FEBBRAIO
1
ER CANE MORALISTA
Più che de
prescia er Gatto
agguantò la bistecca de filetto
che fumava in un piatto,
e scappò, come un furmine, sur tetto.
Lì se fermò,
posò la refurtiva
e la guardò contento e soddisfatto.
Però s’accorse
che nun era solo
perché er Cagnolo der padrone stesso,
vista la scena, j’era corso appresso
e lo stava a guardà da un muricciolo.
A un certo punto, infatti, arzò la testa
e disse ar Micio: – Quanto me dispiace!
Chi se pensava
mai ch’eri capace
d’un’azzionaccia indegna come questa?
Nun sai che nun
bisogna
approfittasse de la robba artrui?
Hai fregato er padrone! Propio lui
che te tiè drento casa! Che vergogna!
Nun sai che la
bistecca ch’hai rubbato
peserà mezzo chilo a ditte poco?
Pare quasi
impossibbile ch’er coco
nun te ciabbia acchiappato!
Chi t’ha visto? – Nessuno…
E er padrone? – Nemmeno…
Allora – dice – armeno
famo metà per uno!» TRILUSSA
2
GUARDARSI DENTRO
Un giorno Dio
si rallegrava e si compiaceva più del solito nel vedere quello che aveva creato.
Osservava l’universo con i mondi e le galassie, ed i venti stellari sfioravano
la sua lunga barba bianca accompagnati da rumori provenienti da lontanissime
costellazioni che finivano per rimbombare nelle sue orecchie.
Le stelle nel firmamento brillavano dando significato all’infinito.
Mentre ammirava tutto ciò, uno stuolo di Angeli gli passò davanti agli occhi ed
Egli istintivamente abbassò le palpebre, ma così facendo gli Angeli caddero
rovinosamente.
Poveri angioletti, poco tempo prima si trovavano a lodare il Creatore
rincorrendosi tra le stelle ed ora si trovavano su di un pianeta a forma di
grossa pera!
“Che luogo è questo?” chiesero gli Angeli a Dio.
“È la Terra.” Rispose il Creatore.
“Dacci una mano
per risalire,” chiesero in coro le creature, “perché possiamo ritornare in
cielo.”
Dopo una pausa di attesa (secondo i tempi divini!), Egli rispose: “No! Quanto è
accaduto non è avvenuto per puro caso. Da molti secoli odo il lamento dei miei
figli e mai hanno permesso che rispondessi loro.
Una volta andai di persona, ma non tutti mi ascoltarono.
Forse ora ascolteranno voi, dopo quello che hanno passato e passano seguendo falsi dei.
Andate creature
celesti, amate con il mio cuore, cantate inni di gioia, mischiatevi tra i popoli
in ogni luogo della terra e quando avrete compiuto la missione, allora
ritornerete e faremo una grande festa nel mio Regno.”
Da allora tutti gli Angeli, felici di quanto si apprestavano a compiere per il
bene degli uomini, se ne vanno in giro a toccare i cuori della gente e gioiscono
quando un’anima trova l’Amore.
Ma la cosa più sorprendente era che, toccando i cuori, scoprirono che molti di
essi erano …
Angeli che urtando il capo nella caduta avevano perduto la memoria.
E la missione continua anche se ancora ci sono molti Angeli smemorati, che magari alla sera, seduti sul davanzale della propria casa, guardano il cielo stellato in attesa di un significato scritto nel loro cuore. Se solo si guardassero “dentro!”
3
GUIZZINO, IL PICCOLO PESCE CHE SFIDÒ GLI SQUALI
Guizzino era un
piccolissimo pesce nero in un grande mare; squame luminose lo ricoprivano.
Era molto agile e furbo, riusciva sempre a non cadere nella bocca di certi
enormi pesci che passavano a volte nel suo spazio. Vivevano insieme a Guizzino
tantissimi altri pesciolini, che avevano il terrore dei grandi squali che
passavano di lì.
Guizzino temeva
per loro e siccome voleva loro bene, pensò a lungo come poter aiutare i suoi
amici. Finalmente ebbe un’idea geniale: “Amici!” disse tutto felice, “Ho trovato
come vincere gli squali!”
“Come?
Lo sai come sono grandi?” risposero i pesciolini tremando solo al pensiero con
quei bestioni!
“Ascoltatemi bene,” rispose Guizzino, “quando gli squali si presenteranno nel
nostro mare noi ci riuniremo tutti vicinissimi, e così sembreremo un solo enorme
pesce.
Io starò
davanti a voi come l’occhio del corpo, e così luminoso come sono, sembrerò un
occhio minaccioso.
Venne il giorno degli squali, che si avvicinavano numerosi e affamati. I nostri
amici erano pieni di paura, ma si rinserrarono davanti a Guizzino, stretti l’uno
all’altro, così tanto che diventavano una massa molto più grande di uno squalo.
I grandi pesci sembrarono un po’ disorientati, ma se ne guardarono bene dal
disturbare quell’essere sconosciuto con quell’occhio minaccioso e lucente…E
decisero di andare altrove a procurarsi il cibo. Felici, i piccolini si fecero
attorno al loro amico Guizzino:
avevano capito che in tanti si può vincere facilmente. LEO LIONNI
4
IL PRINCIPE E SUO FIGLIO
Un principe
afgano aveva un figlio molto intelligente ma poco disposto a seguire i pareri
altrui.
“Vorrei poter decidere sempre in base alle mie idee!” confessava al padre.
“In certi casi è impossibile!” gli rispondeva questi, “Ci sono momenti nei quali
i consigli degli altri sono di stimolo e chiarimento!”
Quel momento venne.
Per poter battere un potente nemico che si stava affacciando alle frontiere, il
principe convocò i suoi tre più valenti generali e volle che al consiglio di
guerra partecipasse il giovane erede.
“Secondo me,” disse il primo generale, “vinceremo lasciando via libera al nemico
per coglierlo poi di sorpresa alle spalle!”
“Hai ragione!” rispose il sovrano.
Disse il
secondo generale: “Il mio parere è questo: affrontare il nemico di fronte con
tre armate a cuneo, così da disperdere le sue forze in mille rivoli!”
“Hai ragione!” osservò il principe.
“Penso sia meglio,” sostenne il terzo generale, “temporeggiare per individuare
bene le sue mosse!”
“Hai ragione!” concluse il monarca.
E sciolse la riunione.
A questo punto
il figlio osservò: “Com’è possibile, padre, che tu dia ragione a tutti e tre?
Il tuo assenso non confonderà le loro idee, invece di rafforzarle?”
“Hai ragione,” gli rispose il padre, “ma avresti preferito ch’io dessi ragione a
uno solo e torto agli altri due?
Questi si sarebbero sentiti umiliati e avrebbero seguito controvoglia i piani di
battaglia altrui!”
