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SCHEGGE E SCINTILLE
http://digilander.libero.it/don_franco_web
a cura di: don_franco_locci@libero.it
Nacque a Mercoeur, in Francia nel 962. Ancora giovane entrò a Cluny e nel 994 fu abate di tale monastero. Molto duro con se stesso Oddone era tutto bontà con i monaci. Fu amico dell’imperatrice Adelaide e dello stesso Enrico I. Nell’anno 1016, durante una terribile carestia non esitò a fondere vasi sacri pur di dar da mangiare agli affamati. Dopo 46 anni di attività e di servizio morì il 1 Gennaio 1049
Parola di Dio: Nm 6,22-27; Sal 66; Gal 4,4-7; Lc 2,16-21
2^ Lettura (Gal. 4, 4-7)
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Galati.
Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio. Parola di Dio
“NELLA PIENEZZA DEL TEMPO, DIO MANDO’ IL SUO FIGLIO, NATO DA DONNA PERCHE’ RICEVESSIMO L’ADOZIONE A FIGLI”.
(Gal.4,4-5)
Oggi, nel giorno in cui ci scambiamo a vicenda gli auguri per un anno nuovo, la Chiesa ci fa celebrare la festa di Maria, la Madre di Dio e la Madre della Chiesa. Nel rito Siriaco la festa di oggi è detta la festa degli auguri a Maria. E bello pensare come noi ci accostiamo a lei oggi con i sentimenti con cui ci si avvicina a una donna che da pochi giorni è diventata madre felice.
Due cose, però, mettono questo nostro omaggio a Maria al di sopra di ogni confronto umano. Colui che ella ha dato alla luce è il Figlio di Dio. Ella è perciò vera Madre di Dio. San Ignazio d'Antiochia, uno dei più illustri martiri dell'antichità cristiana, chiama Gesù: “il figlio di Dio e di Maria”. Ciò colloca Maria ad una altezza vertiginosa: addirittura, accanto al Padre celeste. Ma la colloca, in pari tempo, tanto vicina a noi da farne la nostra madre: la madre della Chiesa. Il Gesù che ella ha generato ci ha presi, infatti, come fratelli; ci ha uniti a sé così profondamente da formare un solo corpo; si è fatto nostro capo, ma anche nostro fratello: “il primogenito tra molti fratelli”. Divenuti figli di Dio per mezzo dello Spirito, noi abbiamo acquisito il diritto di usare anche il linguaggio e la confidenza dei figli nei confronti di Dio, chiamandolo come Gesú: Abba! Padre nostro!
“Ci rivolgiamo dunque a Te, Maria per ringraziarti di aver accettato di essere Madre di Dio e madre nostra, mettiamo nelle tue mani, quelle stesse mani che ci presentano Gesù, il tempo del nuovo anno che il Signore ci sta donando. Vorremo anche noi, nel tempo, crescere come tuo figlio in sapienza, grazia e amore. Accompagnaci nel cammino del tempo, prendici per mano quando i pericoli incombono su di noi, richiamaci quando ci allontaniamo e se non siamo buoni come il tuo Figlio, proprio per amor suo, perdonaci e aiutaci a diventare un po’ più simili a Lui.”
Era cugino di Carlo Magno ed era nato in Belgio verso il 751. Ritiratosi nel monastero di Corbie dove divenne Abate si impegnò ad aprire il suo monastero alla rinascita carolingia. Durante un periodo di esilio organizzò una missione di evangelizzazione in Sassonia. Morì il 2 Gennaio 826.
Parola di Dio: 1Gv 2,22-28; Sal 97; Gv 1,19-28
Vangelo
Gv 1, 19-28
Dal vangelo secondo Giovanni.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo:
"Chi sei tu?".
Egli confessò e non negò, e confessò: "Io non sono il Cristo". Allora gli chiesero:
"Che cosa dunque? Sei Elia?". Rispose: "Non lo sono". "Sei tu il profeta?". Rispose:
"No".
Gli dissero dunque: "Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?".
Rispose: "Io sono voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore, come disse il profeta
Isaia". Essi erano stati mandati da parte dei farisei. Lo interrogarono e gli dissero:
"Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?".
