APRILE
1
VORREI VEDERE DIO
Un giorno, un
uomo, famoso per il suo scetticismo, andò da un vecchio saggio e chiese:
“Vorrei tanto vedere il tuo Dio!”
“È impossibile!” rispose il saggio.
“Impossibile?
Allora, come posso affidare la mia vita a qualcuno che non posso vedere?” chiese
l’uomo.
“Siete sposato?” domandò il saggio.
“Sì, da quindici anni!
Ma perché me lo
chiedete?” replicò l’uomo.
“Se siete sposato da quindici anni, allora mostratemi la tasca dove avete
riposto l’amore per vostra moglie. E lasciate che io lo pesi, per vedere se è
grande!” chiese il saggio.
“Non siate
sciocco! Nessuno può conservare l’amore in una tasca!” rispose l’uomo, sorpreso
dall’insolita richiesta.
“Il sole è soltanto una delle opere che Dio ha messo nell’universo,” spiegò il
saggio “eppure, se lo fissate, non potete vederlo. Tanto meno potete vedere
l’amore, ma sapete di essere capace di innamorarvi di una donna e di affidarle
la vostra vita. Non vi sembra evidente che esistono nella vita alcune cose,
nelle quali confidiamo anche senza vederle?”
2
L’AIUTO MISSIONARIO
Mentre il Padreterno è intento a leggere la posta del mattino, qualcuno bussa energicamente alla porta del suo studio. Sono Gesù, lo Spirito Santo e la Madonna con tanti bambini.
“Perché piangete?” chiede il Padreterno.
“Padre Santo,”
risponde Maria, “molti bambini che tu hai mandato sulla terra un mese fa, sono
ritornati perché sono stati rifiutati!”
Il Padreterno diventa triste e domanda a Gesù:
“È ritornato anche Arturo, il futuro scienziato a cui avevo consegnato la cura
del cancro?”
“Si, Padre mio, anche lui!” rispose Gesù.
“La piccola
Matilde, è ritornata anche lei?” domandò ancora il Padreterno.
“Si,” risponde lo Spirito Santo, “i genitori a cui l’avevi affidata non volevano
una bimba down!”
Mentre il Padreterno si asciuga le lacrime dice: “Il mio piccolo Kimbi, la mia
perla nera, è rientrato anche lui?”
“No,” risponde
felicemente la Santa Vergine, “lui è rimasto in Africa, l’aiuto e l’impegno
missionario di Rino e dei suoi amici, hanno permesso alla sua mamma di poterlo
accogliere anche se molto povera.
Il Padreterno, rincuorato da questa bella notizia, si alza in piedi e dice: “Da
questo momento, tutti i bambini che sono rientrati saranno gli angeli protettori
di Rino e di tutti coloro che difendono la vita!”
3
I FURTI IN FABBRICA
Una fabbrica
aveva un problema di furti. Ogni giorno veniva rubata della merce.
I dirigenti affidarono quindi ad una società specializzata il compito di
perquisire ogni dipendente che usciva alla fine del lavoro. La maggior parte
degli operai apriva spontaneamente la borsa e faceva esaminare i contenitori
della colazione.
I detective
erano molto diligenti e controllavano tutti i dipendenti, fino all’ultimo: un
omino che tutti i giorni chiudeva la fila degli operai con un carrello pieno di
rifiuti.
Una guardia doveva passare una buona mezz’ora, quando ormai tutti gli altri se
ne stavano tornando a casa, a rovistare tra gli involucri di alimenti, mozziconi
di sigarette e bicchieri di plastica per controllare se venisse portato fuori
qualcosa di valore. Non trovava mai niente.
Una sera, il
guardiano, esasperato, disse all’uomo: “Senti, lo so che stai combinando
qualcosa, ogni giorno controllo ogni tuo piccolo pezzetto di rifiuto nel
carrello e non trovo mai niente che valga la pena di essere rubato. Sto
diventando matto.
Dimmi quello che stai facendo e ti prometto che non farò nessun rapporto.”
L’uomo alzò le spalle e disse: “È semplice, rubo carrelli!
BRUNO FERRERO
4
I GESSETTI COLORATI
Nessuno sapeva quando quell’uomo fosse arrivato in città. Sembrava sempre stato là, sul marciapiede della via più affollata, quella dei negozi, dei ristoranti, dei cinema eleganti, del passeggio serale, degli incontri degli innamorati. Ginocchioni per terra, con dei gessetti colorati, dipingeva angeli e paesaggi meravigliosi, pieni di sole, bambini felici, fiori che sbocciavano e sogni di libertà. Da tanto tempo, la gente della città si era abituata all’uomo.
Qualcuno
gettava una moneta sul disegno. Qualche volta si fermavano e gli parlavano.
Gli parlavano delle loro preoccupazioni, delle loro speranze; gli parlavano dei
loro bambini: del più piccolo che voleva ancora dormire nel lettone e del più
grande che non sapeva che Facoltà scegliere, perché il futuro è difficile da
decifrare… L’uomo ascoltava. Ascoltava molto e parlava poco.
Un giorno, l’uomo cominciò a raccogliere le sue cose per andarsene. Si riunirono
tutti intorno a lui e lo guardavano. Lo guardavano ed aspettavano: “Lasciaci
qualcosa. Per ricordare…”
L’uomo mostrava le sue mani vuote: che cosa poteva donare?
Ma la gente lo circondava e aspettava. Allora l’uomo estrasse dallo zainetto i
suoi gessetti di tutti i colori, quelli che gli erano serviti per dipingere
angeli, fiori e sogni, e li distribuì alla gente. Un pezzo di gessetto colorato
ciascuno, poi senza dire una parola se ne andò.
Che cosa fece la gente dei gessetti colorati? Qualcuno lo inquadrò, qualcuno lo portò al museo civico di arte moderna, qualcuno lo mise in un cassetto, la maggioranza se ne dimenticò.
BRUNO FERRERO.
5
I MOMENTI DI FELICITÀ
Un turista si
fermò, per caso, nei pressi di un grazioso villaggio immerso nella campagna.
La sua attenzione fu attirata dal piccolo cimitero: era circondato da un recinto
di legno lucido e c’erano tanti alberi, uccelli e fiori incantevoli. Il turista
s’incamminò lentamente in mezzo alle lapidi bianche distribuite a casaccio in
mezzo agli alberi.
Cominciò a
leggere le iscrizioni. La prima:
Giovanni Tareg, visse 8 anni, 6 mesi, 2 settimane e 3 giorni.
Un bambino così piccolo seppellito in quel luogo…
Incuriosito, l’uomo lesse l’iscrizione sulla pietra di fianco, diceva:
Denis Kalib, visse 5 anni, 8 mesi e 3 settimane.