“Hai ragione!” assentì il figlio, “Ma allora?”
“Allora condurrai tu la guerra, utilizzando, a seconda degli eventi, i piani che
hai sentito esposti!”
“Lo farò. Mi è già venuta in mente un’idea, mentre li ascoltavo. Ecco, io
direi…”
Il padre approvò e la guerra fu vinta.
Il principe, in più, aveva ottenuto una sua piccola vittoria personale: era riuscito a predisporre all’ascolto l’intelligenza di suo figlio. PIERO GRIBAUDI.
5
HAI VISTO IL CIELO STAMATTINA?
Dalla sua
finestra affacciata sulla piazza del mercato il maestro vide uno dei suoi
allievi, un certo Haikel, che camminava in fretta, tutto indaffarato.
Lo chiamò e lo invitò a raggiungerlo: “Haikel, hai visto il cielo stamattina?”
“No, maestro!”
rispose l’allievo.
“E la strada, Haikel? La strada l’hai vista stamattina?” chiese il maestro.
“Sì, Maestro!” disse Haikel.
“E ora, la vedi ancora?” domandò, allora, il maestro.
“Sì, Maestro, la vedo!” replicò il giovane.
“Dimmi che cosa
vedi!” esclamò il maestro.
“Gente, cavalli, carretti, mercanti che si agitano, contadini che si scaldano,
uomini e donne che vanno e vengono, ecco che cosa vedo!” spiegò Haikel.
“Haikel, Haikel,” lo ammonì benevolmente il Maestro, “fra cinquant’anni, fra due
volte cinquant’anni ci sarà ancora una strada come questa e un altro mercato
simile a questo.
Altre vetture porteranno altri mercanti per acquistare e vendere altri cavalli.
Ma io non ci sarò più, tu non ci sarai più.
Allora io ti chiedo, Haikel, perché corri se non hai nemmeno il tempo di guardare il cielo?”
Hai visto il cielo stamattina?
6
I BAFFI DEL LEONE
Un uomo,
rimasto vedovo, con un figlio ancora bambino, sposò una giovane donna.
Nel giorno del matrimonio, la donna, commossa dal dolore così evidente sul viso
del bambino, fece una promessa a sé stessa: “Aiuterò questo bambino a guarire
dal suo dolore e sarò per lui una buona madre.”
Da quel momento ogni suo pensiero ed energia furono spesi per questo obiettivo,
ma invano.
Il bambino
opponeva un netto rifiuto a tutte le sue attenzioni e cure. I cibi preparati
amorevolmente non erano buoni come quelli della mamma naturale, i vestiti lavati
e rammendati venivano sporcati e strappati di proposito, i baci ricevuti
venivano prontamente ripuliti col dorso della mano, gli abbracci allontanati, e
così via. Per quanto la donna cercasse di consolare il dolore del bambino e si
sforzasse di conquistare il suo affetto non incontrava altro che rifiuto e
rabbia.
Un giorno, al colmo del dispiacere e del senso d’impotenza, decise, tra le
lacrime, di chiedere consiglio allo stregone del villaggio. “Ti supplico!
Aiutami! Prepara una magia così ch’io possa conquistare l’amore di questo
bambino! Ti pagherò quanto vorrai! Aiutami Stregone!” disse la donna
“Va bene, ti aiuterò e preparerò questa magia, ma è essenziale che tu mi porti
due baffi del leone più feroce della foresta.” rispose lo stregone.
“Ma Stregone! È impossibile! Non c’è nessuna speranza allora!
Se mi
avvicinerò a quel leone mi sbranerà! Non conquisterò mai l’amore di questo
bambino!” esclamò la donna.
“Mi dispiace donna, ma questa è la condizione necessaria per la magia.” terminò
lo stregone.
La donna, in lacrime, si avviò verso la sua capanna ancora più scoraggiata. Dopo
una notte insonne, resasi conto che in nessun modo avrebbe rinunciato al suo
proposito di conquistare l’affetto del bambino, la giovane sposa decise di
procurarsi i baffi del leone ad ogni costo.
La mattina seguente si mise in cammino verso la foresta con una ciotola di carne
sul capo.
Giunta al limitare del territorio del leone depose la ciotola a terra e fece
quindi ritorno verso la sua capanna.
Il giorno successivo, poco dopo l’alba, si avviò nuovamente con una nuova
ciotola piena di carne verso la foresta, ma questa volta depositando il tutto
qualche passo più avanti, nel territorio del re della foresta.
Il terzo giorno ancora una ciotola di carne e ancora qualche passo più avanti.
Il quarto giorno lo stesso.
Così il quinto,
il sesto, il decimo, il ventesimo, il trentesimo, il centesimo… giorno.
Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, avanzando con
coraggio e costanza. Fino a vedere la tana e l’animale, e poi, dopo giorni, ad
incontrare il leone che ormai attendeva la sua ciotola di carne e osservava
placido la donna, concedendole di avvicinarsi.
Sino al giorno in cui la ciotola venne deposta davanti al leone, e la donna, col
cuore in tumulto nel petto, capì che giunse il momento di agire. Mentre
l’animale, ormai perfettamente a suo agio con lei, divorava il suo pasto, ecco
che lei poté strappare i due baffi preziosi senza che il leone neppure se ne
rendesse conto. Allora sorridendo tra le lacrime, con i due baffi stretti al
petto, corse a perdifiato verso la capanna dello stregone: “Stregone!!!
Stregone!!! Ho i baffi!!!
Puoi fare la tua magia!!!”
“Mi dispiace donna, non posso fare ciò che mi chiedi. Non bastano due baffi di
leone per conquistare l’amore di un bambino. Non ho questo potere!” replicò lo
stregone.
“Mi hai ingannata, mi hai tradita! Mi hai fatto rischiare la vita per nulla!
Perché? Perché l’hai fatto?” urlava tra le lacrime la donna al culmine della
disperazione, “Avevi promesso! Come farò adesso?”
Lo stregone, in silenzio, attese che la donna esaurisse le sue lacrime e la sua
rabbia e poi rispose: “Io non posso compiere alcuna magia, donna. La magia è
nelle tue mani. Guarda cos’hai fatto col leone. Ebbene, la magia è questa: fai
col tuo bambino ciò che hai fatto col leone!” ANTICA FAVOLA ETIOPE.
7
I BARBIERI E DIO
Un tizio si
reca da un barbiere per farsi tagliare i capelli e radere la barba.
Appena il barbiere comincia a lavorare, iniziano ad avere una buona
conversazione.
Parlano di tante cose e di vari argomenti.
Quando alla fine toccano l’argomento Dio, il barbiere dice: “Io non credo che
Dio esista!”
“Perché dice questo?” chiede il cliente.
