1878 ha iniziato il "Terzo Testamento" o "Era dello Spirito Santo", per la "Chiesa Universale della S. S. Trinità di Dio". Così, altro Fiore sbocciato dal cattolicesimo la "Colomba Madre" in Elvira Giro, doveva venire a rivendicare e sancire l'Opera del secondo Figlio il "Cristo in David", nato dal limo della terra, e barbaramente ucciso dai deviati di spirito fanatici e ciechi nell'anima.

Così, l'opera bimillenaria di San Pietro doveva concludersi, per lasciare il passo all'Opera Giovannitica dello Spirito Santo con la " Madre Scienza" per la Chiesa Trinitaria Universale Giurisdavidica, e perché si realizzasse la profezia delle parole di Gesù Cristo; "Che importa a te Pietro, se io metto il Giovanni ad attendermi?!"

E il Giovanni Evangelista, reincarnato in San Francesco d'Assisi, preparava la Chiesa, per l'attuazione della sua profezia, per l'attesa della seconda venuta del "Cristo", che sarebbe venuto come un (ladro di notte) cioè, quando le Nazioni, o dieci vergini, abbuiate dalle passioni materiali, avrebbero avuto le lanterne spente, mancando loro l'olio della spiritualità. E per questo non l'hanno saputo riconoscere, in Dante Alighieri, lo spirito di San Giovanni Battista, reincarnato in lui, ha profetizzato se stesso, che dopo cinquecento e quindici (DUX) anni, un Messo di Dio avrebbe inciso la "Lotta". Dopo cinquecentoquindici anni, nel 1834 nasce David Lazzaretti, come si racconta, con doppia lingua e doppi occhi. Al quattordicesimo anno, ancor giovinetto, nella Maremma Toscana, riceve la visita di un "Messaggero Celeste", che l'avverte, che la sua vita è un "Mistero". Nel libro di Don Filippo Imperiuzzi viene narrata la "Storia di David Lazzaretti, Profeta dell'Amiata", scritta nell'anno 1905 ventisette anni dopo la Sua morte cruenta.

Altre preziose notizie, le abbiamo anche da Don G. B. Polverini che dopo averlo cercato, e trovato, e amato e creduto in Lui, assieme a Don Filippo e per ben otto anni, si è trovato poi in contraddizione con se stesso, poiché non poteva più far fede al "Cristo in David", senza il consenso degli alti prelati, che manco ci pensavano di aver problemi per cui respingevano prima di conoscere e di capire. Don Polverini, ha scritto anche lui un libro nel 1915. Un libro intenso, che parla di David Lazzaretti ma, che lui Don Polverini, ha intitolato in prima persona, cioè: "Io e il Monte Labro". Io Fausta, avida di notizie su David Lazzaretti, sono riconoscente anche a Don Polverini, che per mezzo suo del suo libro, ho potuto avere. E il mio cuore, è riconoscente al Sacerdote Leone Graziani per aver ricevuto in prestito, dall'Archivio della Sede Giurisdavidica del Monte Labro, questo ed altri libri. Leone ha fatto lui stesso un grandissimo lavoro, ed ha raccolto in una importante "Bibliografia su David Lazzaretti", moltissimi scritti e citazioni, seicento e più, di personaggi e di scrittori anche esteri, che parlano di Lui, in favore o meno. Leone, portato dagli accadimenti, anche sofferti della vita, si è trovato ad affiancare l'Opera che la Divina Madre Cosmica compiva con e in Elvira. Felice intelletto il suo!, ma quanti sacrifici, anche se fatti con l'entusiasmo di chi il Ciel rimira. Tanto, tanto lavoro fatto assieme alla "Colomba Madre", per aprire i cuori alla conoscenza ed all'amore per David Lazzaretti, lo Spirito Santo nella "Trinità Paterna", il Cristo Duce e Giudice della Terra. La Divina Madre, nel consacrarlo all'Opera Sua, lo chiamò Giovanni I° della nascente Chiesa Giurisdavidica Universale con lo Spirito Santo Madre. E Gesù sapeva bene, a quale Spirito aveva affidato per i secoli dei secoli Sua Madre. Ed ora mi dico; come faccio a finire questo libro, che io ho scritto per Suo desiderio, ed infine, per parlare di Lei, la Regina Nostra. Quando si parla di Lei, non può finire un libro! Prima, perché ci sarebbero un'infinità di cose ancora da dire, e poi perché è impossibile finirlo, per la Grandezza e la Dolcezza della Colomba Madre Spirito Santo, per il Dono di Sé che Lei ci ha fatto, con l'Opera Sua, in coronamento all'Opera di Gesù Cristo, e di David Cristo.

Sono qui a scrivere di Lei, della avvenuta Sua presenza nel mondo, proprio in questo nostro secolo diciannovesimo, e penso che per i miei difetti e la mia vita randagia e vana, dovrei essere proprio l'ultima persona io, a permettermi di parlarne. Ma, io ho visto, perché Lassù, Qualcuno ha disposto, che vedessi soprannaturalmente ciò che avveniva qui sulla Terra. I meriti, chi può dirne?

E così poco il bene che si fa! Ed ora mi viene in mente un episodio di quando ero in famiglia al mio paese. Qualcuno di fronte a me ed alla mia sorella vedendoci giovinette disse: "La Franca è fidanzata!, e la Fausta che farà?", al che, rispose la mia sorella senza mezzi termini: "La mia sorella (io) si fa suora!" Mi ricordo, di essermi sentita in cuore, contrariata da quella sua tentata invasione nel mio intimo, e di aver risposto solo, nooh!, ma che saetta!, come lei si permetteva? Io non avevo mai espresso cosa del genere, e non avevo neanche abbastanza maturazione per concepire una simile decisione. Se pensavo a Dio e alla Madonna, erano pensieri miei, li tenevo per me, nel mio cuore e mai palesavo, perciò con quella sua uscita importuna, la mia sorella ottenne l'effetto contrario. Dov'era la confidenza tra noi, che eravamo una a levante e una a ponente?! Comunque, io non parlavo per niente di ciò, anche perché ero sempre distratta e imbambolata, e non capivo proprio cosa volesse dire vocazione, non mi ponevo troppa riflessione su questo. Potevo pensare a Dio ed alla Madonna lo stesso, o no? E adesso, che la "Grande Madre" mi ha consacrata al Suo Sacerdozio, io ancora stento a rendermi conto della tanta responsabilità che mi è piovuta sul capo, e mi dico: speriamo in bene!

Lei, sa, le mie lacune, inefficienze, insufficienze e limitatezze, e spero supplisca Lei e l'Eterno Iddio, che, come Lei ha scritto, prende ora personalmente a condurre le vicende umane. Me lo sono domandato poi, nel corso della vita; "Ma che vocazione ho io, di farmi religiosa o di farmi una famiglia?" e non mi sapevo rispondere. Ho sofferto l'aggressione di molte malattie, e per questo andavo in molti posti a prendere benedizioni. Dove e come potevo. Mi sovviene per questo, che mi trovai in un posto specifico nella bassa Lombardia a San Damiano. C'era una contadina madre di famiglia, che tutti i venerdì, vedeva in visione la Madonna a scendere su un piccolo alberino di pere, al mezzodì. Erano gli anni dal ‘65 al ‘70.

Io ci andai, e mi trovai il venerdì a mezzogiorno. Sentii tortissimo gli speciali profumi, che già conoscevo.

La Vergine a mamma Rosa Q., ha affidato un lungo messaggio, che sintetizza, tre affermazioni importantissime di eguale portata e cioè: "Rosa, tu devi annunciare che sono tornata! ... Sono tornata sulla Terra per salvarvi... Convincili che sono venuta su ordine del Padre, per confortarvi e salvarvi..." Significativo!, dico io. La Rosa Q, si professava una contadina ignorante, e che nessuno, le avrebbe creduto, e l'avrebbero presa per matta. Allora la Madonna a queste parole, si è librata nell'aria e immediatamente (d'inverno) tutti i rami dell'albero sono fioriti. E la Vergine, prosegui, con Rosa Q. di San Damiano, il Suo lungo messaggio. Come ho detto, le affermazioni della S. S. Vergine di essere sulla Terra, sono chiare e sorprendenti, e dette per ben tre volte. Ed io, lenta nella maturazione intellettiva, pure in quel tempo poco avrei potuto approfondire una cosa, di così grande evidenza. Ed avevo visto. Se avrete la gioia, la fortuna di leggere l'Opera meravigliosa della "Madre Scienza", in Elvira Giro, capirete anche voi, se il vostro cuore non è malizioso. Ed anche questo.

La statuina della Madonnina di Civitavecchia, ha versato lacrime di sangue proprio nel giorno del 14 marzo. Questa data è la ricorrenza, dell'inizio dell'ERA dello Spirito Santo nel "Cristo David Lazzaretti". Infatti, nel 1878 il 14 marzo a Roma, David Lazzaretti venne condannato dal S. Uffizio e respinto come Cristo in seconda venuta, (il 14esimo giorno Mosé fece immolare l'agnello). La statuina di Civitavecchia piange sangue per questo, e per i destini amari della Terra, che invece che accogliere il "Consolatore" lo ha respinto, ricevendone il boomerang negativo. Ma rivolgiamoci, alla Madre Divina, supereremo tutto senz'altro. E riconoscendo le Opere di Dio, noi non possiamo che ricevere beneficio e luce, e imparare a voler bene a tutti, perché sono tutte scintille di Dio e nostri fratelli. Ricordare che tutti si sbaglia, e compatirsi a vicenda. Di conoscere le cose come si sono svolte dal Cielo alla Terra, per intervento dell'Eterno Iddio, in questi due millenni a favore degli umani, non può che produrre felicità e serenità e pace. Tutto ciò che è stato sbagliato o errore deve essere superato se si vuole fare parte delle S. Milizie dello Spirito Santo. E senza contese, poiché ridonderebbero su di noi tutte le conseguenze negative e disastrose possibili. Preghiamo. E scopriamo le preghiere Vive, positive al massimo, che la "Colomba Madre " ci ha lasciato nella Sua meravigliosa Opera Giurisdavidica, dono dello Spirito di Verità Spirito Santo. Ho detto della presenza Reale della Madonna sulla Terra in Roma, nella Persona di Elvira Giro, ebbene anche nelle Apparizioni della Madonna a Medjugorie, in molti Suoi messaggi, Lei ha affermato: "Io sono qui con voi". E più volte nei Suoi messaggi, ha confermato la Sua Presenza tra noi, cioè in "Terra". Così a Medjugorie! Io seguivo i suoi messaggi con molta attenzione perché sapevo che era veramente proprio così. Benedetta sempre, la Sua Presenza!

La mia malattia atroce della poliartrite reumatoide, ha il suo strascico, specialmente col freddo. Ora sono ventinove anni e penso che il peggio sia passato, e che abbia perso la sua virulenza, che sia insomma più attutita. Mi curo sempre però. Ma quanti calmanti! Malgrado questi, nel decennio dal 70/80 era così acuta, che dormivo due o tre ore per notte. Urlavo. Sì urlavo spesso e mi auguravo che non mi sentissero nel condominio. Quante ore sveglia! Una notte di quel periodo, mi accingo a tentare di dormire e invece, entro in uno stato di essere che non so definire. Io ero molto tranquilla. Ma, ecco. Mi trovo in una officina grande, in una atmosfera tutta densa, color rosso-arancione, dove degli uomini in tute color rosso-arancione, stavano fondendo dei metalli tutti incandescenti. Improvvisamente, mi viene un'autoscopia interna e mi vedo all'interno, nelle vene e nelle arterie dove, invece del sangue, mi scorreva, (e la vedevo), porporina d'oro semi liquida. In quel momento mi sono trovata a pensare; e se mi solidificassi?! E dopo ciò, mi sono ritrovata alla mia normalità e stupefatta, di aver visto quell'officina tutta fuoco e incandescente, e tutto il resto. Dopo pochi giorni, ebbi una vera chiaroveggenza in sogno. Mi trovai in riva ad un mare d'oro, dal quale vedevo emergere un omino piccolo statura al metro, con lo scafandro tutto d'oro e grondante d'oro. Si volta verso di me mi sembra che mi guardi attraverso lo scafandro, e che volesse essere notato. Lo guardo. Ecco, ma chi poteva essere?

Forse, un extraterrestre? Che mare, d'oro denso, che mare! Oh! non era solo un sogno, ma di più, perché dopo tanti anni mi è rimasto vivido nella mente, in modo sorprendente. Raccontai i due fatti ad una signorina e lei mi disse: "Lei è l'oro Fausta, e poi, le è stata data un'anticipazione di oro per cura alla poliartrite. Un'indicazione, poiché per questa malattia ci vuole l'oro". Così lei. Riflette! che il primo anno che cascai in questo malanno, effettivamente cominciai a curarmi col fosfocrisolo, una medicina che mi sarebbe stata benefica, solo che entro quello stesso anno, venne ritirata dal mercato, perché l'ente ministeriale prezzi, non volle concedere all'istituto farmaceutico di Milano, l'autorizzazione ad aumentare il prezzo, che era irrisorio. Naturalmente dietro la cosa, c'erano le trappolerie finanziarie, di altri farmaceutici, che volendo guadagnare di più, immisero in mercato altri tipi di oro, molto più tossici, e oltretutto brutti di color marrone, che mi facevano ricordare l'oro per la lavorazione delle ceramiche. Ho detto, che al posto del benedetto fosfocrisolo, ci propinavano ori più tossici, più dannosi per controindicazioni, e che a farli, faceva pure schifo. Dovrebbero rimettere sul mercato il fosfocrisolo, dell'Istituto Italiano di Milano.

Non mi è mai andata giù, che abbiano tolta quella medicina, sarei potuta stare meno peggio. Dico ancora di trent'anni fa. Un altro fatto mi accadde di autoscopia e, non ero addormentata, ma, in pieno giorno. Non so come, ma mi sono trovata la vista interna, come se i miei occhi fossero dentro il mio petto, e da dentro il petto guardavano su dentro la testa. Ecco cosa vedevo; vedevo tutti colori del fuoco, come fossi all'interno di un vulcano, della cui sommità, vedevo l'apertura in alto, alla cima del mio capo. Un foro di poco più di due centimetri, e il fuoco vibrava vivo. Queste sono cose, che mi sono inspiegabilmente capitate. In questo tempo nel quale, io sto così difficilmente superando questa mia caduta nel male del secolo, cioè il tumore, che mi ha depauperata della mia energia e forza organica, è uscita in campo finalmente una possibilità di cura in Italia, detta del Prof. Di Bella, che ancora non è consentita data la sperimentazione che deve essere attuata dal Ministero della Sanità. Il prezzo è inaccessibile, perciò non c'è che aspettare. Purtroppo tutti i medicinali oggi dì sono esosamente cari, e questo è ingiusto, poiché molti di essi sono fatti con materia base, che costerebbe poco e nulla. I meno abbienti e cioè i poveri e (sono tanti), non arrivano certo a curarsi. Le multinazionali finanziarie dei Farmaceutici, hanno più soldi degli stati interi, e non le bastano mai, vogliono sempre di più. Speriamo che un giorno, qualcuno metta un freno a questa loro spropositata avidità. Un'amica mi disse: "Ma guarda, doveva proprio venire il cancro a te perché uscisse la cura allo scoperto!" Dico, Mah! era meglio se non mi capitava anche questa, ed è pure di dolore fisico anche questa, in aggiunta all'altra. E per questa nessuna cura ancora dopo fatto la chirurgia. Il dottore mi dice: Usi i calmanti come ha fatto sempre. Già, ventinove anni di calmanti. E se prima, non dormivo lo stesso dai dolori, ora ne ho fatto l'accumulo, ed ho sempre sonno, andrei come i gatti a dormire ogni ora, e mi dico che morirò addormentata.

Non sarebbe poi tanto male. Io sono disincantata ormai ed ho sempre presente quel "passaggio". Avendomi questa malattia tolto la forza organica ed anche psicologica, mi ha causato degli abbattimenti, per cui mi sono trovata davvero a dormire troppo e spesso, per non soffrire.

6/10/97 sento nel sonno, allocuzione, dall'alto: "Lasciamola dormire, poi la andremo a ricuperare". Pare impossibile, ma udire questa frase mi ha fatto avere ulteriore speranza, forse, ce la potevo fare un altro po'.

E infatti, mi sono trovata di nuovo a proseguire questo libro. Mi consolo alle cose spirituali, leggendo. A suo tempo, la Divina Colomba. Madre, mi scrisse testimoniandomi me tapina, così: "Sei alla base con me e con Leone". Ed ora mi ritorna in mente, la frase udita misteriosamente. "Ti dobbiamo comunque invitare o cara, all'Opera del Buon Dio"!, così la Madre. E poi, un giorno, il 7/10/93, "Un giorno si vedrà la Mia Mano nella tua vita"!, così, Dio Padre

E 26/8/97 Il Padre: "Tutte le sere che hai passato a questo tavolino, sono segnate nel Mio Cuore, come una folgore divina, che trapasserà tutte le menti"! Oh! Signore, io ti devo tutto!

Qui accenno alla mia storia affettiva, poiché la Grande Madre mi ha detto di scrivere la "mia" storia, collegata alla Sua. Così mi accingo a sintetizzare il tutto in degli episodi. Dopo il rimorso, per non essere accorsa più volte, all'ospedale di Gemona, per ritrovare il mio compagno di scuola elementare e forse mio futuro fidanzato, che poverino, è stato ucciso dai tedeschi innocente, assieme ad altri due ragazzi del mio paese, che come ho scritto addietro, furono messi a battere polvere da sparo. I due morirono subito e il mio compagno di scuola, dopo due mesi su di lì. Quando andai all'ospedale a trovarlo mi ero tanto impressionata, tanto spaventata al vederlo bruciato, che non ce la feci più a tornare a trovarlo, e come ho detto ero lontana a lavorare, ma forse, avrei potuto strappare qualche permesso. Persi poi il lavoro a Cividale, e dopo un po’ di settimane approdai a Firenze. Avevo da poco compiuto vent'anni, e mi mancava un anno per essere maggiorenne. Delle difficoltà da superare, e poi trovai lavoro. Dopo passati quasi cinque anni in Firenze, mi innamorai ricambiata di un giovane, e non proseguii perché m'impaurii per la differenza d'età. Le paure non dovrebbero esistere, e per le paure si sbaglia tanto. Respinsi dietro cattivo consiglio. Dopo del tempo ebbi in pieno giorno una molto forte chiaroveggenza (da sveglia), e vidi la persona del cattivo consiglio sull'albero del paradiso terrestre con l'aspetto del serpente. Non me lo sarei aspettato, ciò mi fu significativo, non avrei dovuto accettare quel consiglio. Lavoravo, mi ammalavo, rilavoravo e mi riammalavo e rilavoravo, e mi riempivo di interessi vari, e il tempo passava. Mi misi sotto la protezione dello Spirito Santo e sentendomi così disorientata, mi rivolsi ad un religioso e chiesi dunque sul proposito di sposarmi. Che si vuoi sposare! Mi fu risposto: "Per mettere insieme due vecchi?, non è ormai più il tempo di avere figli, è troppo tardi!" Io avevo trentotto anni, capito? Già, adesso ho capito che mi è stata accecata la vita. Sbagliare o no, bisogna agire da soli. Presi quella risposta come mi fosse venuta dallo Spirito Santo e mi detti pace, e non ci pensai più per niente, ingolfandomi di lavoro.

Avevo segni dal Cielo e ne tenevo conto. E un giorno lo incontrai, che era un'ora che avevo fatto la S. Comunione. No, non mi posso fermare. Dice: "Ti ho sempre portato rispetto, non vedo che cosa hai da tenere. Io lavoro qua vicino, vieni a vedere!" Mi trovo in breve nel suo ufficio. Uno stanzone grande a primo piano. Non c'erano ancora i suoi colleghi, sarebbero venuti più tardi verso le nove e mezza. Lui, a dirlo in una parola, mi chiedeva un bacio, ed io non mi convincevo dentro di me. Ma in quel momento, vedo improvvisamente, aperta una porta, nella nuda parete tinta color ocra chiaro, che stava di fronte a me, prima tutta intera. Una chiaroveggenza meravigliosa mi si prospetta davanti agli occhi. Di tra quella porta, un giardino colmo di fiori, tutti giaggioli alti un metro, tutti color pervinca (pervincere). Quello che era ancor più sorprendente, era che quel giardino, era appieno invaso dal sole, che creava un'atmosfera stupenda e limpida al di fuori della possibilità terrena di essere. Quella porta aperta sul giardino fiorito pieno di sole è una cosa impossibile a dimenticarsi. Decisamente, io non so interpretare troppo giustamente, tantocché subito dopo finita la chiaroveggenza, interpreto alla peggio il color pervinca, e penso, in colore tendente al viola.

E il viola mi significa penitenza. Una volta ancora, e per questa sbagliata interpretazione, respingo l'amore del mio innamorato, pur essendo innamorata anch'io da anni. È la sola e unica volta nella vita, che io sia stata innamorata. E così. E anche quella volta, passai oltre pensando alla penitenza .E passarono gli anni. Ed io, sola! Stavo male. E a volte, non ci si vuole proprio bene per niente. Raccontai la chiaroveggenza ad una guaritrice qui a Firenze, e alla quale ricorrevo per farmi aiutare, per aver sollievo alla malattia della poliartrite reumatoide, tremenda. Anche lei era chiaroveggente, e, sentendo la mia storia subito esclamò: "Ma guarda, questa qui! riceve dall'universo un segno simile, e lo spreca, lo svisa addirittura. Le veniva dato il giardino fiorito, baciato dal Sole Cristico, e lei interpreta all'incontrario. L'universo non le avrebbe mai dato la penitenza!" Ringraziando la sua bontà, tornai a casa pensando; ormai, che ci posso fare? Il tempo se n'è andato! Così, incontrando casualmente di nuovo il mio innamorato, lo salutavo frettolosamente, e lo sfuggivo con qualche scusa E qui, dico che si può non confidare né in noi stessi, né in altri, ma nello S. Santo sì. E questo dirò in seguito. Allora gli anni passavano a tutto spiano, ed io soffrivo terribilmente di malattie e di solitudine e di fatiche di pietra. Nella fine di luglio '78, mi sentivo enormemente sconfortata, e freddamente pensavo di voler scavalcare il muro, tra la vita e la morte. L'avrei messo in atto, non so come, il prossimo tre agosto. Oh!, la vita a volte è tanto dura, che credo nessuno si debba scandalizzare.

