NOVEMBRE
1
L’ANGELO DEL SIGNORE E LE TRE PROVE
Un saggio, che
aveva passato la vita in meditazione e ricerca, scorse una mattina tra la folla
uno strano essere, magro, con una folta barba lunga, e gli disse: “So chi sei, e
ti riconosco perché sono un mistico: tu sei l’Angelo del Signore, e vai per la
terra a compiere i suoi disegni.
Lascia allora ch’io ti segua, lascia che ti serva perché questo è ciò che per
tutta la vita ho desiderato: essere utile ai disegni di Dio.”
L’altro lo guardò perplesso, e dopo un lungo silenzio rispose: “Sia; ma ad una
condizione:
rimarrai con me sino al tramonto senza criticare mai le mie azioni né chiedere
mai spiegazione del mio operato.”
“Va bene.” esclamò il saggio, “So tacere quando occorre…”
E si misero in cammino. Dopo un po’ giunsero in vista d’un villaggio i cui
abitanti s’eran raccolti attorno a un muro che recintava un orto e cominciavano
a demolirlo pietra dopo pietra.
L’individuo magro dalla barba folta chiese loro ragione di quel lavoro, e uno
rispose: “Vedi quei due ragazzi? Sono orfani, e il loro unico sostentamento è
dato da questo piccolo orto.
Stamane, passando da qui, il giudice del distretto è stato colpito da una pietra
caduta dal muretto; ha ritenuto che il muretto fosse pericolante e ha ingiunto
ai ragazzi di demolirlo completamente entro il tramonto, pena la confisca
dell’orto.
Poiché non ce la faranno da soli né hanno denaro per pagar manovali, noi tutti
li aiutiamo!”
Udito ciò, l’Angelo del Signore gli rispose: “Ma perché proprio tu sei qui? Non
hai forse una mucca in atto di figliare, bisognosa dunque del tuo aiuto?” Poi,
mentre quello correva alla sua stalla, preso in disparte uno dopo l’altro quelli
che lavoravano, parlò loro della necessità che s’occupassero dei fatti propri, e
li convinse tutti ad abbandonare i due orfani che, rimasti soli, gli lanciarono
una lunga, sconsolata occhiata di rimprovero; poi, con le lacrime agli occhi,
presero a demolire il muro dicendo: “Facciamo quanto possibile, e forse il
giudice ci permetterà di terminare domani!”
Il saggio e l’uomo magro ripresero il cammino, non senza una certa perplessità
del primo che a un certo momento sbottò: “Ma non ti pare di aver agito male nei
riguardi di quei poveri orfani?”
L’altro gli
rispose: “Ricordati la tua promessa; taci e seguimi!”
Nel primo pomeriggio i due giunsero sulle rive di un grande fiume. I
traghettatori vociavano e berciavano per richiamare l’attenzione dei pellegrini,
ma non vollero abbassare il loro prezzo quando l’Angelo del Signore protestò:
“Quattro monete a testa?
Così tanto? Non potremmo darvene due?”
“Niente da fare, oppure andate laggiù, da Husein il povero.
Ha una barca sgangherata e traghetta per una sola moneta!” risposero diversi
traghettatori
Fecero così, e infatti Husein, un giovane che non poteva acquistare una barca
più bella, doveva proprio accontentarsi delle briciole. Li traghettò per una
moneta a testa, ma quando arrivarono sulla riva opposta l’Angelo del Signore
sguainò la spada e menando un fendente sul fondo della barca vi fece un buco che
la colò a picco. Husein cominciò a inveire, ma i due si allontanarono in fretta.
Poco dopo il
saggio sbottò: “Ma perché hai rovinato quella barca? Quel giovane è povero, ha
bisogno di soldi. Non potrà più lavorare per tutta la giornata!”
“Ti ho detto di tacere, dunque taci!” ribatté l’altro.
Era quasi il tramonto quando si trovarono a passare accanto alla casetta di un
boscaiolo.
Come questi li vide, andò loro incontro dicendo: “Viandanti, è felice dovere
d’ogni buon musulmano ospitare alla propria tavola lo straniero. Accomodatevi da
noi e desinate di buon grado!”
Così i due passarono più di un’ora in compagnia del boscaiolo, parlando con i
suoi quattro figli e in particolare con l’ultimo, che era il prediletto dei
genitori, oramai attempati.
Quando venne il momento di partire, l’Angelo del Signore chiese indicazioni
sulla strada per la città.
Il boscaiolo
spiegò: “Segui il sentiero fin dopo la collina, poi prendi quello a destra dei
due alberi…”
Ma l’Angelo pareva non capir bene, talché alla fine disse: “Facci accompagnare
dal tuo ultimogenito fino a quei due alberi, così saremo sicuri di non
sbagliare!”
Così fu fatto, e i tre si incamminarono. Superata la collina, giunti infine alla
biforcazione, il ragazzo indicò la strada giusta, li salutò e si volse per
tornare indietro. Allora l’Angelo del Signore sguainò di nuovo la spada e con un
gran fendente gli tagliò netta la testa.
L’uomo saggio inorridì… Rimase un momento col fiato mozzo, e poi, violentemente,
urlò: “Angelo del Signore? Macché Angelo del Signore: un delinquente, un
assassino, ecco chi sei! L’Angelo del demonio, forse. Mio Dio, ma come ho fatto
a non capirlo prima?
Vattene, vattene via! La maledizione su di te, assassino!”
Al che l’altro rispose: “Certo, me ne vado, e capisco perché non mi vuoi più
seguire. D’altronde non lo potresti fare: avevamo pattuito che non avresti
dovuto protestare per ciò che facevo, né criticare, e per tre volte hai
contravvenuto al patto.
Tuttavia, prima di lasciarti, ti darò la spiegazione dei fatti. Quella gente che
aiutava i due orfani, hai visto in effetti com’ era egoista?
Non appena gli ho parlato dei loro interessi se ne sono andati. Orbene: ai piedi
di quel muretto era sepolta una marmitta piena di monete d’oro. Se quella gente
l’avesse trovata, non ne avrebbe parlato coi ragazzi e si sarebbe spartito il
tesoro di nascosto. Ora i due giovani hanno trovato le monete, e il loro
avvenire è assicurato!”
“Sì, ma quella barca?” domandò il saggio. L’angelo del Signore rispose: “Dietro
di noi stava sopraggiungendo una banda di predoni che aveva compiuto un grande
saccheggio.
I predoni, giunti al fiume, hanno razziato tutte le barche per discendere il
fiume sino alla loro nave, dove tutte le barche sono state affondate. La sola
che non hanno potuto prendere è quella di Husein, che la potrà riparare durante
la notte e domani, unico traghettatore, lavorerà per molti giorni al prezzo che
vuole!”
“Sì, ma il ragazzo che hai ucciso?” chiese allora il saggio, “Il più piccolo, il
più caro a quei boscaioli!” “Questa notte sarebbe impazzito, e nella sua follia
avrebbe ammazzato nel sonno i suoi fratelli. Ora, che cosa è preferibile per
quei genitori? Piangere il loro figlio minore, confortati dagli altri tre, o
avere i primi tre uccisi dal fratellino, e quest’ultimo ucciso dal boia?