“Beh, basta uscire per strada per rendersi conto che Dio non esiste. Mi dica, se
Dio esistesse, ci sarebbero così tante persone malate? Ci sarebbero bambini
abbandonati? Se Dio esistesse, non ci sarebbero più sofferenza né dolore. Io non
posso immaginare che un Dio amorevole permetta tutte queste cose!”
Il cliente pensa per un momento, ma non replica perché non vuole iniziare una
discussione.
Il barbiere finisce il suo lavoro ed il cliente lascia il negozio.
Appena dopo aver lasciato il negozio del barbiere, vede un uomo in strada con
dei capelli lunghi, annodati e sporchi e con la barba tutta sfatta. Sembrava
sporco e trasandato.
Il cliente torna indietro ed entra di nuovo nel negozio del barbiere e gli dice:
“La sa una cosa?
I barbieri non esistono.”
“Come può dire ciò?” chiede il barbiere sorpreso.
“Io sono qui e
sono un barbiere. Ed ho appena lavorato su di lei!”
“No!” esclama il cliente “I barbieri non esistono perché, se esistessero non ci
sarebbero persone con lunghi capelli sporchi e barbe sfatte come quell’uomo là
fuori!”
“Ma i barbieri esistono!” reclamò il barbiere “Questo è ciò che succede quando
la gente non viene da me!”
“Esattamente!” afferma il cliente. “Questo è proprio il punto!
Anche Dio esiste! Questo è ciò che succede quando la gente non va da Lui e cerca
il Suo aiuto.
Questo è il motivo per cui c’è tanto dolore e sofferenza nel mondo…”
8
I CAMBIAMENTI DENTRO DI NOI
Un giovane di
nome Naresh incontrò un santo. Il santo gli chiese chi fosse, e il giovane
rispose: “Sono Naresh!”
“Chi sei?” ribadì il santo.
Naresh, pensando che il santo non lo avesse udito, disse: “Mi chiamo Naresh!”
“Sì, ma chi sei?” incalzò il santo.
Perplesso, Naresh rispose: “Mio padre si chiama Ram Dutta. Vivo a Delhi. Faccio
il ragioniere.”
“Sì, ma chi sei?” continuò il santo.
Il giovane si spremette le meningi per capire quella domanda. Il santo era forse
duro d’orecchi? O stava diventando vecchio e un po’ senile?
“Beh, se non lo
sai,” disse il santo con un sorriso, “forse è bene che tu sia venuto da me!”
A questo punto il giovane rimase completamente sconcertato!
Sentiva però una certa pace in presenza del santo e quindi tornò molte volte da
lui, pur senza sapere veramente il perché.
Un po’ alla volta, cominciò a riflettere: “Posso davvero definire me stesso in
un modo così limitato, ad esempio dicendo che sono un ragioniere?”
Cominciò a pensare: “Io non sono ciò che faccio. Sono un giovane con molti
interessi, incluso quello di fare visita a questo santo, anche se lo faccio per
ragioni che non comprendo pienamente!”
“Chi sei?” gli chiese nuovamente il santo, un giorno.
A quel punto,
il vecchio apparve al giovane non solo perfettamente normale, ma perfino
saggio. “Non so chi sono veramente!” disse Naresh.
“Adesso va meglio!” esclamò il santo “Allora pensaci di nuovo. Chi sei?”
Bene, rifletté il giovane. Ho un nome, una famiglia, un domicilio.
Ma sono davvero una qualunque di queste cose?
All’improvviso ebbe questa rivelazione: “Sono un’anima in cerca di sé stessa!”
Il suo corpo era ancora giovane, ma sapeva che col tempo sarebbe invecchiato.
Anche adesso, nel suo intimo, egli era la stessa persona che era stato da
bambino.
Il corpo era cambiato, ma lui no. Quindi non era il corpo.
Continuò a
riflettere. La sua comprensione era cambiata da quando aveva incontrato il
santo, ma nel suo intimo era ancora lo stesso. La sua personalità era cambiata,
ma qualcosa nella sua coscienza era rimasto immutato. Lentamente comprese che
lui, proprio lui, era un punto di percezione interiore dal quale si limitava ad
osservare quei cambiamenti, senza però definire sé stesso in base a essi. Ciò
che cambia, comprese, non può essere ciò che sono. Io sono quel qualcosa dentro
di me che rimane immutato, che semplicemente osserva il cambiamento.
Così, giunse a identificarsi sempre più con la sua anima.
Un giorno disse al guru: “So chi sono, ma non ci sono parole con cui io possa
parlarne!”
Il santo, nell’udire questo, si limitò a sorridere.
Più tardi disse: “Ora che ti mancano le parole, c’è così tanto che possiamo
dirci!”
PARAMHANSA YOGANANDA E SWAMI KRIYANAND
9
GUARDA PIN-HUA SULL’ALBERO
C’era una volta
un uomo che non sapeva far nulla. A qualunque lavoro si dedicasse, non combinava
che disastri.
C’erano da raccogliere i fichi? Il cesto di Pin-hua (era questo il suo nome) si
rovesciava, quando non era lui stesso a cadere dall’albero.
C’era da andare per legna? I rami che raccattava Pin-hua erano o marci o ancor
verdi, quando non si trattava di qualche insonnolito serpente.
Da intagliare
il tek? Alla larga da Pin-hua, poiché lo scalpello gli s’imbizzarriva in mano e
non si sapeva dove andasse a colpire.
Pin-hua, insomma, con la sua inettitudine, era un pericolo non solo per sé ma
per tutti; ed egli, che non era uno stupido, era il primo a soffrire di questa
situazione.
Stava un giorno seduto sotto l’albero sacro del villaggio, quando gli si
avvicinò un monaco: “A che stai pensando?” gli chiese.
“Al fatto che non so far nulla!” rispose.
“Perché ti preoccupi?” gli disse il monaco, “Se non sai far nulla, fallo bene!”
Allora Pin-hua prese una canna e andò a pescare sul molo.
Naturalmente non prese un sol pesce, perché ruppe subito l’amo. In compenso,
meditò a fondo le parole del monaco e prese la sua decisione. La notte, si
arrampicò sull’albero sacro.
Non ne sarebbe
mai più disceso.
La gente, un po’ lo compianse, un po’ ne rise, un po’ si preoccupò: e se si
fosse messo a pregare, che guai avrebbe combinato?
Ma Pin-hua non combinò più alcun guaio: si limitò ad esserci, nel villaggio. E
poco alla volta la gente cominciò a sentire il beneficio di quella presenza.
“Perché te la prendi tanto?” si diceva a chi si affannava oltre misura, “Guarda
Pin-hua sull’albero: non fa nulla; eppure, trova sempre chi gli offre una
ciotola di riso.”