Un altro bambino…
Una per una prese a leggere le lapidi. Recavano tutte iscrizioni simili: il nome
e il tempo di vita esatto del defunto, ma la persona che aveva vissuto più a
lungo aveva superato a malapena gli undici anni… Si sentì pervadere da un grande
dolore, si sedette e scoppiò in lacrime. Una persona anziana che stava passando
rimase a guardarlo piangere in silenzio e poi gli chiese se stesse piangendo per
qualche famigliare.
“No, no, nessun famigliare,” disse il turista, “ma che cosa succede in questo
paese? Che cosa c’è di così terribile da queste parti? Quale orribile
maledizione grava su questa gente, per cui tutti muoiono bambini?”
L’anziano
sorrise e disse: “Stia sereno. Non esiste nessuna maledizione. Semplicemente qui
seguiamo un’antica usanza. Quando un giovane compie quindici anni, i suoi
genitori gli regalano un quadernetto, come questo qui che tengo appeso al collo.
Ed è tradizione che a partire da quel momento, ogni volta che uno di noi vive
intensamente qualcosa apre il quadernetto e annota quanto tempo è durato il
momento di intensa e profonda felicità. Si è innamorato… Per quanto tempo è
durata la grande passione? Una settimana? Due? Tre settimane e mezzo? E poi…
l’emozione del primo bacio quanto è durata? Il minuto e mezzo del bacio? Due
giorni? Una settimana? E la gravidanza o la nascita del primo figlio? E il
matrimonio degli amici? E il viaggio più considerato? E l’incontro con il
fratello che ritorna da un paese lontano? Per quanto tempo è durato il piacere
di quelle situazioni? Ore? Giorni? E così continuiamo ad annotare sul
quadernetto ciascun momento in cui assaporiamo il piacere… ciascun momento.
Quando qualcuno muore, è nostra abitudine aprire il suo quadernetto e sommare il
tempo in cui ha assaporato una soddisfazione piena e perfetta per scriverlo
sulla sua tomba, perché, secondo noi, quello è l’unico, vero tempo vissuto!”
Non limitarti
ad esistere… vivi!
Non limitarti a toccare… senti!
Non limitarti a guardare… vedi!
Non limitarti a udire… ascolta!
Non limitarti a parlare… dì qualcosa! BRUNO FERRERO.
6
I PREGIUDIZI DI UN BOSCAIOLO
Un boscaiolo
non trovava più la sua ascia preferita. Aveva girato tutta la casa, rovistato un
po’ dappertutto. Niente da fare. L’ascia era sparita. Cominciò a pensare che
qualcuno gliel’avesse rubata. In preda a questo pensiero si affacciò alla
finestra. Proprio in quel momento passava il figlio del suo vicino di casa.
“Ha proprio l’andatura di un ladro di asce!” pensò il boscaiolo, “E anche gli
occhi da ladro di asce… e perfino i capelli da ladro di asce!”
Qualche giorno
dopo, il boscaiolo ritrovò la sua ascia preferita sotto il divano, dove lui
l’aveva buttata una sera tornando dal lavoro. Felice per il ritrovamento, si
affacciò alla finestra.
Proprio in quel momento passava il figlio del suo vicino di casa.
“Non ha proprio l’andatura da ladro di asce!” pensò il boscaiolo, Anzi, ha gli
occhi da bravo ragazzo… ed anche i capelli!”
Guardiamo il mondo come fosse un teatrino e a ciascuno diamo una parte da recitare: quello è il bello, quella la scema, quello il cattivo, quell’altro il traditore… BRUNO FERRERO.
7
I RE MAGI DIMENTICATI
I ragazzi
dell’oratorio di Santa Maria avevano preparato una recita sul mistero del
Natale. Avevano scritto le battute degli angeli, dei pastori, di Maria e di
Giuseppe. C’era una particina perfino per il bue e l’asino. Avevano distribuito
le parti. Tutti volevano fare Giuseppe e Maria.
Nessuno voleva fare la parte dell’asino. Avevano così deciso di travestire da
asino il cane di Lucia. Era abbastanza grosso e pacifico: con le orecchie
posticce faceva un asinello passabile. Purché non sì fosse messo ad abbaiare in
piena scena…
Ma quando suor Renata vide le prove dello spettacolo sbottò: “Avete dimenticato
i Re Magi!”
Enzo, il regista, si mise le mani nei capelli. Mancava solo un giorno alla
rappresentazione.
Dove trovare tre Re Magi così su due piedi? Fu don Pasquale, il viceparroco, a
trovare una soluzione.
“Cerchiamo tre persone della parrocchia.” disse, “Spieghiamo loro che devono
fare i Re Magi moderni, vengano con i loro abiti di tutti i giorni e portino un
dono a Gesù Bambino. Un dono a loro scelta. Tutto quello che devono fare è
spiegare con franchezza il motivo che li ha spinti a scegliere proprio quel
particolare dono.”
La squadra dei
ragazzi si mise in moto. Nel giro di due ore, erano stati trovati i tre Re Magi.
La sera di Natale, il teatrino parrocchiale era affollato.
I ragazzi ce la misero tutta e lo spettacolo filò via liscio e applaudito. Il
cane-asino si addormentò e la barba di san Giuseppe non si staccò.
Senza che nessuno lo potesse prevedere, però, l’entrata in scena dei tre Re Magi
divenne il momento più commovente della serata.
Il primo Re era un uomo di cinquant’anni, padre di cinque figli, impiegato del
municipio. Portava in mano una stampella. La posò accanto alla culla del
Bambino Gesù e disse:
“Tre anni fa ho avuto un brutto incidente d’auto. Uno scontro frontale. Fui
ricoverato all’ospedale con parecchie fratture. I medici erano pessimisti sul
mio recupero. Nessuno azzardava un pronostico. Da quel momento incominciai ad
essere felice e riconoscente per ogni più piccolo progresso: poter muovere la
testa o un dito, alzarmi seduto da solo e così via. Quei mesi in ospedale mi
cambiarono. Sono diventato un umile scopritore di quanto sia bello ciò che
possiedo. Sono riconoscente e felice per le cose piccole e quotidiane di cui
prima non mi accorgevo. Porto questa stampella a Gesù Bambino in segno di
riconoscenza.”
Il secondo Re era una “Regina,” madre di due figli. Portava un catechismo. Lo
posò accanto alla culla del Bambino e disse: “Finché i miei bambini erano
piccoli e avevano bisogno di me, mi sentivo realizzata. Poi i ragazzi sono
cresciuti e ho incominciato a sentirmi inutile.