Stolto l’uomo che giudica le azioni di Dio; anzi: tolto è l’uomo che giudica,
quando gli elementi di giudizio possesso sono inadeguati o scarsi!”
Conclusa la spiegazione, l’Angelo del Signore se ne andò.
2
L’UOMO ED IL PETTIROSSO
Un uomo trovò
un pettirosso fra gli spini e lo catturò, dicendo: “Che bellezza, me lo porto a
casa e me lo faccio allo spiedo!”
Al che il pettirosso gli parlò: “Che ben magro pasto faresti col mio corpicino
minuto!
Se invece mi lasci libero, in cambio ti dirò tre massime di grande valore!”
“Sì, d’accordo,” rispose l’uomo, “ma prima dimmi le massime e poi ti lascerò
andare!”
“E come posso
fidarmi? Facciamo così: io ti dico la prima massima mentre mi hai ancora in
mano. Se ti va, mi lasci andare e io volo su quel ramoscello vicino, da dove ti
dico la seconda massima, e dove mi puoi anche raggiungere con un salto. Poi
volerò sulla cima dell’albero, e da lì ti dirò la terza massima!”
Così fu convenuto e l’uccellino cominciò: “Non ti lamentare mai di ciò che hai
perso, tanto non serve a nulla.”
“Bene,” disse l’uomo, “mi piace!” e liberò il pettirosso che dal ramoscello
vicino disse la seconda massima: “Non dare mai per scontato ciò che non hai
potuto verificare di persona!”
Dopo di che il pettirosso spiccò il volo, e mentre raggiungeva la cima
dell’albero gridò tra i gorgheggi: “Uomo sciocco e stupido! Nel mio corpo è
nascosto un bracciale tutto d’oro, tempestato di diamanti e rubini. Se mi avessi
aperto, a quest’ora saresti un uomo ricco!”
Al che l’uomo, disperato, si buttò a terra stracciandosi le vesti e gridando:
“Povero me, in cambio di tre massime ho perduto un tesoro favoloso! Me
disgraziato, perché ho dato retta al pettirosso! Perché questo insulso scambio
per tre sole massime…
Ma, un momento!
Ehi, pettirosso: me ne hai dette solo due; dimmi almeno anche la terza!”
E il pettirosso
rispose: “Uomo sciocco, tre volte sciocco: ti ho pur detto come prima massima di
non lamentarti per ciò che hai perso, tanto è inutile. Ed ecco che sei per terra
a lamentarti.
Poi ti ho detto di non dare mai per scontato ciò che non hai potuto verificare
di persona, ed ecco che tu credi a quel che ti ho detto senza averne la benché
minima prova.
Ti sembra forse che il mio piccolo corpo possa racchiudere un grosso bracciale?
Se non sai fare uso delle prime due massime, come puoi pretendere di averne una
terza?”
E volò via. GABRIEL MARCEL
3
LA VECCHIA ZIA ADA
La vecchia zia
Ada, quando fu molto vecchia, andò ad abitare al ricovero degli anziani, in una
stanzina con tre letti, dove già stavano due vecchine, vecchie quanto lei. Si
scelse subito una poltroncina accanto alla finestra e sbriciolò un biscotto
secco sul davanzale.
“Brava, così verranno le formiche!” dissero le altre due vecchine, stizzite.
Invece dal giardino del ricovero venne un uccellino, beccò di gusto il biscotto
e volò via.
“Ecco,” borbottarono le vecchine “che cosa ci avete guadagnato? Ha beccato ed è
volato via. Proprio come i nostri figli che se ne sono andati per il mondo,
chissà dove, e di noi che li abbiamo allevati non si ricordano più.”
La vecchia zia
Ada non disse nulla, ma tutte le mattine sbriciolava un biscotto sul davanzale e
l’uccellino veniva a beccarlo, sempre alla stessa ora, puntuale come un
pensionato, e se non era pronto bisognava vedere come si innervosiva. Dopo
qualche tempo l’uccellino portò anche i suoi piccoli, perché aveva fatto il nido
e gliene erano nati quattro, e anche loro beccarono di gusto il biscotto della
vecchia zia Ada, e venivano tutte le mattine, e se non lo trovavano facevano un
gran chiasso.
“Ci sono i vostri uccellini!” dicevano allora le vecchine alla vecchia zia Ada,
con un po’ d’invidia.
E lei correva, per modo di dire, a passettini passettini, fino al suo
cassettone, scovava un biscotto secco tra il cartoccio del caffè e quello delle
caramelle all’anice e intanto diceva: “Pazienza, pazienza, sono qui che arrivo.”
esclamava la vecchia zia Ada.
“Eh,” mormoravano le altre vecchine “se bastasse mettere un biscotto sul
davanzale per far tornare i nostri figli. E i vostri, zia Ada, dove sono i
vostri?” La vecchia zia Ada non lo sapeva più: forse in Austria, forse in
Australia; ma non si lasciava confondere, spezzava il biscotto agli uccellini e
diceva loro: “Mangiate, su, mangiate, altrimenti non avrete abbastanza forza per
volare.”
E quando avevano finito di beccare il biscotto: “Su, andate, andate...Cosa
aspettate ancora? Le ali sono fatte per volare.”
Le vecchine scrollavano il capo e pensavano che la vecchia zia Ada fosse un po’
matta, perché vecchia e povera com’era aveva ancora qualcosa da regalare e non
pretendeva nemmeno che le dicessero grazie. Poi la vecchia zia Ada morì, e i
suoi figli lo seppero solo dopo un bel po’ di tempo, e non valeva più la pena di
mettersi in viaggio per il funerale.
Ma gli uccellini tornarono per tutto l’inverno sul davanzale della finestra e
protestavano perché la vecchia zia Ada non aveva preparato il biscotto.
GIANNI RODARI
4
“Favola”
Questa storia
non è ancora accaduta, ma accadrà sicuramente domani. Ecco cosa dice.
Domani una brava, vecchia maestra condurrà i suoi scolari, in fila per due, a
visitare il “Museo del Tempo Che Fu,” dove sono raccolte le cose di una volta
che non servono più, come la corona del re, lo strascico della regina, il tram
di Monza, eccetera.
In una vetrinetta un po’ polverosa c’era la parola: “Piangere.” Gli scolaretti
di Domani lessero il cartellino, ma non capivano, quindi chiesero: “Signora, che
vuol dire? “È un gioiello antico? Apparteneva forse agli Etruschi?”
La maestra spiegò che una volta quella parola era molto usata, e faceva male.
Mostrò una fialetta in cui erano conservate delle lacrime: chissà, forse le
aveva versate uno schiavo battuto dal suo padrone, forse un bambino che non
aveva casa.
“Sembra acqua!” disse uno degli scolari.
“Ma scottava e
bruciava!” rispose la maestra.
“Forse la facevano bollire prima di adoperarla?” chiese ancora uno degli
scolari.