Giovanni rispose loro: "Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio del
sandalo". Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
Parola del Signore
“IO SONO VOCE DI UNO CHE GRIDA NEL DESERTO”. (Gv. 1,23)
Come succederà poi anche con Gesù, già con Giovanni Battista le delegazioni ufficiali da parte dei maggiorenti della religione si sprecano: questi capi vogliono sapere, codificare, definire, incasellare: “Sei tu il Messia o dobbiamo arrenderne un altro?”. E Giovanni parla chiaro, non si arroga un nome, in titolo che non è suo, non approfitta del favore del popolo dice chiaramente di non essere il Messia ma si definisce come “la voce che grida nel deserto”.
Uno è voce di un altro quando ne esprime il pensiero oppure quando ne prende le difese gridandone i diritti, ad esempio Madre Teresa di Calcutta è stata per il secolo passato una delle voci che hanno parlato e gridato e impetrato per i poveri o la figura di Gandhi richiama subito il suo essere stato voce per la lotta non violenta. Giovanni è il vero profeta, non parla con parole sue, non annuncia un qualcosa di suo proprio ma accetta di essere la voce di Dio che con apparenza gradevole o sgradevole dice delle verità più grandi di se stesso. Ed è una voce che sa di gridare nel deserto, dove c’è solitudine, arsura, difficoltà a trovare un pubblico disposto ad ascoltare e a convertirsi. Eppure Giovanni non viene meno al proprio compito anche quando griderà al cuore del re Erode e scatenerà l’ira di Erodiade, e questo gli costerà la testa.
Quanti di noi, specialmente sacerdoti o impegnati nel cammino della catechesi o anche solo nel tentativo di dare testimonianza, fanno esperienza ogni giorno di esse “voce”. Innanzitutto voce di Dio, portatori di un messaggio più grande di noi, capaci a volte di parole e di gesti che certamente superano la nostra povertà umana, ma anche voce che grida nel deserto: solo qualche mese fa dopo un matrimonio un tale mi diceva: “Vede lei è stato proprio paziente e carino con quegli sposi e i loro invitati, ha loro parlato dell’amore misericordioso di Dio, li ha invogliati alla gioia e alla bellezza del matrimonio, ha chiesto loro un minimo per viverlo da cristiani, ma lei parlava e la suocera si dava da fare per aggiustare le pieghe del vestito della sposa, gli amici dello sposo sono usciti per andare ad attaccare le lattine della coca cola alla macchina degli sposi, c’era addirittura uno che entrava e usciva di chiesa con la sigaretta in bocca, e poi non uno che rispondesse o che pregasse…”. Era vero, ma per questo devo tacitare la voce di Dio che bussa al loro cuore? Viene in mente il profeta Giona che cerca di scappare dalla sua missione e Dio che lo fa risputare dal pesce che lo aveva inghiottito sulla spiaggia di Ninive. E lui comincia a parlare e in quel deserto crede solo di dover predicare distruzione e morte. Ma se lui è la voce, la Parola è più forte di Lui, e in quel deserto, in un modo o in un altro si crea la conversione.
Molto probabilmente come suggerisce san Basilio era un centurione che dopo essersi convertito al cristianesimo si era fatto eremita. Essendosi pubblicamente dichiarato cristiano venne martirizzato a Cesarea di Cappadocia nel IV secolo.
Parola di Dio: 1Gv 2,29-3,6; Sal 97; Gv 1,29.34
Vangelo
Gv 1, 29-34
Dal vangelo secondo Giovanni.
In quel tempo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!
Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a
Israele". Giovanni rese testimonianza dicendo: "Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui.
Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo.
