LA REINCARNAZIONE, UN MITO ILLUSORIO

 

 

 

 

LA TRAMA DELL'ESISTENZA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LA REINCARNAZIONE NELLA STORIA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LE PROVE DELLA REINCARNAZIONE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ARGOMENTI INDIRETTI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'OBIEZIONE DI FONDO CONTRO LA REINCARNAZIONE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

UN MITO ILLUSORIO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

UNA RISPOSTA DATA: FORSE L'UNICA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

È impressionante oggi il numero di chi crede nella reincarnazione. Non mi riferisco al mondo orientale, dove questa credenza è molto diffusa, costituendo una delle dottrine base dell’induismo, del giainimismo e del buddismo, ma del mondo occidentale. Da un’inchiesta compiuta in nove Stati dell’Europa (Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Irlanda del Nord, Italia, Repubblica d’Irlanda e Spagna) è risultato che credono nella reincarnazione il 21% degli Italiani e il 23% di essi si dichiara «incerto», mentre quelli che credono nel dogma cristiano della vita eterna sono il 47%. Perché la reincarnazione attrae così tante persone? È quello che vogliamo vedere, tracciandone prima di tutto una breve storia e poi esaminando gli argomenti sui quali essa si fonda.

  

La trama dell’esistenza: morire e nascere

 

Che cos’è la reincarnazione? È la credenza secondo la quale l’anima o l’elemento psichico (o il «corpo sottile»), che è per sua natura immortale, a ogni esistenza successiva s’incarnerebbe in un corpo mortale umano. Essa si distingue nella «metempsicosi», perché, secondo questa, l’anima trasmigrerebbe successivamente sia in corpi umani, sia in corpi di animali o in corpi vegetali oppure assumerebbe un nuovo stato, ma non necessariamente un nuovo corpo. Perciò, perché si possa parlare di reincarnazione, l’anima deve dotarsi, a ogni successiva esistenza, di un corpo umano differente. Il corpo sarebbe quindi una veste caduca che l’anima immortale si costruisce per il suo bisogno di ascensione e che, una volta consumata, smette per costruirne un’altra.

La reincarnazione - secondo i suoi fautori – risponde al principio di espansione e di contrazione dei cicli del mondo e deriva dal principio di dualità,  per cui la morte si alterna alla vita quale condizione per lo sviluppo della coscienza.[1] Morire e nascere, nascere e morire: questa è la trama dell’esistenza. C’è un continuo nascere e morire di forme; con la morte del corpo lo spirito scompare, con la nascita riappare. La reincarnazione perciò è la conseguenza dell’indistruttibilità della sostanza e del trasformismo. In realtà, l’anima sarebbe in una continua evoluzione e quindi sottoposta a successive reincarnazioni, le quali avverrebbero progressivamente su piani sempre più alti fino a che l’anima non giunga alla perfezione e diventi spirito non più bisognoso d’incarnazione oppure s’immerga nell’infinito. Il principio che regola la reincarnazione è il Karma: «Il karma è la forza che costringe alla reincarnazione, e quel karma è il destino che l’uomo tesse per se stesso»[2].

Com’è noto karma è una parola sanscrita che significa «azione» e designa la necessità di nascere in una nuova esistenza in conformità con quello che si è compiuto nell’esistenza precedente: in condizioni animali, umane o divine, secondo che nell’esistenza precedente ci si è comportati male o bene. La legge del karma è la legge della retribuzione degli atti. Questi portano necessariamente frutti, se non nella vita presente, certamente nella vita futura. Per i reincarnazionisti la legge senza eccezione che regge l’intero universo, dall’atomo invisibile e imponderabile fino agli astri, è la «legge universale della giustizia distributiva». Questa legge consiste nel fatto che ogni causa produce il suo effetto, senza che, una volta prodotta la causa, niente possa impedire o sviare l’effetto. Quindi non è possibile nessun intervento della volontà, né umana né divina: «Né il pentimento, nel il dolersi del fatto possono ottenere nulla. Non c’è posto né per il perdono, né per la redenzione. Il karma è cieco, automatico, non intelligente; quel che è fatto resta fatto».[3]

Così, «in ognuna delle nostre vite noi gettiamo i semi della personalità della prossima reincarnazione. Questo è il metodo con cui agisce il karma umano. I due fattori sono intrecciati inscindibilmente».[4]

  

La reincarnazione nella storia

 

La credenza nella reincarnazione è molto antica anche in Occidente. Era conosciuta presso i celti, dei quali Cesare scrive: «Una delle loro principali massime è che le anime non muoiono, ma che alla morte passano da un corpo in un altro, ciò che essi credono assai utile per incoraggiare alla virtù e per fare disprezzare la morte».[5]