Ma ho capito che era inutile commiserarmi. Chiesi al parroco di fare catechismo
ai bambini. Così ridiedi un senso a tutta la mia vita. Mi sento come un
apostolo, un profeta: aprire ai nostri bambini le frontiere dello spirito è
un’attività che mi appassiona. Sento di nuovo di essere importante.”
Il terzo Re era un giovane. Portava un foglio bianco. Lo pose accanto alla culla
del Bambino e disse: “Mi chiedevo se fosse il caso di accettare questa parte.
Non sapevo proprio che cosa dire, né che cosa portare. Le mie mani sono vuote.
Il mio cuore è colmo di desideri, di felicità e di significato per la mia vita.
Dentro di me si ammucchiano inquietudini, domande, attese, errori, dubbi. Non ho
niente da presentare. Il mio futuro mi sembra così vago. Ti offro questo foglio
bianco, Bambino Gesù. Io so che sei venuto per portarci speranze nuove. Vedi, io
sono interiormente vuoto, ma il mio cuore è aperto e pronto ad accogliere le
parole che vuoi scrivere sul foglio bianco della mia vita. Ora che ci sei tu,
tutto cambierà!” BRUNO FERRERO.
8
I TRE AGNELLINI
Lassù sulle
montagne del Tirolo, c’era un piccolo villaggio dove tutti sapevano scolpire
santi e Madonne con grande abilità. Ma giunse il tempo in cui non ci furono più
ordinazioni per le loro belle statuine religiose.
Un pomeriggio Dritte, uno dei maestri intagliatori, entrando nella sua bottega
trovò un fanciullo biondo, che giocava con le statuine del presepio. Dritte gli
disse con fare burbero che le statuine del presepio non erano giocattoli. Il
bambino rispose: “A Gesù non importa, Lui sa che non ho giocattoli per giocare.”
Maestro Dritte commosso gli promise un agnellino di legno con la testa che si
muoveva.
“Vienilo a prendere domani pomeriggio, però, strano che non ti abbia mai visto,
dove abiti?”
“Là!” rispose il fanciullo indicando vagamente l’alto.
Il giorno dopo, prima di mezzogiorno, l’agnellino era pronto, bello da sembrare
vivo. Ad un tratto si affacciò alla porta della bottega di Dritte una giovane
zingara con un bambino in braccio. Il bambino appena vide l’agnellino protese le
braccine e l’afferrò. Quando glielo vollero togliere di mano si mise a piangere
disperato. Dritte che non aveva nulla da dare alla povera donna disse
sospirando: “Tienilo pure. Intaglierò un altro agnellino.”
Nel pomeriggio tardi Dritte aveva appena terminato il secondo agnellino quando
Pino, un povero orfanello, venne a salutarlo.
“Oh! Che meraviglioso agnellino!” disse, “Posso averlo per piacere?”
“Sì tienilo pure, Pino, io ne intaglierò un altro” rispose Dritte e ne realizzò
un altro.
Ma il bambino dai capelli d’oro non ritornò, e l’agnellino rimase abbandonato
sullo scaffale della bottega. La situazione del villaggio continuava a
peggiorare e Dritte cominciò ad intagliare giocattoli per i bambini del
villaggio per far loro dimenticare la fame.
Prima di Pasqua, in un giorno uggioso, un mercante di passaggio si offrì di
comperare tutti i giocattoli che Dritte riusciva ad intagliare.
Dritte rifiutò
di intagliare giocattoli per denaro: “Sono alla locanda,” disse il commerciante,
“in caso cambiate idea.”
La piccola Marta era molto malata e Dritte, per farla sorridere, le regalò
l’agnellino che aveva conservato sullo scaffale della sua bottega. Mentre
tornava dalla casa di Marta, incontrò il bambino dai capelli d’oro. “Ho tenuto
l’agnellino fino ad oggi, ma tu non sei venuto. Ne farò subito un altro!”
“Non ho bisogno di un altro agnellino,” disse il fanciullo scuotendo il capo,
“quelli che hai donato al piccolo zingaro, a Pino e a Marta li hai donati anche
a me. Fare un giocattolo può servire alla gloria di Dio quanto intagliare un
santo.” Un attimo dopo il fanciullo era scomparso.
Quella notte Dritte si recò alla locanda. “Costruirò giocattoli per voi!” disse.
“Allora avete cambiato idea.” sussurrò il mercante. “No!” rispose Dritte con gli
occhi scintillanti, “Ma ho ricevuto un segno da Dio!” BRUNO FERRERO.
9
LA GOBBA DEL CAMMELLO
Narrerò ora,
come spuntò la gobba al Cammello.
All’inizio del mondo, quando tutto era ancora nuovo, e gli Animali avevano
appena incominciato a lavorare per l’Uomo, viveva, in mezzo al Deserto Ululante,
un Cammello, che era proprio un gran fannullone, tanto che mangiava rametti e
pruni, tamarischi e altre erbe, che poteva trovare nel deserto senza scomodarsi
troppo; e quando Qualcuno gli rivolgeva la parola, rispondeva: – Bah! – solo: –
Bah! – e nient’altro.
Perciò, un lunedì mattina, il Cavallo andò da lui, con la sella sulla schiena e
il morso in bocca, e disse: - Cammello, ehi, Cammello, vieni fuori a trottare
come tutti noi.
- Bah! – fece il Cammello; e il Cavallo se ne andò e lo riferì all’Uomo.
Poi andò da lui il Cane, con un pezzo di legno in bocca; e disse: – Cammello,
ehi, Cammello, vieni a stanare la selvaggina come tutti noi.
- Bah! – fece il Cammello; e il Cane se ne andò e lo riferì all’Uomo.
Poi andò da lui il Bue, con il giogo sul collo, e disse: – Cammello, ehi,
Cammello, vieni ad arare come tutti noi.
- Bah! – fece il Cammello, e il Bue se ne andò e lo riferì all’Uomo.
Sul finire del giorno l’Uomo chiamò a raccolta il Cavallo, il Cane e il Bue e
tenne loro questo discorsetto:
- O miei Tre, sono molto spiacente per voi (con il mondo ancora tutto nuovo);
quel Fannullone nel deserto non vuol proprio lavorare, mentre ormai dovrebbe già
essere qui come voi; per cui sono costretto lasciarlo solo, e voi dovrete
lavorare il doppio per supplirlo.
Ciò irritò molto i Tre (con il mondo ancora tutto nuovo); ed essi si riunirono
al confine del Deserto a congiurare; e venne anche il Cammello, più indolente
che mai, ruminando erba, e rise loro in faccia. Poi fece: – Bah! – e se ne andò.