E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio". Parola
del Signore
“GIOVANNI VEDENDO GESU’ VENIRE VERSO DI LUI DISSE: ECCO L’AGNELLO DI DIO, ECCO COLUI CHE TOGLIE IL PECCATO DEL MONDO”. (Gv. 1,29)
Attraverso la frase che meditiamo oggi, abbiamo una conferma del vero senso del Natale. Noi normalmente crediamo che la fede e la religione siano soprattutto la ricerca che gli uomini fanno di Dio, tutta la Bibbia e in particolare il mistero della incarnazione ci fanno comprendere il contrario: è soprattutto Dio che viene incontro all’uomo. Giovanni Battista ha predicato il Messia, ma è Gesù che viene incontro a lui e a noi. Dio non è quell’essere superiore nascosto nei suoi cieli, assente dalla nostra storia, dalle nostre gioie e sofferenze, il Dio di Gesù per dirci che ci è Padre, che ci vuol bene, che ci perdona si incarna, si fa uomo. E anche in questa incarnazione non sceglie la venuta grandiosa, il grande successo o la conquista gloriosa del suo regno, sceglie la piccolezza, l’umiltà, il sacrificio, la donazione, si fa agnello umile, dolce, perdente, sacrificato per noi, capace però di togliere il peccato del mondo, cioè tutto quell’atteggiamento contrario al suo amore.
Cos'è, dunque la fede? Credere in qualcosa? Comportarsi in un qualche modo? No: la fede è anzitutto fare esperienza. Natale ci ricorda che la fede è un cammino di accoglienza, un rendere testimonianza. Oggi possiamo affrontare la giornata con questo desiderio: lasciarci incontrare da Dio, rendergli testimonianza.
Nacque a Siviglia il 25 febbraio 1877 da una famiglia semplice ma profondamente cristiana. Sentì la chiamata al sacerdozio e da seminarista lavorò come domestico per pagarsi gli studi. Ordinato nel 1901 fu poi destinato a Huelva dove cercò di far rifiorire una fede indifferente e si occupò particolarmente dei poveri e dei bambini. Qui nasceranno diverse Opere partendo da quella dei Tabernacoli-Calvari, fondate sulla Eucaristia, la riparazione e il servizio dei poveri. Fu ordinato vescovo di Malaga ed anche qui incentrò tutto il suo apostolato sulla Eucaristia. Nel 1931, durante la rivoluzione spagnola gli incendiarono l’arcivescovado. Dovette ritirarsi a Gibilterra. Sarà poi nominato vescovo di Palencia. Morì il 4 gennaio 1940.
Parola di Dio: 1Gv 3,7-10; Sal 97; Gv 1,35-42
Vangelo
Gv 1, 35-42
Dal vangelo secondo Giovanni.
In quel tempo, Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse:
"Ecco l'agnello di Dio!". E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.
Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse:
"Che cercate?". Gli risposero: "Rabbì (che significa maestro), dove abiti?". Disse loro:
"Venite e vedrete". Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse:
"Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)" e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse:
"Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)".
Parola del Signore
“E I DUE DISCEPOLI SEGUIRONO GESU’ ”. (Gv. 1,36)
Sono talmente tanti gli spunti di riflessione che il Vangelo di oggi ci offre che mi accontento di sottolinearne telegraficamente alcuni. Ciascuno si soffermi su quello che in questo momento ha maggior riferimento alla propria vita.
Giovanni indica Gesù come l’agnello di Dio e due dei suoi discepoli si mettono a seguirlo.
Davvero Giovanni è Colui che non predica per se stesso, che non è geloso, che non si tiene i suoi discepoli ma è colui che indica Gesù e che gioisce quando i suoi discepoli incontrano Lui.
“Chi cercate?”
Gesù non è molto accogliente a prima vista. Questi due discepoli vanno dietro a Gesù e chissà cosa si aspettano! Forse sperano che Gesù sorrida loro, li incoraggi, dica: "Finalmente due discepoli!". Macché: Gesù li gela con questa domanda inquietante: "Cosa volete? Cosa cercate?" E' la prima parola che dice Gesù nel vangelo di Giovanni, ed è una parola scomoda: cosa cerchiamo quando cerchiamo Dio? Cosa vogliamo da lui? Sicurezza? Consolazione? Vogliamo che esaudisca le nostre richieste?
“Rabbi, dove abiti?”
E’ il desiderio di stare con Lui. Poco importa se è nella gioia o nella pena, nel lavoro o nell'inattività: l'essenziale è di essere con lui in ogni momento. Se lui abita nella gioia, saremo nella gioia; se lui ci invita ad abitare nella pena, andremo nella pena, che con lui è illuminata; se ci dà di agire, agiremo con lui; se preferisce farci immobili nella malattia o nella prova, rimaniamo in pace, perché siamo con lui.