Nell’antica Grecia, gli orfici ritenevano che l’anima, appena uscita da un corpo, s’incarna di nuovo in un altro corpo (sōma), che perciò è una prigione (sēma), da cui si possono liberare solo coloro che sono «iniziati». Anche Pitagora e i pitagorici credevano nella trasmigrazione delle anime.  Dagli orfici e dai pitagorici Platone derivò questa dottrina, che passò poi ai neoplatonici e agli gnostici. Per Platone si tratta di una teoria conforme alla giustizia, perché noi riceviamo un corpo per espiare le colpe commesse nel corso di vite precedenti.

Nel mondo cristiano nessuno ha mai sostenuto la reincarnazione, per il semplice fatto che essa è in radicale contraddizione con la risurrezione, è incompatibile cioè con la dottrina del Vangelo, la quale insegna che la salvezza, dono di Dio in Cristo, si realizza nel corso di una sola esistenza. Lungo tutta la sua storia, la Chiesa non ha fatto che riprendere ciò che dice Paolo: «Come è stabilito che gli uomini muoiono una volta sola, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una volta per tutte allo scopo di togliere i peccati di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la salvezza».[6]

I reincarnazionisti affermano spesso che la Chiesa all’inizio fu un gruppo esoterico, vicino agli esseni e alla loro dottrina, e che i padri della Chiesa, in particolare Origene, cedettero alla reincarnazione fino al secolo IV, quando l’imperatore Giustiniano l’avrebbe fatta condannare in un Concilio ecumenico. La verità è che nessun padre della Chiesa ha professato nei suoi scritti la dottrina della reincarnazione, definita da Girolamo «empia scellerata».[7]

Neppure Origine può essere accusato di reincarnazionismo, perché egli difese (e fu condannato per questo dalla Chiesa) la preesistenza delle anime, sotto l’influsso platonico, ma non la reincarnazione. D’altra parte, nessun Concilio ecumenico si è pronunciato contro la reincarnazione, poiché questa credenza non è stata mai condivisa dai cristiani e non è stata mai oggetto di controversia nella Chiesa. Una condanna indiretta della reincarnazione possiamo trovarla nel Concilio di Firenze (1439), quando esso dichiara che il destino dell’uomo è irrevocabilmente definito immediatamente dopo la morte.[8]

Nel mondo cristiano si è ricominciato a parlare di reincarnazione soltanto nel secolo XVI nei circoli neoplatonici da parte di Girolamo Cardano e di Giordano Bruno. La maggior diffusione di questa credenza però si è avuta nel secolo XIX, quando in Europa e in America del nord diventa il tema principale della teosofia[9] e degli ambienti occultisti e spiritisti. Gli esponenti sono Allen Kardek (pseudonimo di Hyppolithe Rivail che si crede la reincarnazione di un druida o sacerdote celtico) e che nel 1857 nel Livre des espris riporta le rivelazioni che gli spiriti disincarnati gli hanno fatto circa la reincarnazione; Elena P.Blavatsky, inventrice della teosofia, e Annie W. Besant, autrice di opere molto diffuse, come Reincarnazione (1892) e Karma (1892). Il reincarnazionismo ottocentesco è all’insegna dell’evoluzione e del progresso continuo; ci si reincarna per progredire.  Il motto è di Allen Kardek che così riassume la legge della reincarnazione: «Nascere, morire, rinascere ancora e progredire sempre:  questa è la legge».

Possiamo rilevare che proprio su questo punto sta la differenza sostanziale tra il reincarnazionismo occidentale e quello delle religioni e delle filosofie orientali. In queste ultime la reincarnazione non è un fatto positivo, non costituisce un motivo di gioia e di speranza, ma è una dura necessità cosmica, una purificazione necessaria cui devono assoggettarsi coloro che alla loro morte non possono ancora godere della liberazione definitiva e fondersi nell’Atman universale (induismo) o giungere al nirvana (buddismo); è dunque un male, da cui ci si deve liberare attraverso la meditazione e l’ascesi. Così, per le religioni e filosofie orientali accedere alla salvezza è uscire dal ciclo delle rinascite (samsara). Invece per il reincarnazionismo dei teosofi e degli spiritisti occidentali, ispirati al mito del «progresso perenne», la reincarnazione è un messo di perfezionamento e di progresso, è lo strumento con cui l’anima si eleva «progredendo sempre».