Allora arrivò il Genio che ha in custodia Tutti i Deserti, avvolto in una nube
di polvere (i Geni viaggiano sempre in questo modo, perché è Magia), e si fermò
a parlare coi Tre.
- Genio di Tutti i Deserti, – disse il Cavallo, – è giusto che qualcuno se ne
stia in ozio con il mondo tutto nuovo?
- No di certo, – rispose il Genio.
- Ebbene, – soggiunse il Cavallo, – c’è un animale in mezzo al tuo Deserto
Ululante, con lungo collo e lunghe gambe che non ha fatto ancora niente da
lunedì mattina. Non vuole trottare.
- Ohibò! – esclamò il Genio; – per tutto l’oro dell’Arabia, ma questo è il mio
Cammello! e che scusa trova?
- Dice: “Bah!” – disse il Cane; – e non vuole andare a stanare la selvaggina.
- Dice qualcos’altro?
- Solo: “Bah!” e non vuole arare, – disse il Bue.
- Benissimo, – fece il Genio; – se avete la pazienza di aspettare un minuto lo
farò sgobbare io.
Il Genio si avvolse nel suo mantello di polvere, andò nel deserto, e trovò il
Cammello più indolente che mai, che rimirava la sua immagine riflessa in una
pozza d’acqua.
- Mio lungo e indolente amico, – disse il Genio, – ho sentito sul tuo conto cose
che ti fanno poco onore. È vero che non vuoi lavorare?
- Bah! – rispose il Cammello.
Il Genio si sedette, col mento fra le mani, e si accinse ad escogitare qualche
grande incantesimo, mentre il Cammello continuava a rimirare la sua immagine
riflessa nell’acqua.
- Tu hai costretto i Tre a lavorare il doppio da lunedì mattina, e tutto per
colpa della tua insopportabile pigrizia – disse il Genio, e continuò a pensare
incantesimi col mento fra le mani.
- Bah! – fece il Cammello.
- Non lo ripeterei più se fossi in te, – disse il Genio; – potresti dirlo una
volta di troppo. Fannullone, voglio che tu lavori.
E il Cammello ripeté ancora: – Bah! – ma non aveva ancora finito di dirlo, che
vide il suo dorso, del quale era così orgoglioso, gonfiarsi e gonfiarsi finché
si formò su di esso una grande, immensa, traballante gob-bah.
- Vedi cosa ti è successo? – disse il Genio; – questa gobba te la sei voluta
proprio tu, con la tua pigrizia. Oggi è giovedì, e tu non hai fatto ancora
nulla, mentre il lavoro ha avuto inizio lunedì. Ora devi andare a lavorare.
- Come è possibile, – protestò il Cammello, – con questa gobba sulla schiena?
- Anzi, è fatta apposta, – replicò il Genio, – perché hai perso quei tre giorni.
Ora potrai lavorare per tre giorni senza mangiare, perché puoi vivere a spese
della tua gobba, e non ti venga in mente di dire che non ho fatto niente per te.
Esci dal deserto, vai a raggiungere i Tre, e comportati bene. E sgobba!
E il Cammello andò a raggiungere i Tre, e sgobbò, nonostante la gobbah. E da
quel giorno in poi il Cammello ebbe sempre la gobbah (noi, ora, la chiamiamo
gobba per non offenderlo); ma non è ancora riuscito a recuperare i tre giorni
che ha perso all’inizio del mondo, e non ha ancora imparato a comportarsi come
si deve. RUDYARD KIPLING
10
LA PECORA NERA
C'era una volta
una pecora diversa da tutte le altre. Le pecore, si sa, sono bianche; lei invece
era nera, nera come la pece. Quando passava per i campi tutti la deridevano,
perché in un gregge tutto bianco spiccava come una macchia di inchiostro su un
lenzuolo bianco, alcune dicevano : «Guarda una pecora nera! Che animale
originale; chi crede mai di essere? »
Altre compagne pecore le gridavano dietro: «Pecora sbagliata, non sai che le
pecore devono essere tutte uguali, tutte avvolte di bianca lana?» La pecora nera
non ne poteva più, quelle parole erano come pietre e non riusciva a digerirle.
E così decise di uscire dal gregge e andarsene sui monti, da sola: almeno là
avrebbe potuto brucare in pace e riposarsi all'ombra dei pini. Ma nemmeno in
montagna trovò pace. ... «Che vivere è questo? Sempre da sola!» Una sera, vide
lontano una grotta illuminata da una debole luce e disse : «Dormirò là dentro »
e si mise a correre. Correva come se qualcuno la attirasse. Una voce appena fu
entrata le domandò : «Chi sei?» rispose la pecora nera : «Sono una pecora che
nessuno vuole: una pecora nera! Mi hanno buttata fuori dei gregge».
La voce continuò : «La stessa cosa è capitata a noi ! Anche per noi non c'era
posto con gli altri nell'albergo. Abbiamo dovuto ripararci qui, io Giuseppe e
mia moglie Maria. Proprio qui ci è nato un bel bambino. Eccolo!». La pecora nera
era piena di gioia.
Prima di tutte le altre poteva vedere il piccolo Gesù e disse : «Avrà freddo;
lasciate che mi metta vicino per riscaldarlo!». Maria e Giuseppe risposero con
un sorriso.
La pecora si avvicinò stretta stretta al bambino e lo accarezzò con la sua lana.
Gesù si svegliò e le bisbigliò nell'orecchio: «Proprio per questo sono venuto:
per le pecore smarrite!». La pecora si mise a belare di felicità.
ANGELILLO D'AMBROSIO
11
IL LUPO DI BETLEMME
C'era una volta
un lupo. Viveva nei dintorni di Betlemme. I pastori lo temevano tantissimo e
vegliavano l'intera notte per salvare le loro greggi. C'era sempre qualcuno di
sentinella, così il lupo era sempre più affamato, scaltro e arrabbiato. Una
strana notte, piena di suoni e luci, mise in subbuglio i campi dei pastori.
L'eco di un meraviglioso canto di angeli era appena svanito nell'aria. Era nato
un bambino, un piccino, un batuffolo rosa, roba da niente. Il lupo si meravigliò
che quei rozzi pastori fossero corsi tutti a vedere un bambino. "Quante
smancerie per un cucciolo d'uomo" pensò il lupo. Ma incuriosito e soprattutto
affamato com'era, li seguì nell'ombra a passi felpati. Quando li vide entrare in
una stalla si fermò nell'ombra e attese. I pastori portarono dei doni,
salutarono l'uomo e la donna, si inchinarono deferenti verso il bambino e poi se
ne andarono.