Certo, che non si deve fare un passo simile! Per questo dico che bisogna confidare nello Spirito Santo, assolutamente. Dicevo di non scandalizzarsi, ma vorrei vedere quante persone, non l'avessero pensato di fronte a tante mazzate della vita. Mi pareva di già di vivere in un mondo immateriale rarefatto. Ma, ecco la svolta sul punto croce, appunto di due strade che s'incrociano. Ore diciassette del pomeriggio, pioveva a dirotto, e da sulla macchina coperta dagli scrosci, non riuscivo a vedere niente. Ero ferma al semaforo rosso, e mi trovai in qualche modo contrariata dal vicino di automobile, che batteva il suo palmo sul vetro per attirare l'attenzione mia. Pensavo: ma, che vuole quello li, non lo vedevo per niente per via della pioggia a catinelle. Venuto il semaforo verde, tiro avanti a diritta strada poi, svoltando a sinistra e mi vedo parare una macchina davanti, che mi costringe ad accostarmi sulla destra e fermarmi. Scende uno, e tra la pioggia mi viene avanti alla mia cinquecento con le braccia aperte. Mi dico, dentro me; "ma cosa ho combinato adesso?" No, non avevo combinato niente. Ma che sorpresa era lui, lui! "Ma, per piacere, si può salutare?" così mi dice. Ero rimasta di gran meraviglia, al pensiero che questa persona mi veniva posta ancora dinnanzi. Mi salutò in gran fretta (pioveva), e mi chiese se poteva passare, dopo alle ore diciannove da me, che aveva bisogno di parlarmi. Le dissi di sì, che l'avrei aspettato. Tornai a casa e mi misi a pregare, che il Signore mi desse la Sua protezione. All'ora detta arrivò, io dissi ancora: "No, io voglio essere sicura, il Cielo preme".

Lui mi disse: "Bene! Allora tu stasera aspetterai il tuo segno, ed io aspetterò il mio segno. Ti posso abbracciare?" Mi lasciai abbracciare e mi sentii morire in quel tenero abbraccio, le sue braccia sembravano immense, dove io mi sprofondavo sempre innamorata. Mi baciò sulla fronte. Dissi: "Va bene, vai, e pensiamo come abbiamo detto". Se ne andò via. Ognuno di noi due abbiamo avuto i nostri segni, che poi a vicenda ci raccontammo. Lui, chiese nel profondo del suo spirito alla Madonna e si sentì dire: "La puoi abbracciare"! Fu che con una certa serenità, iniziammo timidamente la nostra liberalità. I segni rassicuranti del Cielo, non mancavano nella notte, con canti francescani di conferma, ed altre canzoni rivelatrici della nostra situazione. Io ero lo stesso sempre ansiosa e timorosa. Ma una conferma decisiva ed estremamente tranquillizzante, mi venne incontro al mio paventare. Era mezzogiorno. Ecco che amandosi veramente, cercammo il segno di Dio e l'amplesso si mutò in felicità per ambedue. Subito dopo, mi sentii investire da una luce arancione, e mi trovai col mio stesso corpo, pieno di riso. Dico riso riso di quello che si mangia, e per giunta riso grosso come se fosse cotto dal colore dorato. Era di nuovo l'autoscopia spontanea. Avevo capito che qualcuno su nell'universo, partecipava a questo fatto, gettandomi il riso delle nozze. Io non me lo sarei mai aspettato un fatto simile. Ma il fatto fu molto forte, che in nessun modo avrei potuto ignorare. Mi sentivo molto felice.

Il Cielo mi aveva sposata. Fuori casa lavoravo al pubblico, come secondo lavoro e successe che improvvisamente, molte persone che prima si rivolgevano a me con l'appellativo di signorina, mi cominciarono ad appellare, signora.

Non potevo assolutamente fare a meno di farci caso. Il mio "Elio", fugò tutte le mie nubi nere, che mi avrebbero portato a rifiutare la vita. Certo che la mia malattia sussisteva lo stesso eccome, ma venne più temperata dalla forza di vivere, che mi portava l'amore. Era geloso di se stesso, e non si concedeva più del ragionato. Un giorno mi disse: "Non ti aspettare nulla da me, accontentati!" Ed io mi accontentai pur di vederlo. La sua costanza nel farsi presente, anche per telefono, mi confermò del suo amore sempre tanto caro. Lo dovevo tenere libero, solo così non l'avrei perso. Anni felici passarono. E poi su richiesta, mi trovai io (malata), in compiti di assistenza, presso altre persone gravemente ammalate, e giorno e notte dormivo pure fuori. Il mio Elio m'aspettava, e pur telefonandoci, ci frequentavamo più raramente.

In quel periodo dal febbraio 1985, fu, che conobbi l'Opera Giurisdavidica, così ne accennai, ne parlai a lui. Risultato, era troppo distratto, forse a causa dello sport, di cui andava matto. Quando c'erano le partite di calcio in televisione, io non dovevo neanche respirare. Eh!, la passione, così. Ma un giorno mi fece vedere una fotografia, che teneva nel portafoglio, che lo raffigurava assieme ad una donna bruna con un piccolo bambino in braccio, ed io non dissi nulla, ed io capii che le premeva. Ebbi una stretta al cuore. Dopo un po’, e dopo aver riflettuto, anche alle mie assenze, alle mie mancanze ed ai miei difetti, sentii il bisogno di ringraziarlo dell'amore che mi aveva dato, poiché quello era amore sincero, e non ne ho mai dubitato. Le dissi: "Io sono molto ammalata e non pretendo che tu, ti carichi di me. Fai quello che credi bene. Forse, ho poco tempo da vivere, forse". Elio, ha dovuto decidere, si è allontanato anche dalla Toscana. Io dovevo volere il suo bene, in tutti i sensi. A distanza di tempo, ho ricevuto tre cartoline, dalla corona delle Alpi che raffiguravano la Madonna sulla neve, e altri capitelli, sulla neve. Io non mi sono più disperata, non potevo disperarmi, avevo già ricevuto dalla vita ciò che Dio aveva stabilito per me. La "losanga bianca", che in visione, nei primi anni del ‘70/75, avevo visto porgermi dall'alto, da dentro il Triangolo Divino con l'occhio, rimaneva comunque nel mio cuore. Era la mia losanga bianca, le mie nozze, il mio matrimonio. So che Elio mi appartiene. Il mio raggio di Sole!

Adesso, che ho detto le mie vicende personali, faccio il punto. E nuovamente torno sui fatti delle vicende umane dei popoli. Vicende che mi fanno soffrire terribilmente. Poiché oggidì, si può seguire tante cose anche attraverso la televisione. Quante sofferenze alla povera umanità! Io, che so, spero che siano al più presto alleviate, in virtù dello Spirito delle "Tre Persone Divine di Primo Grado", e cioè, "Gesù Nazareno, David Lazzaretti, ed Elvira Giro", la "Trinità Cosmica" contemplata nella Chiesa Universale Giurisdavidica della Santissima Trinità di Dio con lo Spirito Santo la "Madre Scienza". Lei, mi disse: "Io farò uscire sulla Terra il Mio Spirito, e ne vedrai gli effetti!"

Io guardo con speranza, al movimenti sociali positivi, che ora si possono scorgere, come dei veri brulichii di buona volontà. Il "Triangolo Spirituale", è posto su due Nazioni cugine-sorelle; la Francia e l'Italia, e precisamente su Roma, Lione, e il Monte Labro, sul quale un giorno, sorgerà un Santuario, dove si conserverà, il Simbolo più importante dell'Universo, e cioè il "Sigillo del Dio Vivo", e simbolo del "Battesimo, del Fuoco dello Spirito Santo". Si conserverà pure una croce col Crocefisso di cristallo, a simboleggiare, che la crocefissione umana, verrà superata e perciò cristallizzata.

 

 

 

 

 

 

Fausta Cozzi

 

                                                52. La forma general di paradiso

                                                già tutto lo mio sguardo avea compresa

                                                in nulla parte ancor fermato il viso;

                                                                                            

                                                                                             Dante Alighieri

 

 

 

Io spero che le persone non vogliano più essere superficiali e che vogliano sapere le cose, operate dal Cielo alla terra, a favore degli umani, specialmente in questi due ultimi secoli, dell'ultimo millennio doloroso, in, attesa di entrare nel prossimo terzo millennio, che l'Eterno Iddio, ha riservato alla Glorificazione della Sua Sposa "l'Eterna, Luce, Verbo, Irradiante, Rivoluzionario, Alfa".

La "Regina dell'Universo", in Elvira Giro, la Colomba Madre. Io non sono capace a nulla e me, lo dico, poiché non sono riuscita a realizzare un desiderio di Gesù, che un giorno mi ha detto: "Fai una congregazione libera, di Amici di Elvira"! Ebbene, io non sono riuscita altro che ad avere, sei o sette adesioni. Dice Gesù: congregazione libera, che io interpretai senza iscrizioni, a tranquilla dolce voce del cuore, di chi vuole con l'anima ringraziare la Nostra Grande Madre. Ma poi penso io, si può sempre fare anche con adesione scritta, se un giorno le genti volessero fare così. I monasteri, sarebbero le famiglie, dove non ci si deve vergognare di pregare insieme, ed alla "Colomba Madre", non può che fare piacere.

Un giorno, quando si potrà rintracciare facilmente i libretti dell'Opera Sua, ed averla nelle famiglie come il Vangelo e la Bibbia, sarà una Vera felicità per le anime.

Penso bene elencare qui, i libretti dell'Opera Sua che sono 13, più uno, più i notiziari che sono 14. Ne scriverò i titoli per ordine; i primi quattro libretti sono raccolti assieme sotto il titolo di: "Rivelazioni Spirituali", che comprendono i titoli interni, del primo libretto: "Conoscenze Cristiche" (Roma 1954), del secondo libretto: "Rivelazioni Spirituali" (Roma 1954), del terzo libretto: "Opera dello Spirito di Verità" (Roma 1955), del quarto libretto: "La Dottrina della Chiesa Universale" (Roma 1956). Quelli detti, fanno parte dunque di un sol libro. Poi, il titolo del quinto libretto: "Rivelazioni Spirituali Cosmiche nella Chiesa Universale Giurisdavidica della S. S.ma Trinità" (Roma 1968). Titolo del sesto libretto: "La Scienza Giuris Davidica nei suoi movimenti incisivi fino al 1975" (Roma 1975). Titolo del settimo libretto: "La Meccanica Celeste, con la Scienza Universale Giuris-Davidica" (Roma 1977). Titolo dell'ottavo libretto: "Statuto Giuris Davidico, per la Milizia Crocifera dello Spirito Santo" (Roma 1980). Titolo del nono libretto: "La Divina Commedia, spiegata nella Meravigliosa Scienza Giuris Davidica" (1981 Roma). Titolo del decimo libretto: "Epilogo e incisione terrestre della "PARUSIA" o Opera della Madre Scienza la "Regina dell'Universo" (Roma 1981). Titolo dell'undicesimo libretto: "Sintesi della Nuova Istituzione Giuris Davidica" (Roma 1983). Titolo del dodicesimo libretto: "Le chiavi della Conoscenza nell'Era dello Spirito Santo con la "Parusia" (Roma 1983). Titolo del tredicesimo libretto: "Sintesi della Nuova Istituzione Giuris Davidica del Regno dello Spirito Santo" (Roma 1985). Questi, i tredici libretti dell'Opera Materna della "Colomba Madre", più il libretto: "Storia della Mia Vita nella Grande Opera della "Regina dell'Universo" (Roma 1988).

I 14 Notiziari (1957-1985), riassumono lo stato delle cose, come si sono svolte, e come stanno. I Notiziari titolano: "la Torre Davidica". Madre Celeste adorata, il Tuo Volto, non lo vedono coloro che hanno il complesso di superiorità, che credono di saper già tutto, per cui non si degnano neanche di leggere, perché pensano che non ne hanno bisogno, e non s'accorgono di essere degli asini. Non sanno, meschini, che guardando le piccole cose, vedranno anche le Grandi. E non era forse Dante Alighieri un Profeta oltre che un eccelso Poeta? Che menziona perfino il cognome della Signora Elvira Giro, e lo mette nei versi che parlano della S. S.ma Trinità, quando dice: (Paradiso XXXI, 67) "e se riguardi su nel Terzo Giro (Giro Trinitario) del Sommo Grado, tu la rivedrai nel trono che i suoi merti le sortirò". Oh! non è un caso! Questi versi me li sono sentiti dire, per ben tre volte nel sonno, quando mi trovavo a Viareggio. Dante dice anche: (Paradiso XXXI 107/108) "Signor mio Gesù Cristo, Dio verace, or fu si fatta la sembianza Vostra?" Qui Dante richiama al Messo di Dio, cioè al "Cristo" in seconda venuta, che era già presente al suo spirito, nello, e con lo spirito di Giovanni Battista, disponentesi a suo tempo a reincarnarsi in David Lazzaretti, dopo cinquecentoquindici (DVX) anni, appunto come "Cristo, Duce, e Giudice della Terra". È affermato il fattore reincarnazione, (Verità ribadita anche dalla Divina Madre nell'Opera Sua), Dante dice ancora: (Paradiso XXXIII, 24) "Or questi, che da l'infima lacuna de l'universo infin qui ha vedute le vite spirituali ad una ad una, ....... ....... più Alto verso l'ultima Salute".

 

 

 

 

 

 

DAVID LAZZARETTI, il Cristo Duce Giudice

(Arcidosso 1 novembre 1834, Bagnoré 18 agosto 1878)

 

         a darne tempo già stelle propinque,

         sicure d’ogni intoppo e d’ogni sbarro,

         nel quale un cinquecento dieci e cinque,

         messo di Dio, inciderà la fuja… (Dante, Commedia 2, 33, 41)

 

 

 

Sento qui la necessità di elencare anche alcuni titoli di libri, che ha scritto David Lazzaretti con la guida dell'Eterno Iddio. (Periodo tra il 1868 ed il 1878) "Il Risveglio dei Popoli" (1870): contiene avvertimenti profetici e morali. "Avvisi e predizioni di un incognito Profeta" (Prato 1871). "Manifeste aux peuples" (Lyon,1876). Si manifesta ai principi della cristianità. "Il Libro dei Celesti Fiori" (1876) dedicato alle gerarchie spirituali, il libro per salire nelle virtù. "Il libro dei Sette Sigilli" (1877): David difende la natura umana per stabilire la apertura della conoscenza dell'Universo. (Apocalisse n. 5).

"I 29 Editti, Precursori alla Riforma dello Spirito Santo" (1878). "Esortazioni ai miei Fratelli Eremiti", (Arcidosso,1878). "Le Rivelazioni di Lazzaro" (1881) contiene le regole per il governo sociale. Quest'ultimo libro, nello Spirito di David, è stato manifestato nella sua interezza, in una serie di comunicazioni spiriticamente svelate, ad un capo della religione dei Perfezionisti in Charleston negli Stati Uniti d'America. E da questi, fatto pervenire il manoscritto, prima in Italia, perché qui fosse diffuso prima che altrove nel mondo. Si riferisce specialmente al piano sociale e richiama avvenimenti dei duemila anni scorsi. Queste scritture "Rivelazioni di Lazzaro" ecc, appartengono alla raccolta dell'Opera Giuris-Davidica, formata dal Sacerdote Filippo Imperiuzzi, nato a Gradoli (Viterbo) nel 1845, morto a Roma nel 1921. Divenuto Capo Giuris Davidico o Successor del Triade, il 14/marzo/l878 per Volontà di David. Filippo Imperiuzzi nel 1869 era già stato consacrato Sacerdote dal Vescovo Cattolico Diocesano della congregazione di San Filippo Neri. Don Filippo nel 1905 a Siena, scrisse la "Storia di David Lazzaretti, Profeta di Arcidosso". Per Filippo, vivere otto anni con David, e poi dopo la Sua cruenta morte, soffrire il carcere cogli altri ventidue seguaci e discepoli, per ben undici mesi, ha contribuito vieppiù ad accrescere la sua sensibilità spirituale, ad acquisire la sua intuizione, la sua vasta illuminazione. Non c'è che esserne grati a questi "benedetti" Spiriti, del passato, che malgrado i loro condizionamenti e le loro ingabbiature, hanno saputo tener fede a Dio al di sopra di tutto, nella semplicità e nell'onestà. E in questo secolo, fino al (1993) decesso, il Sacerdote Leone Graziani, ha servito la Grande Causa Spirituale nell'umiltà e nella dedizione al "Cristo Duce e Giudice David Lazzaretti", di cui il suo spirito ne fu fortemente illuminato, e si può immaginare anche la grande influenza e Potenza dello Spirito Materno della "Regina dell'Universo", nella "Colomba Madre" che ha fatto di Lui uno spirito alto e prezioso. Leone Graziani a (Roma 1964) pubblicava un importantissimo studio, "Bibliografia su David Lazzaretti Profeta dell'Amiata", che L'Eterno Iddio ha manifestato in questi ultimi duecento anni. E ringraziamenti!, e riconoscenza a Leone che ha sostenuto e collaborato con la Signora Elvira Giro, nella Sua Opera (altamente meritoria), nella Divina Madre Cosmica, per le Rivelazioni promesse, nell'Apparizione alle Fontane di Roma, nell'aprile 1947. Conoscere questi avvenimenti, appunto manifestati dal Cielo, in questi duecento anni, farà sì, che si aprano orizzonti spirituali, che mai avremmo potuto pensare e sapere. E il nostro Credo sarà il Suo Credo quello manifestato dalla S.S.ma Trinità.

E da queste Opere e da questo Credo conosceremo che l'Eterno Iddio ha operato, eccome!!! nel nostro tempo, e che i duemila anni dalla venuta di Gesù Cristo sceso per il piano spirituale, hanno finito per maturare le Sue promesse, del "Consolatore" profetizzato da Lui stesso con Gesù, e che, non poteva che essere il "Cristo" in seconda venuta sulla Terra, nella Persona di David Lazzaretti, per il piano sociale, il quale ha aperto il libro della "Nuova Vita", che era stato chiuso con sette Sigilli dallo sdegno di Dio, e che solo Dio in "Cristo" avrebbe potuto aprire. E se in queste Sue discese sulla Terra, il "Cristo" in Gesù Nazareno ha voluto vincere la Superbia in Lucifero, il "Cristo" in David Lazzaretti ha vinto la Lussuria nel Satana, e con Gesù e David il "Cristo" in Elvira Giro la "Divina Madre" "Colomba" "Spirito Santo", ha vinto l'Ignoranza nel Diavolo intrigante ciarlatano e ribelle, che con le politiche negative confusionarie, è stato la causa della morte di tanti santi e martiri e innocenti sulla Terra.

A Lei toccava, definitivamente, schiacciare la testa al simbolo religioso negativo, il serpente nero, per portare a Vittoria il serpente d'Argento della conoscenza e della sapienza, simbolo religioso positivo dell'Era dello Spirito Santo. Lei è la "Madre Cosmica Spirito Santo", la "Donna vestita di Sole" (Cristico), annunciata nell'Apocalisse N. 10 e N. 12 da Giovanni Evangelista, che aveva profetizzato per le cose avvenire, non per quelle che si erano già attuate in Terra. Ecco io qui, vorrei proprio scrivere, per farlo conoscere il "credo Giuris-Davidico" maturato dal Padre e dalla Madre Cosmici, per l'evoluzione del nostro tempo avvenire, e dico subito che nessuno s'illuda di rinnegare lo Spirito della Grande Madre, che ha operato sulla Terra, con tutta la Sua sollecitudine ed il Suo Amore. Gesù aveva affidato l'umanità allo Spirito della Madre, e in questi duemila anni Lei è sempre stata presente col Suo Spirito, alla cura delle anime. E, se non sarà riconosciuta dall'umanità, noi tutti con questo offenderemo grandemente e gravemente l'Eterno Iddio Padre, che ce l'ha mandata, e con Lei sulla Terra, avveniva la "Parusia" cioè il cambio dello Spirito, l'uscita dallo Spirito Crocefisso per il "Regno dello Spirito Santo". Meraviglia ai tempi nostri Signore! Tu ci prepari alla Suprema Tua Manifestazione. Faccene degni "Amore". Noi ti aspettiamo! Vieni, vieni, vieni tra noi!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La DONNA VESTITA DI SOLE nella Missione di ELVIRA GIRO (1967)

 

Opera sul piano terra della Donna vestita di Sole con il Verbo di Dio nelle Sue Manifestazioni: il Raggio Cristico ed il Diritto Cristico, stabiliti sul piano terra e sigillati nei tre corpi fisici: Gesù Cristo David Lazzaretti Elvira Giro (Roma 6 agosto 1967: comunicazione ricevuta dal Centro Solare Cristico).

 

 

 

 

 

 

ELVIRA GIRO

 

Nella missione della “Grande Madre Regina dell’Universo” per l’Opera di rinnovamento

spirituale di tutta la Terra.

(nata a Noventa Vicentina, il 4 febbraio 1910)

 

 

Opera della Chiesa Universale Giuris – Davidica

DEL REGNO DELLO SPIRITO SANTO

 

 

 

 

Ecco dunque "Il CREDO" per il Terzo Testamento nella "Chiesa Universale Giuris-Davidica della Santissima Trinità di Dio con lo Spirito Santo Madre".

 

 

 

 

Credo nell'Altissimo Signore I.D.D.I.O., Creatore e conduttore del Moto Universale e nella Trinità sua Santissima.

Credo nella Grande Madre: Regina dell'Universo, che ha i poteri di governare, per guidarci alla salvezza eterna.