“Abbiamo trovato il Messia”
Una gioia profonda non può rimanere nascosta, se no non è una gioia. Se davvero hai incontrato Gesù non puoi tenertelo per te devi dirlo ad altri perché l’amore di Dio più lo condividi più si moltiplica.
“Tu sei Simone, ti chiamerai Pietro”
L’incontro con Gesù cambia la vita. Gesù non solo cambia il nome a Pietro ma indica che Pietro d’ora in poi sarà diverso dal pescatore di pesci Simone. Continuerà ad avere le caratteristiche umane di Simone ma diventerà la pietra su cui la comunità si potrà serenamente fondare.. Attenzione perché se incontri davvero Gesù la tua vita cambia.
Un nome strano ed una storia abbastanza confusa, intorno a San Telesforo. Sembra che quest’uomo, di origine greca, che aveva frequentato anacoreti e penitenti nei deserti dell’Egitto e della Palestina, sia poi venuto a Roma, testimone dei rigori della persecuzione di Adriano, e qui eletto papa. A questo punto le notizie diventano confuse in quanto il ‘Liber pontificalis’ senza molte basi storiche gli attribuisce l’istituzione delle tre Messe nel giorno di Natale e l’istituzione del digiuno quaresimale. S. Ireneo e S. Eusebio dicono che morì martire, ma probabilmente lo confondono con un altro Telesforo.
Parola di Dio: 1Gv 3,11-21; Sal 99; Gv 1,43-51
Vangelo
Gv 1, 43-51
Dal vangelo secondo Giovanni.
In quel tempo, Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea; incontrò Filippo e gli disse:
"Seguimi". Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro. Filippo incontrò Natanaèle e gli disse:
"Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di
Nazareth". Natanaèle esclamò: "Da Nazareth può mai venire qualcosa di
buono?". Filippo gli rispose: "Vieni e vedi". Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui:
"Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità". Natanaèle gli domandò:"Come mi
conosci?". Gli rispose Gesù:"Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il
fico". Gli replicò Natanaèle: "Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re
d'Israele!". Gli rispose Gesù: "Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di
queste!". Poi gli disse: "In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio
dell'uomo". Parola del Signore
“VIENI E VEDI”. (Gv. 1,45)
Davanti alle obiezioni di Natanaele, Filippo lo invita soltanto ad incontrare Gesù e a rendersi conto con i suoi occhi e con il suo cuore di chi Egli sia. Come sarebbe bello se anche noi potessimo con la stessa sicurezza di Filippo dire a coloro che sono lontani: “Vieni e vedi la presenza di Cristo nella nostra comunità. Ma anche se il paragone può sembrare un po’ tirato vi offro oggi una esperienza commovente e importante nella speranza che anche i nostri occhi possano vedere la presenza di Dio in coloro che sembrano inutili.
Lettera mai spedita... ad un figlio nato diverso
Inutile la tua vita?
Sei nato molto bello ma per l'errore di qualcuno sei diventato scarno e patito: "paralisi cerebrale" dissero i grandi.
Ti guardavo col pianto in gola, ma gli occhi si rifiutavano di piangere, la rabbia dentro faceva scoppiare il cuore.
Il tempo passava e con poche possibilità di salvezza sembrava il tuo domani.
Chiesi allora al buon Dio: "Tu dai, tu togli, ma perché‚ proprio il mio? Lasciamelo, io vivrò con lui e per lui".
Altri figli nacquero e tu eri, e sei, figlio come loro.
Insegnai il cammino ai tuoi fratelli e lo insegnai a te, loro impararono in fretta, tu no!
Tu eri un figlio con problemi. Loro parlarono in fretta, tu no, ma quanta gioia quando, malfermo dapprima, e via via più sicuro, iniziasti a camminare; avevi sette anni e ...m'insegnasti ad avere pazienza!
Quando nessuno ti voleva a scuola: i ragazzini, gli adulti... imparai a essere umile, sorridente, gentile con le persone, perché‚ ti volessero bene, ti donassero un sorriso, una carezza e ...m'insegnasti l'umiltà
Quando i superiori, quelli "che contano", non davano ascolto alle mie richieste, e a quelle di altri genitori, imparai a combattere e ...m'insegnasti a lottare.