Nel secolo XX, con la diffusione dello spiritismo alla Allen Kardek, la dottrina della reincarnazione si è diffusa ampiamente, anche se gli spiritisti anglosassoni  si sono opposti ad essa con forza. Negli ultimi decenni del secolo XX ha ricevuto nuovo impulso dalla diffusione in Occidente delle religioni orientali. Attualmente la reincarnazione è sostenuta dagli aderenti della Scientologia di L. Ron Hubbard, morto nel 1989, e dal movimento New Age.[10]

  

Le prove della reincarnazione

 

I fautori della reincarnazione fondano la loro credenza su argomenti diretti e indiretti. Gli argomenti diretti sono le affermazioni degli spiriti che nelle sedute medianiche avrebbero dichiarato di essere vissuti altre volte, e il fatto che certi medium in stato di trance ricorderebbero vite trascorse. (Ecco, ad esempio, la rivelazione di uno spirito, come è riferita dagli spiritisti: «Dal 1881 al 1884 s’incontrava per le vie di Huesca (provincia di Aragona in Spagna) un uomo, denominato “il folle di Suciac”. Vestiva in modo buffo; spesso correva senza scopo, qualche volta invece camminava solennemente; non rispondeva ad alcuna domanda che gli si rispondeva. Venuto a morire, in un circolo medianico, si manifestò un’identità che disse di essere “il folle di Suciac” e che egli era stato, un tempo, signore di Sangarren; che aveva trascorso una condotta colpevole, e che l’ultima vita gli era stata imposta per espiazione. La conferma delle sue asserzioni si sarebbe trovata in documenti nascosti in una buca della cucina del suo castello, presso il focolare. Le persone del circolo medianico si portarono a Sagarren, chiesero il permesso di entrare nel castello, e nella buca della cucina trovarono nascosti i documenti che confermarono le affermazioni dello spirito».[11]

Ed ecco un ricordo di vita anteriore rivelato in uno stato di trance: «Una sera il principe Galitzin, il marchese di B. e il conte di R.  – racconta lo spiritista Léon Denis – erano riuniti, nel 1862, a Homburg. Passeggiando nel parco del Casino, scorsero una povera donna coricata su di una panca.  Avvicinatala, la invitarono a magiare qualche cosa all’hotel. Poi il principe Galitzin, che era magnetizzatore, ebbe l’idea di addormentarla e vi riuscì. Furono meravigliatissimi quando la donna si mise a parlare correttamente il francese, mentre precedentemente aveva parlato in cattivo tedesco; e raccontava che era una francese, reincarnata in persona povera, per punizione, in seguito a delitto commesso nella vita precedente nel secolo XVIII, perché aveva precipitato suo marito da una rupe in mare, per convivere con altra persona. Il fatto era avvenuto sulle coste settentrionali della Britagna, e indicò la località. Quei signori si recarono sul luogo del delitto, e vi appresero da vecchi contadini, che avevano sentito raccontare dai loro genitori, la storia di una giovane signora che aveva ucciso suo marito facendolo precipitare dalla rupe in mare».[12]

Cosa possiamo dire di questi argomenti diretti portati a sostenere le teorie della reincarnazione? Anzitutto si tratta di fatti di cui è difficile accertarne la storicità. Poi, per quanto riguarda le affermazioni degli spiriti, c’è all’interno dello stesso mondo spiritista una diversità di vedute circa la verità della reincarnazione; infatti, alcuni spiriti avrebbero detto che la reincarnazione esiste, altri che non esiste: a chi dobbiamo credere? Infine, per quanto riguarda i ricordi di vite anteriori nello stato ipnotico o nello stato di veglia, la spiegazione va cercata nel campo ancora in gran parte sconosciuto della parapsicologia. Ad ogni modo, i casi di cui un individuo si ricorderebbe di una vita anteriore sono molto pochi e si possono spiegare psicologicamente.

Lo studioso che meglio ha approfondito questo fenomeno è Ian Stevenson, professore all’Università della Virginia (Stati Uniti). Tra i duemila casi che gli sono stati presentati, soltanto venti suggerirebbero di una vita anteriore.[13]

Egli rileva che questo fenomeno psicologico si verifica quasi esclusivamente nel periodo infantile e tra persone che già credono nella reincarnazione; potrebbe quindi trattarsi di idee ricevute dall’ambiente ed elaborate da una particolare indole fantastico-sognatrice. In ogni caso, il «ricordo» finisce con passare dell’infanzia.