“Perché litigate tra voi?” si diceva a chi si odiava per un palmo di terra,
“Guardate Pin-hua sull’albero: non ha nulla; eppure, canta dal mattino alla
sera.”
“Perché ti
arrabbi coi figli?” diceva la moglie al marito, “Guarda Pin-hua sull’albero: le
formiche lo tormentano persino nel sonno, eppure l’hai mai sentito lagnarsi?”
Ma, soprattutto, quando qualcuno faceva male qualcosa, gli si diceva:
“Perché tanta negligenza? Guarda Pin-hua sull’albero: non fa niente, ma lo fa
bene.”
10
I CHICCHI DI FRUMENTO
Erano nati
a primavera con i primi raggi del sole in un campo di un luminoso verde tenero!
Tutti nella loro culla, che mamma spiga aveva preparato con cura…
Tanti lettini allineati, che il vento cullava, mentre grilli e cicale cantavano
la “ninna nanna”!
Dal verde tenero diventarono di un bel giallo brillante, sempre più grassottelli
e chiacchieroni…
Dondolare in cima al lungo stelo della spiga insieme a migliaia di altri chicchi
di frumento,
sempre più allegri e rubicondi, era molto divertente!
“Piano, ragazzi!” li ammoniva mamma spiga, “È ora che dimostriate un po’ di
maturità:
presto comincerà la mietitura!”
“Che cos’è la mietitura?” chiese allora un chicco.
“È quando cominciate a fare quello per cui siete nati!” rispose la mamma.
In un’assolata giornata di fine Giugno, una grossa macchina rossa passò veloce
fra le spighe mature e raccolse i chicchi di grano con la sua grossa bocca
spalancata…
“Addio!”
“Arrivederci!”
“Buona fortuna!” si sentiva dire da tutte le parti.
I chicchi di grano furono raccolti in grossi sacchi e poi in enormi depositi!
Addio al sole, al vento, al canto dei grilli… Nel deposito, era tutto buio!
“Che succederà, adesso?” chiese uno di loro.
Un vecchio topo con gli occhiali che da tempo immemore viveva tra due travi del
granaio lo spiegò pazientemente ai più vicini, i quali lo raccontarono a quelli
che avevano accanto, e così via…
“La missione dei chicchi di grano è una grande missione!” esordì il vecchio
topo, “Seconda, appena, a quella dei topi che, come ognuno sa, sono la razza
eletta della Creazione…
Alcuni di voi saranno seminati:
cioè, messi dentro la terra!”
Un brivido passò tra i chicchi.
Poi il vecchio topo continuò:
“Altri saranno
macinati!”
Un altro brivido percorse i granelli di frumento.
“Ma diventeranno farina e poi pane profumato o deliziosi biscotti!”
I baffi del topino vibravano di soddisfazione…
Tirò su con il naso e continuò: “Gli uomini portano il pane a tavola, lo
benedicono, lo dividono…
È molto importante per loro: porta gioia, porta la vita!
Sono grandi e grossi grazie al pane… Grazie, a voi!”
I chicchi di grano trattenevano il fiato, coinvolti dalle parole del vecchio
topo.
Ora sapevano… Ed erano orgogliosi della loro missione!
Solo un granello di frumento si lasciò scivolare in fondo al mucchio di chicchi
e si nascose in una fessura presente nel pavimento del granaio…
Non voleva essere seminato! Non voleva morire! Non voleva essere sacrificato!
Voleva salvarsi… Non gliene importava niente di diventare pane! Né di essere
portato a tavola!
Né tantomeno di essere benedetto e condiviso… Non avrebbe mai donato vita! Non
avrebbe mai donato gioia!
Un giorno arrivò il contadino ed iniziò a fare pulizia e, con la polvere del
granaio, spazzò via anche l’inutile granello di frumento…
11
I DESIDERI
In una giornata
straordinariamente calda ed afosa, un uomo, seduto sotto una palma, sulle sponde
dell’Irrawaddy, guardava verso l’altra riva dell’immenso fiume e sospirava:
“Ah, se potessi essere sull’altra sponda del fiume! Certamente troverei un
villaggio più grande del mio, una pagoda più scintillante d’oro, gente più
simpatica…”
Nello stesso istante, sull’altro argine del fiume, un altro uomo, seduto
anch’egli all’ombra di una palma, guardava in senso opposto e sospirava: “Ah, se
potessi essere sull’altra sponda del fiume! Certamente troverei un villaggio più
grande del mio, una pagoda più scintillante d’oro, gente più simpatica…”
A Bathiàn, città grande e popolosa, ricca di pagode scintillanti d’oro e di
gente di ogni razza, migliaia e migliaia di persone, in quella giornata
straordinariamente calda e afosa,
pensavano in quell’identico momento:
“Ah, se potessimo starcene seduti sotto una palma sulle sponde dell’Irrawaddy…”
PIETRO GRIBAUDI
12
IL NEGOZIO DI DIO
Sulla via
principale della città c’era un negozio originale.
Un’insegna luminosa diceva: “I doni di Dio!”
Un bambino entrò e vide un angelo dietro il bancone; sugli scaffali c’erano
grandi scatole di tutti colori, chiese incuriosito: “Cosa vendete?”
L’angelo rispose: “Ogni ben di Dio! Vedi nella scatola rossa c’è l’amore,
l’arancione contiene la fratellanza, in quella azzurra c’è la fede, in quella
verde la speranza, nella blu la pace e nell’indaco salvezza.”
Chiese ancora
il bambino incuriosito: “E quanto costa questa merce?”
Con estrema gentilezza, l’angelo rispose: “Sono doni di Dio e non costano
niente!”
Il bambino allora esclamò: “Che bello!
Allora dammi: dieci quintali di fede, una tonnellata di amore, un quintale di
speranza, un barattolo di fratellanza e tutto il negozio di pace!”
L’angelo si mise a servire il bambino.
In un attimo
confezionò un pacchetto piccolo, ma così piccolo, come il suo cuore e porgendo
il pacchetto al piccolo disse: “Ecco, sei servito!”
Il bambino sorpreso disse: “Ma come mai è così piccolo?”
Concluse l’angelo: “Certo, nella bottega di Dio non si vendono frutti maturi, ma
piccoli semi da coltivare. Vai nel mondo e fai germogliare i doni che Dio ti ha
dato!”
13
I DONI NON ACCETTATI
Se qualcuno vi si avvicina con un dono e voi non lo accettate, a chi appartiene il dono? domandò il samurai.
“A chi ha
tentato di regalarlo!” rispose uno dei discepoli.