Gli scolaretti proprio non capivano, anzi cominciavano già ad annoiarsi. Allora
la buona maestra li accompagnò a visitare altri reparti del Museo dove c’erano
da vedere cose più facili come: L’inferriata di una prigione, un cane da
guardia, il tram di Monza, eccetera, tutta roba che nel felice paese di Domani
non esisteva più. GIANNI RODARI
5
AMARSI E BASTA
C’erano una
volta un uomo ed una donna che insieme dovevano progettare un futuro insieme.
Si sedettero intorno ad un tavolo ed ognuno stirò il suo foglio bianco
impugnando una penna; avevano bisogno di scrivere tutte le cose che tra loro non
andavano ed anche quelle che invece li facevano felici.
Lei scrisse che
di lui amava lo sguardo ed il modo in cui la baciava, i sogni e l’amore che le
dava; lui invece non riusciva a scrivere nulla, non perché non trovasse una
ragione per amarla, ma perché nel suo cuore ogni cosa di lei gli procurava
gioia, ed era proprio questo sentimento quasi morboso che lei annotò fra le cose
colpevoli di turbare il loro rapporto: quel tipo di amore che opprime e fa
sentire in gabbia senza possibilità di fuga.
Quando lei ebbe terminato di scrivere i “pro” e i “contro” della loro vita
insieme, lui stava ancora cercando un aggettivo che potesse descrivere ciò che
provava, innervosito scrisse la prima cosa che gli balenò in testa: Amore.
Le bastò però
vedere ciò che aveva scritto lei per turbarsi profondamente, siccome tutto si
può chiedere, eccetto che cambiare il proprio modo d’amare.
Così, tra le cose che non andavano di lei, segnò: preferisce essere amata di
meno.
Scambiandosi i fogli uno dei due proclamò: non riusciremo a cambiare niente.
Ma l’altro
rispose: ciò che faremo o non faremo non conta, conta solo pensarlo sempre in
due.
E così si baciarono andando incontro al rischio più grande: amarsi e basta,
scampando però a quella insoddisfazione che spesso attanaglia il cuore di chi,
non accettando quel rischio, piange la propria solitudine per anni, fino a
quando non torna ad amare sé stesso.
6
AMICHE DEL CUORE
“Per piacere,
resta!” imploravo. Ann era la mia migliore amica, l’unica ragazzina del
vicinato, e non volevo che andasse via. Stava seduta sul mio letto, con gli
occhi blu privi di espressione.
“Mi annoio!” disse arrotolandosi gli spessi riccioli rossi intorno a un dito.
Era venuta a giocare solo mezz’ ora prima.
“Per piacere, non andare!” chiesi supplichevole, “Tua mamma ha detto che potevi
restare per un’ ora!”
Ann fece per alzarsi, poi vide un paio di mocassini indiani in miniatura sul mio
comodino. Con le loro perline dai colori vivaci sulla morbida pelle, quei
mocassini erano la cosa che mi era più preziosa. “Rimarrò se me li dai!” disse
Ann.
Aggrottai le
sopracciglia. Non potevo immaginare di separarmi da quei mocassini.
“Ma me li ha dati la zia Reba!” protestai.
Mia zia era stata una donna bella e gentile, e io l’adoravo. Non era mai troppo
occupata per dedicarmi un po’ di tempo. Ci inventavamo storie buffe e ridevamo
tanto. Il giorno in cui era morta, avevo pianto per ore sotto una coperta,
incapace di credere che non l’avrei più rivista.
In quel momento, mentre tenevo con cura i mocassini nella mano, ero invasa dal
dolce ricordo di zia Reba. “Andiamo.” incitava Ann, “Sono la tua migliore
amica!”
Come se ci fosse bisogno di ricordarmelo! Non so che cosa mi prese, ma
desideravo più di ogni altra cosa avere qualcuno che giocasse con me. Lo volevo
così tanto che porsi i mocassini ad Ann! Dopo che li ebbe riposti in tasca,
andammo in bicicletta sul vialetto per diverse volte e presto fu tempo per lei
di tornare a casa.
Sconvolta per quello che avevo fatto, non avevo comunque voglia di giocare.
Quella sera sostenni di non avere fame e andai a letto senza cena. Una volta
nella mia stanza, iniziai davvero a sentire la mancanza dei mocassini! Dopo che
la mamma mi ebbe rimboccato le coperte e spento la luce, mi chiese cosa ci fosse
che non andasse. Le raccontai tra le lacrime di come avessi tradito la memoria
di zia Reba e di quanto mi sentissi in colpa.
La mamma mi abbracciò con calore, ma tutto quello che mi disse fu: “Bene,
immagino che dovrai decidere cosa fare.”
Le sue parole non mi furono d’aiuto. Sola nel buio, cercai di chiarirmi le idee.
“La legge dei bambini dice che non devi dare una cosa e poi riprendertela.” mi
dicevo, “Ma è stato un affare conveniente? Perché ho permesso ad Ann di giocare
con i miei sentimenti? Ma soprattutto, Ann è davvero la mia migliore amica?”
Decisi che cosa avrei fatto.
Mi agitai e mi rivoltai per tutta la notte, non vedendo l’ora che si facesse
giorno. A scuola, il giorno seguente, affrontai Ann. Trassi un profondo respiro
e le chiesi di rendermi i mocassini.
Sbarrò gli occhi e mi guardò a lungo.
“Per piacere!”
pensavo, “Per piacere!”
“Okay.” disse infine, tirando fuori dalla tasca i mocassini, “Tanto non mi
piacevano.”
Fui sopraffatta da una sensazione di sollievo.
Dopo qualche tempo io e Ann smettemmo di giocare insieme. Scoprii nei dintorni
dei bambini che non erano niente male, e spesso mi invitavano a giocare a
softball. Mi feci anche nuove amiche in altri quartieri. Nel corso degli anni,
ho avuto altre amiche del cuore. Ma non ho più supplicato per la loro compagnia.
Sono arrivata a capire che gli amici sono persone che vogliono trascorrere il
tempo con te, senza chiedere niente in cambio. MARY BETH OLSON
7
GIOCAR A NASCONDINO
Raccontano che
un giorno si riunirono in un luogo della terra tutti i sentimenti e le qualità
degli uomini. Quando la noia si fu presentata per la terza volta, la pazzia,
come sempre un po’ folle propose: “Giochiamo a nascondino!”
L’interesse alzò un sopracciglio e la curiosità senza potersi contenere chiese:
“A nascondino? Di che si tratta?”
“E’ un gioco,” spiegò la pazzia “in cui io mi copro gli occhi e mi metto a
contare fino a un milione mentre voi vi nascondete e, quando avrò terminato di
contare, il primo di voi che scopro prenderà il mio posto per continuare il
gioco dopo che avrò trovato tutti…”
L’entusiasmo si
mise a ballare, accompagnato dall’euforia. L’allegria fece tanti salti che finì
per convincere il dubbio e persino l’apatia alla quale non interessava mai
niente. Però non tutti vollero partecipare.
La verità preferì non nascondersi. Perché, se poi alla fine tutti la scoprono?