«I teosofi – aggiunge M. Delahoutre – citano ugualmente i casi di yogi e di saggi, come Buddha, che hanno coscienza delle loro vite passate. Ma questi casi sono storicamente contestati e si tratta sempre di stadi di meditazione e di coscienza anteriore al risveglio e quindi ancora soggetti a imperfezioni e ad errori».[14]

  

           Argomenti indiretti che proverebbero la reincarnazione

 

Per i reincarnazionisti gli argomenti più forti sono quelli indiretti, nel senso che la reincarnazione spiegherebbe alcuni fatti che altrimenti sarebbero inspiegabili. Spiegherebbe, ad esempio, il fatto che ci siano negli uomini idee innate; che alcuni uomini siano più intelligenti di altri, in particolare il fenomeno dei “bambini-prodigio”; che ci sia il male nel mondo, e il dolore sia distribuito tra gli uomini in modo diseguale, in modo che alcuni siano più felici di altri e viceversa; che alcuni bambini muoiono precocemente; che ci siano negli uomini simpatie e antipatie; che alcuni matrimoni siano infelici;  che l’umanità sia in continuo progresso.

Infatti – dicono di reincarnazionisti – le idee innate si devono interpretare come maturazione di concetti elaborati da altri spiriti nelle vite precedenti; le persone intelligenti, i geni, i bambini-prodigio  sono spiriti reincarnati che hanno acquistato scienza nelle esistenze precedenti, mentre gli idioti sono anime che non hanno fatto tesoro delle occasioni favorevoli nelle vite precedenti; le persone buone sono anime già perfezionate nelle vite precedenti, mentre i criminali sono anime reincarnate ancora all’inizio della loro evoluzione; il male e il dolore sono la conseguenza del cattivo comportamento nelle vite precedenti,  secondo la legge del karma: però il male e il dolore forgiano le anime come il martello forgia il ferro sull’incudine, e in questo modo le anime si perfezionano, per cui, trasmigrando da un corpo all’altro, per successive prove, raggiungeranno la perfezione;  i bambini che muoiono precocemente sono individui che pagano con la loro morte un debito contratto nell’esistenza precedente e poi ritornano sulla terra, liberate dal debito, per incarnarsi in un altro corpo e per raccogliere altre esperienze e perfezioni; il continuo progresso dell’umanità è una prova che gli individui che nascono hanno già un’esperienza che essi hanno acquisito nelle vite precedenti;  le simpatie e le antipatie trovano la loro causa in amori e odi nutriti in esistenze anteriori; i matrimoni falliti si spiegano con il fatto che gli sposi hanno debiti da pagare in esistenze antecedenti.

Ma l’argomento più importante, per i reincarnazionisti, è che una sola vita umana sarebbe insufficiente per far raggiungere all’uomo quel grado di perfezionamento che è necessario per il godimento della felicità perfetta. Nemmeno gli uomini migliore nel momento della morte si trovano in questo stato di perfezione intellettuale e morale da essere degni di accedere alla beatitudine. Un perfezionamento assoluto al momento della morte pare impossibile. È più credibile che questa perfezione possa essere raggiunta gradualmente con la reincarnazione in altri corpi.

Qual è il valore di questi argomenti?

Vediamoli brevemente uno per uno.

Prima di tutto, non ci sono nell’uomo idee innate, ma ogni idea è formata dall’intelletto partendo dalle sensazioni fornite dai sensi; da queste sensazioni l’intelletto astrae le idee universali. C’è, invece, una facilità innata ad acquistare alcune idee più semplici.  Che alcuni uomini siano più dotati di altri sotto il profilo intellettuale e morale si spiega con l’ereditarietà, con i condizionamenti dell’ambiente, con l’educazione, con l’impegno che ciascuno mette per migliorarsi intellettualmente e moralmente; il caso dei “bambini-prodigio” è un caso limite, ma si spiega anche lui con l’ereditarietà, con una precoce maturità cerebrale ed endocrina, con un’adeguata educazione ricevuta fin dall’infanzia, unita a particolari inclinazioni e talenti, come la matematica, o l’arte, la musica.[15]

Quanto agli uomini buoni o cattivi, essi sono tali per la loro educazione ricevuta e per l’ambiente nel quale sono vissuti, sia per l’impegno che hanno o non hanno posto nel compiere il bene. Il male e il dolore, che certamente esistono nel mondo, non sono la conseguenza di comportamenti cattivi nella vita precedente. Secondo i reincarnazionisti le anime, passando da un corpo all’altro, sarebbero in un continuo progresso spirituale: quindi, avendo vissuto molte volte, dovrebbero avere raggiunto una grande perfezione e per conseguenza la vita attuale dovrebbe essere, almeno per moltissime di esse, una vita felice in base al bene compiuto nelle esistenze precedenti. Invece, il male e il dolore colpiscono inesorabilmente tutti gli uomini buoni e cattivi, santi e criminali. Ora questo non si spiegherebbe, se si trattasse di anime reincarnate. O si reincarnano soltanto i cattivi e i criminali?