“Lo stesso vale per l’invidia, la rabbia e gli insulti.” disse il maestro:
“Quando non sono accettati, continuano ad appartenere a chi li portava con sé!” STORIA ZEN
14
I DUE FRATELLI
Due fratelli,
uno scapolo e l’altro sposato, possedevano una fattoria dal suolo fertile, che
produceva grano in abbondanza. A ciascuno dei due fratelli spettava la metà del
raccolto.
All’inizio tutto andò bene.
Poi, di tanto in tanto, l’uomo sposato cominciò a svegliarsi di soprassalto
durante la notte e a pensare: “Non è giusto così. Mio fratello non è sposato e
riceve metà di tutto il raccolto.
Io ho moglie e cinque figli, non avrò quindi da preoccuparmi per la vecchiaia.
Ma chi avrà cura del mio povero fratello quando sarà vecchio? Lui deve mettere
da parte di più per il futuro di quanto non faccia ora. È logico che ha più
bisogno di me!”
E con questo
pensiero, si alzava dal letto, entrava furtivamente in casa del fratello e gli
versava un sacco di grano nel granaio.
Anche lo scapolo cominciò ad avere questi attacchi durante la notte. Ogni tanto
si svegliava e diceva tra sé: “Non è affatto giusto così. Mio fratello ha moglie
e cinque figli e riceve metà di quanto la terrà produce. Io non ho nessuno,
oltre a me stesso da mantenere.
È giusto allora
che il mio povero fratello che ha evidentemente molto più bisogno di me riceva
la stessa parte?”
Quindi si alzava dal letto e andava a portare un sacco di grano nel granaio del
fratello.
Un notte si alzarono alla stessa ora e si incontrarono ciascuno con in spalla un
sacco di grano!
Molti anni più tardi dopo la loro morte, si venne a sapere la loro storia.
Così, quando i loro concittadini decisero di costruire un tempio, essi scelsero
il punto in cui i due fratelli si erano incontrati, poiché secondo loro non vi
era un luogo più sacro di quello in tutta la città. ANTHONY DE MELLO
15
I DUE GIOVANI MONACI
Due giovani
monaci studiavano in seminario, ed entrambi erano incalliti fumatori.
Il loro problema era: “Posso fumare mentre prego?”
Non riuscendo a
risolverlo, decisero di rivolgersi ai loro superiori.
Più tardi, uno chiese all’altro che cosa gli aveva detto il superiore.
“Sono stato rimproverato aspramente solo per aver parlato del fatto,” disse il
primo, “ed il tuo superiore, cosa ti ha detto?”
“Il mio fu
molto compiaciuto,” disse il secondo, “mi ha detto che facevo benissimo.
Ma dimmi, che domanda gli hai fatto?”
“Gli ho chiesto se posso fumare mentre prego.” esclamò il primo.
Il secondo rispose: “Te la sei voluta tu. Io gli ho chiesto: posso pregare
mentre fumo?”
RAMESH BALSEKAR
16
I DUE NEONATI
Una donna
arrivò disperata dal suo ginecologo e disse: “Dottore, lei mi deve aiutare, ho
un problema molto, ma molto serio… mio figlio ancora non ha ancora compiuto un
anno ed io sono di nuovo incinta, non voglio altri figli in un cosi corto spazio
di tempo, ma con qualche anno di differenza!”
Allora il medico domandò: “Bene, allora lei cosa desidera che io faccia?”
La signora rispose: “Voglio interrompere questa gravidanza e conto sul suo
aiuto.”
Il medico allora iniziò a pensare e dopo un lungo silenzio disse: “Per risolvere
il suo problema penso di aver trovato il metodo meno pericoloso per lei.”
La signora sorrise pensando che il medico avesse accettato la sua richiesta.
Il dottore continuò: “Allora cara signora, per risolvere il suo problema e non
stare con due neonati in un così breve spazio di tempo, uccidiamo questo che è
fra le sue braccia, cosi lei potrà riposare per nove mesi finché avrà l’altro.
Se dobbiamo uccidere, non fa differenza fra questo o quell’altro, anche perché
sacrificare questo che lei ha tra le sue braccia è molto più facile, perché non
ci saranno rischi per lei.”
La donna disperatissima disse: “No dottore, uccidere un bambino è crimine!”
Il dottore rispose: “Anch’io la penso come lei, ma lei era tanto convinta che ho
pensato di aiutarla!”
Dopo alcune considerazioni, il dottore capì che la sua lezione aveva fatto il
suo effetto, e riuscì a far capire alla madre che non c’era la minima differenza
fra il figlio tenuto in braccio e quello dentro del suo ventre. Sorrise e disse:
“Ci vediamo fra una settimana per la prima ecografia e per sentire il cuoricino
del fratellino!”
17
I DUE PALLONI
Due palloni
erano usciti dalla fabbrica lo stesso giorno, erano finiti nello stesso sacco e
portati nello stesso grande magazzino. Uno era rosso e uno era blu.
Avevano fatto amicizia e così furono felicissimi di essere comprati dalla stessa
persona.
Finirono in un oratorio, dove sembrava che un orda di ragazzi non stesse
aspettando altro che prenderli a calci. Lo facevano tutto il giorno, con un
entusiasmo incredibile.
I due palloni volavano, rimbalzavano, sbattevano, facevano goal, venivano
parati, sbucciati, infilati nell’angolino alto e basso, crossati e colpiti di
testa.
Una vera battaglia quotidiana.
Alla sera si
ritrovavano nello stesso armadio, pesti e ammaccati; la loro bella vernice
brillante, le inserzioni bianche e nere, la scritta rossa, si stavano
rapidamente screpolando.
“Non ne posso più!” si lamentava il pallone blu, “Non è vita questa! Presi a
calci dalla mattina alla sera! Basta!”
“Che vuoi farci? Siamo nati palloni!” ribatteva il pallone rosso, “Siamo stati
creati per portare gioia e divertimento!”
“Bel divertimento! Io non mi diverto proprio! Ed ho già cominciato a vendicarmi:
oggi sono finito appositamente sul naso di un ragazzo e l’ho fatto sanguinare.
Domani farò un occhio blu a quel tipo che mi sbatte sempre contro il muro!”
incalzava il pallone blu.
“Eppure siamo sempre al centro dell’interesse. Quando arriviamo noi il cortile
si anima come per incanto. Credimi, siamo un dono dall’alto alla gioia degli
uomini!” rispondeva ancora il pallone rosso.
Passarono i giorni, ed il pallone brontolone era sempre più scontento.
“Se continuo così, scoppio!” disse una sera “Ho deciso, domani sparirò! Ho
adocchiato un tetto malandato, sul quale nessuno potrà salire a cercarmi. Mi
basta un calcione un po’ deciso…”
Ed il pallone
blu così fece.
Riuscì a finire tra i piedi di Adriano, detto Bombarda, per i suoi rinvii alla
“Viva il parroco!” e con un poderoso calcione lo scagliò sul tetto proibito del
caseggiato abbandonato vicino il cortile dell’oratorio.