La superbia pensò che fosse un gioco molto sciocco (in fondo ciò che le dava
fastidio era che non fosse stata una sua idea) e la codardia preferì non
rischiare.
“Uno, due, tre…” cominciò a contare la pazzia.
La prima a nascondersi fu la pigrizia che si lasciò cadere dietro la prima
pietra che trovò sul percorso. La fede volò in cielo e l’invidia si nascose
all’ombra del trionfo che con le proprie forze era riuscito a salire sulla cima
dell’albero più alto. La generosità quasi non riusciva a nascondersi. Ogni posto
che trovava le sembrava meraviglioso per qualcuno dei suoi amici. Che dire di un
lago cristallino? Ideale per la bellezza. Le fronde di un albero? Perfetto per
la timidezza. Le ali di una farfalla? Il migliore per la voluttà. Una folata di
vento? Magnifico per la libertà. Così la generosità finì per nascondersi in un
raggio di sole. L’egoismo, al contrario trovò subito un buon nascondiglio,
ventilato, confortevole e tutto per sé. La menzogna si nascose sul fondale degli
oceani (non è vero, si nascose dietro l’arcobaleno). La passione e il desiderio
al centro dei vulcani. L’oblio non mi ricordo dove!
Quando la pazzia arrivò a contare 999999 l’amore non aveva ancora trovato un
posto dove nascondersi poiché li trovava tutti occupati, finché scorse un
cespuglio di rose e alla fine decise di nascondersi tra i suoi fiori.
“Un milione!” contò la pazzia. E cominciò a cercare. La prima a comparire fu la
pigrizia, solo a tre passi da una pietra. Poi udì la fede, che stava discutendo
con Dio su questioni di teologia, e sentì vibrare la passione e il desiderio dal
fondo dei vulcani. Per caso trovò l’invidia e poté dedurre dove fosse il
trionfo. L’egoismo non riuscì a trovarlo. Era fuggito dal suo nascondiglio
essendosi accorto che c’era un nido di vespe. Dopo tanto camminare, la pazzia
ebbe sete e nel raggiungere il lago scoprì la bellezza. Con il dubbio le risultò
ancora più facile, giacché lo trovò seduto su uno steccato senza avere ancora
deciso da che lato nascondersi. Alla fine, trovò un po’ tutti: il talento
nell’erba fresca, l’angoscia in una grotta buia, la menzogna dietro l’arcobaleno
e infine l’oblio che si era già dimenticato che stava giocando a nascondino.
Solo l’amore non le appariva da nessuna parte. La pazzia cercò dietro ogni albero, dietro ogni pietra, sulla cima delle montagne e quando stava per darsi per vinta scorse il cespuglio di rose e cominciò a muoverne i rami. Quando, all’improvviso, si udì un grido di dolore: le spine avevano ferito gli occhi dell’amore…! La pazzia non sapeva più che cosa fare per discolparsi; pianse, pregò, implorò, domandò perdono e alla fine gli promise che sarebbe diventata la sua guida. Da allora, da quando per la prima volta si giocò a nascondino sulla terra, l’amore è cieco e la pazzia sempre lo accompagna…
8
ASPETTA, PAPÀ… ASPETTA
Un papà aveva
imparato che molti conflitti con i figli si risolvevano in pizzeria. Per qualche
anno aveva portato fuori ogni tanto la figlia più grande, per una specie di
appuntamento padre-figlia. Decise di fare lo stesso anche con la più piccola.
Per il primo appuntamento la portò a cena in una pizzeria vicino a casa. Gli
avevano appena servito la pizza quando decise che era il momento giusto per dire
alla bambina quanto lui le volesse bene e quanto la apprezzasse. “Giulia,”
disse, “voglio che tu sappia che ti voglio bene e che, per me e la mamma, tu sei
davvero speciale. Preghiamo sempre per te, e ora che stai crescendo e diventi
ogni giorno che passa un ragazzina in gamba, non potremmo essere più
orgogliosi.”
Non appena ebbe terminato di pronunciare quelle parole, rimase in silenzio e
fece per prendere la forchetta così da iniziare a mangiare, ma non riuscì a
portare la forchetta alla bocca. La bambina allungò la mano appoggiandola su
quella del padre. Gli occhi di lui incontrarono i suoi e, con una vocina dolce,
la bambina disse: “Aspetta, papà… aspetta.”
Il papà
appoggiò la forchetta e spiegò di nuovo alla figlia perché lui e la mamma la
amavano e la stimavano. Poi, di nuovo, afferrò la forchetta.
Ma per la seconda volta, e poi per la terza, e la quarta, fu fermato sempre
dalle stesse parole: “Aspetta, papà… aspetta.”
Quella sera il padre non riuscì a mangiare molto e, non appena rientrarono, la
bambina corse dalla mamma e le disse: “Sono una figlia davvero speciale, mamma.
Me l’ha detto papà.
Mi ha fatto tanto bene sentirmelo dire che gliel’ho fatto ripetere tante volte.”
9
ASPETTA UN ATTIMO, TESORO!
Ultimamente la
fretta ha preso il sopravvento e la mia frase più frequente è: “Aspetta un
attimo, tesoro!”
Lo dico a mio figlio mentre accudisco la sua sorellina; lo dico a mia figlia
mentre aiuta suo fratello e lo dico persino al mio paziente marito. Mi ritrovo a
pronunciare questa frase in una serie infinita di circostanze. Alcune settimane
fa, mio figlio mi ha chiesto di preparargli la merenda e io, naturalmente, gli
ho risposto: “Aspetta un attimo, tesoro!”
Mi sono
affrettata a finire quello che stavo facendo e poi sono corsa a preparargli la
merenda.
Lui si è seduto al tavolo e ha cominciato a mangiare di gusto mentre io già
pensavo di tornare a occuparmi delle mie faccende, ma poi ho deciso di prendermi
una pausa e di sedermi insieme a lui. “Grazie per avere aspettato che finissi di
riporre i piatti, prima di prepararti la merenda.
Sei stato davvero molto paziente!”
Lui annuì e continuò a riempirsi la bocca di Nutella. “Sai una cosa, Samuele,
ultimamente sono davvero molto indaffarata. Ti devo chiedere sempre di aspettare
un minuto prima di soddisfare le tue richieste. Capisci, vero, perché qualche
volta devi aspettare?”
Lui mi guardò
con un’espressione buffa sul viso: “Sì!” mi dici, “Un secondo, Samuele!” così mi
puoi ascoltare con tutti e due le orecchie. Se ti parlo mentre stai facendo
qualcos’altro, mi puoi sentire soltanto con un orecchio. Ma se aspetto con
pazienza poi tu mi puoi sentire meglio!” mi disse annuendo solennemente. Rimasi
di stucco.
Il mio bambino, che non aveva ancora compiuto i cinque anni, aveva già trovato
una spiegazione più che plausibile alla situazione.
Capii che, quando gli dicevo: “Aspetta un secondo!” lui interpretava quella
frase come una dimostrazione d’affetto. Era come se io gli dicessi: “Aspetta un
secondo, così ti potrò rivolgere tutta la mia attenzione!” o “Quello che stai
dicendo è molto importante per me, voglio sentirlo con entrambe le orecchie!”