 

L’obiezione di fondo contro la reincarnazione

 

C’è poi un’obiezione di fondo contro la reincarnazione, a cui i suoi sostenitori non sanno rispondere: come mai, tra i miliardi di uomini che oggi sono sulla terra –e che sarebbero tutti reincarnati – nessuno ricorda nulla delle vite precedenti?  I reincarnazionisti dicono che le anime reincarnandosi dimenticano tutto il passato; ma come spiegare una dimenticanza totale e generale? Si potrebbe spiegare una dimenticanza parziale e particolare, non il fatto che tutte le anime dimenticano tutto. Questo è tanto più incomprensibile in quanto i reincarnazionisti seguono la concezione platonica dell’anima come sostanza completa che si serve del corpo come il pilota si serve della nave o come un cavaliere si serve del cavallo; in quanto sostanza completa,  l’anima, passando da un corpo all’altro, dovrebbe conservare tutti i ricordi, come li conserva un cavaliere passando da un cavallo all’altro.

C’è di più; l’ignoranza delle esistenze anteriori rende inutile la reincarnazione. Infatti, la ragione principale per cui questa è ammessa è che, reincarnandosi, l’anima si perfeziona, partendo dal punto di perfezionamento cui era giunta nella vita anteriore e servendosi delle esperienze in essa acquisite per andare più avanti e più in alto. Ora, com’è possibile un maggiore perfezionamento in base alle esperienze acquisite, se di queste esperienze non si conserva nessun ricordo? Certamente, se l’anima conservasse il ricordo delle esperienze passate, potrebbe partire da esse per progredire; ma se deve rifare tutte queste esperienze, a che vale averle fatte nelle esistenze passate? La reincarnazione, così, sarebbe del tutto inutile.

In altre parole, la reincarnazione avrebbe senso se, ad esempio, un grande scienziato come Einstein, reincarnandosi, potesse partire dal punto in cui è arrivato in questa vita per progredire ulteriormente; se invece deve ripartire da zero, perché non ricorda nulla della vita precedente, la reincarnazione è perfettamente inutile per il suo progresso intellettuale e morale e anche per il progresso della scienza, e quindi della civiltà.

Infine, per quanto riguarda l’argomento principale dei reincarnazionisti, si può certamente dire che una sola vita non basta affinché l’uomo possa raggiungere la perfezione assoluta; ma come non basta una vita, non bastano neppure molte vite, tanto è alto l’ideale della perfezione umana.  Tanto più che - come si è visto – l’anima nella vita seguente non parte dal punto cui è giunta nella vita precedente ma parte da zero, non ricordando nulla dei progressi fatti nelle vite passate. In realtà, se fosse vera la dottrina della reincarnazione - poiché sono passate centinaia di migliaia di anni dall’apparizione dell’uomo sulla terra e poiché a ogni reincarnazione l’anima progredisce sempre -, dovremmo oggi avere tutti uomini molto progrediti intellettualmente, spiritualmente e moralmente. Invece, nell’umanità attuale, non mancano le persone buone e intelligenti, ma ce ne sono anche non buone né progredite intellettualmente e spiritualmente.

 

Un «mito illusorio»

 

Da quanto abbiamo detto dobbiamo finire che la reincarnazione è un «mito illusorio», una creazione fantasiosa, senza alcun fondamento razionale. Essa si basa su una concezione radicalmente errata.

L’uomo per i reincarnazionisti non sarebbe un essere unico, composto di due principi (l’anima e il corpo) che unendosi forma un unico essere completo nello stesso tempo spirituale e corporeo, ma uno spirito (o un corpo sottile materiale) che si unisce in modo accidentale e passeggero a un corpo, per poi abbandonarlo al momento della morte e reincarnarsi in un altro corpo. Cioè, secondo i reincarnazionisti, l’anima e il corpo sarebbero due esseri completi e distinti, che si uniscono e si separano accidentalmente. Per loro il corpo non farebbe parte dell’individualità della persona.

Questa dottrina platonico-gnostica è dimostrata falsa tanto dalla ragione quanto dall’esperienza umana. Questa ci dice che l’uomo è un essere personale non diviso, ma unico, in cui spirito e materia sono così intrinsecamente uniti che tutto ciò che fa il corpo porta l’impronta dello spirito, e tutto ciò che pensa e vuole lo spirito porta l’impronta della materia.