Gli occhi e le zanne del lupo brillarono nella notte: stava per giungere il suo
momento. L'uomo e la donna stanchi per la fatica e le incredibili sorprese della
giornata si addormentarono. "Meglio così" pensò il lupo, "comincerò dal
bambino".
Furtivo come sempre scivolò nella stalla. Nessuno avvertì la sua presenza.
Solo il bambino. Spalancò gli occhioni e guardò l'affilato muso che, passo dopo
passo, guardingo ma inesorabile si avvicinava sempre più. Gli occhi erano due
fessure crudeli. Il bambino però non sembrava spaventato.
"Un vero bocconcino" pensò il lupo. Il suo fiato caldo sfiorò il bambino.
Contrasse i muscoli e si preparò ad azzannare la tenera preda.
In quel momento una mano del bambino, come un piccolo fiore delicato, sfiorò il
suo muso in una affettuosa carezza. Per la prima volta nella vita qualcuno
accarezzò il suo ispido e arruffato pelo, e con una voce, che il lupo non aveva
mai udito, il bambino disse: "Ti voglio bene, lupo".
Allora accadde qualcosa di incredibile, nella buia stalla di Betlemme. La pelle
del lupo si lacerò e cadde a terra come un vestito vecchio. Sotto, apparve un
uomo. Un uomo vero, in carne e ossa. L'uomo cadde in ginocchio e baciò le mani
del bambino e silenziosamente lo pregò.
Poi l'uomo che era stato un lupo uscì dalla stalla a testa alta, e andò per il
mondo ad annunciare a tutti :"E' nato il bambino divino che può donarvi la vera
libertà! Il Messia è arrivato! Egli vi cambierà!". BRUNO FERRERO
12
IL LUPO CHE DIVENNE UOMO
C'era una
volta, in un bosco, un lupo molto feroce. Si nutriva di polli e di conigli e
attaccava le greggi e gli armenti del villaggio. Anche i bambini non uscivano
più a giocare. Il lupo era diventato il terrore di tutti. Si presero
provvedimenti: gli animali dovevano vivere dentro recinti e trappole di ogni
tipo vennero appostate nei dintorni. Il lupo cominciò a sentirsi braccato e
vagava per il bosco, sempre più affamato. Una sera, inaspettatamente, una
stupenda luce illuminò il cielo e durò per tutta la notte. Ad un certo momento
diversi gruppi di pastori cominciarono ad arrivare da ogni dove. Andavano tutti
verso la medesima direzione. Che cosa stava succedendo? Il lupo decise di
seguirli, tenendosi a debita distanza. Li vide entrare in una grotta. Non si
capiva che cosa vi trovassero. Quando uscirono, sembravano trasfigurati e anche
una giovane donna comparve in mezzo a loro.
Era un'occasione propizia. Il lupo furtivamente si intrufolò nella grotta.
Su una minuscola stuoia, un bambino molto piccolo stava disteso e giocava con un
filo d'erba tra le dita. Il lupo si illuminò. Ecco il cibo sognato da tanto
tempo. La mamma era ancora fuori con gli ospiti e non si sarebbe accorta.
Avvicinò il muso al bambino. Sarebbe stata questione di un attimo. Ma successe
qualcosa d'inaspettato. Il bambino non si spaventò, non pianse. Lo guardò, anzi,
negli occhi, gli sorrise e allungando la manina accarezzò quel muso sporco di
polvere. E gli disse: "Ti voglio bene".
Nessuno glielo aveva mai detto. La sua pelliccia di lupo si sfilacciò come una
vecchia camicia. Dentro comparve un giovane uomo. Chinato verso il bambino,
trasformato, continuava a gridargli "Grazie! Grazie! Grazie!". Poi corse via.
Che cos'altro poteva fare questo ex-lupo se non correre in ogni angolo della
terra e raccontare a tutti ciò che quel bambino aveva fatto di
lui? PIERO
GRIBAUDI
13
IL NATALE DI MARTIN
Martin,
avvicinandosi il Natale desiderava preparare qualcosa per Gesù. Gli preparò un
paio di scarpe, una torta, e mise da parte dei risparmi che potevano servire a
Gesù per i suoi poveri.
Quando era tutto pronto si mise ad aspettarlo. Improvvisamente qualcuno fuori
gridò: "Al ladro, al ladro...". Una donna afferrava un bambino che le aveva
rubato una mela. Martin, si addolorò e pensò: "Adesso, se arriva la polizia o lo
prende, come passerà il Natale?". Prese i risparmi che aveva messo da parte per
Gesù e li diede alla donna, pregandola di lasciar andare il bambino.
Nuovamente incominciò ad aspettare Gesù e per la finestra si accorse di un paio
di piedi che camminavano scalzi sulla neve. "Chi sarà?", si domandò.
E uscì a cercare il proprietario di quei piedi. Era un giovane: "Vieni, entra in
casa mia, riscaldati un poco", gli disse. Afferrò le scarpe che aveva fatto per
Gesù e gliele diede. Si disse felice: "Per Gesù mi rimane ancora la torta".
Già il sole tramontava e vide un anziano che camminava curvo sulla strada.
"Povero vecchietto, forse non avrà mangiato niente tutto il giorno".
Lo invitò ad entrare nella sua casa, non gli restava che la torta, pazienza,
pensò tra sé, offrendo la torta al povero, accoglierò Gesù un'altra volta.
Dopo che anche l'anziano se ne andò, il povero Martin, si sentiva felice e nello
stesso tempo triste, aveva preparato tutto per Gesù, ma lui non era arrivato:
pazienza! Durante la notte fece un sogno: nel sogno gli si presentò Gesù e gli
disse: "Martin, mi stavi aspettando?".
"Sì, ti ho atteso tutto il giorno..."
"Ma io sono venuto a visitarti per ben tre volte. Grazie dei tuoi regali!"
E Martin vide che Gesù aveva nelle sue mani i risparmi e la torta, ai suoi piedi
le scarpe. Si svegliò felice: Gesù era venuto a visitarlo.
14
“IL TESORO NEL PODERE”
Lo aveva
scoperto per caso, ma nel podere che affittava e che coltivava da tempo c’era un
tesoro. Erano monete d’oro e oggetti preziosi, affiorati il giorno che aveva
deciso di arare in profondità. Si era affrettato a ricoprire il tutto e aveva
chiesto al padrone di vendergli il podere.
Vedendo la sua ansia, il padrone aveva accettato, ma gli aveva chiesto una somma
altissima.
Per mettere
insieme i soldi necessari, l’uomo si cercò un secondo lavoro e poi un terzo.
Cominciò a guadagnare e investì i guadagni, fondò un’impresa, allargò i traffici
oltre i confini dello stato. Passò altro tempo.