Mentre volava in cielo, il pallone blu rideva felice: ce l’aveva fatta!
I primi tempi sul tetto furono una vera pacchia.
Il pallone blu si sistemò confortevolmente nella grondaia e si preparò a una
interminabile vacanza. “Ho chiuso con i calci e le botte,” pensava con profondo
compiacimento “nel mio futuro non ci saranno che aria buona e riposo. Aaaah,
questa è vita!”
Ogni tanto, dal
tetto, sbirciava in giù e guardava il suo compagno scalciato a più non posso dai
ragazzi del cortile.
“Poverino,” bofonchiava, “lui prende calci e io me ne sto qui a prendere il
sole, pancia all’aria dal mattino alla sera!”
Un giorno, un calcio possente glielo mandò vicino. “Resta qui!” gli gridò il
pallone blu.
Ma il pallone rosso rimbalzò sull’orlo della grondaia e tornò nel cortile.
“Preferisco i calci!” rispose.
Passò il tempo.
Nella grondaia il pallone blu si accorse che sole e pioggia lo avevano
rapidamente fatto screpolare e ora si stava gradatamente sgonfiando. Divenne
sempre più debole, tanto che non riusciva più nemmeno a lamentarsi. Del resto,
non gliene importava molto: sempre solo, lassù, era diventato triste e depresso.
Così una sera esalò un ultimo soffio. Proprio in quel momento, il pallone rosso
veniva riportato nell’armadio da due piccole manine.
Prima di finire nel cassetto buio, sentì una voce che gli diceva: “Ciao pallone,
ci vediamo domani.”
E due labbra sporche di Nutella gli stamparono un bacione sulla pelle ormai
rugosa.
Nel suo cuore leggero come l’aria, il pallone si sentì morire di felicità.
E si addormentò sognando il paradiso dei palloni, dove gli angioletti hanno
piedini leggeri come nuvole.
18
I FIORI DELLA RICONCILIAZIONE
Molto tempo fa
c’era un paese conosciuto in tutto il mondo per le sue terre fertili ed i suoi
raccolti incredibilmente abbondanti.
Un giorno vi arrivò da lontano un uomo assai povero con la sua famiglia. Si
stabilì in una casetta abbandonata, che cadeva a pezzi, con un piccolo orto; il
comune pretese comunque un affitto mensile.
Lo straniero aveva portato dal suo paese semi di piante sconosciute e iniziò a
coltivare il piccolo orto seminando proprio quelle piante.
La gente del
posto fu presa subito da mille paure: e se quei semi avessero appestato la loro
bella terra? E se quelle piante sconosciute avessero inaridito i loro fertili
campi?
Fu così che un mattino la famigliola si svegliò e trovò la propria casa
circondata dal filo spinato.
Qualcuno, quella stessa notte, si era dato da fare per evitare che i sospetti e
le paure si tramutassero in realtà.
Successe poi qualcosa di molto strano: la terra fertile di quel paese smise di
dare i soliti abbondanti frutti, iniziò a produrre erbacce e piante infestanti.
La gente del paese viveva giorni terribili di disperazione, presto sarebbe
caduta nella miseria.
Stranamente, l’unica terra che continuava a dare buoni frutti era quella del
piccolo orto della famiglia straniera.
Un mattino
accadde però qualcosa di strano: appeso alla porta di ogni casa, vi era un
sacchetto di semi, erano semi nuovi, particolari, sconosciuti.
Un contadino tra i più anziani, senza porsi troppe domande, li seminò nel suo
campo, ormai non c’era più nulla da perdere, quindi per curiosità volle vedere
di che cosa si trattava.
In poco tempo quei semi germogliarono e spuntarono meravigliosi fiori blu.
Tutti ridevano, certo erano belli ma il problema serio era la miseria che
sopraggiungeva e quei fiori non davano certo da mangiare!
Ma la cosa straordinaria doveva ancora avvenire: man mano che spuntavano i
fiori, sparivano le erbe infestanti e la terra tornava fertile e ricominciava a
produrre frutti abbondanti.
Soltanto allora la gente cominciò a domandarsi da dove provenissero quei semi.
A dare la risposta furono i bambini, perché soltanto loro si erano accorti che
quei fiori da tempo abbellivano l’orto della nuova famiglia straniera.
Compresero tutti il gesto buono e generoso di quell’uomo che aveva trovato tanta
inospitalità e si era visto separato dal resto del paese da un filo spinato,
eppure aveva teso la sua mano e cercato la pace donando l’unica cosa che
possedeva: semi di fiori blu.
Quella stessa notte il filo spinato scomparve, il giorno successivo la nuova
famiglia ricevette molte visite e altrettanti doni da parte della gente del
paese.
E furono i bambini a voler dare il nome a quei meravigliosi fiori blu, furono
chiamati:
i fiori della riconciliazione!
I fiori in questione erano delle meravigliose ortensie blu.
19
I GIORNI PERDUTI
Qualche giorno
dopo aver preso possesso della sontuosa villa, Ernest Kazirra, rincasando,
avvistò da lontano un uomo che con una cassa sulle spalle usciva da una
porticina secondaria del muro di cinta, e caricava la cassa su di un camion.
Non fece in tempo a raggiungerlo prima che fosse partito. Allora lo inseguì in
auto.
Lo sconosciuto scaricò la cassa dal camion e, fatti pochi passi, la scaraventò
nel baratro, che era ingombro di migliaia e migliaia di altre casse uguali.
Kazirra si avvicinò all’uomo e gli chiese: “Ti ho visto portare fuori quella
cassa dal mio parco.
Cosa c’era
dentro? E cosa sono tutte queste casse?”
Quello lo guardò e sorrise: “Ne ho ancora tante sul camion, da buttare. Non sai?
Sono i tuoi giorni perduti. Li aspettavi vero? Sono venuti. Che ne hai fatto?
Guardali, infatti, ancora gonfi.
E adesso…”
Kazirra guardò.
Formavano un gruppo immenso. Scese giù per la scarpata e ne aprì uno.
C’era dentro una strada d’autunno, e in fondo Graziella, la sua fidanzata che se
ne andava per sempre. E lui neppure la chiamava. Ne aprì un secondo. C’era una
camera d’ospedale, e sul letto suo fratello Giosuè che stava male e lo
aspettava. Ma lui era in giro per affari. Si sentì prendere da una certa cosa
qui, alla bocca dello stomaco. Boccheggiò. Lo scaricatore stava diritto sul
ciglio del vallone, immobile come un giustiziere.
“Signore,” gridò Kazirra, “mi ascolti. Lasci che mi porti via almeno questi due
giorni.
La supplico. Io sono ricco. Le darò tutto quello che vuole!”