Credo in un solo D.I.O., in tre persone uguali e distinte: "Padre-Figlio-Spirito Santo", Signore del Cielo e della Terra.

Credo in Gesù Cristo, quale prima "persona" della S.S.ma Trinità di D.I.O. che ha portato la "Redenzione" nella umana famiglia.

Credo in David, Cristo, Duce e Giudice, quale seconda "persona" della S.S.ma Trinità di D.I.O., che ha portato la "Resurrezione" nell'umana famiglia.

Credo a Elvira, Spirito di Verità, Spirito Santo, quale terza "persona" della SS.ma Trinità di D.I.O. che ha "rivelato i grandi misteri della vita umana" per il raggiungimento della nostra perfezione in D.I.O.

Credo nella nostra "prima Resurrezione" e nella "Redenzione" attraverso l'Opera di questi "tre figli di D.I.O." che si sono sacrificati per noi.

Credo nella Maestà Suprema di D.I.O., nella Sua Chiesa Universale, con "la Legge del Diritto Divino Sopra l'Umano Diritto".

Credo nella "Resurrezione completa dei nostri corpi" per la vita eterna in D.I.O.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Così, il Credo!, perché il Grande Mistero delle Tre Persone Distinte in Un Solo Dio è Compiuto.

Così è scritto nello stemma della Grande Madre, che racchiude in sé in due C inversi con la croce in mezzo, che significano "Cristo" nella prima e nella seconda venuta, e cerchio aperto alla conoscenza e soprattutto il Simbolo e Sigillo del Dio Vivo, e Sigillo del timbro del "Battesimo del Fuoco dello Spirito Santo".

Le tavole ed i disegni che compongono l'Opera della "Colomba Madre" sono meravigliosi ed estremamente chiarificatori ed esplicativi. Tutti hanno diritto a nutrirsi della "Luce". Le editorie si dovrebbero smuovere a fornirli tutti i libretti, e magari rilegati insieme, a caratteri ingranditi, per poterli leggere tutta la vita, e possibilmente tradurli, con fedeltà perché li possano leggere anche all'estero. Io ne ho potuto dopo ingranditi, rilegarne solo sei, di cui uno l'ho inviato alla Biblioteca del mio paese.

Mi sono limitata, con i miei possibili sacrifici (fatti con grande amore), di braccia e di soldi a ingrandire e fotocopiare e far rilegare separati, moltissime copie dell'Opera, e li ho portati in varie biblioteche, ed anche donate, a privati. Circa una quarantina tutte complete in dieci anni e più, compresi i libri di David, di don Filippo e di don Polverini.

Di più non ho potuto fare. Le preoccupazioni per le tasse eccessive, il condominio con i suoi lavori, sempre necessari purtroppo, l'impossibilità fisica, le malattie, le farmacie che assorbono oggi tutto il sangue della gente, tanto son care le medicine, che non sempre è consentito il comprarle. Le case farmaceutiche hanno più entrate, di quante ne abbia una nazione intera. Dovrebbero restituire almeno in parte, ai cittadini, il grande soprappiù dei mezzi accumulati sulle sofferenze umane. I governanti di tutti i paesi pensano solo a spremere, ad autofinanziarsi, a riempirsi le tasche con cifre di stipendi e pensioni vergognose. Eh! no, loro non si vergognano!

Passano il tempo in quisquilie e in diatribe inutili, e si impediscono a vicenda l'attuazione di sane iniziative. Penso a veri e propri piani di lavoro oggi non più derogabili o dilazionabili. Piani di lavoro seri e multipli, cioè presentati da più gruppi di deputati. Confrontare poi, e scegliere le parti migliori di ognuno d'essi.

I soldi ci sono poiché per le guerre, li troverebbero subito, e poi il lavoro stesso produrrebbe i soldi. Basta allora un po' di buona volontà. I deputati in parlamento sono in esubero, ma se funzionassero meglio andrebbero sempre bene. La povertà è straripante, e i popoli soffrono terribilmente. Le vicende del mondo in generale sono difficili e disastrose. Non si può non vedere o non sapere, che succede questo e quell'altro, guerre infamie ecc...

Ma possibile che l'essere umano non capisca, che bisogna distruggere tutte, tutte le armi di ogni genere e in concordia darsi nuovi obbiettivi per distribuire equamente le possibilità di vita per tutti, e l'istruzione che è necessaria come il pan dell'anima, e studiare le scienze spirituali, in primo luogo la scienza Giuris-Davidica che scende direttamente dall'Eterno Iddio, attraverso Gesù Cristo e il Cristo David, e la Madre Scienza in Elvira. Come ho scritto addietro, l'Università degli studi internazionali delle Scienze Spirituali, deve sorgere in Roma (all'EUR) per Volontà del Padre e della Madre Santissimi. La Madre dice della Chiesa: "è una porta?, o è un muro?" Se è una porta, sarà chiusa con assi di cedro! Se è un muro, si costruiranno su di esso, dei baluardi d'Argento (Opera dello Spirito Santo).

Gennaio ‘98: vedo in chiaroveggenza; un grande portale molto alto, con sopra una grossa architrave squadrata rettangolare. Sotto l'architrave e sopra il portale, vedo un pezzo di muro alto una sessantina di centimetri. Muro molle che quasi va a squagliarsi, e grido: "Questo muro, è troppo molle, non c'è abbastanza cemento dentro!" Era un grande portale chiuso, ed io desideravo fino a morirne che si aprisse. Allora mi rivolsi al Cielo, alla soglia dell'Empireo supplicando: "Oh! Porte Eternali, su spalancatevi! Su spalancatevi!" Che dopo la "Regina", entrerà il "Re" del Quaternario il "Re" della Gloria ,sulla Terra, quando questa guarderà con occhi spirituali, la Sua Luce Divina.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

VERGINE DELLA RIVELAZIONE

Roma, 12 aprile 1947

 

 

Le Rivelazioni della S. S.ma Madre, apparsa alle “Tre Fontane” di Roma, sono racchiuse in 13 Libretti. La Sua Opera è molto complessa. Occorre studiarla con riflessione. Le Sue Rivelazioni riguardano: “Le Verità Creative” del Regno Umano. La Sua venuta sulla Terra era stata annunziata al n. 10 dell’Apocalisse, di Giovanni Evang. La Grande Madre Cosmica, con la Sua Grande Opera, ha realizzato il “Giudizio Universale” sulla Terra, determinando “la Parosia”, o il Cambio dell’Anima della Terra, nell’agosto 1981.

 

 

 

 

Dopo questo mi è rimasto forte in mente, la visuale del portale. Oh!, aprilo Signore! Tornando indietro nel tempo, io mi sentivo sempre angosciata e ansiosa a proposito di mio fratello Sandrino, sparito o morto in Russia. Allora non mi davo pace e scrissi al Vaticano, alla Croce Rossa, ed anche altrove senza poter sapere niente. Conobbi casualmente una persona, che si definiva, e lo era certamente "medium". Pensai di rivolgermi per conoscere qualcosa su mio fratello, ma non volevo fare alcun passo, senza il permesso ecclesiastico. In quel tempo non conoscevo ancora l'Opera Giuris-Davidica, e non sapevo il parere della "Colomba Madre" a proposito dei "medium", o persone sensitive In breve Lei dice questo: "Io non mi scandalizzerei tanto su queste persone, che possono anche essere scelte dall'Eterno Iddio, come Suoi strumenti, per risvegliare le anime-spirito dalla materialità, nella quale sono immerse".

Mi decisi allora di chiedere il permesso ad un Sacerdote Cattolico, che era venuto su da Roma occasionalmente a Firenze. Lo trovai indaffaratissimo sulle sue carte. In passato aveva stanziato a Firenze proprio al tempo dell'alluvione, e mi conosceva di vista. Vedendolo tanto impegnato e frettoloso, concretizzai al massimo la mia richiesta senza spiegazioni, con queste parole: "Padre, ho bisogno di un permesso a scatola chiusa". Mi risponde: "Ho fretta, devo ripartire per Roma", poi si volta un attimo verso di me, ci pensa e mi dice: "Io glielo do, ma...attenta a non bruciarsi!"

Ringrazio, saluto e vado. Tutto andò bene, non solo seppi di mio fratello in Russia, (purtroppo)!, ma chiesi anche di mia madre Maria Valeriana, che su di lei il medium, ebbe una vera visione, che mai aveva avuto una simile, mi disse, e ne era grandemente meravigliato. Mi raccontò che vide mia madre, tutta vestita di bianco luminoso, come scendere, da un piccolo poggio tutto bianco, dove c'era una strada fatta tutta di sassolini tondi e bianchi candidi. Io fui felice al suo racconto, perché lo credevo assolutamente.

Pensai in cuor mio; ecco, quando c'è il permesso della chiesa. Dopo un po', uscii dal negozio, ma prima a questa persona vidi la sua aura, e glielo dissi. Era la prima volta che mi capitava di vedere l'aura a qualcuno. Non ho mai approfittato di questo permesso, ma però mi successe che in casa mia vennero a trovarmi due donne e un giovane fidanzato ad una di loro. Io raccontai loro la cosa, e vollero provare loro tre a interpellare qualcuno. Risultato insoddisfacente per me che stavo a guardare il loro modo, fuori dalle più elementari regole e disposizioni (qualcuna fumava ecco).

Tutto il pomeriggio, vedevo l'ora che se ne andassero e così fu. Ma dopo mi accorsi delle conseguenze negative che erano rimaste nella casa e anche gravi e vedevo pure. Pregai tanto e tanto fino a che la mia casa fu liberata. Ecco, la bruciatura, una delle bruciature, di cui mi aveva prevenuto il buon Sacerdote. Il pericolo, o i pericoli, sono soprattutto per le persone labili e deboli, che non hanno ricevuto sufficiente educazione religiosa positiva, alla loro sicurezza, ma sono lasciate sole in balia di se stesse, delle sole concezioni nere negative, e inconsciamente sprofondano nella paura, senza aver le basi per poter risalire. La chiesa ha ragione a consigliare la massima prudenza. Ma non basta vietare. A queste persone "vittime" bisogna insegnare i due concetti principali ben distinti.

E cioè: che il Bene è Assoluto, e non diffettibile, perciò Perfetto. Invece, il male non può essere assoluto e perciò difettoso e difettibile in se stesso, per cui finibile.

Bisogna insegnare loro pensieri positivi e ed a pensare sempre al "Bene" che è Dio. Scartare immantinente i mali pensieri, che sono di sfiducia, di invidia, gelosia, e negativi ecc. ecc.. Non lasciare posto a loro nel proprio cuore.  A proposito della medianità, di cui accennavo addietro, io non ho mai avuto tendenza a cercare o provocare io, certe cose. Mi ricordo però ancora che nel sonno mi investì di sé, col suo Spirito, Santa Caterina da Siena, presentandosi. Mi ricambiava la visita, che avevo fatta a Lei nella sua casa. E poi, un giorno subito dopo fatta la Santa Comunione in Santa Maria Novella, ai primi mesi dell'anno '65, i cinque poveri missionari uccisi in Africa, m'investirono dei loro Spiriti.

Certo, per me era sorpresa! Ma queste cose sono avvenute spontaneamente. Mi abbandonavo totalmente alla Volontà di Dio, e basta. In quel tempo, feci pure un sogno così: vidi entrare in casa mia l'idraulico della zona. Lo sapevo morto. Era egli un omone imponente e con voce, che lo sentivano in vasto raggio.

E purtroppo era sordo, in sogno mi da un grossissimo mazzo di chiavi, non moderne, ma pulite. Guardo erano lunghe sui dieci centimetri, non di più. Erano tante! tutte legate insieme.

Mi dice: "tenga" e me le pone tra le mani. Lo ringrazio e, se ne va come sparito, come avesse compiuta una missione.

Mi sveglio e penso; già l'idraulico (il custode dell'acqua)?! Era anche sordo, cioè, (colui che sulla Terra, custodisce l'elemento acqua "Opera di Gesù" è sordo)?! (Pietro)!? Io non ho potuto fare a meno, di collegare il sogno, al permesso a scatola chiusa, e mi son detta: "Solo Dio lo sa, faccia Lui". In quegli anni, avevo per mezzo della Madonna offerto a Dio, la mia inazione o (non azione) (non avevo altro da offrire), per la Sua Azione. Una bella contropartita, eh! E su questo mio dato, mi sovviene, che avevo sentito quella sera in cucina, tante voci di angeli cantare con motivo che ricordo ancora. Dicevano nella loro canzone: "La Vergine Maria siano le vostre, le nostre azioni"!

Adesso dopo tanto tempo considero la sordità di "Pietro" che non ha accettato la discesa del "Cristo" in seconda venuta, e l'ha respinto, e mi domando se potrà mai su questo rimediare, e, come?

Come ha cercato di fare con Galileo Galilei, riconoscendo l'errore? E come ha fatto con il popolo ebreo, in questi giorni, con un atto di umiltà verso di loro?, portando tutta la cattolicità all'autoesame di coscienza?. Questo era giusto, perché tutti siamo coinvolti in tutto. Ma forse non tutti!, e, non in tutto. No, non dovevano privarci, e togliere la "Consolazione la Resurrezione" che ci portava appunto il "Consolatore" promesso da Gesù nel "Cristo" in seconda venuta. "Vegliate! diceva, perché Io sono alle porte!" La storia si ripete, nel sangue fino ad ora. Ma l'Eterno Iddio manderà ancora i nuovi maestri, i nuovi profeti che toglieranno le varie cecità, nelle quali ci ricoprono.

L'Eterno Padre non deve sottomettersi a nessuno. Siamo tutti noi che dobbiamo sottometterci a Lui!

E quando il "Padre" si manifesterà al tempo prescelto, certo non si sottometterà al sangue, come Gesù e David si sottomisero, ma sarà .......... Non dovevano respingere David!, e tanto meno la Madre in questo secolo operante. Ella ha sottolineato i loro errori, e pure quelli di impostazione eristica nei secoli. È venuta nel mondo scegliendosi un corpo per compiere l'Opera Sua Meravigliosa, sul suolo italiano, ed è venuta per demolire (Sua Azione dal 30/12/86 al 10/2/87) il Grande Dragone, cioè lo spirito del corpo mistico materiale negativo della Terra, preponderantemente maschile, causa di tanto dolore, sangue sulla terra. La maschilità si è abbastanza squalificata nella conduzione del mondo, in vari aspetti e settori, non c'era bisogno che si squalificasse anche nel attribuire solo agli uomini il sacerdozio, e la ufficiatura del culto. La Divina Madre consacrando me e la Rosa di Sanbuceto, sul Monte Labro, ha sottolineato la libertà di Dio con le sue Creature, nel suo Diritto Divino. Quindi la donna può essere sacerdotessa a fianco del sacerdozio maschile. La donna è sempre stata la più sensibile e rispondente alla religiosità più profonda del cuore. Qui, voglio raccontare dei piccoli episodi, che ricordo avvenuti nel contesto dei tempi loro. Il mese del papato di Papa Luciani. Quel Papa che ci aveva quasi tutti commossi, con la sua semplicità ed suo sorriso. Io avevo sentito la sua voce, durante le sue presentazioni ai popoli, non appena all'inizio del suo papato. Io poi non ci pensai più, dato il mio lavoro che sempre mi assorbiva moltissimo. Ma un giorno, tornata a casa sul mezzodì, mi recai a fare una piccola preghiera davanti al quadro della Madonna di Castelmonte, che tengo sopra un piccolo altarino, in un angolo in camera mia. Mentre pregavo dovetti smettere, perché sentii la voce chiara, e distinta di Papa Luciani a dirmi: "Sono stato assassinato!" Io cacciai un grido istintivo, dicendo: "Nooh!" Pregai che non fosse vero. Io ero tutto il giorno sola, ed i giornali non li compravo mai, il televisore non ce l'avevo, perciò non sapevo niente. La radio però ce l'avevo, e alla sera me ne andai in cucina per la cena e l'accesi. Sentii la notizia della morte di Papa Luciani, e rimasi esterrefatta. Avevo sentito chiarissimamente la sua voce e quello che aveva detto. Papa Luciani è stato una vittima di cose turpi e oscure, basate su mali interessi, purtroppo. Così è stato questo episodio per me. Chi, collegava i nostri spiriti? Spontaneamente così, perché sapessi? Mesi prima di questo fatto, avevo sognato papa Montini e papa Roncalli venuti a pranzo in casa mia e sedevano a tavola. Io ero in piedi e li vedevo a colori, con la loro mantellina rossa e la loro papalina bianca.

Confabulavano tra loro benevolmente, ma non riuscivo a capire quello che si dicevano. Durante il giorno, mi dicevo; perché mai? Certo non mi sarei mai aspettata delle presenze simili! E il terzo papa?, o Giovanni della Madre Scienza, Leone Graziani, il papa Giuris-Davidico o "Giovannitico", anche Lui a casa mia!

Ed ora dico di papa Wojtila, una cosa che, mi ha in un certo senso sfiorata. Ero andata col gruppo parrocchiale, in autopullman proprio a Roma per l'incontro col papa, nei primi anni dell'80.

Ci accolse, ci intrattenne tutti insieme, ed ad un certo punto, volto dalla mia parte ed anche guardando me, disse ad alta voce, ed anche lo ripeté: "Il papa, (cioè lui) ha bisogno di mani, ha bisogno di mani!" Io che avevo tanti dolori ed anche specialmente alle mani, le dissi mentalmente "papa, so che lo dici a me, prendi le mie, tanto sono di già crocefisse, contano!" Credo che fossero le più doloranti mani in quel momento.

Sono a ricordare un po' di tutto, e così anche questo. Io avevo dipinto degli orci enormi, ora insabbiati in una cantina, perché non ho lo spirito commerciale e non so vendere nemmeno un fazzoletto. Essendo alti sopra il metro non li ho voluti tenere in casa occupavano troppo posto. A dirla bene, prima li avrei voluti portare a "Portobello", trasmissione televisiva, condotta da Enzo Tortora dove sarebbero andati all'asta, ma, successe che la trasmissione si chiuse, per l'ingiustizia ricevuta e subita dal conduttore Enzo Tortora. Ahi! la giustizia umana!, quante vittime, in tutto il mondo! Insomma non ne feci di nulla cogli orcioni. Non ci pensai più e li posi fuori casa lontano. Neanche finito di portarli via da casa, nelle notti seguenti, mi venne in sogno la Principessa Grace Kelly di Monaco (già defunta), purtroppo per l'incidente d'auto, mi dice: "Vendi i tuoi orci a mio marito!" E mi si dilegua nel sonno. Svegliata mi dico: figurarsi! con le mie timidezze! Mi misi a ridere.

Non avrei saputo come e cosa fare. A proposito di Principesse. Alla infelice morte della Principessa Diana, la notte susseguente la disgrazia, la Principessa mi venne in sogno fortissimamente, e a colori. Con bellissimi colori. La vedevo, come si dice; a busto. Mi guardò amabilmente e mi sorrise, nulla mi disse. Mi svegliai e mi stupii di questo fatto. Erano poco più che le ore ventitré, cioè un'ora e mezza che dormivo. Fui anche contenta, e mi dicevo: che contatto psichico è mai questo?, così spontaneo, nel sonno! L'ho proprio vista bene, con la sua espressività, sapeva che era vicino a me, voleva esserlo! Che strano! Questa dunque, la storia della presenza delle due Principesse, con me... Ultimamente ho rivisto i miei parenti, e quando li rivedo sono molto contenta. Passano purtroppo, gli anni anche per loro, ed hanno problemi di salute pure loro. La mia sorella Franca ha i calcoli al fegato e la pressione che tende troppo in su, all'incontrario di me.

Ora verso la Pasqua, deve operarsi comunque. Speriamo in bene! Adesso che siamo più mature, abbiamo imparato a volersi un po’ più di bene, ma lei è furba, ed è un po' più calma nel cangiar d'umore. Io non ho detto nulla a loro dei miei aggiunti problemi di salute, già ne sapevano troppi. Per ora mi difendo sopportando, ma per quello peggio, sono ancora scoperta con le cure. Non ci siamo ancora. Mi accontento di vedere il sole alla mattina quando apro le imposte. Spero quest'estate, se sarà possibile per tante cose, di andare all'aria buona, ma vedremo.

Questo ultimo Natale, ho visto anche mio fratello Eusebio con la moglie. Sua madre, la mia matrigna ha novant'anni e vive con mia sorella Pia, che non è sposata. Mia sorella Luisa è sposata ed ha un bambino. Luca, molto intelligente. Quando il bambino aveva solo quattro anni, lui mi sfidò ad una partita a carte per la briscola, e me ne vinse subito due. Non avrei mai immaginato, quattro anni! A scuola questo bimbo ora va molto bene. Mio fratello Mario ha cinque figli, adesso tutti adulti.

A volte vengono a Firenze a visitare la città e così li vedo qualche volta. Della mia fede giuris-davidica non se ne parla, sebbene li abbia riforniti per la loro conoscenza di tutti i libri. Non hanno avuto tempo di leggerli. E allora; chi sa sa, e chi non sa, non sa a suo danno. Nel dispensare l'Opera, una copia completa, a scrittura ingrandita l'ho consegnata anche ai Frati Francescani, per attuare la Volontà della Divina Madre la "Regina dell'Universo", che, era quella che l'avessero loro. Avrei voluto consegnare l'Opera a più gruppi di Frati Francescani, ma sono limitata ora, nelle braccia e in altre possibilità. Esorto tutti i Frati Francescani a procurarsela, che questa è Volontà d'Iddio Madre e conseguentemente Volontà del Padre Iddio.