“Samuele, hai assolutamente ragione!” gli risposi, “Ti voglio tanto bene e mi
piace tanto trascorrere il mio tempo con te. Voglio sentire quello che mi dici
con entrambe le orecchie perché tu sei molto importante nella mia vita!”
aggiunsi abbracciandolo forte.
Quella sera, mentre rimboccavo le coperte a Samuele, lui mi prese la faccia fra
le mani e cominciò a soffiarmi prima dentro un orecchio poi dentro l’altro.
Non capii che cosa stesse facendo e gli chiesi spiegazione del suo
comportamento.
“Voglio essere sicuro che le tue orecchie siano pulite, mamma!”
Mi tirò a sé e
mi sussurrò: “Volevo essere certo che mi sentissi con tutti e due le orecchie
mentre ti dicevo che ti voglio bene più del mondo intero!”
Sentii le lacrime salirmi agli occhi mentre gli rispondevo: “Oh, tesoro, ti
voglio tanto bene, anch’io più del mondo intero!”
“Ed io ancora un briciolo di più!” confermò lui con la sua adorabile vocina.
10
ATTENZIONE RECIPROCA
Un giorno in
cui faceva molto caldo, un contadino che lavorava nel suo campo colse un
grappolo d’uva e cominciò a mangiarlo ma, mentre si dissetava, pensò a sua
moglie che stava facendo il pane in casa. Forse con quel caldo avrebbe
desiderato anche lei un po’ d’uva fresca. Così le portò in dono il grappolo e
torno nell’orto a lavorare.
La moglie apprezzò molto il pensiero del marito, ma le venne in mente che suo
figlio stava spaccando la legna. Chissà come avrebbe gradito un po’ di quell’uva
fresca! Così gliela portò.
Il ragazzo fu ben lieto di rinfrescarsi la gola, ma anche a lui venne un
pensiero: alla sua sorellina avrebbe fatto piacere mangiare un po’ d’uva. Detto
fatto le regalò il grappolo.
La piccola incominciò a mangiarlo, ma alzando lo sguardo vide il papà che
zappava l’orto.
Gli corse vicino e gli donò ciò che restava del grappolo. Quando il babbo comprese che l’uva era la stessa che lui aveva raccolto, capì con gioia che ogni persona della sua famiglia era generosa e attenta ai bisogni degli altri.
11
SPIEGAZIONI
Un ingegnere fu
chiamato a riparare un computer molto grande ed estremamente complesso, un
supercomputer del valore di 12 milioni di dollari. Sedutosi di fronte allo
schermo, premuti alcuni tasti, annuì, mormorò qualcosa fra sé e sé, poi lo
spense. Prese un piccolo cacciavite dalla tasca e girò a metà una piccola vite.
Poi accese di nuovo il computer e scoprì che funzionava perfettamente.
Il Presidente della società fu talmente felice che si offrì di pagare il conto
sul posto.
"Quanto le devo?" chiese.
"Viene mille dollari" rispose l'ingegnere.
"Mille dollari? Mille dollari per un paio di minuti di lavoro? Mille dollari,
per girare una vite? Io so che il mio computer ha un valore di 12 milioni di
dollari, ma 1.000 dollari è un importo pazzesco! Pagherò solo se mi invia una
fattura dettagliata che giustifichi una cifra del genere".
L'ingegnere annuì e se ne andò.
La mattina dopo il Presidente ricevette la fattura, lesse attentamente, scosse
la testa e procedette immediatamente a pagare, senza indugio.
La fattura riportava:
SERVIZI OFFERTI
- Serrare una vite ............................ $ 1
- Sapere quale vite serrare......... $ 999
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IL POSTO GIUSTO
Un padre,
finita la festa di laurea della propria figlia si congratula: «Brava: ti sei
laureata con il massimo dei voti! Ecco il tuo regalo: è un’automobile che ho
acquistato molti anni fa. Portala al mercato dell'usato per venderla e scopri
quanto ti offrono».
La figlia va e dopo poco ritorna dicendo: «Mi hanno offerto 1.000 euro perché
l’auto è molto logora, consumata dal tempo». Allora il padre le consiglia di
portare l'auto al banco dei pegni. La figlia va e al ritorno riferisce: «Mi
hanno offerto solo 100 Euro, perché l’auto è molto vecchia». Il padre, dunque,
le suggerisce di portarla in un club di auto d’epoca. La figlia porta la
macchina al club, poi torna entusiasta dicendo: «Dal momento che si tratta di
un'auto iconica e ricercata da molti, mi hanno offerto 100.000 euro».
Il padre allora conclude: «Figlia mia, quando ti senti una nullità, quando pensi
di non valere niente e quando tutto ciò che hai intorno tende a sminuirti, non
scoraggiarti, non arrabbiarti, vai via! Non fermarti lì, sei nel posto
sbagliato. Abbi il coraggio di cambiare e di andare dove vieni apprezzata per
ciò che sei. Circondati di persone che ti rispettino e ti sappiano sempre
valorizzare!»
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L'ASINO E LA TIGRE
Un giorno, un
asino incontrò una tigre mentre questa era intenta a riposare godendosi la
frescura della sera.
L’asino si avvicinò lentamente e, non curandosi del fatto che la tigre stesse
tranquilla e spensierata, cominciò a parlarle.
Ad un certo punto, l’asino disse alla tigre: “L’erba è blu”.
La tigre ebbe un sussulto, come se qualcuno l’avesse svegliata dal sonno con una
secchiata d’acqua e rispose immediatamente: “No, l’erba è verde!”.
Cominciò quindi un batti e ribatti continuo e la discussione si surriscaldò, i
due così decisero di sottoporre la questione al Re della savana: il leone.
Ma ancora prima di arrivare al cospetto del leone seduto sul suo trono, l’asino
cominciò a gridare: “Vostra Altezza, vostra Altezza, non è vero che l’erba è
blu?”
Il leone rispose con molta fermezza: “E’ vero: l’erba è blu”.
L’asino si avvicinò e continuò: “La tigre non è d’accordo con me e mi dà
fastidio, per favore puniscila”.
Il Re allora dichiarò sentenziando: “La tigre sarà punita con 4 anni di
silenzio”.
A quel punto l’asino saltò allegramente e proseguì il suo cammino
schiamazzando: “L’erba è blu, l’erba è blu, l’erba è blu…”.
La tigre sommessamente accettò la sua punizione, ma prima di andare via chiese
al leone: “Sua Maestà perché mi ha punito? Dopo tutto, l’erba è verde”.
Il leone rispose: “In realtà, hai ragione: l’erba è verde”.
Allora la tigre chiese: “Se ho ragione, perché sono stato punita?”
Il leone rispose: “Questo non ha nulla a che vedere con la domanda legata alla
possibilità che l’erba possa essere blu o verde. Il fatto inaccettabile, motivo
della punizione, è che una creatura coraggiosa e intelligente come te (una
tigre) perda tempo a litigare con un asino e venga a disturbare il Re della
savana con una simile domanda”.