La ragione - a sua volta – spiega questa esperienza di unità, affermando che nell’uomo l’anima spirituale, come principio d’informazione, «in-forma» attivamente la materia e ne fa un corpo umano, che è tale proprio perché è «in-formato» dall’anima.

Quest’unione sostanziale, nell’uomo, del principio spirituale e del principio materiale fa si che ogni anima sia in rapporto trascendentale col corpo che essa in-forma - col «suo» corpo -, cosicché non si può pensare che essa possa perdere tale rapporto per in-formare un altro corpo, è un assurdo. Ogni anima si unisce a un solo corpo, e ogni corpo è unito a una sola anima.

Tuttavia, per quanto assurda sia, la dottrina della reincarnazione pone taluni interrogativi cui va trovata la risposta che essa non può dare.  C’è, anzitutto, il problema della brevità della vita umana che non conosce di raggiungere un sufficiente grado di perfezione. Poi il problema che sorge dalla costatazione che la maggior parte degli uomini progredisce spiritualmente e moralmente poco, cosicché si trova all’ora della morte ad avere fatto ben poco. Infine, il problema derivante dal fatto che durante la vita gli uomini hanno possibilità diseguali di perfezionamento: alcuni godono di un buon carattere, di una buona educazione, di un ambiente di vita che favoriscono l’avanzamento spirituale,  altri invece hanno un’indole difettosa, nessuna educazione e vivono in condizioni ambientali poco favorevoli al progresso intellettuale e spirituale. Nascono allora alcune domande.

Se la reincarnazione non è in grado di spiegarli, dove trovare allora la risposta a questi problemi? C’è, in altre parole, un’alternativa all’ipotesi reincarnazionista,  di cui abbiamo dimostrato l’inutilità e l’assurdità?

 

Partiamo da un dato incontrovertibile.

Il nostro esistere è un enigma; ed è un enigma inquietante non tanto perché (nonostante il progresso scientifico e tecnologico) tante sono le cose che in esso i dati che restano inconoscibili e problematici, ma proprio perché lui stesso ci tiene nascosto quale sia il suo significato e il suo destino. È un enigma che non si lascia spiegare da nessuno: i filosofi, i cultori di discipline religiose e, in genere, gli specialisti del pensiero tentano da sempre di penetrarlo e di scioglierlo, ma non ci riescono mai. Le loro più acute elaborazioni, i loro asserti più perentori in questo campo e persino le loro ipotesi più caute non arrivano mai a persuaderci.

Ed è un enigma insopportabile perché possiamo vivere anche senza le comodità che disponiamo e senza la tecnologia che abbiamo, ma non possiamo vivere senza senso.

I «ministri» e i «mediatori» delle cose belle – poeti, artisti, maestri del benessere, cultori del corpo – riescono sì ad alleviare l’angoscia di questo dramma con le loro genialità e le loro ispirazioni, consolandoci in qualche modo della contraddizione che ci punge e ci sgomenta. Ma le consolazioni non ci bastano; a dare ragione alla nostra natura di creature ragionevoli e a rendere plausibile questo nostro non plausibile stato si creature smarrite, è necessario che l’enigma sial oltrepassato e vinto.

E siccome ciò che in assoluto non ha senso non può esistere, come non può esistere ciò che è assurdo, dobbiamo supporre che da qualche parte ci sia qualcuno in grado di dare senso e finalità a noi e alle cose.  Solo da lui, perciò – da qualcuno che ci trascende – possiamo aspettarci una risposta pacificante.

Già Platone aveva notato con profetica penetrazione che «su questo problema non c’è che una sola cosa da fare di queste tre: o apprendere da altri come stanno le cose; o scoprirlo da sé, o, se ciò è impossibile, accogliere la migliore e la meno contestabile delle idee umane,e su questa lasciarsi trasportare come su una zattera, arrischiando così la traversata della vita; salvo che uno non possa fare il tragitto, con maggiore sicurezza e con minor pericolo, su più solida barca, cioè con qualche divina rivelazione».[16]

Oggi, avendo visto il naufragio di tutte le zattere, c’è solo da vedere se effettivamente esista e ci sia data la «più solida barca».

 

Una risposta data: forse l’unica

 

Dio - perché solo di lui può trattarsi - con la sua risposta non si mette a gareggiare con i filosofi, con i cultori di discipline religiose e, in genere, con i pensatori professionisti.  Non propone una dottrina, realizza un fatto: un fatto - l’avvenimento pasquale - che immette senso, destino, finalità nella vicenda dell’uomo e così scioglie l’enigma; un fatto che s’identifica con una persona (la persona di Gesù di Nazareth immolato e glorificato), e dunque è un fatto che può e deve farsi destinatario della nostra conoscenza d’amore e del nostro slancio di comunione vitale; un fatto e una persona che è anche un progetto onnicomprensivo - è l’eterno «disegno di ricapitolare in Cristo tutte le cose» (Ef 1,10) - sicché nel Crocifisso Risorto ogni realtà è idealmente raccolta e compendiata.