Dopo che con l'aiuto (perché i libri pesano) della Sig. Maria B. giurisdavidica, ebbi consegnata l'Opera ad un Frate padre R. (che forse meritava averLa nelle sue mani) sere dopo vidi in chiaroveggenza dei Frati sedere attorno ad un tavolo parlottando. Uno di loro, grosso con un pancione, era in piedi agitato e borbottava male, denigrando, naturalmente senza ancora capire e conoscere, respingendo a priori, dicendo; è una .......... non dico l'epiteto, che è di una gravità (che nessuno al mondo, né uomo né donna, vorrebbe vederselo affibbiato, anche se lo fosse davvero), perché mi fa assai dispiacere, e non voglio nemmeno l'ombra sulla "Colomba Madre". In due giorni che avevo portato l'Opera non era certo stato sveglio la notte per studiarla, (e ci vorrebbero altro che due notti). Quindi, com'è facile pensare male, piuttosto che bene!, e respingere ciò che ancora non si conosce. Parole di Gesù: "Verrà lo Spirito di Verità, lo Spirito S., e farà nuove tutte le cose". Ma, com'è difficile accantonare prudentemente le cose vecchie statiche, per considerare le cose nuove! Riflettiamoci, anche a quest'altre parole di Nostro Signore Gesù: "Non si può cucire una toppa nuova sul vestito vecchio, altrimenti si perde quella e quello". I Frati in quella stanza, erano altri cinque a sedere attorno al tavolo. Io spero in quei cinque, che quando avranno capito, questi sì, si alzino con nuovo ardore, e seguano gli indirizzi Spirituali dello "Spirito Santo"'. Il Cielo risponderà, che non ha mai mancato di darne le conferme. Ognuno ponga il proprio intelletto nel Cuore, di Dio. Non può non essere difficile, questa Scienza, appunto della "Madre Scienza" però non è impossibile a capirsi e soprattutto è Vera! In sé racchiude misteri che l'anima gradualmente acquisisce, via via che il suo spirito s'illumina.

Si possono sempre smussare gli spigoli del comodo conservatorismo eccessivo e statico.

La Divina Madre "Regina dell'Universo e delle Vittorie" dice: "Non c'è più il dogma!!! E me, mi convince. Siate tutti convinti! Non c'è bisogno del dogma, quando c'è la "L U C E". Oh! Madre adorata, dall'Alto Onorata, e dal basso reietta! possano i colli appianarsi e le montagne abbassarsi di fronte a Te! Il Beato Monforte la profetizzò, che sarebbe tornata sulla Terra, e sarebbe stata Madre, cioè con un Figlio. Mi domandano alcune persone che ne è del Figlio di Elvira, "Franco"? (per affrancare tutti i Lazzari della Terra). Dico: "Non so, io sono a Firenze, e Lui è a Roma. Kilometri!" So che Lui rappresenta il D.A.I. sulla Terra, cioè il Diritto Armonico Irradiante, ma non so se l'Eterno Iddio l'abbia risvegliato in Se Stesso. Se non sarà così in questa sua vita, lo sarà probabilmente nella prossima sua incarnazione, perché l'Essenza del D.A.I. è già posta nel suo Spirito. Richiamo qui, il concetto importantissimo (che va capito), sul fattore della realtà della reincarnazione sociale e individuale, affermato nell’"Opera Materna" giurisdavidica, dalla stessa "Colomba Madre", e come ho scritto addietro, io stessa, per Volontà dell'Altissimo mi reincarnerò, fra trecento anni.

La Madre dice, che in mille anni ci potrà esser concesso, di reincarnarsi sette volte. Il corpo è una conquista dello spirito, e un grande dono di Dio, è implicita la cura e il rispetto che dobbiamo averne. Ciò che ho detto, credo sia sufficiente, e di essermi spiegata per il meglio, ma devo scrivere di me, per Volontà della Divina Madre, che mi ha accolta e protetta sotto il Suo Manto. In tutte le cose che mi sono accadute in fatto di Apparizioni Visioni Chiaroveggenze, coscienti, oppure in stato diverso, oppure nel sonno, devo dire che mai, avrei pensato di voler vedere, oppure di non voler vedere Niente, io non sono nulla, anzi sono tanto che volete miserevole e sennò non sarei stata in fondo all'estremo triangolo della creazione, fin dapprima di nascere. Forse doveva essere così. E neppure precisa o ordinata, tanto che lo potrete notare nella stesura di questo libro, che l'ho dovuto scrivere così a gettito senza badare a regole (che non conosco) ecc... Perciò coloro, che in questi miei scritti cercheranno perfezione letteraria si sbagliano. Infine perdoneranno l'incapace. Fratello Sacerdote Leone, una sera telefonandomi da Roma mi disse: "La Signora Elvira è qui vicino a sedere, ma è troppo stanca, che, non ce la fa a venire al telefono. Fa telefonare a me". Elvira dice questo: "La Fausta, ha la verga a sette nodi!" Io? "Sì, tu!" Non faccio domande, ascolto, taccio e penso: sette Spiriti? Non so proprio in cosa consista, la sua significazione. Non ho mai voluto dominio alcuno, anche se so, che la verga a cinque nodi, che aveva David Lazzaretti significava esattamente: "il dominio sulla materia".

Ci sono almeno due fotografie di David con la verga a cinque nodi. David finito di scrivere "I 29 Editti", precursori al "Codice della Nuova Riforma dello Spirito Santo", viene processato sul Colle Celio a Roma, dal Tribunale della Santa Inquisizione, giudicato falso Cristo, e con bolla di scomunica, esiliato in Francia. Dopo questo giudizio, egli affida ai suoi inquisitori i tre Simboli del Potere Spirituale, che consistono; nella "Verga", "l'Anello di smeraldo", e il "Sigillo per il Battesimo del Fuoco dello Spirito Santo", per affermare la Sua discesa in Terra come "Cristo".

Era il 14/Marzo/1878. Questa data segna la scissione dell'Ordine Giuris-Davidico dalla Chiesa Cattolica Apostolica Romana, e la nascita della Chiesa Universale Giuris-davidica della S. S. Trinità.

Dicevo prima della verga a me, ed ora dico questo, comunque un po’ strano. Sono pochissimi giorni che proprio fuori dalla porta a casa, ho trovato una verga di bambù a sette nodi. Ora la dovevo trovare!, per ricordarmi di scriverlo adesso? È un Simbolo? Non so. Faccia l'Azione di Dio! Io che ho visto soprannaturalmente 8/12/1964, la "Regina dell'Universo", in Apparizione in Santa Maria Novella a Firenze, e in postumo tempo 1986 ho visto in Apparizione alle dieci del mattino, a busto in grande e a colori "David Lazzaretti", dove in Lui ho visto il "Padre" come "Genio dell'Universo", penso; se, questo mio libro potesse essere almeno un barlume, per la povera umanità che brancola nel buio e in tante incertezze sulla Terra!

Come vorrei portare i loro cuori e i loro sentieri, a conoscere Dio nella Sua manifestazione nella Santissima Trinità, coi nomi di Gesù Nazareno e di David Lazzaretti ed Elvira Giro, la "Colomba Madre", la "Grande Madre Cosmica", la "Gran Possanza", la "Vergine del Fuoco", la "Donna Vestita di Sole" (Cristico) che l'Eterno Iddio Vuole sia Glorificata per il terzo millennio, in attesa di "Lui", della Sua discesa, della Sua Propria presa di Dimora sulla Terra. Col riconoscerLa, amarLa e servirLa, ci dovremo meritare il "Battesimo dell'Aria". Ci dovremo meritare il "Bacio del Perdono di Dio". Questa è la conclusione! Dante Alighieri ha profetizzato di "Lei" per questi tempi! Così, di lui, qui riproduco la meravigliosa cantica XXXIII.

 

"Vergine Madre, figlia del tuo figlio,

umile e alta più che creatura,

(termine fisso d'eterno consiglio).

Tu se' Colei che l'umana natura

nobilitasti sì, ch'l suo Fattore

non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l'Amore,

per lo cui caldo ne l'eterna pace

così è germinato questo fiore.

Qui se' a noi meridiana face

di caritate, e giuso, intra i mortali,

se' di speranza fontana vivace.

Donna, se' tanto grande e tanto vali,

che qual vuol grazia e a te non ricorre,

Sua disianza vuol volar senz'ali.

 

Dante dunque parla di Eterno Consiglio, da sempre, con Lei, per Lei, si raccese l'Amore, lo Spirito Santo; germinato questo fiore, la (bianca Rosa mistica) simbolo della Chiesa Universale Trinitaria, Giuris-Davidica.

Mercoledì 11/3/1998. Mi vidi, in una chiaroveggenza in sogno, che stavo appressandomi, al bruno convesso orizzonte della Terra, quando alzando lo sguardo ho visto un meraviglioso universo e fitto fitto di stelle, su fondo color di un bel blu notte. Questo universo, era posto proprio all'orizzonte della Terra, sulla Terra. Che stupendo!!! Quelle stelle!! Quelle stelle!!! Ma chi erano?, forse le anime che a moltitudini corrispondono alla Madonna? Ma quel blu così vivo, così caldo, è pure il colore del Suo manto in tante Sue effigi! Ed io andavo verso quelle stelle, verso quel terso orizzonte .......... Svegliandomi! E adesso, eccomi a raccontare le ultime cose, che posso raccontare in questo libro. Mi vidi nel sogno che ero di profilo e sedevo presso la finestra, alla luce del giorno intenta a finire un lavoro, non so quale. Mi vedevo come fossi staccata da me stessa, dal centro della stanza, mentre giù nella strada c'era un capannello di gente e un brusio. Sento fra loro una signora (Fiorella de R.) che ben conoscevo, che dice di me; "Era la nostra donna di servizio!" Mi vedevo dunque accanto alla finestra, e la mia testa era tre quattro volte più grande del normale, e tutta a colori tenui gradevoli, rosati, azzurrini chiari, e color perla. I miei capelli bruni raccolti alti a chignon schiacciato sulla nuca. Così nella tranquillità mi guardo, e vedo poco sopra la mia fronte, un meraviglioso diadema tutto tempestato di gemme, pietre preziose, tra cui smeraldi chiari topazi e rubini. Io seguitavo, leggermente il capo chino, il mio lavoro, come se quel diadema l'avessi sempre avuto. Ma in quell'istante mi sento che non ero più nel centro della stanza, ma tutt'una nella figura accanto alla finestra. Mentre nel lavoro così impegnata, sento un leggero fruscio ed alzo la testa. Uno stuolo di angiolini mi circondarono tutt'intorno al capo, oscillando danzando, sorridendo. Erano di quelli a sola testina, colmi di riccioli, e con le alucce che vibravano sotto il mento. Faccine colorate che guardo con gioia, e nel mentre, sento dall'Alto, la "Colomba Madre", dire simpaticamente: " FÀTTERO' FIÈ"!

Gli angiolini cominciarono a cantare, danzando oscillando d'intorno a me festosi, dicevano: "La grande Bella, bi, bi, bò, per sempre!" Ai loro moti accompagnati dal fruscio, un leggero ventolino mi sfiora la fronte, ed io rido con loro!

Avevo già portato a termine questo mio scritto infatti, ma in seguito forse ad un fatto spirituale, che un Signore venne a farsi battezzare giurisdavidico, con la protezione di San Raffaele Arcangelo, l'Arcangelo della Sapienza dello Spirito Santo, e al traguardo in questo mio compito nello scrivere il libro voluto della "Regina del Cielo", e questo fatto appunto del "Battesimo del Fuoco giurisdavidico nello Spirito Santo Madre". Due fatti così appresso. A me nella notte seguente, mi accadde un risveglio quanto mai impensabile. Sento nel sonno una presenza alla mia destra. Una presenza superna intensa e percepibile al punto da destarmi nel cuore della notte. Nello svegliarmi ne intuii l'essenza particolare, mentre al mio udito arriva questa decisa presentazione: "Il Faraone!" Cosa poteva significarmi? cosa mi voleva far capire questo "Personaggio" così inusuale al tempo presente, così lontano?

Anche da sveglia ne percepivo la presenza, senza acquisire più di un tanto, la specificità del corpo astrale che mi era accanto, e che pur avevo in qualche misura intravisto bene. L'Universo ha le sue misure, ma forse era sufficiente così! Cosa voleva dire o significare con la sua regale presenza? Notai che non mi era entrato dentro il fisico durante, il sonno, come una lontana notte invece, fece Santa Caterina da Siena, appunto presentandosi anche Lei decisamente così: "Sono Santa Caterina". E Lei entrata di slancio così nella mia persona, mi fece svegliare quando ancora la Sua voce mi sillabava dentro il petto. Ed io allora sapevo che mi ricambiava la visita e che avevo fatto nella sua casa, il giorno prima. Ma tornando al "Faraone", mi domandavo cosa ci avevo a che fare io? A cosa dovevo collegare questo fatto, sennonché alla visione che anni addietro avevo avuto, della "Grande Sfinge" che si voltava colla sua grande testa verso di me, significativamente, come ho detto? E forse, perché proprio anche a me venivano in parte rivelati, dalla "Regina dell'Universo" e confermati poi dalla "Colomba Madre" con Elvira Giro, e manifestati i Grandi Misteri dello Spirito, con apparizioni e visioni ecc? Ed io avevo concluso il mio compito? O forse, perché in definitiva nella piramide di Cheope (epoche), ci sono profezie nelle sue stesse misure e numeri, che significano le date importanti per tutta l'umanità, cioè le date di Nostro Signore Gesù Cristo, e poi il numero 1834 data di nascita di David Lazzaretti il Cristo Duce e Giudice della Terra, e poi il famoso scalino che misura 75 centimetri, che sono gli anni che David aveva profetizzato, cioè dopo settantacinque anni (nel nostro secolo), sarebbe venuta la Madre "Regina delle Vittorie", a completare l'Opera Sua.

 

 

 

 

 

 

ELVIRA GIRO nell’OPERA della MADRE SCIENZA

 

CHIESA UNIVERSALE GIURIS-DAVIDICA

DELLA SS. TRINITÀ DI DIO

CON LO SPIRITO SANTO

 

 

Non so altro, ma so che nei giorni seguenti, un nome mi attraversava il cervello. Un nome breve, non più di quattro o cinque lettere. Nome che mi sfuggiva e mi ritornava, e non ricordo altro che cominciava con la "A", ma che non sono riuscita a trattenere nella memoria. Era il nome di quel " Faraone"? Ma, chissà!

Questo incrocio di cose mi ha fatto pensare a Fatima, alla Madonna di Fatima e al Suo Segreto, che Lei voleva fosse svelato al Mondo nella seconda metà di questo secolo '900. Non è stato così. Non hanno voluto obbedire. E mi dico; affermava forse la "Vergine del Cuore", la Sua Presenza in un corpo umano sulla Terra? Era questo il Segreto? E perché mai non si doveva dire? Perché conteneva il concetto della reincarnazione? E perché mai, si è cercato di ostacolare la Sua Opera, e la Sua Presenza nella Persona della Signora Elvira Giro? Questi interrogativi racchiudono tante interpretazioni, prima, quella che si è sfidata la Volontà Divina. Chi può impedire a Dio le Sue deliberazioni? Non è venuta forse la "Divina Madre" per accoglierci amorevolmente nei dritti sentieri della conoscenza, e farci uscire dall'ignoranza che conduce alla cattiveria, e ed ai fanatismi che essa comporta? Le Sue parole dette dall'Alto: "Sono scesa tra voi, e non mi avete voluta riconoscere"! Non possono dire che Lei non si sia presentata. I documenti lo comprovano, ci sono presso i governanti italiani, (per aver chiesto il benestare al governo per la Nuova Istituzione), e presso il Vaticano ci sono pure lì documenti ed anche su di David Lazzaretti, il "Cristo in seconda venuta", e da loro respinto. Non credono questi Signori, che Lei "Iddio Madre", la "Divina Colomba Madre", potesse calare il Suo Spirito in un corpo da Lei prescelto e idoneo a manifestare la Santa Rivelazione, da Lei stessa promessa nell'Apparizione, alle Tre Fontane di Roma in quel del 12/4/1947? Non credono questi Signori, dal silenzio subdolo, che il Divino Spirito Materno, Spirito di Verità Spirito Santo, si meritasse un po' più di considerazione? E di attenzione? E di Amore? Perché non fare il passaggio, come voleva Lei, nel miglior modo possibile, dallo Spirito Crocefisso allo S. Santo, e all'Opera dello Spinto Santo Madre per il "Terzo Testamento", stabilito dalla Divina Madre, da anni luce? E col Padre Santissimo che ci dona la Legge, riconosciamole dunque a Lei Madre Santissima, la prerogativa del Governo della Famiglia Umana. Lei dice: "Le sofferenze dei popoli, devono cessare pure un giorno"! Ma certo, il giorno che trionferà l'Amore, appunto lo Spirito Santo nei cuori!

Se cerchiamo Dio "Padre-Madre" nel loro Santo Spirito, lo ritroveremo e potremo essere migliori di quello che siamo. Io pure dal fondo del triangolo della creazione, rappresento pur tutti i diffettosi del mondo, e come per me, spero anche per loro, che venga, che si anticipi quel giorno migliore per tutti, pur nelle proroghe di vita susseguentesi, per la nostra evoluzione spirituale. Ma noi facciano già parte del "Corpo Mistico Cristico" grazie all'Amore di Dio, che per noi si è fatto uccidere nei suoi Figli migliori, per ridarci la vita. Dobbiamo conoscere le "Opere" di Dio che, in ogni tempo Lui ha manifestato, nelle sue Tre Persone divine, cioè la "Santissima Trinità". Adorare ed amare Dio con tutto il cuore e con tutta la mente. Della Chiesa Universale Giurisdavidica della S. S. Trinità di Dio con lo Spirito Santo la Madre Scienza, io qui voglio fare conoscere quanti e quali sono nella Dottrina Universale gli ordini dei Santi Sacramenti istituiti; sono nove: 1° Battesimo dell'Acqua. 2° Comunione. 3° Battesimo del Fuoco dello Spirito Santo. 4° Matrimonio. 5° Consacrazione dei genitori. 6° Ordine Sacerdotale 7° Obbligo del Sacerdote di celebrare la Santa Funzione nelle feste. 8° Matrimonio spirituale di iniziazione. 9° Consegna dell'anima dei moribondi e sepoltura del corpo. Il decimo Sacramento, sarà il "Battesimo dell'Aria", ossia, il "Bacio (del Perdono) con Dio".

Nella Dottrina Giurisdavidica, sono spiegati anche i tempi, nei quali ricevere i Santi Sacramenti. Adesso dirò delle feste comandate per la ricorrenza felice dell'umana famiglia. Le feste sono 10: "il Capodanno", per incoraggiare a nuova vita, si dice anche giorno di circoncisione. "Il 14 Marzo", data di inizio dell'Era dello Spirito Santo Madre, e pure festa degli Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele. "Il 15 Agosto", festa dell'Assunzione al Cielo della Madre S.S. e Patto di Alleanza tra Dio e gli uomini. "Il 25 Dicembre", Natale di Gesù Cristo. "II I° Novembre", Natale di David C. D. G. "Il 4 Febbraio", Natale di Elvira Giro Spirito di Verità nello Spirito Santo. "La Pasqua di Gesù, il 17 Marzo", chiamata Pasqua di Redenzione in Cristo Re. "La Pasqua di David C. D. G., il 18 Agosto", chiamata Pasqua di Resurrezione in Cristo Re, (ci ha resi liberi dalla morte eterna). "Il 29 febbraio" è stata stabilita dallo Spirito Santo, e ricorre ogni 4 anni, e racchiude il mistero dell'ultima manifestazione tra il Creatore e le Sue creature. Il "13 Dicembre" festa della LUCE scesa sulla Terra (1951) quale Spirito di Verità, Spirito Santo. Le altre feste dei Santi Patroni o Nazionali sono rimesse nelle Domeniche, al fine di dedicare i giorni feriali al lavoro.

Io qui non spiego di più perché l'Opera Giuris-davidica e la sua Dottrina va conosciuta e studiata con serietà. Perché è tanto bella, positiva al massimo e viene dal Cielo. Io non so quanto mi rimarrà di tempo da vivere, per via della precarietà della mia salute, ma si spera sempre in una proroga, perché anche il corpo è un dono di Dio. Ma da viva di qua, o da viva di là, il mio cuore e la mia mente viaggiano con l'auspicio che al Monte Labro, dove l'Eterno Iddio ha posto "l'Arca dell'Ultima ed Eterna Sua Alleanza" cogli uomini, per Missione di David Lazzaretti il "Cristo Giudice" abbia la ricostruzione e il decoro dovuto ad un così Alto Evento, e ad una così grandemente confortante significazione per noi umani. I cattolici di quel tempo (1878/79) fanatici, irriflessivi e facinorosi hanno distrutto ciò che il Cristo David aveva fatto e forse non tutti di loro erano colpevoli senza timor di Dio, ma ciechi sì. Obbligo sulle cose del Signore di riflettere.

Ed ora sarebbe giusto che i cattolici di questo tempo, riparassero a tutta la distruzione e al vandalismo fatto, e fossero proprio loro con umiltà, prima a capire, e poi a riparare. "L'Arca Santa di Dio", si merita il Rispetto dovuto. Non si illudano che su queste cose Dio non ne tenga conto. L'onta rimane, e ci vuole riparazione d'Amore per cancellarla. E poi l'Eterno Iddio non soprassiede oramai specialmente ora, che in questo secolo ha mandato sulla terra lo Spirito Santo Spirito di Verità della Sua Sposa, che non venga riconosciuta e amata e adorata. Lei è Iddio-Madre tutt'uno col Padre, nelle diverse prerogative. Se non riconosceremo le Opere delle Tre Persone Distinte in un solo Dio, ne riceveremo il boomerang negativo per tutta l'Umanità, e per causa nostra, solo per nostra responsabilità, e indifferenza! "Guardati dagli idioti e dagli indifferenti", così mi disse Padre Pio!