Lo scaricatore fece un gesto con la destra, come per dire che era troppo tardi.
Poi svanì nell’aria.
E l’ombra della notte scendeva. DINO BUZZATI
20
I GOMITOLI COLORATI
C’era una volta
in una piccola città un negozio chiamato Arcobaleno perché sui suoi scaffali
erano allineati tanti soffici gomitoli di lana di tutti i colori, giallo, rosso,
verde, azzurro…
…un vero arcobaleno!
Però questi gomitoli non facevano che litigare fra di loro.
“Io, il giallo, sono il più bello perché ho il colore del sole e del risotto
allo zafferano!”
“No, io, l’azzurro, perché ho il colore del cielo!”
“Ed io, il rosso, ho il colore di un bel campo di papaveri!”
E così via,
finché un giorno, la padrona del negozio, stanca di tutto quello strepitare,
decise di cercare qualcuno che mettesse fine a tanti litigi.
Si presentarono tanti bambini, tutti armati di grossi e tondi ferri da maglia…
Incominciarono a prendere chi un gomitolo, chi un altro e iniziarono a lavorare.
Arrivò anche qualche nonna ad aiutarli.
I gomitoli, prima sorpresi e preoccupati, capirono presto che nessuno di loro era il più bello, ma che lo sarebbero diventati tutti, unendosi uno con l’altro.
Così
cominciarono a saltare da un bimbo all’altro.
Un po’ di rosso qua, due giri di blu là, un tocco di verde, un po’ di bianco…
Sapete come andò a finire la storia?
Nacquero copertine, sciarpe e golfini multicolori che servirono a riscaldare i
bambini di tutto il mondo ed i gomitoli, felici di essere serviti a questo non
litigarono mai più.
Bisogna sempre tessere con i colori della storia umana.
21
I PATER NOSTER
Il Padreterno
sta passeggiando per il Paradiso.
Sotto un lampione di stelle vede un gruppetto di Santi che stanno discutendo fra
di loro e si avvicina.
Sono San Giuseppe, Sant’Antonio e San Francesco.
Il Padreterno nota l’aria mortificata di San Giuseppe e sente che dice:
“Mi dispiace che le sperequazioni arrivino persino in Paradiso. Ne sono
desolato, Francesco mio: a te un Paternoster una volta tanto, quando don
Nicolino lo dà per penitenza ai suoi fedeli, a me, invece, arrivano puntualmente
duecento Paternoster al giorno, anche da uno solo dei miei devoti!”
“Non te la prendere, mio caro Giuseppe,” interviene Sant’Antonio, “A me ne
dicono tredici ogni volta che smarriscono qualcosa e, siccome di cose se ne
perdono tante, io finisco per totalizzarne sempre più di te.”
Proprio in quel momento passa di lì Santa Rita.
“Scusate se mi
intrometto,” dice con dolcezza, “ma io sono più desolata di San Giuseppe.
Se non fossi già in Paradiso, temerei per la mia umiltà.
A me di Paternoster ne arrivano così tanti che non riesco assolutamente a
contarli…”
Il Padreterno ha orecchiato e passa oltre ma, tornato al suo tavolo, scrive un
biglietto e chiama uno dei suoi angioletti segretari.
“Senti piccolo,” gli dice, “scendi sulla terra e fai sapere ai miei figli che almeno un Paternoster al giorno lo indirizzino anche a me… Mi sembrava di aver capito che questa fosse l’intenzione di mio Figlio.”
22
I PIÙ GRANDI DESIDERI
C’era un uomo
che vagava per il mondo inseguendo i suoi desideri più profondi!
Alla fine, un giorno, stanco della lunga ricerca, si sedette sotto un grande
albero…
Non sapeva che si trattasse dell’albero che realizza i più grandi desideri!
Mentre riposava
l’uomo pensò: “Che bel posto questo! Mi piacerebbe abitare qui!” e subito
apparve una bella casa…
“Ho fame!” pensò, “Vorrei avere qualcosa da mangiare!” Immediatamente apparve un
tavolo imbandito con tutti i cibi e le bevande possibili ma, visto che era
ancora molto stanco, pensò:
“Vorrei avere
un domestico a mia disposizione!” e, ovviamente, un domestico apparve…
Alla fine del pasto l’uomo si appoggiò al tronco del bellissimo albero e si mise
a riflettere!
“Ogni cosa che desideravo si è avverata!
Quest’albero dev’essere magico…
Magari è abitato da un demonio!” e, immediatamente, un gran diavolo apparve…
“Ahimè!” pensò.
“Il demonio, probabilmente, mi mangerà!” ed è esattamente ciò che successe…
Ecco la cosa più complicata: essere padroni dei propri desideri, trasformarli in progetti e forze per la vita, e non lasciarsi distruggere da essi!
23
I QUATTRO FRATELLI “SAGGI”
Quattro saggi
reali erano alla ricerca di una specializzazione in cui non avessero nessuno
alla pari. Si dissero l’un l’altro: “Perlustriamo la terra e impariamo la
scienza massima!”
Così, dopo aver concordato un luogo per un appuntamento futuro, i quattro
fratelli si mossero, ciascuno in una direzione diversa.
Il tempo passò.
Dopo un anno, un mese e un giorno, i quattro fratelli si incontrarono nel luogo
stabilito e si chiesero l’un l’altro cosa avessero imparato.
“Io ho imparato una scienza,” disse il primo, “che rende possibile, anche se
possiedo solo un pezzetto d’osso di un essere vivente, di creare subito la carne
che lo ricopre!”
“Io,” disse il secondo, “so come far crescere la pelle di quell’essere e anche
il pelo, se quell’osso è ricoperto di carne!”
Il terzo disse:
“lo sono capace di creare le membra, se ho la carne, la pelle e la pelliccia!”
“Ed io,” concluse il quarto, “so come dar vita a quella creatura se la sua forma
è completa di membra!”
A questo punto, i quattro fratelli andarono nella giungla per trovare un pezzo
d’osso che dimostrasse la loro specialità.
Non fu difficile. Fatti pochi passi, trovarono un osso e lo raccolsero. Non si
chiesero a che razza di animale fosse appartenuto. Erano così presi dalla loro
scienza che non ci pensarono neppure.
Uno aggiunse carne all’osso, il secondo creò la pelle ed il pelo, il terzo lo
completò con membra adatte ed il quarto diede vita ad … un leone.
Scuotendo la folta criniera, la belva si levò con fauci minacciose, denti aguzzi
e mascelle spietate e balzò sui suoi creatori. Li uccise tutti e svanì
soddisfatto nella giungla.
24
I REGALI NELLO SGABUZZINO
Il postino
suonò due volte. Mancavano cinque giorni a Natale. Aveva fra le braccia un
grosso pacco avvolto in carta preziosamente disegnata e legato con nastri
dorati.