L’uomo investiva, trafficava, dirigeva, viaggiava.
Si dimenticò completamente del tesoro nascosto nel campo.
APOLOGO (FAVOLA ALLEGORICA A FINE SPICCATAMENTE PEDAGOGICO) INDIANO.
15
“UN COMBATTIMENTO TRA DUE GIOVANI CERVI”
Due giovani
cervi, bellissimi esemplari, si incontrarono nel bosco. Entrambi gelosi del
proprio territorio, decisero di affrontarsi. Il combattimento durò a lungo:
nessuno dei due voleva cedere. Alla fine, il più forte, con un ultimo movimento
della testa, ebbe la meglio sull’avversario. Ma i palchi dell’ucciso rimasero
incastrati in quelli dell’uccisore, lucidi e possenti. Impossibili da
districare. Il vincitore tentò in ogni modo di sbarazzarsi del corpo dell’altro
cervo, ma non ci riuscì.
Fu costretto a trascinarselo dietro, fino a che, spossato, dovette fermarsi.
All’alba, a liberarlo da quel peso morto fu lo sparo di un cacciatore.
16
IL MAESTRO, L’ALLIEVO ED IL SALE
Si narra che un giorno un vecchio maestro fosse stanco delle continue lamentele del suo allievo. Perciò un mattino lo spedì a prendere un po’ di sale. Quando l’allievo tornò, il maestro lo pregò di mescolarne una manciata in un bicchiere d’acqua e di berla.
“Com’è?” domandò il maestro.
“Salata!”
rispose l’allievo, facendo una smorfia.
Il maestro rise e invitò il ragazzo a mescolare la stessa manciata di sale nel
vicino lago.
I due si recarono in silenzio fino alla riva e dopo che l’allievo ebbe versato
la manciata nell’acqua, il maestro disse: “Adesso bevi dal lago!”
L’allievo obbedì e di nuovo il maestro domandò: “Com’è?”
“Fresca.” rispose l’allievo.
“Hai sentito il
sapore del sale?” domandò il maestro.
“No.” rispose il giovane.
Quando i due si sedettero insieme, il maestro disse all’allievo: “L’amarezza
della vita è, né più e né meno, come il sale puro. La quantità di amarezza nella
vita rimane esattamente la stessa.
Tuttavia, la
quantità di amarezza che avvertiamo dipende dal contesto in cui la proviamo.
Se avverti amarezza, dunque, l’unica cosa che puoi fare è ampliare il senso
delle cose.
Smetti di essere un bicchiere.
Sii un lago!” STORIA ZEN
17
IL MANAGER E DIO
Era un manager
di successo. Orologio, telefono satellitare e computer scandivano la sua
giornata. Ogni secondo era importantissimo per lui. Un giorno, aveva un
appuntamento nella sede prestigiosa di uno studio legale. Purtroppo, il lussuoso
edificio si trovava in pieno centro e il manager sempre più affannato si accorse
con sgomento che non aveva tenuto conto del traffico. E della corrispondente
difficoltà di trovare un posto per parcheggiare l’auto. Arrivato sul posto, fece
un primo giro di ricognizione. Niente. Ogni centimetro quadrato era occupato da
una vettura. Provò a compiere un percorso più ampio. Niente nel modo più
assoluto.
Allora, preso dalla preoccupazione, cominciò a pregare: “Signore, ti supplico,
aiutami, ho bisogno di te, adesso. Fammi trovare un posto per parcheggiare. Se
esaudisci la mia preghiera ti prometto che andrò a Messa tutte le domeniche!”
E fece un altro giro. Niente.
Riprese a
pregare con più intensità: “Signore, non posso arrivare in ritardo a questo
appuntamento. Se mi liberi un posto per l’auto, mi confesserò anche tutte le
settimane e non salterò mai le preghiere della sera!”
Sempre pregando, guidava lentamente, scrutando ogni possibile movimento nelle
vie:
“Signore, ti prego, ne va della mia vita, se mi fai trovare un posto per l’auto,
leggerò il Vangelo tutti i giorni e magari mi metterò in lista per fare
catechismo!”
In quel momento, tre metri davanti a lui, un’auto se ne andò e si liberò un
posto.
Con un sospiro di sollievo, il bravo manager disse: “Signore, non ti disturbare. Ho appena trovato un posto!”
18
IL MANDORLO E LA GRANDE QUERCIA
C’erano una
volta, in un terreno coltivato, due piccole piante che erano molto amiche e che
avevano in comune lo stesso sogno: diventare sante. Tuttavia, della santità
avevano due concezioni molto diverse, quasi opposte. La prima, che era la
piantina di un mandorlo, sapendo che i santi stanno in paradiso, era convinta
che la santità consistesse nel tendere verso l’alto, staccandosi da terra.
La seconda, che era la piantina di una quercia, avendo letto la vita dei santi,
era convinta, invece, che la santità consistesse nel tendere verso l’alto, ma
stando con i piedi per terra e dando il massimo di sé in questo mondo.
Col passare del tempo la piantina del mandorlo, pur potendo, non riusciva a
portare frutti perché era poco attenta al terreno che avvolgeva le sue radici e,
per via della sua convinzione, cercava di spingerle sempre più verso l’alto a
tal punto che un giorno seccò e fu tagliata dal padrone del terreno.
L’altra piantina, invece, spingendo le sue radici sempre più in profondità, crebbe e divenne una grande e maestosa quercia e, pur non potendo produrre frutti commestibili per il suo padrone, era molto apprezzata per la sua frescura ed era diventata ormai casa e riparo per molti animali di quella zona. ANGELO VALENTE.
19
IL MASSAGGIO E L’ACQUA DI PETALI ROSA
Si chiamava
“Bella come l’aurora” e viveva serenamente in un piccolo villaggio di pescatori
sulle rive del Fiume Azzurro. Fu chiesta in moglie dal più ricco dei pescatori
del fiume.
I primi anni della giovane coppia furono veramente felici e spensierati.
Ma tutta quella felicità infastidiva e irritava sempre di più la suocera di
Katy, che era stata rapidamente spodestata dal cuore del figlio, dei familiari e
dei servi dalla bella nuora.
Così cominciò a tormentarla in ogni modo ed a diffondere le più orribili dicerie
sul suo conto.
Esasperata, la bella Katy decise di vendicarsi uccidendo la suocera.
In preda a questa cupa decisione, si recò da uno stregone per procurarsi un filtro di morte.