Ho scritto addietro: "Gesù desidera"; sia fatta una congregazione libera, di "Amici di Elvira", la "Colomba Madre". Ed io mi auguro che un giorno, un "Esercito di Pace" di colombine e colombini bianchi fioriti (chiaroveggenza) =  (anime - spirito, della Stirpe di Abramo) abitino sulla Terra, a sua Gloria e Onore. A Gloria e Onore di Lei, la "Regina dell'Universo", la "Regina delle Vittorie". L'Eterno Iddio Padre e Madre tutti i giorni ci ricoprono delle Loro dovizie, che, sono innumerevoli, ci donano, la Vita e quant'altro. Proviamo un po' a considerare?! In Virtù della Divina Madre, per il Suo Verbo Nuovo, il canale di congiunzione con Lui il Padre, è stato aperto nel simbolo del meraviglioso albero del "Sambuco". Chi lo trova con fede, con lo spirito, con Amore sentirà nella giusta opportunità la Voce del "Padre Celeste". Nulla viene regalato. La nostra anima deve essere costantemente a Lui volta con tanto tanto Amore e fede. Grazie Padre! Madre adorata ora che mi hai con te congiunta allo Zenit, fa che la mia vita non sia stata vana, e che con me si congiungano a te tutti coloro che soffrono, per esserne liberati dalle sofferenze e da ogni cecità spirituale.

E nel ritornare sulla terra, spero di vivere ancora della Tua Grazia e nella Tua Grazia per me e per tutti, almeno per molti. Grazie, Divina Madre! "Regina dell'Universo" e del mio cuore! Che Dio mi accompagni in questa pagina che devo scrivere, poiché stamattina al mio risveglio, ho sentito questo, detto, entusiasticamente: "Che Stella!, che bella Stella!, che bella Stella!" In fine al racconto spiegherò questa "Stella". Dunque; ho raccontato del "Faraone" nel risveglio notturno di notti fa, dove udii la presentazione e vidi la sagoma astrale, imponente e distinta. Adesso passo a quello che successe in casa mia, due o tre giorni dopo. Eravamo nelle prime settimane di aprile. Una sera stanca mi ero coricata verso le nove, ma non dormivo. Seguivo qualcosa di poco importante alla televisione, quando suonano alla porta e vado e guardo prima di aprire. Erano persone, della zona, che conoscevo bene, una Signora con delle sue sorelle. Apro, mi dicono: "Senta, ce lo farebbe un urgente piacere di ospitare per almeno questa notte o due, un nostro zio che non ha voluto rimanere nella clinica dov'era ricoverato per grave malattia al fegato. Non ha voluto andare presso la figlia, per incompatibilità col genero. Noi siamo in sette e non possiamo ospitarlo. Siamo già super affollati e non ci è proprio possibile. Ce lo faccia questo piacere e sarà per un giorno o due, di più se lei crederà di tenerlo, pagheremo l'affitto. Lui sta molto male, e non avrà molto da vivere e però non si sa mai". Rifletto un attimo. Non dico di che natura è il mio male, ma dico che sto male pure io (loro già sapevano della poliartrite da trent'anni), e che al loro zio anche volendo, non avrei potuto in nessun modo farle le notti di assistenza.

Loro dicono che sono in sei sorelle e tutte nipoti e che un po' l'una e un po' l'altra se ci fosse stato bisogno, si sarebbero prestate. Tutte volevano bene a questo zio, però una per volta avvicinandosi a me (volevano mettermi sull'avviso, per sincerità) mi dissero di lui: "Sa, ci ha un carattere...esigente ecc..." Questo da tutte le nipoti. Ciò mi fece anche sorridere dentro il cuore. Di caratteri più o meno umorali, ne avevo incontrati tanti nel corso della mia vita, e dissi tra me si vedrà, io per certo non provocherò data la mia indole. Dicendo che non posso impegnarmi assolutamente per tempo indeterminato per malattia mia, e arrivo di parenti miei, infine accetto. Vanno a prendere lo zio loro, ed io preparo la stanza. Arrivano alle ore ventidue. Apro la porta, e penso tra me; mamma mia, due malati di cancro in casa e soli, come faremo? Mi starò dando la zappa sui piedi, come si dice. Lo faccio accomodare. Era altissimo tanto che allo stipite della porta d'ingresso, che pure è molto alta, ha dovuto inchinarsi, anche perché portava in testa un berretto di lana scura fatto a cono a tre rialzi. Decisamente un berretto molto alto, fuori del comune. Entra avvolto in una vestaglia scura, con la sciarpa bianca al collo. Me lo presentano è il Signor V. È altissimo e magro, e pallidissimo. Penso senza esternare; Dio mio, che ha fatto questo Signore? è scappato dalla clinica a tutta tarda sera? Non ci stava a suo agio? Tutte le sue parenti l'accompagnano con me in camera e le fanno tutte le necessarie sollecitudini. E salutandolo se ne vanno, lo pure lo saluto augurandole buona notte, e mi ritiro.

Penso un po' spaventata parlando tra me; non possono due persone malate gravi stare sole in questa casa! Vediamo come andranno le cose. E sospiravo. Però, com'è alto questo Sig. V. e com'è distinto nell'aspetto! Addirittura ieratico, altero, con purtroppo il colore giallo in viso, rivelatore che il fegato non produce più il necessario sangue. Poverino! Cosa potrò fare mai? Già, facevo queste considerazioni. L'indomani, uscì con due sue nipoti, ben vestito, tirato a lucido, senza il berretto cono. A mezzogiorno, eccolo a casa. Una nipote le porta la minestra calda pronta in tavola in cucina. Lui dice: "Appena posso, cucinerò da me che ne sono capace". Mangia con discrezione e si alza. Capisco che non vuoi disturbare. E il carattere ?! Noto che è raffinato e gentile. Va per ritirarsi in camera sua e mi dice solo questo: "Un giorno di questi, andrò a iscrivermi terziario francescano". Bene! dico. E penso; se non ce la farà rinascerà per andare tra i frati francescani. Per queste considerazioni mie; ... così, così.

E penso; lo lascio in pace, non le dico nulla. Dunque era questo il primo nottegiorno che era da me. Alla sera alle ventidue si corica ma entro la prima ora chiama le sue nipoti. Sta male è impressionato. Le si è gonfiato il ventre. Dico alle nipoti: "È necessario l'ospedale, ha l'acqua nel ventre". Viene chiamata l'autoambulanza, perché si era, convinto da sé dell'urgenza. Era già in piedi pronto nella sua vestaglia scura, con sciarpa bianca e, il berretto a cono. In un attimo nella mia casa si sono trovate una diecina di persone con gli operatori del soccorso, che preparavano per portarlo di nuovo in clinica. Lui viene in cucina a salutarmi. Mi abbraccia con deferenza e mi dice: "Mi serbi il posto".

"Sì! dico, stia tranquillo". Erano i giorni 9/10 di aprile. Scorreva qualche giorno, poi, una delle nipoti mi dice: "Lo zio non ce l'ha fatta, giovedì 16 è morto, ritiro le sue cose presso di lei". Così è stato.

Perché ho raccontato questo? E sì, poiché, cominciò a passarmi per la mente cosa mi poteva dire questo fatto. Il passaggio, così breve in casa mia di questo Signore, e per giunta con quello strano aspetto altero e ieratico. Chi poteva essere lo spirito di questo Sig. V.? Che forse non si concedeva di morire se non arrivava qui? Era una tappa stabilità? Perché mai?! E con quel suo aspetto, decisamente singolare! La sua unica figlia abitante poco fuori Firenze, le aveva a suo consenso da pochi giorni venduto la casa di lui, ed aveva lei stessa i soldi in consegna. Avrebbe tenuto in casa propria il suo babbo con tutto il sentimento. Ma non andò poi così. Lui morì in clinica, dove, non ci avrebbe voluto stare. Ma come dicevo quasi all'inizio del capitolo, avevo raccontato del mio curioso risveglio a tutta notte, a proposito del "Faraone" giorni prima, dell'arrivo di questo signore in casa mia, purtroppo in queste dolorose circostanze. Poteva essere una specie di conferma di qualcosa? Era lui? Una reincarnazione, passata attraverso i secoli del "Faraone"?! Poteva essere!

Con quell'aspetto decisamente super, e soprattutto con quel suo berretto di lana scura grossa, fatto ai ferri, a tre strati d'altezza, da sembrare una mitra, che stava ritto sul capo, che poteva ricordare quasi una piramide stretta e alta. Perché questo segno così forte mi colpì così tanto, quando la prima sera lo vidi chinare il capo per entrare, senza urtare lo stipite della porta mia, che era già così alta? Quando lui mi abbracciò con rispetto, prima di tornare in clinica, io che sono già alta, mi sentii piccola, piccola. Ora che io ho raccontato questa cosa, dico che questi "Faraoni" che di già conoscevano da più di tremilacinquecento anni fa, le fasi spirituali dei tempi avvenire, erano così potentemente intuitivi da conoscere le date importanti dell'evoluzione spirituale umana, fino a definirle, a modo loro, e cioè in misure e numeri.

Erano consci dalla loro essenza e potenza spirituale, fino a stabilirne le loro reincarnazioni e proiettarle nel giusto tempo attraverso i secoli?! O senz'altro invece, era un dono dalla "Potenza Suprema Divina", al loro interno atteggiamento e alla loro fede? O forse ritornano per conoscere e vivere l'Opera Cristica, senza la quale non c'è salvezza? Il "Cristo" in Gesù Nazareno ha operato la Redenzione per tutta l'umanità, il "Cristo" in David Lazzaretti ha operato per la Resurrezione e Consolazione per tutta l'umanità, il "Cristo Madre Scienza" in Elvira Giro ha operato per la Conoscenza e Rivelazioni Spirituali, e per togliere l'ignoranza e la cattiveria e il dolore dalla Terra, in unione all'Altissimo Signore.

Questo è il tempo che l'Opera Sua splende davanti al Cielo in unione all'Opera di Gesù e di David, per le Sante Milizie Crocifere dallo Spirito Santo di Dio. Gli spiriti dei "Faraoni" egizi, che ne avevano segnate le tappe, nei loro elaborati e sicuri numeri delle piramidi, non erano certo spiriti assopiti, ma vigili nei tempi futuri, che loro avevano ben intuito. Forse è stato così, in collegamento al fatto della Sfinge vista in modo supernaturale nella visione già descritta, che i due episodi del "Faraone" che ho raccontato, avevano qui da me il loro traguardo e la loro conferma.

Ma non per me, che conosco, ma per "l'Opera Giurisdavidica della Chiesa Universale della Santissima Trinità di Dio", che alberga (dice Gesù: "questa è la mia casa!") benedettamente in questa casa, e nel mio cuore.

La Divina Madre insegna che; "Il Grande Mistero, delle Tre Persone distinte in Un Solo Dio è compiuto"! Le cose che i nostri occhi umani, non captano o difficilmente captano, sono superiori poiché fanno parte della "Realtà Superiore"! la Stella bella, di cui dicevo all'inizio del racconto? E forse là che è andato lo Spirito del "Faraone". È la sua Stella! Poiché le stelle sono le sedi degli Arcangeli. Troni, Dominazioni, Serafini, Cherubini, Santi e Martiri religiosi e laici, ed ogni spirito a Dio piacente. Sono diciamo le loro case spirituali.

Non ho potuto non trarre queste conclusioni, poiché le cose a volte si manifestano in modo molto forte e inequivocabile, e non è inutile rifletterle e dirle anche, data la grande cecità spirituale umana purtroppo! Così, il mio compito per ora è al suo apice in questa mia vita. Spero di non morire prima della fine d'agosto ‘98, poiché sarebbero dieci anni dalla mia consacrazione, e che celebro la Funzione della "Chiesa Universale Trinitaria Giuris-Davidica o (Giovannitica) dello Spirito Santo Madre".

Lei ci tiene, la "Madre" e ci tengo anch'io, all'Opera che apre il Cielo. Già, di là dei miei difetti, e della mia pochezza. Pagine addietro, credevo di averlo finito questo libro, invece a quanto pare ha proseguito fin qui.

Finito di scrivere il Ventinove aprile millenovecentonovantotto

In Firenze

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sopra: (da una stampa dell’epoca): l’aspetto desolato dopo il vandalismo alla Torre di Monte Labro.

Sotto: ricostruzione (1958) della “Arca della Santa Alleanza” a Monte Labro.

 

L. Graziani

 

 

 

 

 

 

dal SALMO - 40 - (39).

 

Sperai fidente in Dio,

e a me si volse

e il mio grido Egli udì

e mi trasse da una funerea fossa,

da un padule fangoso,

e posò il mio piede sulla roccia,

dié fermezza ai miei passi,

pose sulla mia bocca

"un CANTO NOVO",

una laude al Dio nostro.

E molti vedranno e fidenti

spereran nel Signore.

 

 

Io per me son misera e meschina,

ma il Signore a me pensa.

Mio soccorso e mio scampo sei Tu,

Signore, non tardare!

 

Ed eccomi, a scrivere in terza ripresa. Avevo posto termine a questo libro, sono l'incubo della malattia schiacciante, oltre che sul piano fisico, anche sul piano psicologico. Non ero contenta di aver mozzato il libro per questa ragione, e confidando questo pungolo del mio cuore alla Sig. Maria B. (giurisdavidica), ella mi esortava a portarlo a termine, anche se mi era di difficoltà. Certo che avrei voluto, parlare ancora di David Lazzaretti il "Cristo" del piano sociale, della Sua Opera della Sua Missione. Ma poi mi dicevo: ci sono tanti libri, di svariati autori, che parlano di Lui. Li cerchino, gli spiriti assetati. Esiste la "Bibliografia su David Lazzaretti", scritta e raccolta dall'Ing. Leone Graziani, il Sacerdote della "Colomba Madre Scienza", Capo giurisdavidico, successore di Don Filippo Imperiuzzi "Successor del Triade" per Volontà di David. Mi pare che la raccolta parli di circa seicento scritti in Europa che parlano di Lui David Lazzaretti. E interessante conoscere questo gran lavoro, fatto dal Sacerdote Leone Graziani. Dentro c'è anche la lettera di Don Bosco, che testimonia per Lui. Don Bosco è stato per la sua Opera un Santo speciale, e si è meritato di conoscere David Lazzaretti, e l'ha pure ospitato nella sua casa a Torino. Io sono assai riconoscente al Fratello Sac. Leone Graziani, il "Giovanni" della Madre S.S., che l'ha assistita nella Sua Opera sulla Terra, nella Persona eccezionale, straordinaria della Signora "Elvira Giro", con tanta operosità dedizione generosità intelligenza e acume profondo.

Benedetto sia ora e sempre! Domando scusa per le ripetizioni in questo libro, ma sono volute e sono necessarie per spiegare meglio, che le cose avvenute sono troppo importanti. Già, avevo chiuso il libro obbligata dalla malattia. Ma altre visioni, e in ispecie una, che mi ha molto stupefatta, dove io, facevo nascere sulla Terra una Nuova Lingua o linguaggio, e vedevo tutto questo in simboli e luce colorata. Ma su questo io non voglio dir di più. Ed ora scrivo, perché sento forte la Voce della "Colomba Madre", dire, (alludendo ai sacerdoti) "Cari Signori, la Religione non è una prerogativa dei soli maschi!" E a me: "Tu dirai così". Già, si vede proprio che devo dire queste cose.

Gesù disse un giorno: "Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti". Questo è nel contesto di allora e di sempre, per coloro che non accettano l'evoluzione spirituale. La valenza di detta frase è diretta, per primo ai ministri di quello, poi di questo tempo, data la loro responsabilità nella guida dei popoli. Per il popolo ebreo, i cui ministri religiosi, che con numerosi precetti, non da loro praticati, lo tenevano nel riquadro a loro soggiogati, dominati dal loro potere, che aveva volutamente e maliziosamente non riconosciuto il "Cristo" in Gesù, rinnegando le profezie delle Sacre Scritture che Lo annunciavano a chiare note, e buttando un velo nero davanti agli occhi del popolo, perché non vedesse e non capisse.

A tanto, la loro gelosia spirituale, per affermare la loro supremazia! Non ammettevano che l'Eterno Iddio si manifestasse fuori dalla loro casta sacerdotale, cioè, nella famiglia. Poiché Gesù, era nella famiglia, che è la prima e più bella creazione di Dio nell'Umanità. E così, il "Bene", respinto nel "Cristo Gesù ", ha creato il boomerang terribile, che questo caro a Dio popolo ebreo (se l'era scelto!) ha dovuto subire in duemila anni fino ad arrivare alle atroci sofferenze e tragedie che straziano il cuore di un dolore indescrivibile. Tutto questo, per non lasciar libero lo spirito del popolo ebreo di allora, e tenerlo al loro dominio.

Ma dove era la spiritualità di quei sacerdoti, pronti a dimenticare i Profeti, pronti a respingere la "Libertà dell'Azione di Dio"?, ed impedire l'attuarsi della salvezza? Purtroppo la storia si ripete, e in altra epoca detta "cristiana". Il "Cristo Consolatore", annunciato da Gesù Cristo, è stato ugualmente respinto, (perché fuori dalla casta sacerdotale?) eh! Sì, perché nella famiglia? Sì, il "Cristo" nella seconda venuta è stato respinto e ucciso in "David Lazzaretti", nel quale il "Cristo Padre e il Cristo Figlio Gesù" si erano manifestati in Lui David, come il "Cristo Duce e Giudice della Terra" nel "Diritto Divino e Umano". Con David, dopo la "Legge di Amore e di Grazia", portataci da Gesù Cristo, veniva consegnata all'Umanità redenta, la "Legge del Diritto Divino", per il piano spirituale e sociale umano. Con la "Legge del Diritto Divino e Umano", David Lazzaretti in unione con l'Eterno Iddio, ha portato a compimento l'Apertura della Nuova Vita, col togliere i "sette Sigilli" che erano stati posti, a causa della caduta in trasgressione del genere umano.

Questo fatto, ci dice che Lui è Dio. Allora, "per la Tua Bontà Signore, affacciati al nostro intelletto e al nostro cuore"! Quest'estate allontanandomi per quel di Viareggio, speravo di ricuperare un po', invece l'agosto fu per me carico di afflizione, perché intravedevo pure la fatalità di dovermi rioperare al dorso, dove prima, e mi dicevo, ormai, a ottobre deciderò di consultare di nuovo i medici-chirurghi per tale cosa.

Il caldo era senza tregua di giorno e di notte, e tutti ne soffrivano assai, pure così in tutta Italia. Non avevo tranquillità per tutto ciò, e non mi parve il vero di tornare a Firenze ai primi di settembre, dove naturalmente ritrovai il solito caldo purtroppo, ma che però, dopo, piano piano cominciò ad attutirsi, dandomi un briciolo di sollievo. Così, mi rimisi a fare delle fotocopie di alcuni libretti dell'Opera. Sempre troppo precaria, non trovavo mai il modo di andare a Roma a parlare con Franco, il Figlio di Elvira, per sentire come mai l'Opera Giurisdavidica delle "Rivelazioni Spirituali Cosmiche", per la Chiesa Universale della S. S. Trinità con lo Spirito Santo la Madre Scienza, non veniva ristampata e divulgata come tutte le pubblicazioni, per poi trovarla nelle librerie. E ancor oggi, non ho potuto mai fare questo viaggio. Mi è di difficoltà, ma forse in seguito. In quel periodo vennero a trovarmi uno dopo l'altro i miei due fratelli da parte di padre, con le mogli. Ci vediamo di rado. E con tutto il resto della famiglia ci telefoniamo pure poco, per il costo eccessivo del telefono.

In quest'anno la mia matrigna Palmira compiva novant'anni, e fui invitata su a Udine dai fratelli, ma non potei andare. Il viaggio troppo lungo mi spaventava. Loro poi dei miei acciacchi ne conoscevano solo una parte, mi avrebbero pure pagato il viaggio o mandato uno dei nipoti a prendermi. Ma io non volevo che si mettessero a repentaglio sulle strade con percorsi così lunghi e impegnativi. Non è facile! Mi accontentai di salutare la mia matrigna per telefono e di farle gli auguri soprattutto per la salute, a tutti sì cara e preziosa. Mia matrigna vive assieme a mia sorella Pia, che come me non si è sposata, ed ora ha cura di lei e l'accudisce. Con mio padre ha avuto cinque figli, quattro viventi. Certo che ora mi riesce persino di essere comprensiva nei suoi confronti e di compatire il suo passato atteggiamento verso di noi figli della prima moglie. Lei era troppo giovane, ventitré anni, per addossarsi un compito assai gravoso e di cui non poteva sopportarne il peso. Le persone per immaturità, hanno dei limiti. E noi bambini di più, disperati, quando manca la propria mamma.

Il pro e il contro c'è dappertutto, e un po' di bene fiorisce sempre. Sono contenta che i suoi figli e figlie siano cresciuti su, per bene, come si dice, in questo mondo difficile e complicato. Il 17 e 18 ottobre ho rivisto mio fratello Mario con la moglie, venuto ad un Convegno qui a Firenze, che si teneva in Palazzo Vecchio. Alle ore 22/30 ci fu la sua telefonata di saluti, sarebbero ripartiti l'indomani. Io poi mi coricai e mi misi a pregare. Avevo una di quelle serate d'insonnia, e finito di pregare, mi dissi: non voglio accendere la televisione, non mi interessa. Andrò di là nella sala a prendere un libro che forse mi concilierà il sonno. Mi alzai, sentivo la testa pesante. Feci per prendere il libro, ma, non potei, che improvvisamente una violenta epistassi, mi fece lago al pavimento, anzi ai pavimenti e lavandini, poiché io terrorizzata andavo qua e là inzuppando teli e teli e non trovavo il numero di telefono della "Misericordia" per l'appunto.

Telefonai allora al 113 che ci pensarono loro a contattare l'ambulanza. Cerco le chiavi, cerco il libretto sanitario, metto teli in borsa e in queste manovre, innaffio letteralmente, tutta la casa di sangue vivo e rosso. Arrivano, ed io carica di paura e pensando il peggio del peggio, arrivo su all'Otorino al pronto soccorso, che ormai di sangue ne avevo perso tantissimo, ed avevo un mattone nello stomaco da tanto ne avevo inghiottito.