Morale: è controproducente discutere con i fanatici e gli asini che si
preoccupano esclusivamente di far prevalere le proprie convinzioni. Quando
l'ignoranza urla, l'intelligenza deve tacere.
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MOGLIE O AMANTE
Un uomo aveva moglie e amante e non sapendo chi scegliere andò da un saggio. Gli chiese se dovesse stare con sua moglie o con la sua amante. Il saggio, l’ha guardato e ha preso due vasi nelle sue mani: uno con una rosa e l’altro con un cactus e gli ha chiesto: “Cosa fai se ti dico di scegliere uno di questi due vasi?”. L’uomo l’ha guardato e ha risposto: “Ovviamente scelgo la rosa!”.
Il saggio sorrise: “Hai dimostrato di essere imprudente e affrettato. Non ti meriti nessuno dei due vasi: né quello contenente la rosa né quello con il cactus. Alcuni uomini, spinti dalla bellezza e dalla mondanità scelgono quello che sembra luccicare di più. La rosa è bella ma appassirà presto. Invece il cactus, anche se non è molto bello a prima vista, rimane lo stesso, indipendentemente dal clima: verde scuro con tante spine ma quando fiorisce ti regala un fiore bellissimo. Tua moglie conosce tutte le tue debolezze, i tuoi difetti e i tuoi errori e ti ama per quello che sei. la tua amante non vuole te intero ma solo la parte bella: i tuoi sorrisi, le vittorie, la gioia, le carezze. Tua moglie ama le tue lacrime, le tue sconfitte: ti sta accanto nel bene e nel male. Quando arriveranno i momenti difficili la tua amante andrà via e si cercherà un altro. Tua moglie rimarrà accanto a te. Non guardare adesso che tutto sembra andare bene. Le cose non andranno così a lungo.
Ormai per te è troppo tardi. Hai disprezzato il cactus per avere la rosa e non ti meriti nessuno dei due. Ma sappi che arriverà il momento in cui capirai il tuo sbaglio ma sarà troppo tardi.”
Sciocco è colui che ha un diamante a casa e va a cercare pietre altrove.
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UBUNTU
Un antropologo propose un gioco ad alcuni bambini di una tribù africana: Mise un cesto di frutta vicino ad un albero e disse ai bambini che chi sarebbe arrivato prima avrebbe vinto tutta la frutta. Quando gli fu dato il segnale per partire, tutti i bambini si presero per mano e si misero a correre insieme, dopodiché, una volta preso il cesto, si sedettero e si godettero insieme il premio. Quando fu chiesto ai bambini perché avessero voluto correre insieme, visto che uno solo avrebbe potuto prendersi tutta la frutta, risposero “UBUNTU: come potrebbe uno essere felice se tutti gli altri sono tristi?”
UBUNTU nella cultura africana sub-sahariana vuol dire: “Io sono perché noi siamo”
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IL PIU' BEL FIORE
“C’era una volta un imperatore nell’antica Cina che amava i fiori. Stava invecchiando e non aveva eredi, così un giorno pensò di doversi sposare. Mandò il messaggio alle migliaia di villaggi che componevano il suo regno, proclamando che stava cercando un’imperatrice.
Centinaia di ragazze accorsero con la speranza di essere la fortunata. Ma ad ognuna delle giovani ragazze, l’imperatore consegnò un seme dicendo di tornare dopo un mese con un bel fiore. Quella che avrebbe portato con sé il fiore più bello sarebbe diventata l’imperatrice!
Una ragazza,
che aveva viaggiato da lontano e che amava con il cuore il suo imperatore, portò
trepidante il suo seme a casa dove lo curò con grande attenzione. Giorni e
settimane passarono, ma niente germogliava. Finalmente venne il giorno di
tornare al palazzo con il risultato. Scoraggiata, la ragazza di montagna
inizialmente non ci voleva andare, pensava alla figuraccia che avrebbe fatto con
il suo imperatore. Ma c’era sempre la speranza che un fiore sbocciasse durante
il viaggio…. A palazzo una folla si era riunita di nuovo, ragazze con vasi
bellissimi e fiori dai tanti colori. Lei invece, in mezzo a tante meraviglie,
reggeva un triste vaso pieno di sola terra. L’imperatore passò da ogni ragazza e
di volta in volta ammirava e lodava i fiori…e arrivò anche alla ragazza di
montagna.
Davanti a lei si fermò con stupore: -“dove è il tuo fiore?” – le chiese. Poi
sorrise e disse: – “vieni, tu sarai l’imperatrice del regno. Ogni seme che avevo
dato era tostato e non poteva far crescere proprio niente! Grazie alla tua
onestà e umiltà, sei degna di essere l’imperatrice!”
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IL BUCO NEL GRANAIO
Un topo viveva sotto il pavimento del granaio di un contadino. Si poteva considerare un topo fortunato perché nel pavimento c’era un piccolo buco attraverso il quale il grano cadeva chicco a chicco. Il topo, senza far nulla, aveva quindi quel tanto per mangiare a sazietà e vivere felice.
Ma essendo un po’ vanitoso, un giorno decise di invitare gli amici per vantarsi della sua fortuna. Per fare bella figura con gli ospiti e avere più grano a disposizione, rosicchiò il pavimento di legno e ingrandì il buco da cui cadeva il grano. Poi uscì dalla sua tana, per andare a chiamare gli amici. Quando vi ritornò con tutti gli ospiti, non trovò neanche un chicco di grano. Anche il buco non c’era più. Il contadino, infatti, che fino a quel momento non si era mai accorto di quel piccolo buco, lo aveva invece subito notato una volta ingrandito e si era affrettato a recuperare il grano che era caduto nel buco e a chiuderlo con delle nuove assi di legno.
Morale della favola
Questa favola di LEV TOLSTOJ vuole insegnarci che a voler essere troppo ingordi, si finisce con il perdere tutto quello che si ha.
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L'AMICO E IL MEZZO AMICO
Mentre un principe girava nella città, sentì una conversazione tra un mercante e il figlio di questi. Il mercante chiese al figlio: «Quanti amici hai?».
«Quaranta» rispose il figlio.
Il padre: «Ma come è possibile che tu ne abbia quaranta ed io ho soltanto un amico e un mezzo amico?».
Quando il principe sentì ciò, ne rimase profondamente colpito e quindi chiese ai suoi consiglieri: «Chi di voi mi può spiegare il significato dell‘amico e del mezzo amico?».
Dissero loro: «L‘amico sappiamo cosa significa, ma il mezzo amico non lo sappiamo».
A quel punto il principe pensò che forse il mercante scherzasse con suo figlio, ma poi curioso di saperne di più, ordinò di portare il mercante da lui e quando questi arrivò, gli chiese di spiegargli il significato dell‘amico e del mezzo amico.
Disse il mercante: «Non posso spiegare questo, ma posso fartelo vedere».
«Come?» chiese il principe.
Ed il mercante: «Chiedi ai tuoi araldi di girare per tutto il regno, annunciando la mia condanna a morte e che l‘esecuzione sarà venerdì».
«Cosa?» esclamò il principe.