Lo stregone
l’ascoltò attentamente e poi le diede una fiala che conteneva un liquido rosa da
mescolare ogni giorno nel tè della suocera, poi le propose, per stornare da sé
ogni sospetto, di praticare ogni mattino sulle spalle, la nuca e la fronte della
suocera un massaggio dolce e rilassante: “In questo modo la morte la sorprenderà
lentamente nel giro di sei mesi!”
Katy paziente e ostinata, per mesi versò regolarmente gocce di liquido rosa nel
tè della suocera e praticò con la stessa pazienza il dolce massaggio ogni
giorno. Il massaggio quotidiano tesseva una rete nuova tra le due donne, che
divennero amiche. Il loro cuore cambiò.
La suocera notò
quanto la nuora fosse gentile e generosa oltre che bella. Katy riscopriva ogni
giorno il cuore materno della suocera. Dopo qualche mese, Katy aveva
praticamente dimenticato il motivo delle quotidiane visite, delle gocce di
liquido rosa nel tè e del massaggio alla suocera: tutto questo era diventato una
tranquilla e piacevole abitudine, fatta di complicità, di lunghe chiacchierate e
di tenerezza.
Ma un giorno, all’improvviso, fu costretta a ricordarsene. La suocera
innocentemente disse: “Stiamo bene insieme. Che peccato che io debba morire
molto prima di te…”.
Katy si alzò e corse dallo stregone per avere l’antidoto al veleno della fiala.
Si gettò in ginocchio e lo supplicò, spiegandogli quello che era successo e come
fosse cambiato il suo cuore. Lo stregone sorrise: “Alzati, mia bella figliola.
Il liquido che ti ho dato è soltanto acqua di petali di rosa. Il vero antidoto
al veleno dell’odio, che in realtà era dentro di te, è stato il massaggio
quotidiano.
Se guardi una persona negli occhi, le stai vicino, parli con lei non potrai più
odiarla!”
20
IL MAZZO DI ROSE
Un giorno, una
giovane donna ricevette una dozzina di rose con un biglietto che diceva:
“Una persona che ti vuole bene!”
Senza però la firma. Non essendo sposata, il suo pensiero andò agli uomini della
sua vita: vecchie fiamme, nuove conoscenze. Oppure erano stati mamma e papà?
Qualche collega di lavoro? Fece un rapido elenco mentale. Infine, telefonò a
un’amica perché l’aiutasse a scoprire il mistero. Una frase dell’amica le fece
all’improvviso balenare un’idea.
“Dimmi, sei stata tu a mandarmi i fiori?” chiese.
“Sì!” rispose l’amica.
“Perché?” replicò.
“Perché l’ultima volta che ci siamo parlate eri di umore nero. Volevo che
trascorressi un giorno pensando a tutte le persone che ti vogliono bene!”
concluse l’amica.
21
“IL MEDICO CALVO”
In un ospedale
c’era un medico, la cui testa calva era spesso oggetto di battute scherzose.
Un giorno, dopo il solito commento da parte di un’infermiera, il medico
controbatté dicendo: “Signorina, Dio ha fatto teste perfette: le altre le ha
dovute ricoprire di capelli!”
22
“IL COLONNELLO ED IL SOLDATO”
Durante un’ispezione, un colonnello si fermò, squadrò un soldato da capo a piedi, e gli disse con durezza: “Abbottona la tasca, soldato!”
Il soldato,
assai confuso, balbettò: “La devo abbottonare subito, signor colonnello?”
“Sì, immediatamente!” esclamò il colonnello.
Allora il soldato si avvicinò cautamente ed abbottonò il risvolto del taschino
della camicia del colonnello!
23
“L’USIGNOLO ED I PASSERI”
Un giorno l’usignolo si ammalò e non cantava più. “Non è ammalato,” dissero i passeri, “è troppo pigro per cantare!” Questi commenti offesero profondamente l’usignolo, che iniziò di nuovo a cantare. “Non avevamo ragione?” dissero i passeri.
Così l’usignolo
fece appello alle sue ultime forze e morì.
Allora i passeri dissero: “Ma allora perché cantava, se era ammalato?”
Dare troppo peso a quello che dicono gli altri può essere molto pericoloso.
24
IL MENDICANTE ED IL PRETE
Un uomo
mendicava da 25 anni davanti ad una chiesa. Si era fatto amico anche del prete
che celebrava lì. Il sacerdote sapeva che cosa significa “sofferenza”: era
rimasto senza famiglia a dieci anni; i suoi genitori e familiari erano stati
tutti trucidati durante la guerra. Ma da qualche giorno il mendicante era
sparito. Il sacerdote lo andò a cercare; lo trovò morente in una catapecchia
abbandonata. Fu allora che il povero mendicante supplicò:
“Padre, ho un peso da confessare prima di morire: Tanti anni fa ero a servizio
da un’ottima famiglia. Marito, moglie, la figlia e, soprattutto il figlio ancor
fanciullo, mi volevano molto bene.
Io ero povero; attratto dal desiderio di venire in possesso di tutti i beni di
quella famiglia, dissi che erano partigiani: furono uccisi. Solo il figlio
piccolo riuscì a fuggire. Con l’ingiusta eredità divenni ricco, mi diedi a tutti
i piaceri, sperperai tutto, ma non riuscii a dimenticare l’enorme delitto… Ora
sono pentito. Ma è tardi per ricevere il perdono di Dio!”
Mentre il povero penitente si confessava, a poco a poco, ritornava alla mente
del sacerdote confessore la storia della sua famiglia. Alla fine, fu colpito al
cuore da una lucida conclusione: quell’uomo era l’assassino dei suoi e il
dilapidatore dei beni della sua famiglia!
Scoppiò allora una furiosa battaglia nel suo cuore tra il perdono e il desiderio
di giustizia.
Dopo alcuni istanti d’una tremenda lotta, che gli rigò il viso di sudore e di
lacrime, alzò la mano sacerdotale e disse: “In nome di Dio e mio ti perdono
tutto!”
25
IL MERCANTE E IL PAPPAGALLO
C’era una volta
un mercante che teneva un pappagallo in gabbia. Il suo lavoro lo indusse a
partire per l’India, e allora chiese al suo pappagallo se avesse un qualche
messaggio per i suoi simili di quel continente. Il pappagallo si limitò a
rispondere: “Dì a loro che me ne sto chiuso in una gabbia.”
Il mercante diede la sua parola di messaggero, e trasmise il messaggio al primo
gruppo di pappagalli che incontrò sul suolo indiano. Udite quelle parole, uno di
loro cadde a terra e ne morì immediatamente. Tornato in patria, il mercante
accusò il pappagallo di averlo reso latore di un messaggio mortifero, ma appena
ebbe ascoltato questo rimprovero anche il pappagallo del mercante cadde a terra
morto, proprio come il suo simile indiano.