E così, erano le ore una e cinquanta della notte. Mi fanno le debite pratiche di aspirazione ecc. e alle ore quattro, mi riportano giù a casa con l'autoambulanza. Io li pregavo di ricoverarmi, ero sola e ormai settantatreenne. Non vollero, dissero che la cosa ora era di già risolta e che stessi tranquilla. Ma la notte seguente, sempre dopo le ore una, di nuovo si aprì un fiume d'emorragia nasale. Stessa scena in tutta la casa, che avevo con prudenza lavata dal sangue durante il giorno, stando ritta in piedi e spazzolone e straccio bagnato. L'autoambulanza mi riporta su al pronto soccorso dove mi mettono un tampone, e poi di nuovo a casa a tutta notte. Inutile implorare il ricovero. Ho il tampone, e invece, alle cinque del mattino ancora esce malgrado ciò tanto sangue, e stranamente si ferma alle sei. Io aspetto senza fiatare, e la terza emorragia si ferma, ma solo temporaneamente. Alle dieci e trenta del mattino, di nuovo lo spaventoso problema, e di nuovo su al pronto soccorso con l'ambulanza. Mi cambiano il tampone e mi mettono uno più adatto per il mio turbinato, cacciato a strati pressati.

Dopo torno a casa, mi danno un passaggio gente con problemi come i miei. A casa per la quarta volta lavo i pavimenti in toto, dal sangue. Già, casa lavata "col sangue". Allora, mi venne in mente che due o tre giorni prima di tutta questa vicenda, ero andata qua nei pressi, nella chiesa del Preziosissimo Sangue e come altre volte, avevo pensato che, sarebbe giusto che in codesta chiesa, oltre al Sangue del "Cristo Gesù" Figlio di Dio, si dovesse adorare anche il Sangue del "Cristo David" Figlio dell'Uomo. David Lazzaretti e Gesù Nazareno erano intimamente uniti al Padre S. S. e il Padre S. S. in Loro, si è manifestato in e con David come il "Cristo Duce e Giudice della Terra"! E David Lazzaretti, ucciso barbaramente mentre guidava una processione ad Arcidosso in Toscana, con una fucilata in fronte, dove Lui portava il Segno del Dio-Vivo.

E tempo prima aveva detto ai suoi seguaci: "Ed in quel Segno mi riconoscerete, perché è un Segno Eterno". Dopo aver fatto questi pensieri mi misi a riflettere a tutto il sangue che è sparso dall'umanità, per tante guerre e politiche, odi, terrorismi, assassinii di ogni genere, sulla faccia della terra. Non sono forse tutti tanti cristi anche loro?! Quanti martiri ignoti, senza colpa! Pensai; "Signore, se c'è bisogno di sangue prendi il mio, ma risparmia la povera umanità di tanto scempio". Mi venne in mente anche che quando David fu sotto il tiro del fucile, disse ai suoi seguaci che volevano seguirlo nel sacrificio, già consapevole Lui, che sarebbe accaduto, disse dunque ai suoi: "Basto io", poi offrendo se stesso, disse ai nemici: "Tirate a me e salvate il mio popolo". I nemici hanno scelto il sangue (come fanno sempre). La Divina Madre Scienza, nella Sua Opera Giurisdavidica racconta la Sua Azione per scongiurare il sangue, ma io qui non lo riporto perché è difficile spiegarlo, e va letta con attenzione in tutti i modi, l'Opera Sua, e capita, e capita. Anche in riflesso a quello che sapevo a proposito di questo, io mi ero offerta per pietà dell'umanità.

Dopo neanche tre giorni mi succedono fatti del sangue di emorragie, cioè quattro in una settimana. Il 24 ottobre, mi levarono il secondo tampone e dopo quattro giorni che lo tenevo, alla mattina alle nove. Mi andò bene, ma io dovetti fami ricoverare per problemi attinenti in conseguenza.

Ci vollero dei giorni per esami ecc., ma io ero al sicuro se mi fosse riaccaduto. Ero sempre oltremodo impaurita, ma dopo tre giorni sentii una voce che pensai, fosse quella della "Colomba Madre Elvira", diceva questo: "Ed ora basta col sangue!" Nella notte in sogno, vedo San Gaspare del Bufalo, il Santo della Chiesa del Preziosissimo Sangue. Già, mi aveva capita, mi aveva seguita in questa vicenda. I Santi comprendono sempre! Grazie San Gaspare! Ho riflettuto su questo fatto, e mi son detta: "Non ci pensavo più alla mia offerta.

Ma guarda!, tutto questo sangue!, che ho lavato per quattro volte la casa. È stato un vero mistero, e senza che ne avesse colpa nessuno, grazie a Dio! Mentre ero ricoverata ho avuto moltissime gratificazioni spirituali, subito la prima notte che ero lì, ho sentito forte da sveglia medianicamente questo: "Le Stelle ti guardano, Iddio è con Noi, e sei la Mia Celeste Milizia!" Dalla frase ne ho tratto la certezza, che la "Regina dell'Universo" così mi aveva parlato, e fui felice di questo, anche perché l'affermazione, mi rimase a lungo librata nell'anima. Credo che io abbia già scritto in questo libro, che la "Grande Madre Scienza", la "Regina dell'Universo" nella Colomba Madre in Elvira Giro, ci ha lasciato la Sua parola d'ordine, che suona esattamente così: "Le Stelle ci guardano, Iddio è con noi, e siamo la Sua Celeste Milizia!" L'Azione dello Spirito Santo Madre, in questo secolo in preparazione al terso millennio è di estrema serietà e Volontà Divina, per far uscire l'umanità dallo Spirito Crocefisso e farla entrare appieno, appunto nell'Opera del "Signore" nel "Regno dello Spirito Santo", Liberatore Confortatore Consolatore di ogni umano soffrire e illuminatore, e pacificatore e provvidenza, e istruttore di ogni necessaria sapienza umana. Gli Spiriti Primi, cioè di Primo Grado, agiscono concordi all'unisono, seppur Distinti nelle Loro Opere, e nei tempi (un tempo ciascuno), ed hanno sempre agito Insieme, perché Sono "Amore". Nella Chiesa Universale Giurisdavidica o (Giovannitica) della S. S. Trinità di Dio con lo Spirito Santo la Madre Scienza c'è il Compendio del Loro Amore Assoluto.

Già, lo Spirito Santo Madre! Solo attraverso l'Opera Sua ci sarà "la Salvezza"! coloro che non accetteranno la Divina Madre, (negativi - contorti) si autoannienteranno e non saranno accolti nel quarto millennio al "Bacio del Perdono" dell'Eterno Iddio! Mentre ero ricoverata all'ospedale tra le bellissime visioni e chiaroveggenze, che dopo racconterò, ci sono state anche altre cose di tutt'altro genere opposto e che adesso accenno. Una notte mi trovai in un vero incubo, a lottare una lotta terribile contro lo "spirito violento devastatore", impersonato in due persone che io conoscevo bene, donna e uomo coppia. Dopo aver devastato tutti gli ambienti sul loro passaggio, vennero alle mani con me furiosamente per: distruggermi. Io mi difendevo come potevo e piuttosto bene, perché ero di un gradino più in alto, e non riuscirono a demolirmi. Allora voltai loro le spalle e me ne andai, passando a fianco di una bellissima chiesa antica, di cui cercavo la porta senza trovarla. (salm. Biblico: "Se sei una porta, ti chiuderemo con assi di cedro! Se sei un muro, ci costruiremo baluardi d'Argento) Argento, Opera dello Spirito Santo! Senza trovarla, la porta, perché nella chiesa antica io non dovevo rientrarci, poiché facevo parte della "Chiesa Nuova Universale". Mi vidi rincorrere dalla donna – devastatrice, spirito nero di magia, che non si rassegnava a vedermi sfuggire dalle sue grinfie.

Allora mi trovai a renderle impossibile l'avanzata devastatrice, chiudendole in faccia un grossissimo portone laccato grigio, e facendo scorrere in esso un altrettanto robusto catenaccio. Sapevo di aver lottato contro l'invidia devastatrice e le spire della magia malefica. Dopo un po' di tempo mi si cambia la scena, vedo la donna menzionata venire china ai miei piedi, tutta mite e dirmi: "Mi buttano fuori!" E cercava di farmi pena, perché la ospitassi. Pensai; "ti rivestì d'agnello, ormai ti riconosco", e dico: "Vai di là, guarda se ti aprono", e non l'accettai pensando; non ci casco.

Finita questa scena, questa visuale, mi domando; che può voler dire "vai di là?" Forse per una reincarnazione, a titolo di ravvedimento? Forse, perché so, di aver aggiunto; "semmai (non ti aprissero) torna in qua!, (per evolverti?)" Mah!, finito questo incubo, dopo una o due notti, faccio un sogno così; vedo su di un tettino una donna bionda questa volta, con i capelli corti, piccola piccola tutta rannicchiata, e si rattrappiva sempre più su se stessa diventando ancora più piccola, e mentre lei mi guardava silenziosa, io china verso di lei, le dicevo: "Eh! no, Lei non mi può toccare la schiena, no, non mi può toccare la schiena!" Poi, con una forza insolita mi sento che dico forte: "Solo Dio mi può toccare la schiena, solo Dio!" Chi rappresentava quella donna che si rattrappiva sempre più? La magia illusoria, subdola, deleteria anche essa?

Lì all'ospedale, quasi tutti i giorni si affacciava un frate alla stanza di degenza per dare un saluto. Era grosso e unto alle vesti, poco pulito. Si avvicinò al mio letto, ed io ne approfittai per domandare, se conosceva la storia di quel personaggio toscano del secolo diciottesimo, che è vissuto dal 1834 al 1878, che si chiamava David Lazzaretti, e che me ne raccontasse qualcosa. Prima mostrò fastidio, reticenza, poi disse: "Si è quello che ha disobbedito ai precetti dello Stato Italiano, perciò fu ucciso". Volevo che parlasse ancora, ma sfuggì non dandomi il tempo di chiedere altro. Mi lasciò intendere di non ne voler parlare. Hanno l'ordine di non parlarne! E si purtroppo! Pensai: false informazioni, i precetti li ha la chiesa, non lo stato italiano. Ma insomma, è andata così, le cose sono andate così! E qui vorrei dire, al proposito del primario diritto all'onore di ogni essere creato di ogni essere umano, figurarsi poi per David Lazzaretti in cui l'Eterno Padre e il Figlio Gesù, si sono compiaciuti in Lui e permeati in Lui come "Duce e Cristo Giudice della Terra".

E questa incisione di DIO, nessuno mai sulla Terra può cancellare. Il frate se ne uscì dalla camerata lasciando dietro di sé, una scia, un alone di puzzo disgustoso. Per confronto pensai a frate Reginaldo, umile, angelico, spirituale, scrupoloso, che quando io e la Sig.ra Maria B. le portammo tutta "l'Opera Giurisdavidica," per desiderio della "Regina dell'Universo"!, l'accettò nella sua umiltà, illuminato certamente nel cuore. In quell'attimo il suo viso risplendeva di una luce chiara. E dopo giorni, ho già raccontato, della seduta convegno dei sei frati attorno alla tavola, e non ci torno sopra, ma in ospedale, mi trovai che in sogno. Qualcuno diceva questo; "Io butterei fuori anche qualche frate!" E così riporto come stanno le cose fino lì.

Dopo queste cose non gradevoli, mi successe qualcosa, cioè una visione che mi rasserenò lo spirito, mi vidi che conducevo sulla mia macchina, la mia amica di un tempo la Rosina Dana, (deceduta da alcuni anni, prematuramente). La Rosina, la vedevo ben vestita elegante e fine. Nel viaggio che facevamo, girai con la macchina sulla destra per una stradina di paese, dicendole: "Ed ora andiamo a vedere la casina, (cioè, la sua casina)". Improvvisamente ci trovammo in un'atmosfera di sogno, dai colori tenui, rosati perlati. Una specie di antimondo, come visto dietro un leggero cristallo e limpidissimo e ci troviamo di fronte ad un'incantevole casa stretta e alta, tutta fasciata di grosse rose in tutte le pareti. C'era la porta semiaperta, e salito appena uno scalino, entrammo. Rimasi incantata, i muri interni, erano tutti tappezzati di rose vive, e pure il soffitto. Dico: "Rosina, che bella la tua casa!, c'è pure la scaletta interna per salire al primo piano! Guardo, perché tutto, proprio tutto è tappezzato di rose scala compresa.

E, vedo pure su al primo piano un'altra stanza tutta tappezzata di rose grosse anche quella. Rose fitte fitte come al pian terreno. Erano di colore amaranto al centro sfumanti al rosa chiaro verso l'esterno. Questa era la casa della Rosina che, "amaranto": (ha amato tanto Dio, la Vergine Maria, i Santi e il prossimo). Dico, accomiatandomi dalla Rosina: "La mia casina è laggiù, (cioè nel mondo)". Ed ebbi la sensazione, che io dovevo ritornare con la macchina, sulla strada principale del paese, per fare un altro pezzo di strada. Quella casa che avevo visto, non era terrena e probabilmente, si trova su nel cielo, nella piramide dei piani di smistamento delle anime, e penso al primo gradino, cioè quello più prossimo ai modelli di misurazione delle anime, che sono posti ai piedi del candelabro a sette braccia. Fiamme dei sette Arcangeli di Dio! Altre cose ho visto lassù; dei pergolati con foglie e uve, tra i quali, si crogiolavano al Sole delle grosse colombe in una atmosfera solare di oro bianco. Io ero lì, per forse, constatare? Ma, che bello! Retrostante la casina delle rose, c'erano altre case a muro, con delle finestre strette e murate a loro volta. Vidi esattamente due finestre, e proprio dalla parte del pergolato.

Lì per lì, ho pensato; in questa casa che vedo, ci sono due finestre murate, e possono significare due occhi che non vedono, che non vedono le due Opere di Gesù e di David. Speriamo che si smurino presto! Prima che la Rosina morisse, noi facemmo in tempo a parlare insieme di Gesù, di David e di Elvira, così lei andò in cielo, sapendo e la Rosina era molto spirituale e acuta, ed aveva il vantaggio di credere nella reincarnazione, "dono di Dio". Per delle sofferenze, aveva maturato velocemente nella vita. Altre cose io vidi, ma queste al solo proposito dei miei famigliari, in altre chiaroveggenze. Tornata a casa dall'ospedale, mi dovevo fare molto coraggio poiché non dormivo dalla paura, che mi succedesse ancora la faccenda del sangue, malgrado l'assicurazione spirituale: "Basta col sangue!"

Dovevo farmi forza e ricuperarmi psicologicamente. Allora mi detti a pregare tanto lo Spirito Santo per chiedere la guarigione dalla malattia della paura, che mi annullava la spina dorsale, e devo dire che sentii il Segno di Dio sulla schiena, che mi accresceva la speranza di recuperare almeno un po'. Io ho già il problema delle due operazioni fatte sul dorso, che mi fa stare sempre inquieta. E non è come non avere niente. È come avere un pugnale, un coltello tra le scapole. Spero di non dovermi operare per la terza volta. Nelle preghiere ho tanti segni di aiuti spirituali, specie nella funzione di culto. La chiaroveggenza arriva e se ne va liberamente, anche se io vorrei che fossero durate più a lungo, perché sono indicibilmente belle.

Il 16/11/98 ne ho avuta una improvvisa così; (ero in casa e perciò non all'aperto); mi vedo posto d'innanzi al viso, distanza poco più di trenta centimetri, un perfetto triangolo color nocciola, come di un legno un po’ rarefatto, di base una sessantina di cm., per dare l'idea. Il triangolo aveva il vertice in alto. Affacciata a questo triangolo, io vedevo il cielo, e dentro a quel triangolo il cielo mi sembrava tanto tanto spazioso. A sinistra dentro il triangolo vedevo un bel cielo sereno celeste chiaro. Un cielo diurno pacifico. Notai che dal centro fin verso tutto sulla destra, c'erano delle leggere leggere nuvole rade, bianche tipo striate. Mi meravigliai della luminosità, e finita la chiaroveggenza, mi dicevo a cosa devo pensare? Una interpretazione più prossima mi venne in mente, la meteorologia. Significava forse che percepivo il tempo visibilmente? Poi per secondo, pensai ai moti politici che si susseguivano in quei giorni, tenendoci in ansia alquanto. Forse era per darmi tranquillità. Ma accipicchia! Era bello!, bello! Eh!, sì!, forse voleva dire, che nella sinistra politico-sociale avremo delle evoluzioni rassicuranti e rasserenanti? Del resto, il "Corpo Mistico Cristico", comprende tutto, la destra la sinistra il centro, tutto. E tutto deve seguire l'evoluzione stabilita dal Volere di Dio, che d'ora in poi condurrà personalmente le vicende umane, e ce ne accorgeremo. Poiché tutto, compreso i movimenti dei popoli, fanno parte del Suo piano di ricupero, che si attuerà verso i Suoi intendimenti, e convergenti verso l'Opera Sua Trinitaria Giuris-davidica, che con lo Spirito Santo la Madre Scienza ha confermato l'apertura della "Chiesa Universale Giurisdavidica o (Giovannitica) della S. S. Trinità di Dio", del "Regno dello Spirito Santo" in Elvira Giro la "Regina dell'Universo". Questo è il Suo desiderio, e che sia riconosciuto in David Lazzaretti l'Azione Sua Cristica, cioè (del Padre in unione a Gesù), che si son fatti in Lui il "Cristo Duce e Giudice della Terra".

Perciò, anche il piano sociale deve svilupparsi in convergenza nell'onda di questo Altissimo Spirito che è David Lazzaretti, che ci ha aperto le porte della Nuova Vita, aprendo, appunto i "Sette Sigilli" che erano stati posti a causa della trasgressione. Ed è sempre necessario ricordarsi che l'Eterno Iddio è Padre e Madre. Terremo presente anche che l'Eterno Iddio ha operato le Sue Volontà sempre nel basso, fra gli ultimi. Guardiamo pure in David Lazzaretti un barrocciaio, nella famiglia. Guardiamo in Gesù un falegname, nella famiglia. Guardiamo ancora con lo Spirito Santo in Elvira Giro una sarta, nella famiglia. In Loro lo Spirito di Dio ha operato, in modo inconfondibile e assoluto, come dire la Sua Azione è irripetibile, cioè non incide due volte. Meglio non cascare nell'indifferenza o peggio nel menefreghismo. Padre Pio mi disse: "Guardatene dagli idioti e dagli indifferenti". Ma si potrebbe essere indifferenti a Dio, che ci dona tutto, e la vita? Consacrando al Sacerdozio, uomini e donne, la "Grande Colomba Madre", sapeva quello che intendeva. Il Sacerdozio femminile, l'ha voluto Lei, la "Madre Cosmica", la "Regina dell'Universo". E così pure è, nella Volontà dell'Eterno Padre, che non era e non è certo in contrasto con Lei, essendo Lei parte di Se stesso e unita a Lui, in modo di somma Armonia. Chi ostacolerà la Sua Volontà, frena l'evoluzione umana, e creerà un potente boomerang su di sé, coinvolgendo purtroppo anche persone totalmente innocenti. Consacrando me nella Sua Volontà al Sacerdozio, aveva messo anche me alla base con Lei, e come nell'Apparizione in Santa Maria Novella in Firenze l'8/12/‘64. La Sua Azione è stata quella.

Ed ha testimoniato di me, anche se io povera tapina sono un nulla, e per giunta con tutti i miei difetti, non credo proprio di essere adatta a tanto compito. Ma sono una persona umana come tutte le persone umane, perciò farò quel poco che posso fare, che è un vero minimo, di fronte a tanto che ho ricevuto soprannaturalmente e terrenamente. Povera umanità, che fatica per arrivare alla conoscenza! Quando sarà Luce per loro ?! Le scienze spirituali devono essere date nelle scuole, in tutta la loro chiarezza. La Conoscenza spirituale è tutto, e ed è qualcosa che scavalca l'istruzione comune. Ma da che Maestri siamo edotti, sennonché dall'Alto? Dall'Universo! Quella è una scuola sottile, ed è fortuna e benedizione percepirla. Cos'è che apre quelle porte? che squarcia il "Velo Santo"? Il dolore? La sofferenza di ogni genere? Ma la Divina Madre dice: "Ogni sofferenza deve cessare e la fiamma della "Vita" deve ritornare", ...ecc...

Ecco, l'Azione diretta della Volontà Divina! La risposta è qui. Ma, se dipendesse dalla nostra volontà il vedere, sempre si vorrebbe vedere. Ma non è così, sempre non si vede. Ed è bene invece, non voler né vedere, né voler non vedere, ma lasciare al "Diritto Divino" la Sua iniziativa. Quindi, non dipende da noi, esula dalle nostre possibilità. Anche la chiaroveggenza data ad alcune persone, (raramente per dono fisso), esula pure dalle nostre possibilità. Oh!, Signore, tua è la Forza la Potenza la Sapienza, e a noi concedi secondo la Tua economia quel che basta a ciascuno di noi. Perché si possa conoscerti. Manifestati Signore in noi, col tuo Santo Spirito! Con te, non saremo mai soli, ma sempre consolati. Il cammino di evoluzione che Tu ci hai indicato noi lo seguiremo perché il tuo Santo Spirito ci libera dalle oscurità e dai legacci inutili e superflui, che i poteri neri della terra ci impongono da ogni parte, e che non ci fanno vedere oltre l'egemonia conservatrice nella quale ci inquadrano con il loro spirito materiale maschile negativo. E non ha forse fallito sulla terra questo spirito materiale negativo? Lo Spirito Santo di Dio invece è serenità e "bianca" libertà. Con questo, non è questione di, (termine infamante) rinnegare le vie spirituali, per le quali siamo stati condotti fino ad ora.