Con questa scelta provvidenziale il Creatore mette fuori gioco una volta per tutte i «sapienti» e gli «intelligenti» di questo mondo, privilegiando invece i «piccoli». I «piccoli» infatti - che davanti alle analisi, alle teorie, ai sistemi si trovano a mal partito - capiscono ciò che avviene o non avviene e messi davanti ad un avvenimento sono in grado di reagire, cioè di accoglierlo o di non accoglierlo.

Non è che per i «sapienti» e gli «intelligenti» non ci sia speranza: la salvezza dal nonsenso e dall’assurdità è offerta a tutti, perché tutti sono in grado di tornare ad essere «piccoli».

Un «loghion» evangelico dice che intransigenza e misericordia coesistono nell’agire divino: «Se non diventerete come bambini, non entrerete

Possiamo trovare la risposta a questi problemi nella rivelazione cristiana. Essa afferma, innanzitutto, che ogni essere umano ha una sola vita, nella quale si compie il suo destino eterno. Ma il compimento di questo destino non è opera solo dell’uomo. La salvezza, infatti, è dono di Dio, il quale porta a compimento il bene che l’uomo, aiutato e sostenuto dalla grazia, ha compiuto nella sua vita, e con il suo perdono cancella le colpe che ha commesso. Non è dunque l’uomo che si salva da solo, progredendo dall’una all’altra reincarnazione: ciò è impossibile, perché da solo l’uomo non può raggiungere, per quanti sforzi faccia, la perfezione assoluta; ma è Dio che lo salva e lo rende perfetto con la sua grazia. Si spiega così che anche una sola vita umana può bastare per giungere all’assoluta perfezione. Si spiega che gli uomini possono salvarsi, pur trovandosi all’ora della morte ad avere compiuto poco bene e molto male; se essi si pentono del male fatto e si affidano a Dio, per il poco bene realizzato in vita, dio perdona il male compiuto (e così lo distrugge) e porta a compimento il bene fatto con la sua grazia, rendendoli partecipi dei meriti infiniti di Cristo, che ha sofferto ed è morto sulla croce per la salvezza di tutti.

La Chiesa certo riconosce che nessuno può essere ammesso alla visione di Dio, se non è perfettamente purificato. Per questo essa ammette il dogma del purgatorio, cioè di uno stato di purificazione che randa l’anima capace di accedere alla visione di Dio faccia a faccia. Per quanto riguarda coloro che sono vissuti in condizioni di povertà e di miseria e di mancanza di educazione, che hanno impedito loro di elevarsi, non solo Dio terrà conto di tali condizioni nel giudicarli, ma il Cristo nel Vangelo arriva addirittura ad affermare che essi saranno i primi nel regno dei cieli, e che proprio ad essi appartiene il regno di Dio.

 

Concludendo, il cristianesimo risponde al problema del destino dell’uomo superando le contraddizioni della credenza reincarnazionista, prospettando non un itinerario evolutivo senza fine, ma la visione faccia a faccia con Dio subito dopo la morte (o dopo il purgatorio, se essa è necessaria) e alla fine dei tempi la risurrezione dei morti.

C’è nell’uomo un desiderio di felicità infinita che può essere soddisfatto non da una catena di esistenze senza fine, ma soltanto dalla partecipazione alla felicità stessa di Dio; c’è ancora nell’uomo il desiderio che il corpo, in quanto fa parte dell’identità stessa della persona umana, sia eternamente felice con l’anima. A questo duplice desiderio risponde il cristianesimo, da una parte, assicurando che, immediatamente dopo la morte, l’anima (se non ha bisogno di purificazione) è ammessa alla partecipazione della felicità di Dio e, dall’altra, affermando che non soltanto l’anima è chiamata a partecipare alla gioia di Dio, ma che anche il corpo è destinato a risorgere un giorno.

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

 

­       Balthasar (von), Hans Urs, La metempsicosi, in: Idem, Homo creatus est. Saggi teologici V, trad. it., Morcelliana, Brescia 1991, pp. 111-130.

­       Cantoni, Pietro, Cristianesimo e reincarnazione (Religioni e Movimenti 8), Elledici, Leumann (TO) 1997.