Rispose il mercante: «Fai come ti dico e potrai comprendere il significato dell‘amico e del mezzo amico».
Gli araldi del re iniziarono a percorrere in lungo e il largo il regno, proclamando la condanna a morte del mercante, perché aveva commesso una colpa grave e annunciando che la sua esecuzione sarebbe avvenuta il venerdì. Il giorno prestabilito, arrivò moltissima gente. Il principe stava lì e anche il mercante che aspettava l‘esecuzione.
Ad un certo punto si presentò una persona al principe e gli disse: «Mio signore, sono disposto a pagare qualsiasi somma di denaro affinché tu metta in libertà il mercante».
«Non posso» disse il principe «la sua colpa è troppo grande».
Rispose l‘uomo: «Ti lascio metà del mio patrimonio».
«Neanche tutto il tuo patrimonio, basterà», replicò il principe.
Allora l‘uomo guardò il mercante e disse: «Hai visto, fratello, ero disposto a lasciare il mio patrimonio per salvarti, ma il principe ha rifiutato. Pensi che sono venuto meno alla nostra amicizia?»
Rispose il mercante: «Sei stato un amico fedele, vai in pace».
Mentre si stava avvicinando il momento dell‘esecuzione, arrivò un uomo correndo dal principe e gli disse: «Vuoi decapitare il mercante che è un innocente? Sono io il vero colpevole».
Poi si girò verso la gente e gridò: «Brava gente, il mercante è innocente, sono stato io a commettere questa grande colpa, giustiziate me!».
«Va bene» disse il principe «ti giustizieremo al suo posto».
Le guardie lo presero e lo misero sul patibolo, al posto del mercante.
Gli chiese il principe: «Confermi che sei il colpevole?». L‘uomo confermò e poi si rivolse al mercante e gli disse: «Fratello mio, va’, torna alla tua famiglia».
Allora il mercante disse al principe, sorridendo: «Hai visto, mio signore, la differenza tra l‘amico e il mezzo amico? Chi sacrifica il suo denaro per te è un mezzo amico, ma chi sacrifica la sua vita è un amico».
19
I DUE GEMELLI
Un cacciatore
aveva sposato una donna che non poteva avere figli, decise allora di sposarne
una seconda che gli diede due gemelli. Purtroppo, la donna morì e la prima
moglie, molto invidiosa dei due bambini cercava ogni pretesto per sbarazzarsene.
Un giorno il cacciatore ritornò dalla caccia con due pernici, la moglie disse
che non erano sufficienti per sfamare tutta la famiglia e convinse il marito ad
abbandonare i figli nel bosco. L’uomo insieme ai figli, lasciò anche una mucca e
raccomandò loro di sgozzarla non appena fosse diventata bella grossa.
I due fratelli si nutrirono con il latte della mucca, crescendo così sani e
robusti, ma la mucca non ingrassava ed essi decisero di chiedere consiglio ad un
corvo. Il corvo li pregò di piangere nella cavità dove stavano i suoi piccoli
per poterli far bagnare e per ringraziarli avrebbe dato loro l’opportunità di
sgozzare la mucca. Volò fino al macello, con il becco prese un po’ di grasso e
lo spalmò intorno alle narici della mucca. Quando i due fratelli videro questo
grasso, sgozzarono la mucca, la scuoiarono e divisero la carne in quattro parti.
Attirato dall’odore del sangue fresco, si fece avanti un leone e pretese la sua
parte. I due fratelli gli lanciarono la testa, ma il leone pretendeva di più,
gli lanciarono una parte, ma il leone non si accontentò e furono costretti a
lanciargli l’intera mucca. Il leone non era ancora sazio e ormai rimanevano solo
i due fratelli. “Scannatevi” disse il leone “il più forte mi getterà il
perdente”. I due lottarono a lungo, ma nessuno vinse, ambedue caddero esausti ai
piedi del leone. Questi li infilò nella pelle della mucca e li abbandono lungo
la strada che portava al mercato.
Passò un cammello, sentì gridare i due fratelli e chiese loro che li avesse
chiusi lì dentro. “Il leone“ risposero i due fratelli. “Il leone è troppo forte,
non posso liberarvi” replicò il cammello e tirò innanzi.
Passò un mulo, stessa domanda, stessa risposta, anche lui si rifiutò di
aiutarli. Così pure un asino. Solo un riccio che cavalcava una gallina non ebbe
esitazioni e sfoderata la sciabola squarciò la pelle di mucca restituendo la
libertà ai due fratelli. Quando il leone ritornò e trovò la pelle vuota chiese a
tutti gli animali chi fosse stato a liberarli. Tutti negarono, tranne il riccio
che con orgoglio ammise di averlo fatto. Il leone lo sfidò. Raccolse attorno a
sé tutti i grandi animali e li dispose uniti per la battaglia. Anche il riccio
riunì tutti i piccoli insetti che pungono: api, vespe, zanzare, ma non li
mostrò. Quando iniziò la battaglia, i grossi animali punti da sciami di insetti,
fuggirono e il leone fu il primo a rientrare nel suo covo. Il riccio lo inseguì,
prese una piuma della gallina che cavalcava e la piantò davanti alla tana del
leone.
Ogni volta che il leone guardava fuori, vedendo la piuma, pensava che il riccio
fosse ancora lì e non uscì più fino a morire di fame.