È questione invece di cammino di scelta di superamento. La parte migliore non può e non sarà mai rinnegata. Bisogna discernere. Di essere come fino ad ora stati condotti con queste forme spirituali pur difettibili, anche questo è stato nella Volontà di Dio, e noi dobbiamo essere riconoscenti per la parte del bene, poiché se non ci fossero state, sarebbe stato peggio per noi! Il "Cristo" in seconda venuta David Lazzaretti, manifestatesi in Toscana (terra del fuoco), nel cuore del secolo scorso 1800, come primo dei suoi diciassette libri ha scritto: "Il Risveglio dei Popoli". Risveglio che si attuerà prima di tutto a livello spirituale individuale e collettivo, e poi sul piano sociale dell'ordinamento dei popoli. Lui, David, fiore sbocciato nel cattolicesimo è stato perseguitato e ucciso dagli stessi suoi correligionari, come similmente è stato per Gesù Nazareno il "Cristo" nella prima venuta, perseguitato e ucciso dagli stessi ebrei.

La Divina Madre Cosmica, fiorita nel cattolicesimo in questo secolo 1900, in Elvira Giro la "Regina dell'Universo", è stata perseguitata con cause nei tribunali, tutto per annientarla, ma Lei, la Vergine delle Tre Fontane, la Donna vestita di Sole, la Beatrice (Dante), fu ed è "Vittoriosa" e lo sarà nei secoli dei secoli, con l'Opera Sua, dell'Ape.

Lei è la "Rosa bianca", (simbolo della Chiesa Universale per il Regno dello Spirito Santo). Rosa che non doveva essere sacrificata nel sangue, come le due rose rosse di Gesù e di David, che sono alla base del triangolo, nella stella davidica, esposta al mondo fin dal tempo antico ebraico. Ed ora spera anche tu popolo ebreo. Quella Stella è Luce e salvezza per tutti, ed anche per te, perché è il Simbolo della Santissima Madre Cosmica la Colomba, Spirito Santo Spirito di Verità. Il serpente nero negativo, simbolo della religiosità stravolta e difformata, e, che insidiava il Suo piede, è stato da Lei vinto in virtù "dell'Apertura della Conoscenza Spirituale", iniziata con lo Spirito Santo in Gesù, poi in David Lazzaretti, e poi in Lei Elvira (VIR-A-EL) Giro... Oggi, mese di dicembre ‘98, io sono particolarmente toccata da un fatto che qui ora racconto. Negli anni dopo aver conosciuta la stupenda "Opera Giurisdavidica Materna", io fotocopiai e portai in una biblioteca di quartiere tutta l'Opera Giurisdavidica al completo, e pure "La Storia del Profeta d'Arcidosso David Lazzaretti" scritta da Don Filippo Imperiuzzi anno 1905. E, poi la narrativa di Don G. B. Polverini, intitolata, "Io e il Monte Labro" anno 1915. Più alcuni libri di David Lazzaretti, come il "Il Risveglio dei Popoli", il libro de "I Celesti Fiori" (scritto per desiderio della Vergine Santa, la Madre Maria), poi "La mia lotta con Dio" o ("apertura dei sette sigilli"), ecc, ecc. Dunque, avevo portato in dono a tale biblioteca comunale di quartiere, questo gruppo di opere importantissime, collegate tra loro per l'importanza delle cose spirituali nell'onda Cristica. Fiduciosa non mi sono fatta fare la ricevuta, non ho avuto questa accortezza, ed ora me ne rammarico. Oggi dopo alcuni anni, volli vedere se l'Opera Giurisdavidica era sempre lì, nella biblioteca dove io stessa l'avevo posta. Ebbene non c'era più lì, e neppure nel computer o computer. Tutto sparito. Rimasi perplessa. Cosa dovevo pensare?... Mi dicevo; può essere sparita forse perché, sia piaciuta tanto a qualcuno, fino al punto di portarsela via. Se fosse così il mio cuore si darebbe pace. Però ...questo a pensare il meglio! E se come è successo al tempo di David per le sue opere, si fossero sguinzagliati dei segugi infami, all'uopo di accecare la "Opera di Conoscenza" e strozzare il dolce Santo Spirito, per farci rimanere sempre sulla croce, perché morte nostra, vita loro?

Ma l'Eterno Iddio non ha voluto che il Suo Figlio Gesù stesse sempre sulla croce, e l'ha fatto risorgere. E allora, soffocando la nostra resurrezione loro pensano che no, l'Eterno Iddio non se ne occupi di noi, e che lasci ampia delega, anzi tutta delega a loro, su di noi. Ma si sbagliano, si sbagliano. Dio vigila sulle Sue creature e nessuno può togliere a Lui la Libertà della Sua Azione. Ora io dicevo della sparizione dell'Opera Giurisdavidica dalla biblioteca.

E se fosse successo anche nelle altre biblioteche dove io l'ho posta? Povera me! per la fatica immane e le nottate passate a ricuperare le fotocopie, con le paroline sbiadite, di cui io ripassavo lettera per lettera, per renderle leggibili. Sbracciare per radunarle ed approntarle, e porle nei posti dopo averle rilegate. So di aver fatto nottate fino alle quattro, ed anche fino alle sei del mattino, spendendo fatiche e soldi, poiché non sapevo cosa fare d'altro, sul tantissimo, che avevo ricevuto soprannaturalmente.

Mi sento venir meno al solo pensiero. Oggi una gentile Signora, si è offerta di fare ricerche su diverse biblioteche, essendo lei addentro nella possibilità di fare queste visure attraverso i computers. Starò a vedere. Comunque l'Opera è posta anche tra le persone, fuori dalle biblioteche, e sarà protetta dall'Eterno Iddio certamente, perché sussista. L'ha promesso alla Sua Sposa! Io non so più cosa fare con questa mia situazione molto precaria di salute, e con l'età che mi precipita addosso per le fatiche ecc, e che mi porterà ad una vera limitazione all'attività. Alcune persone mi dicono: "Ma perché non va in televisione alla rete X, oppure da Maurizio Costanzo, farebbe meno fatica a esporre le cose!" Ma io mi trovo limitata anche a viaggiare, poiché mi sento davvero molto male. Il dolore fisico, ormai un retaggio, non mi risparmia, ma penso che morirò invece solo dal dispiacere, che l'Opera della "Regina dell'Universo", non è conosciuta ancora sulla Terra.

In questi ultimi mesi attraverso le televisioni, il dibattito del clero si è basato sulla negazione e possibilmente annullamento dell'importanza delle Apparizioni. E si son dati tanto daffare per questo, che mi meravigliavo proprio tanto, di questa loro determinazione alla negazione, della Volontà e Libertà di Dio. Cari Signori del clero, ma credete davvero in Dio? Non mi pare proprio! Il vostro Dio siete voi stessi.

Pure con l'intelletto umano, come potreste dimostrare che nelle Apparizioni non c'entra Dio?, e che non significano nulla? Guardatevi bene di non provocare oltremodo il Signore con la vostra malafede, che pretende di annientare la Sua Azione diretta, questo non vi viene perdonato. Avete coniato la parola eresia, perché il vostro cuore ne è pieno. Si addice a voi stessi al vostro cuore arido. Non credete nell'Azione diretta e libera di Dio. Come fate a pretendere il vostro diritto, se non ammettete il "Diritto Divino" sopra il vostro diritto? La "Legge del Diritto Divino e Umano", ce l'ha portata David Lazzaretti, il "Cristo" nella seconda venuta. Non avete voi il diritto di oscurare e ingannare le genti, e vi ricordo che Dio ama uno per uno tutti noi, specialmente i più semplici, che voi vorreste accecare nella libertà di spirito, che non conviene a voi abbiano. E cercate anche di impaurire le povere anime per tenerle soggiogate a voi, perché senza di loro il vostro potere e i vostri poteri sono nulli, e voi tenete a questi, poteri, e non a l'Onore e Gloria di Dio, o rispetto e Amore per Lui.

O forse siete anche invidiosi, perché l'Eterno Iddio Padre-Madre, operano nel piccolo nel basso, tra quelli che non contano? Certo che è così? Poiché dite che la chiesa non conta dal basso, che non è una democrazia. Conta la gerarchia, cioè solo voi. E l'individuo?, non è niente?! Eh? no cari Signori, voi non vi dovete far idolatrare, non dovete prendervi tutte le riverenze. Non sarete tutti, così... In quanto ai sacerdoti ebrei, al tempo di Gesù, reputavano Gesù e i primi Cristiani, una "setta" poiché anche loro si sentivano tanto importanti, da non pensare in nessun modo che l'Eterno Signore scendesse col Suo Spirito Cristico, in una persona del popolo, tra i piccoli, in un falegname quale era Gesù. Così lo Spirito Cristico, anche nella Sua seconda discesa come Cristo Consolatore Cristo Giudice, è sceso tra il popolo, in una persona semplice, in un barocciaio. Lo Spirito della Divina Madre Cosmica, La "Regina dell'Universo" col Suo Spirito Cristico è scesa tra il popolo anche in questo nostro secolo 1900, in una sarta. Questi eccelsi altissimi Spiriti, hanno dimostrato chi Erano e chi Sono. Non c'è sulla Terra nessuno che possa soffocarne l'Essenza e l'Azione, perché sono Perfetti. E le Azioni Loro del Bene causeran sempre il Bene per noi, perché Sono Puro Amore. Anche sul piano sociale, nessuno se li può partiticamente, politicamente accaparrare, e magari fanaticamente strumentalizzarli a sé, perché sono Spiriti Eccelsi che Sono di tutti e per tutti. Nessuno di noi potremo mai fare del male con Loro, ma solo il bene. Il piano Sociale che adesso sta facendo i primi passi nel mondo, deve sbocciare sempre meglio sotto l'egida del Corpo Mistico Cristico, per il bene di tutti i popoli, che nell'onda del "Cristo Duce e Giudice", si devono risvegliare alla Grande Opera dello Spirito Santo, ed alla Luce e all'insegnamento della "Regina dell'Universo" lo Spirito Santo Materno, la "Colomba Madre Cosmica, che del Sommo Grado Trinitario (Dante), è scesa per noi, per consegnarci le "Rivelazioni Spirituali cosmiche" per la conoscenza. La sua Opera è meravigliosa e splendida. E chiara, senza inghippi e dogmi e perciò seguibile, e perché risponde in verità e scienza alle nostre esigenze inferiori, e nel cuore e nella mente! la Verità è bella, da chiarezza e respiro di vita e ci fa sentire la presenza dell'Amore di Dio nelle nostre tribolazioni e vicende, che ci fa superare tutto con la Sua Consolazione.

Dicevo del piano sociale, che il Cristo nella Sua seconda venuta, aveva istituito un piccolo campione sul Monte Labro, tra i suoi seguaci lazzarettisti, portando in cima al monte, un'ottantina di famiglie che lavoravano insieme, dividendo in comune secondo i propri bisogni di ciascuno. David istituì il soccorso cioè la prima mutua, la scuola: l'assistenza, il voto alle donne. Dicevo, il voto, che è il segno della libertà di scelta per il popolo. Oh! sì, il Nostro Cristo Duce e Giudice David Lazzaretti, va amato da tutti universalmente. Io vorrei che sul Monte Labro; sorgesse presto un Grande Santuario, dove si conserverà perennemente, il "Sigillo del Dio Vivo", simbolo del Cristo nella prima e seconda venuta sul mondo. Santuario dedicato alla "Grande Madre Cosmica Regina dell'Universo e delle Vittorie". Per ringraziarLa di essere scesa tra noi. Perché così è! E noi ricorreremo a Lei, non invano. Dunque, Loro sono "Vita" tra noi! Ed io, col cuore che mi brucia in petto come brace incandescente, cosa faccio?, cosa posso fare per far partecipe la gente, la povera umanità, dei Grandi Eventi Spirituali accaduti nell'economia universale del nostro pianeta, per il nostro bene?

Eventi e fatti ai quali ci possiamo attaccare come le api, e dove troveremo il miele d'Amore che Iddio Padre e Madre e la S. S. Trinità Paterna-Materna, ci serbano! Solo che attendono da noi tutti una risposta voluta e consapevole. Con i Nomi di Gesù, David, Elvira, io abbraccio tutta l'Umanità, per portarla con Loro fuori dal dolore verso la gioia. Voglia Iddio salvare anche questa nostra Terra, poiché questo pianeta così a Lui piacente, dove sono inserite le Luci, le Pupille di Gesù di David e di Elvira, non deve essere distrutto ma conservato con cura e amore. Con cura significa cementare le sponde dei fiumi grandi e piccoli, ed ogni altro argine necessario a sostenere il terreno, e la forestazione intensa dei terreni privi e scabri, poiché la terra ha bisogno di molte ramificazioni di radici arboree. Il pianeta è affidato a noi. Ad ognuno di noi, ai nostri spiriti e corpi attivi. Io ho visto la Grande Madre, la "Regina dell'Universo", l'ho vista soprannaturalmente e terrenamente.

Ho trovato l'Opera Sua altamente Spirituale e scientifica e meravigliosa e perfetta, che mi ha fatto visualizzare vieppiù le altre dimensioni, e i destini dell'umanità. Il mio intelletto, la mia poca intelligenza sono stati sufficienti a capire. Con le Tre Persone Divine in "Lei", ora l'Universo Intero, sta dentro di me nel mio cuore, ed io faccio, così poco per i miei simili!, così imperfetta, così incompleta e sono veramente in fondo al triangolo della creazione, anche se vorrei fare molto, molto, molto per il mio prossimo. Allora ecco; io sono il "Limite", nel vero senso della parola. Poi penso: Ma "Lei" è con me e mi ha posta alla base del triangolo superiore della "Stella" (così detta) di Salomone, con Lei e con Leone. "Stella" che è la Sua "Stella", il suo Simbolo e il Simbolo dello Spirito Santo Madre, o Chiave della Creazione e disintegrazione della materia.

La "Grande Colomba Madre" mi invita a chiedere all'Eterno Iddio e Centro Motor dell'Infinito,  mani e mani e mani e tante, tante e tante mani +, ed io le chiedo per "Lei", per chi vorrà cercare e capire "l'Opera Sua Giurisdavidica", per volerla diffondere nel mondo, senza esitazioni o bastoni fra le ruote. Diffondetela con amore, che questo è il Volere dell'Altissimo Iddio, che ci ha fornito pure il dono delle benedette mani. Usiamole e consumiamole per Lui e per Lei, Padre e Madre Cosmici, e la "Benedizione" si stenderà sulla Terra, e più prima, saremo ammessi al canale di congiunzione, per la Comunicazione con "Loro" e a tempo destinato otterremo il sospirato "Bacio del Perdono con Dio".

In questo momento sento i botti del Capodanno ‘99, e penso a come sarebbe più felice l'umanità se cadessero le bende che occludono loro le viste spirituali ed i popoli si risvegliassero alla Conoscenza Celeste, ed alla consapevolezza della Realtà Superiore che attende di conquistare mente e cuori e di essere conquistata da noi, attraverso l'impegno e la volontà. Non lasciatevi privare di conoscere, e approfondite la conoscenza che l'Armonia del Cielo ha donato alla Terra, attraverso lo Spirito Santo Spirito di Verità la Grande Colomba Madre Scienza, con "l'Opera Giurisdavidica o Giovannitica" (Giov. Apocalisse 5, 10, 12) per il Trionfo della Chiesa Universale per il Regno dello Spirito Santo Padre Madre Santissimi, nella specifica Azione sulla Terra della Regina dell'Universo, la Creatrice dalle nostre anime, che vibreranno luminose nel Pensiero dall'Eterno Signore Creatore del nostro spirito. Le Loro Opere, sono di vitale importanza per tutti i Popoli e per tutte le Nazioni.

Affrettatevi nella Luce della Divina Madre ad aiutarvi, e ad aiutare il prossimo, poiché la "Conoscenza Spirituale" ne è il primo pane, e non bisogna tenerlo solo per noi. Oh!, umanità felice quando capirai? Le tue sofferenze, il tuo martirio, l'amaro tuo calice che da millenni ti persegue, sarà un dì lontano, seppur incancellabile ricordo. La Luce dall'Amore avrà vinto ogni male! Gesù profetizzò: "Verrà lo Spirito Santo, Spirito di Verità e farà Nuove tutte le cose!" Ma tutti respingono ciò che non conoscono. Ne hanno paura, ed è facile pensar male. Ma Gesù ha detto anche: "Non si può porre una toppa nuova su un vestito vecchio, altrimenti è controproducente".

Vuoi dire che un'Opera Nuova ha di per se stessa una nuova significazione, una nuova valenza, un nuovo posto nel tempo. Paura di uscir dal proprio guscio e da se stessi. Neanche io forse ce l'avrei fatta a capire, se non avessi avuto un così enorme aiuto spirituale, come l'Apparizione, e successive luci, visioni, ecc... che poi avrei dovuto comprendere per essere di aiuto agli altri. E così la dolce "Signora Celeste", raccogliendomi dal profondo ed abbracciandomi nell'Era dello Spirito Santo, o, Era della Intelligenza Spirituale Divina e Umana, "Lei" mi ha chiesto di scrivere un libro. "Scrivi la tua storia collegata alla Mia". Ed eccomi qua, me tapina, incolta, incapace, insufficiente. Devo, soprattutto. E dopo tre riprese, forse lo porterò a compimento, anche se mi sento molto male per il tumore. Sono contenta di non far parte dei sapienti di questo povero mondo, quello che non sappiamo è molto, molto di più. Uno può leggere milioni e milioni di libri e non mai poter raggiungere l'intuizione Divina Spirituale di base sicura e chiara, come l'Opera Giurisdavidica ci consente. Uscire dal guscio, significa uscire dai conformismi di ogni genere. Non significa dimenticare il molto bene che è stato fatto dalle grandi religioni del passato, che del bene ne hanno fatto anche molto, ma tenerne la consapevolezza e la giusta prospettiva. Le Grandi Religioni della Terra, Religioni Cristiche, dalla Ebraica alla Cattolica, e protestantesimi multiformi e plurimi compresi, comprese le Religioni asiatiche, sono state forse necessarie così. E poi sarà stata pure la Volontà di Dio in tante cose. In qualche modo, tutto per imparare. Ma non si può dire che non abbiano sbagliato a modo loro, in svariati tempi e circostanze. E per gli sbagli collettivi e individuali, son sempre dolori che ne seguono. Discernere dunque il bene dagli errori, non significa dimenticare anche quelli che sono lì, sotto i nostri occhi, anch'essi per renderci attenti e guardinghi a non cadere nel fanatismo fondamentalista e deleterio, come è accaduto nel passato in seno alle stesse, appunto come hanno fatto, contrastando la discesa del "Cristo" in Gesù e poi in David Lazzaretti, il "Cristo Duce e Giudice della Terra". Allora, impariamo a conoscere le Azioni di Dio, che anche in questi duemila anni, non ci ha mai lasciati senza di Sé. Per le Grandi Religioni asiatiche, la reincarnazione è un dono, un valore, che non può essere fine a se stesso, ma in unione all'Opera Cristica ha, e avrà, il suo traguardo migliore e positivo.

E qui un giusto richiamo, che è stato pure (oltre ad alcuni nostri Santi, del passato), un asiatico contemporaneo, cristiano, figlio di cristiani, di nome Sun Myung Moon, che lavorando per lo Spirito, profetizzo che con certezza lo "Spirito Santo", si sarebbe incarnato sulla terra nella Sua Essenza Femminile. Profezia che io ho raccolto da un suo scritto, e che ne ho contemplato l'attuazione, proprio in questa nostra Italia con l'Apparizione della Vergine delle Tre Fontane in Roma. E penso che sia la più importante Apparizione di questo secolo. Profetizzata anche dal nostro grandissimo poeta Dante Alighieri, che ne descrisse le Vesti con i colori della bandiera italiana; e così Lei apparve, nell'aprile del 1947, a significare che la Sua Rivelazione, l'avrebbe fatta sul suolo italiano.

La "Regina dell'Universo", ha ribadito la "reincarnazione" come dono di Dio, per evolversi. Perché, per questo fine, non basta una vita per evolversi, appunto. Ciò che seminiamo raccoglieremo. Causa – effetto. E saremo sempre noi, a scrivere sul nostro, secondo i nostri pensieri e le nostre azioni. Adesso, nel Nome della "Grande Madre Cosmica Elvira Giro" "Virael", dovrebbero tutte le Religioni riunirsi, ed evolversi nel Suo Verbo che è l'ossigeno della vita, l'Aria che respiriamo. "Lei" ci ha portato doni incommensurabili, che i popoli conosceranno presto, se lo vorranno. Io, ecco, così; mi sono trovata spiritualmente, in un posto extra Terra, in un'altra dimensione. L'atmosfera era perlacea. Si avvicinano a me quasi circondandomi, un gruppo di suorine disincarnate, semi trasparenti. Mi domandano: "Ma, che Religione è la vostra?" In quel posto di tranquillità perlacea, vedo Leone Graziani il "Giovanni della Madre", che in atteggiamento (seduto) di attesa e di riposo, mi precede nella risposta a queste suorine, sorridendo e dice: "È la (religione) sorella della nostra!" Intendeva la cattolica cristiana. Era chiaro, che non poneva la Religione istituita da David Lazzaretti, tra i numerosissimi (500 e più) protestantesimi, poiché lo scatto di evoluzione fioriva, e così era, nella cattolicità, dove Nostro Signore Gesù fece tornare indietro San Pietro, cioè in Roma. Riavendomi da questo fatto, ho poi pensato che i cattolici dicono ora, degli ebrei, che sono i nostri fratelli maggiori. Allora la "Nuova Riforma Nuova Religione", "N. R. N. R." Giurisdavidica, istituita da David Lazzaretti, il 14/3/1878, è la sorella minore, a come stanno ora le cose.