­       Introvigne, Massimo (a c. di), La sfida della reincarnazione), Effedieffe, Milano 1993.

­       Kochanek, Hermann (ed.), Reinkarnation oder Auferstehung. Konsequenzen für das Leben, Herder, Freiburg - Basel - Wien 1992.

­       MacGregor, Geddes, Reincarnation in Christianity. A new Vision of the role of rebirth in christian thought (A quest book), The Theosophical Publishing House, Wheaton, Ill. U.S.A 1986.

­       Martensen, Hans Ludvig, S.J., Reincarnazione e dottrina cattolica. La Chiesa di fronte alla dottrina della reincarnazione, trad. it., Cristianità, Piacenza 1993.

­       Mondin, Battista, Preesistenza Sopravvivenza Reincarnazione, Àncora, Milano 1989.

­       Prabhupada, Bhaktivedanta Swami A.C., La reincarnazione: la scienza eterna della vita, trad. it., Edizioni Bhaktivedanta, Firenze 1983.

­       Scheffczyk, Leo, Die Reinkarnationslehre und die Geschichtlichkeit des Heils, in: Münchener Theologische Zeitschrift 31 (1980), pp. 122-129.

­       Schönborn, Christoph, Risurrezione e reincarnazione, trad. it., Piemme, Casale Monferrato 1990.

 


 

[1] Coscienza

[2] H.P.Blavatsky

[3] Cfr F.M. PALMÈS, Metapsíquica y Espiritirmo, Barcelona – Madrid, Labor, 482.

[4] L.H.L. SMITH, «Karma e reincarnazione», in V. HANSON, Karma. La legge universale di armonia, Roma, Ed. Mediterranee, 43.

[5] CESARE, De bello gallico, IV, 14,5.

[6] Eb 9,27-28.

[7] GIROLAMO, Ep. 130 ad Demetriadem [PL 22, 1.120].

[8] Cfr Denz.- Schön. 1305-1306.

[10] Sul New Age sto cercando di preparare un altro studio alla luce anche delle dichiarazioni ufficiali del Magistero della Chiesa, in particolare a partire dal documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della Meditazione Cristiana (Orationis Formas), Città del Vaticano (Editrice Vaticana) 1989. E del Pontificio Consiglio della Cultura, Una riflessione cristiana sul New Age.

[11] Riportato in G. B. ALFANO, La Reincarnazione, Napoli, Adriana, 1952, 77.

[12] Ivi, 77 s.

[13] Cfr I. STEVENSON, Twenty Cases Suggestive of Reincarnation, Charlottesville, 1979.

[14] M. DELAHOUTRE, «Réincarnation», in Dictionnaire des Religions, Paris, PUF, 1984, 1.419.

[15] «A ben considerare le loro qualità – osserva A. B. Alfano – si è trattato di straordinaria redentiva, di facile coordinazione delle idee che hanno appreso, o che sentirono; sicché in poco tempo compirono quella vita che altri avrebbero percorsa in tempi più lunghi per rafforzare nella memoria le cose studiate o udite. Spesso però questi ragazzi, divenuti adulti, finirono di essere un prodigio e non poche volte morirono presto, probabilmente per l’ingente consumo di energia, quando questa sarebbe stata utile per lo sviluppo del corpo. Del resto questi ragazzi prodigio, tirando le somme, non furono molti. Si citano sempre gli stessi nomi; sono una decina, una ventina, in qualcuno di questi famosi fanciulli-prodigio ci ha dato vera dimostrazione di essere Galileo e Newton o Leonardo o Pasteur redivivi. Chiamiamoli geni infantili, ingegni precoci, intelligenze speciali, ma non si può avere il coraggio di chiamarli celebrità che furono e che ritornano. Quale vantaggio per l’umanità se questi spiriti sommi rinascessero, reincarnandosi in altri corpi! Per queste speciali creature vi sono varie spiegazioni da opporre all’ipotesi che si tratti di reincarnazioni di spiriti superiori già vissuti: una particolare ereditarietà fisiologica, un’idonea educazione fin dai primi anni, una precoce maturità cerebrale ed endocrina, un particolare carattere di imitazione. I precoci musicisti erano dei privilegiati orecchisti, ma non conoscevano certo il contrappunto e le leggi dell’armonia. I quali ragazzi precoci ebbero in seguito bisogno d’insegnamento, i libri per progredire; e questo dimostrò che non possedevano per niente nozioni precedenti, ma semplice inclinazione, per quanto meravigliosa». G. B. ALFANO, La Reincarnazione, cit., 37 s.

[16] Platone, Fedone, c.35.