20
IL MONACO EREMITA
Nella solitudine del deserto, in una grotta, viveva un monaco, tormentato dalle tentazioni. Un giorno prese la decisione. “Qui non posso vivere; andrò in un’altra regione, in un’altra grotta e le mie tentazioni avranno fine!». Prese il suo fardello, il suo bastone e cominciò la marcia sul far della sera... Ma, guardando indietro, nella penombra, intravide che una persona lo seguiva: notò anche lui che aveva un fardello, un bastone e un vestito uguale al suo... «chi sei? », domandò. «sono il tuo io », fu la risposta. «e perché mi segui? », domandò ancora l’eremita. «Perché sono il tuo io. Devi sapere, che in qualunque luogo dove andrai, io sarò sempre con te...». il monaco si mise a pensare... e comprese! tornò indietro, alla sua caverna di prima e da quel giorno non pensò più a cambiare di luogo, ma a cambiare il suo io . BRUNO FERRERO
21
I VENDITORI DI SCARPE
Una impresa di scarpe inglese mandò due commessi, esperti in commercio, in un paese africano. Diede loro l’incarico di fare uno studio di mercato: una fabbrica di scarpe in africa avrebbe dato guadagno o perdita? Dopo sei mesi di ricerche, uno dei due impiegati, il più pessimista, mandò il suo giudizio: «il mercato delle scarpe in africa andrebbe incontro a un fallimento totale: qui nessuno usa scarpe ». L’altro, più ottimista, scrisse: «il mercato delle scarpe in africa darà guadagni favolosi. Qui nessuno finora ha usato scarpe, ma quando si accorgeranno dei vantaggi, si precipiteranno a comprarle ». L’impresa diede ragione al secondo venditore e gli raddoppiò lo stipendio. BRUNO FERRERO
22
L'ANELLO DELLO SCIOCCO
Un giorno il sultano di Bagdad fece chiamare il pagliaccio più famoso della città. vide i suoi giochi, rise per i suoi scherzi e alle fine gli disse: «tu mi hai divertito molto e voglio darti un premio. tieni questo anello d’oro... ma a una condizione: se incontri un altro più scemo di te, dovrai dare l’anello a lui». «Lo prometto maestà. eseguirò il suo ordine », rispose il pagliaccio. Dieci anni dopo il pagliaccio tornò a visitare il sultano. Lo trovò vecchio, ammalato, adagiato nel suo letto... «che è successo, maestà? », domandò il pagliaccio. «sto per partire per un lungo viaggio – rispose il sultano –. Un viaggio che terminerà sopra le nubi, nella casa di allah ». «Ha preparato il bagaglio per questo viaggio? », incalzò il pagliaccio. il sultano meravigliato: «Bagaglio? non capisco...». e il pagliaccio, con fare serio: «sì, le buone azioni, le opere di misericordia, per presentarle ad allah...». «no – rispose il sultano –, non ho niente di tutto questo...». «allora – sentenziò il pagliaccio – le restituisco l’anello. Lei è più pagliaccio di me ». RACCONTO ARABO
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IL CORVO TROPPO BRUTTO
Un giorno, il corvo andò a trovare il suo amico gufo, poiché doveva consultarlo su un grande problema. «amico gufo, sono venuto a salutarti. voglio andarmene da qui». il gufo lo guardò e gli disse: «Perché te ne vai così, all’improvviso? ». «Perché sono troppo brutto – rispose il corvo –. tutti gli animali ridono di me, per il mio colore e la mia voce ». il gufo, che era saggio, rispose: «La tua decisione non ha senso. Forse che da altre parti non ci sarà gente che ride di te? ascoltami. torna indietro e pensa alle tue belle qualità: sai volare, hai una buona vista, sai cacciare... non badare a quello che dicono gli altri!». il corvo accettò il consiglio... cominciò a stimarsi, a salutare, a sorridere... e l’anno seguente fu eletto capo di tutti gli animali della selva. BRUNO FERRERO
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RINGRAZIAMENTO
Un vecchio contadino, sotto il sole di maggio, stava facendo buche nel suo campo. un turista gli domandò che cosa stesse facendo. Il vecchietto rispose: «Sto collocando alberi da frutto ». Il turista osservò: «Perché lo fa se, per la sua età, prevede che non potrà mangiarne i frutti? ». e il vecchio contadino di rimando: «è vero, io non ne mangerò i frutti. ma per tutta la vita ho mangiato frutti di alberi che altri avevano piantato e questo è il mio modo di ringraziare ».
BRUNO FERRERO
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TRA CHIESA E DISCOTECA
Due amici arrivarono dalla campagna in città e videro che nella piazza principale c’erano la chiesa e la discoteca. uno decise di entrare in chiesa a pregare; l’altro entrò in discoteca per darsi ai suoi vizi: alcool, droga, volgarità. dopo un po’, quello che era entrato in chiesa, cominciò ad annoiarsi perché invece di pregare si limitava a fare commenti denigratori sulle poche persone presenti in chiesa e disse tra sé: «Perché sono entrato qui ad annoiarmi? Non sarebbe stato meglio entrare nella discoteca e darmi allo spasso? ». e si diresse alla discoteca. mentre quello che era entrato nella discoteca comprese le sue trasgressioni e si mise a pensare: «Questa volta ho sbagliato. Sarebbe stato meglio fossi entrato nella chiesa, come il mio amico, per pregare ed essere più buono ». e uscì per recarsi in chiesa. Gesù perdonò le dissolutezze di quest’ultimo che cominciò una vita nuova, mentre non poté aiutare il primo che non si degnò nemmeno di rivolgergli la parola. BRUNO FERRERO
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LITIGI CON LA MOGLIE
Il sultano di Damasco discuteva e litigava spesso con la moglie. un giorno, chiamò un saggio e gli domandò: «Cosa devo fare per non litigare più con mia moglie? ». Il saggio rispose: «molti anni fa c’era un tempio in cui si poteva entrare solo attraversando tre porte, una dopo l’altra. Così, prima di ogni parola bisogna passare per tre porte. Sulla prima è scritto: Quello che dirai è vero? Sulla seconda: Quello che dirai è necessario? Sulla terza porta è scritto: Le parole che dirai sono piene di affetto? Se passi per queste tre porte, potrai arrivare al tempio, cioè al cuore di tua moglie!».
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IL POTERE DEL PENSIERO
Un pellegrino camminava per un sentiero di campagna, quando sul margine di esso, tra l’erba, scorse qualcosa, forse un sasso, dalla forma strana. «è un serpente », pensò. il serpente si srotolò e lo morse a morte. un altro pellegrino camminava per quel sentiero, anche lui scorse il sasso dalla forma strana. «è un uccello », pensò. in un frullo d’ali, l’uccello volò via cinguettando.
BRUNO FERRERO
28
QUANDO FINISCE LA NOTTE
Un vecchio rabbino domandò una volta ai suoi allievi da che cosa si potesse riconoscere il momento preciso in cui finiva la notte e cominciava il giorno. «Forse da quando si può distinguere con facilità un cane da una pecora? ». «No », disse il rabbino. «Quando si distingue un albero di datteri da un albero di fichi? ». «No », ripeté il rabbino. «ma quand’è, allora? », domandarono gli allievi. il rabbino rispose: «è quando guardando il volto di una persona qualunque, tu riconosci un fratello o una sorella. Fino a quel punto, è ancora notte nel tuo cuore ».
BRUNO FERRERO
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E TU PER CHI CAMMINI?
Una storia ebraica narra di un rabbino saggio e timorato di dio che, una sera, dopo una giornata passata a consultare i libri delle antiche profezie, decise di uscire per la strada a fare una passeggiata distensiva. mentre camminava lentamente per una strada isolata, incontrò un guardiano che camminava avanti e indietro, con passi lunghi e decisi, davanti alla cancellata di un ricco podere. «per chi cammini, tu », chiese il rabbino, incuriosito. il guardiano disse il nome del suo padrone. poi, subito dopo, chiese al rabbino: «e tu, per chi cammini? ». Questa domanda, conclude la storia, si conficcò nel cuore del rabbino
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BACETTI
Il papà si avvicina al suo bambino di cinque anni che sta giocando con le macchinine e gli chiede a bruciapelo: «Dimmi Marco che cosa ti piace di più del papà? ». e Marco, dopo aver riflettuto un po’: «La mamma! ».
«Quand’è che ti accorgi che la tua famiglia va bene?» chiesero ad una bambina. «Quando vedo il papà e la mamma che si danno i bacetti», rispose. i genitori non devono nascondersi nell’armadio per darsi i bacetti. Ogni volta che manifestano l’amore che li unisce, i bambini si sentono inondati di calda e gioiosa fiducia. Sanno bene che l’amore reciproco dei genitori è l’unica roccia solida su cui possono costruire la loro vita. BRUNO FERRERO