Sorella minore, destinata ad essere la "Maggiore", e i tempi lo diranno, poiché la "Grande Madre Cosmica" è venuta con la Sua Opera delle "Rivelazioni Spirituali Cosmiche", a sancire e completare la Opera Davidica, per il Risveglio dei Popoli nell'Era dello Spirito Santo, e ne ha illuminato l'essenza e significazione di essa. "Grande Religione Giurisdavidica" per il "Regno dello Spirito Santo Madre" nella "Chiesa Universale della S. S. Trinità di Dio" Lei "è la Donna Vestita di Sole dell'Apocalisse", descritta da San Giovanni evangelista, cioè; vestita del "Sole Cristico". Lei è quella Donna n° 10, dell'Apocalisse. Quella Donna Cosmica n° 12, dell'Apocalisse, la Grande Madre, la Potenza Creatrice, Iddio Madre, la Colomba Spirito Santo, Colei a cui David Lazzaretti intendeva quando, chiese all'Eterno Signore, di dare ad altra Potenza di risolvere i destini della Terra. E la Terra non ne uscirà dallo stato di cose, del boomerang negativo, causa-effetto, che si è accreditata respingendo e ancora uccidendo il "Cristo" in seconda venuta, in David Lazzaretti (n° 5, dell'Apocalisse), e respingendo la Divina Madre, nella Sua Alta Missione, per rinnovare in bene i destini dell'umanità, in e con Elvira Giro, se non con l'Opera Cristica Trinitaria compiuta con Gesù, con David, e con Elvira!

Occuparsi delle Tre Opere Divine, prima ancora di occuparsi del nostro Pianeta, per attirare le benefiche onde elettromagnetiche spirituali, in sintonia con le vitali onde emanative dall'Amore di Iddio Padre-Madre. Il resto si ordina gradualmente, quasi automaticamente, per la forza l'amore e la sapienza trinitaria che albergherà nei nostri cuori.

8/12/1998( (foglietto precedente); Allocuzione; "Se non si vuoi essere giurisdavidici, non si può essere neanche persone davanti a Dio! Io sarò con te in ogni cosa che tu farai nel mondo. Ormai tu sei con Me a pieno titolo!" Volevo accingermi a chiudere questo mio narrare, ma in questi ultimi giorni di febbraio e marzo ‘99 e oltre, erano giorni di angoscia per le guerre e fatti atroci, che accadevano nei Balcani. Nessuno avrebbe potuto essere indifferente a così tanto gravi cose. Non c'era che supplicare il Cielo ad aiuto di noi tutti sulla Terra.

Ebbene, le manifestazioni si attuavano spontanee quando nel sonno o quando in altro modo. Un dì, il mattino al risveglio stavo avendo una forte visione (o più?), del Santissimo Cristo Padre in David, Lazzaretti. Era a busto grande, e in bianco e nero, e vicino vicino. La Sua figura vibrava di vitalità e sensibilizzò il mio spirito fortissimamente, proiettandomi intensamente il Suo Pensiero, così: Io sono Colui, che vede, giudica e condanna"! Ne rimasi, impressionata tanto, che il dì di poi, non feci che tremare, e mi dicevo: chi può dirsi sulla Terra fuori da questo "Giudizio"? Passarono due o tre giorni che la Divina Madre Cosmica Elvira, pure Lei sul mattino al risveglio, mi si proiettò a busto molto più grande e sempre in bianco e nero. Mi sorrise amabilmente, ma non mi parlò. Mi sentii rincuorata e rinfrancata. Giorni dopo due volte Padre Pio mi venne in sogno. Una volta a vicinanza di circa un metro. Mi fissava con i suoi occhi bruni scrutatori intensi, e occhi negli occhi, io a mia volta lo guardavo e con i miei occhi che erano di cristallo, come l'acqua. Altra volta in sogno mi sono trovata ad entrare in una stanza tutta bianca, dove c'era Padre Pio. In un impeto mi sono buttata addosso a Lui, e abbracciandolo forte forte alla vita, lo supplicavo di lasciar trionfare, di far trionfare la Divina Madre, la "Regina dell' Universo in Elvira", prima di Lui.

Io ero più in basso e così stando le posai la testa sul cuore guardandolo da sotto in su. Lui, mi guardava silenzioso, ed io capii che aveva recepito il mio messaggio. Giorni dopo, sempre in sogno, ero tra i banchi di chiesa, dove avrei dovuto ascoltare la S. Messa da Padre Pio, ma Padre Pio non c'era ed io mi sentii presa da un grande freddo strano da dover uscire per prendermi un golf. Mi sono destata e mi dicevo: ma sì, perché io beneficio ormai delle meravigliose positive funzioni dell'Era Trinitaria del Terzo Testamento, dove lo Spirito Santo fa sentire il Suo Calore che è Vita, è Amore.

Ecco, nelle vie dello Spirito non c’è contraddizione, le contraddizioni sono solitamente nei nostri cervelli non sufficientemente maturati, o per il peggio maliziosi che preferiscono non capire e non sapere, e addirittura pensare male. Già, i modi di pensare sono due, o si pensa bene, o si pensa male con relative conseguenze.

Esortata dallo Spirito "Materno", mi sovveniva che dovevo chiedere a Dio per la diffusione dell'Opera Giurisdavidica, "tante mani, tante mani", e pensavo; Signore, dove mai potrò trovare io, tante tante mani che operino per Te? Di mani ce ne sono tante, ma loro non sanno che Tu le vuoi! E piangevo, perché non sapevo come fare.

Una notte mi vedo in mezzo al petto, che era uscente dallo sterno, una mano bianca, diafana e mobile. Uscita dal petto fino a metà avambraccio. Riconobbi che era la mia mano, era la mia! Allora mi guardai le mani e vedevo che ne avevo tre. Le mie solite mani, erano con tutti i segni dell'usura dal lavoro e dolori ecc... ma la bellissima mano che mi usciva dal petto mi illuminò e mi confortò. Ringrazio Dio, per queste manifestazioni. Sento che scende una benedizione così; (allocuzione), "Benedetta sei tu in eterno, compagna di tutte le vite, perché hai atteso il mio comando per occuparti del tuo ..... Consacra alla Mia volontà il tuo .....

Io IDDIO ti benedico eternamente e ti permetto di ...con le tue ... Questo Segno )+( è ormai nel tuo cuore e nella tua mente. In ogni circostanza avrai il Mio aiuto diretto. Stai aspettando ancora per poco! A questo punto, sento cantare dolcissime voci e dolcissime note, questo: "E presto noi saremo, avvolti dall'AMORE (Spirito Santo). Vedrai che a tutte le ore, per noi sarà così!" Penso di sì, perché LUI ci ama! A.M.O.R.E., armonioso, movimento, ordinato, regolato, eterno. Sì!, l'umanità troverà gradualmente i suoi ordinamenti nell'Opera dello Spirito Santo, questo Benedetto, Benedetto, Benedetto Spirito Santo!!!

In una chiaroveggenza mi vedo, in sogno? Non so! Io avevo un triangolo pieno in verticale sulla testa. La mia testa era al completo, dentro il triangolo dal vertice in alto. Camminavo lentamente sulla spiaggia dal bel colore chiaro, mentre il Sole mi abbracciava le spalle. Avanti a me la mia ombra sottile, con portamento, si allungava sulla sabbia, con nitidio anche nell'ombra il triangolo pieno. E l'ombra si allungava, si allungava, sulla spiaggia assolata!

In questi giorni ho visto sui muri di una casa serba, in televisione, il Segno Giurisdavidico, o "Sigillo del Dio Vivo", proprio sul finire della guerra. La casa stava bruciando, ed io mi domandavo perché mai questo Sacro Simbolo lì su quella casa? Era di condanna o di pace? Il proprietario, che vedeva bruciarsi la sua casa piangeva e diceva che lui aveva aiutato tutti senza distinzioni, anche gli opposti, e che non aveva mai fatto del male a nessuno. Questo fatto, lo fecero vedere durante un telegiornale, che probabilmente hanno visto quasi tutti. Spero vivamente che quel "Sacro Simbolo" sia di rinascita e rinnovamento per tutti quei popoli, che si aiutino a vicenda a non odiarsi, ma a perdonarsi. E attenzione agli assolutismi terreni. Solo Dio è Assoluto, e mai ancora guerre per politiche imposte, non trasparenti, o religioni male interpretate e dai sensi oscuri. Ed ora a me!.....

"Completa il tuo libro, e avvicinati a poco a poco, alla tua dipartita, e, poi, vedrai interiormente a te, il tuo "Maggiolino" (il mio piccioncino!!), che un giorno ti dissi, che sarà per te un autentico Spirito Santo. Ricordati quando l'ho fatto entrare nel tuo cuore, (5/6 luglio 1980), e poi salire nella tua mente. Prega rivolgendoti a San Paolo appostalo (ripete, per quattro volte). E ormai accadrà quello che deve accadere!" Prego San Paolo, chiedendo il "Fuoco" del Suo Spirito per "l'Opera Materna Giurisdavidica" super stupenda!

Oh! "Colomba Madre E. L. V. I. R. A.", Eterna, Luce, Verbo, irradiante e Rivoluzionario, "ALFA". Io ti riconosco! Manifestati a noi tutti Divina Madre, sono molti che T'invocano e che, entreranno nella Tua Celeste Milizia, ed io sarò sempre con tutti i tuoi Amici, la Tua Celeste Milizia, e voglio che Tu sia riconosciuta nella Tua missione, amata, adorata e lodata, ringraziata, a Sommo Onore e Gloria Tua e dell'Eterno Signore, Tuo sposo! Oh! Madre adorata, ti domando perdono, per non averti servita meglio, ma sono insufficiente ed inefficiente, come peggio non si può essere, ma nella mia pochezza, ti amo tanto tanto tanto. Sii tu Benedetta! Benedetta! Benedetta! Grazie, grazie, grazie, dolce Regina dell'Universo", "Regina delle Vittorie", e del mio cuore! Ormai sì, finirò il libro, e ci metterò il punto. )+( Dice, il Signore: "Io sono il Punto, tu sei una virgola!" E penso; Oh! Signore! Sì, sono una virgola, anzi una virgolina, così, ..........

 

E dopo tre riprese, il libro è finito qui,

in data 16/07/1999

a Firenze

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CANTO PROFETICO

 

 

                                                   Oh sì tutto è voler di Chi mi guida,

                                                   Esser tra i pazzi declamato il pazzo

                                                   ma quando il pazzo avrà ripreso senno

                                                   i pazzi sempre ne saranno pazzi.

                                                   Chi si ride di me ride a suo conto

                                                   e forse un dì riconoscendo il pazzo

                                                   come stupiti rimarran. dicendo:

                                                   oh quanto stolto fui, quando di Lui,

                                                   mi feci burla e non ne tenni in Conto.

                                                   E si uniformeranno in me pentiti,

                                                   e cercheranno far la mia amicizia;

                                                   ma allora amico non avrò che Dio.

                                                   Bene inteso però che nell'insieme,

                                                   tutti amici saranno e miei fratelli.

                                                   Questo modo di dire da me imparato

                                                   venne, quando di Dio mi feci il Messo.

                                                   Con questo mio profetico trattare,

                                                   molto vi dico e poco sono inteso;

                                                   d'ora in avanti così uso parlare.

                                                   Chi mi vorrà capir poco capisce,

                                                   E chi poco mi capisce, molto intende.

                                                   Se con del tempo ne farete conto

                                                   a chiare note vi sarà spiegato,

                                                   questo mio profetico discorso.

                                                   Qui lascio il punto.

 

                                                               DAVID LAZZARETTI

 

 

Scritto a S. Angelo in Sabina, 1 gennaio 1889.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I LIBRI DEL TERZO TESTAMENTO

 

Per questo Ordine Legislativo sono stati scritti e pubblicati, con la guida dell'Eterno Iddio, i seguenti libri:

 

David Lazzaretti – (Periodo tra il 1868 ed il 1878) ad Arcidosso (Amiata):

IL RISVEGLIO DEI POPOLI, (1870): Contiene avvertimenti profetici e morali ai popoli.

AVVISI E PREDIZIONI DI UN INCOGNITO PROFETA, (Prato 1871).

MANIFESTE AUX PEUPLES, (Lyon, 1876). Si manifesta ai principi della cristianità.

IL LIBRO DEI CELESTI FIORI, (1876): Dedicato alle gerarchie spirituali. Il libro per salire nella scala delle virtù.

IL LIBRO DEI SETTE SIGILLI, (1877): David difende la natura umana per stabilire la apertura della conoscenza dell'Universo. (Apocalisse n. 5).

I 29 EDITTI, PRECURSORI ALLA RIFORMA DELLO SPIRITO SANTO, (1878).

ESORTAZIONI AI MIEI FRATELLI EREMITI, (Arcidosso, 1878).

LE RIVELAZIONI DI LAZZARO, (1881): Contiene le regole per il governo sociale.

 

Elvira Giro – (Periodo tra il 1948 ed il 1985) a Roma.

CONOSCENZE SPIRITUALI CRISTICHE, (1954): Testimonianze sugli errori in seno alla cristianità.

RIVELAZIONI SPIRITUALI, (1954): Rivela le origini della Creazione terrestre e della caduta degli Angeli (Apocalisse n. 10).

OPERA DELLO SPIRITO DI VERITÀ, (1955): Nuovi riti e nuove regole della Celeste Gerusalemme per la Chiesa Universale Giuris-Davidica.

LA DOTTRINA DELLA CHIESA UNIVERSALE, (1956): Le chiavi della Creazione cosmica universale.

RIVELAZIONI SPIRITUALI COSMICHE, (1968): I disegni, le incisioni, la sentenza della Terra.

LA SCIENZA GIURIS-DAVIDICA NEI SUOI MOVIMENTI INCISIVI, (1975): Sintesi del Movimento Giurisdavidico.

LA MECCANICA CELESTE CON LA SCIENZA UNIVERSALE GIURIS-DAVIDICA, (1977): Il grande meccanismo con l'innesto cristico e i centri di smistamento animico.

STATUTO GIURISDAVIDICO per la Milizia Crocifera dello Spirito Santo, (1980).

LA DIVINA COMMEDIA SPIEGATA NELLA MERAVIGLIOSA SCIENZA GIURISDAVIDICA, (Apr. 1981).

EPILOGO E INCISIONE TERRESTRE DELLA PARUSIA, (Dic. 1981).

SINTESI DELLA NUOVA ISTITUZIONE GIURIS-DAVIDICA, (1983).

LE CHIAVI DELLA CONOSCENZA NELL'ERA DELLO SPIRITO SANTO, CON LA PARUSIA, (1983).

SINTESI DELLA NUOVA ISTITUZIONE G1URIS-DAV1DICA, (1985).

LA TORRE DAVIDICA (Notiziario della Chiesa Universale Giuris-davidica, in 13 numeri (1957- 1985).

 

Per la testimonianza della nuova istituzione Giurisdavidica vi sono anche le seguenti opere:

 

STORIA DI DAVID LAZZARETTI, PROFETA DI ARC1DOSSO, (Siena, 1905) di Don Filippo Imperiuzzi.

STUDIO BIBLIOGRAFICO SU  DAVID LAZZARETTI,  PROFETA DELL'AMIATA, (Roma, 1964) di Leone Graziani.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL LAVORO APOCALITTICO DELLA SCIENZA CRISTICA

 

La "fase apocalittica" di Giovanni Evangelista, rivelata nel disegno (pubblicato anche nella copertina del 6° libretto) conferma l'apertura iniziata con il "Calice delle Sette Chiese" nella Missione di David Lazzaretti (1868). Egli - in unione a D.I.O. - ha aperto, scritto e documentato il "Libro della Vita" che era stato sigillato da 7 Sigilli, in seguito alla caduta umana dalle Divine Leggi Creative. In detto Libro: Parte XXV n. 9 (Le Gloriose Palme) viene spiegato che, la salvezza della Terra era stata consegnata alla SS.ma "Trinità Materna", seduta alla destra del "Padre", in forma velata, incarnatasi sulla Terra. In virtù dello Innesto Cristico, il 1954 fu l'anno della incisione di questa splendida conquista della "Grande Madre Scienza, la Regina dell'Universo". Questa profezia, o rivelazione, coincide col n. 10 e n. 12 dell'Apocalisse, con quelle di Dante e di Brandano, con l'apparizione di Fatima, di Heed (Germania) del 1945, ecc... e tutte annunziavano, molto chiaramente, che sarei discesa sulla Terra e avrei determinata la "Grande Missione" per la salvezza degli Eletti. Perciò non sono venuta improvvisa!

 

ELVIRA GIRO

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

CHIESA UNIVERSALE GIURIS - DAVIDICA

DELLA SS. TRINITÀ DI DIO

CON LO SPIRITO SANTO

LA MADRE-SCIENZA

 

 

 

LA MILIZIA CROCIFERA

DELLO SPIRITO SANTO

Sede di Roma

Via Tevere, 21/5

Tel. 845.38.40

Capo Responsabile

Sacerdotessa ELVIRA GIRO


 

ROMA 25/7/1991

 

COMUNICATO della Regina dell'Universo

 

                                 - Al Presidente Francesco COSSIGA

                                   Capo dello Stato Italiano

                                   Palazzo Quirinale, 00100 ROMA

 

                                 - Al Pontefice Giovanni Paolo II

                                   Chiesa Cattolica Apostolica Romana

                                   Stato Città Vaticano, 00120 ROMA

 

                                 e per conoscenza:

 

                                 - Ai Capi di tutti gli "Stati" del Mondo.

 

                                 - Ai Capi di tutte le "Chiese".

 

                                 - Alle "Agenzie giornalistiche", "Quotidiani", ecc.

 

OGGETTO: Ristampa 1991 del Libro: "Rivelazioni Spirituali".

 

Questo Libro, già pubblicato nel 1954, è per la sentenza umana.  Perciò se non lo prendete in considerazione sarà la disfatta sociale dell'umanità.

Sono la manifestazione della Regina dell'Universo che si è annunziata  il  12/4/1947,  quale "Vergine della Rivelazione", alle Tre Fontane di San Paolo a Roma, con il Libro nelle mani.

Il mio sforzo spirituale è arrivato al suo traguardo. Ora chiudo il mio dire alla umanità in disfacimento,  che sarà salvata solo attraverso questa mia Opera.

 

La Regina dell'Universo in Elvira Giro.

 

Elvira Giro 

 

 

 


 

CHIESA UNIVERSALE GIURIS - DAVIDICA

DELLA SS. TRINITÀ DI DIO

CON LO SPIRITO SANTO

LA MADRE-SCIENZA

 

 

 

LA MILIZIA CROCIFERA

DELLO SPIRITO SANTO

Sede di Roma

Via Tevere, 21/5

Tel. 845.38.40

Capo Responsabile

Sacerdotessa ELVIRA GIRO


ROMA, 24 sett. 1991

 

Pregiatissimo Direttore

"Studi Ecumenici"

Istituto San Bernardino

San Francesco della Vigna

"CASTELLO" 2786

 

30122 VENEZIA (VE)

 

Ringraziamo Lei ed il Comitato di Redazione per la Vs bella lettera di apertura ecumenica ricevuta verso il 15 settembre.

 

Con molto piacere aderiamo alla Vs iniziativa di recensire sulla rivista del Vs Istituto i due nostri volumi che Vi inviamo in doppio esemplare, convinti di riuscire nella reciproca utilità e nello spirito ecumenico "Unitati Redintegratio" cristiano "post-conciliare".

Siamo lieti farVi conoscere il nostro  pensiero "Giuris-davidico" di conquiste spirituali in nome della SS.ma Trinità di Dio.

 

Con i più cordiali saluti e fraterni auguri di ogni bene.

 

sacerdoti Elvira Giro e

Leone Graziani.

 

Elvira Giro 

Leone Graziani  

 

Allegati:

n° 2 - "RIVELAZIONI SPIRITUALI" di Elvira GIRO

n° 2 - "QUESTA MIA VITA TERRENA" di Leone GRAZIANI

 

 

 

 

Serie A    N° 7332246

 

 

COMUNE DI ROMA

SERVIZI DEMOGRAFICI

­­­­­­­­­­­­­­________

 

UFFICIO DELLO STATO CIVILE

 

 

ESTRATTO PER RIASSUNTO dal Registro degli atti di MORTE

 

                  L’UFFICIALE DELLO STATO CIVILE

                  sulle risultanze dei registri di stato civile

 

dell’anno 1991, atto 02238, parte 1, serie 1

 

 

certifica che

 

GIRO ELVIRA

 

nata il 4/2/910 a NOVENTA VICENTINA (VI)

atto N. 00016 p. 1. s.

RESIDENTE IN ROMA

vedova di PINTUS EFISIO

 

È MORTA

 

il sei novembre millenovecentonovantuno

a ROMA (RM)

 

 

                                                                              UFFICIALE DI STATO CIVILE

 

ROMA 14/11/991

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Carissima Fausta,

 

 

La tua lunga lettera e stata meravigliosa, dove hai espresso le tue opinioni sull'Opera spirituale Giurisdavidica.

Ti ringrazio delle tue espressioni nei miei riguardi.

L’Opera spirituale è molto complessa perché non è iniziata soltanto con David L., ma richiama tutta la vecchia Bibbia e la Nuova, perciò non è facile sostenerla, però racchiude un solo comandamento: cioè rivolgersi a Iddio il Centro Cosmico Universale.

Io sono sempre presa dal "Fuoco", dalla Terra e dal Piano Spirituale, perciò non ho requie; né giorno né notte.

Non ho voglia di scrivere molto perché sono stanca.

Gli operai che pitturano porte e finestre finiscono domani, così chiudo la fatica di seguirli.

Ti abbraccio con tutto il cuore e ti penso molto perché tu sei tra le persone più evolute della Terra, e stai alla base con me e con Leone.

Caramente chiudo la lettera con l'abbraccio e con tutto il cuore.

 

Elvira Giro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Firenze: le Porte del Paradiso, spiritualmente aperte da Elvira Giro, nell’Opera della Colomba Madre Scienza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Finito di stampare

nel mese di Ottobre 1999

dalla Litotipografia SAMBO

Montespertoli (Fi) - Italy

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

"Sarà conosciuta da tutti i figli della Redenzione "

 

                                                     Elvira Giro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fausta Cozzi,

            in questo libro racconta i fatti a lei accaduti in merito ai "Personaggi" di DAVID LAZZARETTI (1834-1878), il "CRISTO CONSOLATORE", ed ELVIRA GIRO (1910-1991), la "MADRE-SCIENZA". Quanto descritto oltrepassa la dimensione umana. Ci porta a risposte di grande chiarezza, per ogni domanda che ogni spirito si può fare.

Tutto si basa sulla documentazione storica.