“Avanti!” disse una voce dall’interno.
Il postino entrò. Era una casa malandata: si trovò in una stanza piena d’ombre e
di polvere.
Seduto in una poltrona c’era un vecchio.
“Guardi che stupendo pacco di Natale!” disse allegramente il postino.
“Grazie. Lo metta pure per terra.” disse il vecchio con la voce più triste che
mai. “Non c’è amore dentro!”
Il postino
rimase imbambolato con il grosso pacco in mano. Sentiva benissimo che il pacco
era pieno di cose buone e quel vecchio non aveva certo l’aria di passarsela
male.
Allora, perché era così triste?
“Ma, signore, non dovrebbe fare un po’ di festa a questo magnifico regalo?”
“Non posso… Non posso proprio!” disse il vecchio con le lacrime agli occhi.
E raccontò al postino la storia della figlia che si era sposata nella città
vicina ed era diventata ricca. Tutti gli anni gli mandava un pacco, per Natale,
con un bigliettino: “Da tua figlia Luisa e marito.”
Mai un augurio
personale, una visita, un invito: “Vieni a passare il Natale con noi.”
“Venga a vedere.” aggiunse il vecchio e si alzò stancamente.
Il postino lo seguì fino ad uno sgabuzzino. Il vecchio aprì la porta.
“Ma…” fece il postino.
Lo sgabuzzino
traboccava di regali natalizi. Erano tutti quelli dei Natali precedenti.
Intatti, con la loro preziosa carta e i nastri luccicanti.
“Ma non li ha neanche aperti!” esclamò il postino allibito.
“No!” disse mestamente il vecchio “Non c’è amore dentro!”
25
I TARASSACHI
Un uomo decise i curare il praticello davanti alla sua casa, per farne un perfetto tappeto all’inglese. Era quasi riuscito nel suo intento, quando una primavera scoprì che nel suo prato erano nati alcuni tarassachi, dai brillanti fiori gialli. Si precipitò a sradicarli, ma il giorno dopo, altri fiori gialli spiccavano nel verde prato. Comprò un veleno per distruggerli, ma niente da fare…
Da quel momento
la sua vita divenne una lotta contro i tenaci fiori gialli, che ad ogni
primavera diventavano più numerosi. “Che posso fare ancora?” chiese scoraggiato
alla moglie.
“Perché non provi ad amarli?” gli rispose tranquilla la moglie.
L’uomo ci pensò un po’, e decise di mettere in pratica il consiglio ricevuto.
Dopo un po’ di tempo ai suoi occhi quei brillanti fiori gialli gli sembravano un
tocco d’artista nel verde smeraldo del suo prato. Da allora vive felice.
Quante persone
ci irritano. Perché non proviamo ad amarle?
Staremo sicuramente meglio, amare è la migliore medicina.
26
I TRE FIGLI
Tre donne
andarono alla fontana per attingere acqua.
Presso la fontana, su una panca di pietra, sedeva un uomo anziano che le
osservava in silenzio ed ascoltava i loro discorsi.
Le donne lodavano i rispettivi figli.
“Mio figlio,”
diceva la prima, “è così svelto ed agile che nessuno gli sta alla pari!”
“Mio figlio,” sosteneva la seconda, “canta come un usignolo. Non c’è nessuno al
mondo che possa vantare una voce bella come la sua!”
“E tu, che cosa dici di tuo figlio?” chiesero alla terza che rimaneva in
silenzio.
“Non so che cosa dire di mio figlio!” rispose la donna, “E’ un bravo ragazzo,
come ce ne sono tanti. Non sa fare niente di speciale!”
Quando le anfore furono piene, le tre donne ripresero la via di casa. Il vecchio
le seguì per un pezzo di strada. Le anfore erano pesanti, le braccia delle donne
stentavano a reggerle. Ad un certo punto si fermarono per far riposare le povere
schiene doloranti.
Vennero loro incontro tre giovani.
Il primo
improvvisò uno spettacolo: appoggiava le mani a terra e faceva la ruota con i
piedi per aria, poi inanellava un salto mortale dopo l’altro.
Le donne lo guardavano estasiate: “Che giovane abile!”
Il secondo giovane intonò una canzone. Aveva una voce splendida che ricamava
armonie nell’aria come un usignolo. Le donne lo ascoltavano con le lacrime agli
occhi: “E’ un angelo!”
Il terzo giovane si diresse verso sua madre, prese la pesante anfora e si mise a
portarla, camminando accanto a lei.
Le donne si
rivolsero al vecchio: “Allora che cosa dici dei nostri figli?”
“Figli?” esclamò meravigliato il vecchio “Io ho visto un figlio solo!”
27
I VESTITI ED IL BRAMINO
C’era una volta
un bramino buono e pio che viveva con le elemosine che i fedeli gli regalavano.
Un giorno pensò: “Andrò a chiedere l’elemosina vestito come un povero
intoccabile.”
Così mise uno straccio intorno ai fianchi, come fanno i paria, i più poveri
dell’India.
Quel giorno nessuno lo salutò, nessuno gli diede l’elemosina.
Andò al
mercato, andò al tempio, ma nessuno gli rivolgeva la parola.
La volta successiva il bramino si vestì secondo la sua casta: si mise un bel
vestito bianco, un turbante di seta e una giacchetta ricamata.
La gente lo salutava e gli dava denaro per lui e per il tempio.
Quando tornò a casa, il bramino si tolse gli abiti, li posò su una sedia e si
inchinò profondamente. Poi disse: “Oh! Fortunati voi, vestiti! Fortunati! Sulla
terra ciò che è certamente più onorato è il vestito, non l’essere umano che vi è
sotto!” BRUNO FERRERO
28
IL BACIO DELLA MIA MAMMA
C’era una volta un bambino, che andando, e rimanendo, a scuola, teneva sempre chiuso il pugno della mano sinistra. Quando era interrogato dalla maestra si alzava e rispondeva tenendo il suo pugno chiuso; scriveva, con la destra, e conservava il pugno sinistro ben chiuso.
Un giorno la
maestra, anche per dare soddisfazione a tutti gli alunni, gli chiese il perché
di questo atteggiamento. Il bambino non voleva rispondere, ma poi, dietro le
insistenze della maestra e soprattutto per accontentare i compagni di scuola,
decise di svelare il segreto:
“Quando, ogni mattina, parto da casa per venire a scuola, mia madre mi stampa
sul palmo della mano sinistra un forte bacio e poi, chiudendomi la mano, mi dice
sorridendo:
“Bambino mio, tieni sempre ben chiuso qui nella tua mano il bacio di tua madre!”
Per questo tengo sempre il pugno chiuso: c’è il bacio della mia mamma dentro!”