A quel punto il mercante tolse il cadavere del pappagallo dalla gabbia e fece il gesto di gettarlo via, quand’esso riprese invece vita e fuggì volando, spiegandogli però che il pappagallo indiano si era limitato ad indicargli la morte come via di fuga dalla gabbia.
GIALAL AL-DIN RUMI
26
IL MERCANTE, IL CAVALLO ED IL CHIODO
Un mercante
aveva concluso ottimi affari alla fiera: aveva venduto tutta la merce e la sua
borsa era gonfia di pezzi d’oro e d’argento. Per prudenza voleva rientrare a
casa prima del cadere della notte e decise perciò di mettersi sollecitamente in
marcia.
Assicurò saldamente la sua borsa alla sella del suo cavallo e poi lo spronò,
partendo al galoppo.
Verso
mezzogiorno fece tappa in una città. Il palafreniere che aveva accudito il suo
cavallo, tendendogli le redini, gli fece notare un particolare: “Signore, al
cavallo manca un chiodo al ferro della zampa posteriore sinistra!”
“Lascia perdere,” sbottò il mercante, “per le sei leghe soltanto che mi restano
da fare, il ferro terrà benissimo. Ho fretta!”
A metà pomeriggio, il mercante sostò a una locanda e fece dare una razione
d’avena al suo cavallo. Il valletto che badava alla stalla venne a dirgli:
“Signore, manca un ferro alla zampa posteriore sinistra del vostro cavallo. Se
volete, provvedo a ferrarlo.”
“Ma no,” disse
il mercante, “ho molta fretta e la bestia sopporterà bene le due leghe che mi
restano da fare.”
Risalì in sella e continuò la strada, ma poco dopo il cavallo cominciò a
zoppicare. Non zoppicò a lungo prima di incominciare a vacillare. Non vacillò a
lungo prima di cadere e spezzarsi una zampa. Così il mercante fu costretto ad
abbandonarlo. Si caricò la borsa sulle spalle, fu sorpreso dalla notte quando la
strada si inoltrava in un bosco pericoloso, due malandrini lo derubarono di
tutto e arrivò a casa il mattino dopo, pesto e arrabbiato.
“E tutto per colpa di un maledetto chiodo!” concluse.
Le catene non
tengono unito un matrimonio.
Sono i fili, centinaia di piccoli fili, a cucire insieme i coniugi nel corso
degli anni.
Tanti piccoli fili “da niente.”
Ma noi abbiamo sempre fretta e spesso ne spezziamo qualcuno.
Finché ci sorprende il disastro. FRATELLI GRIMM
27
IL MIGLIOR RITRATTO DELLA PACE
Una volta un re
propose di dare un premio a quell’artista che avesse dipinto il miglior ritratto
della Pace. Molti artisti tentarono.
Il re guardò tutti i ritratti, ma ce ne erano, secondo lui, solamente due che
realmente fossero degni di essere premiati e che bisognava scegliere tra questi.
Un ritratto rappresentava un lago calmo. Il lago era un specchio perfetto dove
si rispecchiavano montagne torreggianti tutte d’intorno. C’era un meraviglioso
cielo azzurro con nuvole bianche come la lana. Tutti, vedendo questo ritratto,
pensavano che fosse perfetto per rappresentare la Pace.
Nell’altro ritratto vi erano montagne, ma erano accidentate e spoglie. Sopra
c’era un cielo adirato e perturbato come se stesse per scatenarsi la più
tremenda perturbazione atmosferica, piena di lampi e fulmini. In basso, da un
lato della montagna, c’era una cascata che spumeggiava. Sembrava un quadro che
non offrisse alcun appiglio al tema della Pace.
Ma quando il re guardò da vicino, vide, dietro la cascata, un piccolo cespuglio
che cresceva in una fessura nella pietra. Nel cespuglio un uccello mamma aveva
costruito il suo nido.
Là, nel mezzo del cespuglio di quell’acqua effervescente, stava accoccolata
quella femmina di uccello dentro il suo nido e in pace perfetta.
Quale ritratto vinse il premio?
Il re scelse il
secondo.
“Perché,” spiegò il re, “la Pace non vuole dire essere in un luogo dove non c’è
nessun rumore, nessuna preoccupazione, nessun cuore spezzato, nessun lavoro
duro.
La pace vuole dire essere nel mezzo a tutte quelle cose e rimanere ancora calmi
nel proprio cuore. Questo è il vero significato della pace.”
28
“IL MISSIONARIO ED IL CANTANTE”
Un missionario,
che era vissuto in Cina per molti anni, ed un famoso cantante, che vi era
rimasto soltanto per due settimane, tornavano negli Stati Uniti a bordo della
stessa nave.
Quando attraccarono a New York, il missionario vide una gran folla di ammiratori
in attesa del cantante. “Signore, non capisco!” mormorò il missionario,
“Ho dedicato 42
anni della mia vita alla Cina, e lui ci è rimasto soltanto due settimane, eppure
ci sono migliaia di persone che gli danno il bentornato a casa, mentre per me
non c’è nessuno!”
Ed il Signore gli rispose: “Figliolo, ma tu non sei ancora a casa!”
29
“LA CHIESA ED I FEDELI”
Un uomo cercava
una buona chiesa da frequentare ed entrò per caso in una chiesa in cui i fedeli
ed il prete stavano leggendo il loro libro di preghiere.
E dicevano: “Non abbiamo fatto queste cose che avremmo dovuto fare, ed abbiamo
fatto queste altre cose che non avremmo dovuto fare!”
L’uomo si lasciò cadere in un banco e sospirò sollevato dicendo:
“Grazie a Dio, ho finalmente trovato la mia gente!”
30
IL NEGOZIO DELLA VERITÀ
Non potevo
credere ai miei occhi quando lessi l’insegna del negozio: il “Negozio della
Verità”: lì vendevano la verità. La commessa fu molto cortese: “Che tipo di
verità desidera acquistare: la verità parziale o la verità totale?”
“La verità totale, ovviamente!” fu la mia risposta.
Niente falsità per me, nessuna difesa, nessuna razionalizzazione.
Volevo la mia verità pura e semplice e tutta quanta.
Il commesso che
era là mi guardò con una certa aria di commiserazione e indicò il cartello del
prezzo: “Il prezzo è molto alto, signore!” disse.
“Quant’è?” chiesi io, deciso ad ottenere la verità totale a tutti i costi.
“Se lei prende questa,” disse, “dovrà pagarla perdendo il riposo per il resto
della sua vita.”
Uscii
tristemente dal negozio.
Avevo creduto di poter avere tutta la verità per un prezzo modesto.
ANTHONY DE MELLO