Quando infine tutte le madri sognavano per i loro figli il primo posto nel mondo della scuola, nel mondo del lavoro, nella società, io mi accontentavo dei tuoi piccoli progressi e ...m'insegnasti a sognare per i miei figli la felicità e la serenità... non la ricchezza.
Inutile la tua vita?
Preziosa la tua vita!
Mi hai insegnato molte cose, l'amore per i più deboli, la pazienza con i difficili, la sicurezza con gli insicuri.
O figlio mio quanto la tua esistenza mi ha dato e continua a darmi.
Hai insegnato ai tuoi fratelli ad apprezzare ciò che la vita ha dato loro: il tuo lavoro è prezioso!
Gli amici che ora hai sono veri amici, lavorano con te, giocano con te.
Se molto ho imparato lo devo a te.
Ma allora, inutile la tua vita? ..... tua mamma
Durante l’invasione dell’Africa del nord da parte dei Vandali di Genserico, furono espulsi molti preti tra questi anche Tammaro che arriva nell’Agro Campano dove si mette a predicare, conducendo vita eremitica. Ma per la fama della sua bontà e giustizia viene acclamato Vescovo di Benevento dove morirà verso il 490. In provincia di Benevento c’è un paese che porta il suo nome ed è particolarmente ricordato nella città di Grumo Nevano in provincia di Napoli.
Parola di Dio: Is 60,1-6; Sal 71; Ef 3,2-3.5-6; Mt 2,1-12
Vangelo
Mt 2, 1-12
Dal
Vangelo secondo Matteo
Nato
Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da
oriente a Gerusalemme e domandavano: “Dov'è il re dei Giudei che è nato?
Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo”. All'udire
queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti
tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informava da loro sul luogo
in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: “A Betlemme di Giudea, perché
così è scritto per mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei
davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che
pascerà il mio popolo, Israele. Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si
fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò
a Betlemme esortandoli: “Andate e informatevi accuratamente del bambino e,
quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo”.
Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel
suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si
trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia.
Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo
adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e
mirra. Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada
fecero ritorno al loro paese. Parola del Signore
“ALCUNI MAGI GIUNSERO DA ORIENTE A GERUSALEMME E DOMANDAVANO: DOV’E’ IL RE DEI GIUDEI CHE E’ NATO?”. (Mt. 2,2)
I magi che arrivano dall'Oriente con i loro doni hanno davvero segnato la fantasia degli uomini nella storia: forse per quel non so che di esotico che portano con sé, tutti siamo rimasti affascinati da queste strane figure del Natale e nel cuore portiamo l'immagine infantile delle statuine da aggiungere il giorno dell'Epifania come ultimo tocco al presepe.
Attenti, però, a non correre il rischio di ridurre l'Epifania a favoletta edificante. L'intento di Matteo è chiaro. Lui, ebreo, scrive il suo Vangelo per la sua comunità di ebrei-cristiani e desidera spalancare loro lo sguardo: il Messia è venuto ed è veramente l'atteso delle genti, non soltanto il pastore di Israele.
Matteo ci sta dicendo: "Se vuoi davvero scoprire la presenza di Dio devi metterti in viaggio, anche se non è la fede che ti motiva". Infatti i magi sono non-credenti, cercano la verità, una risposta alle loro teorie, seguono una stella che li porti a confermare la loro ricerca. Sono onesti, si mettono in gioco, si lasciano interpellare anche da idee diverse (le Scritture non erano certamente loro patrimonio culturale) e alla fine trovano Dio. Sono l'immagine di tutti quegli uomini e quelle donne che vogliono scoprire il senso della loro vita, dei tanti che nella storia hanno cercato nell'arte, nel pensiero, nella civiltà, le tracce della verità. E che alla fine trovano Dio. E' splendido ciò che Matteo afferma: una ricerca onesta e dinamica della verità ci porta fin davanti alla grotta dove Dio svela il suo tenero volto di bambino.
Non lo troveranno mai il Messia Erode e i sacerdoti e gli scribi. Erode considera Dio un avversario, un concorrente: se Dio c'è gli ruba il posto. E quanti ce ne sono di Erodi! Quelli che pensano che Dio sia la alienazione dell'uomo e il cristianesimo la morte della felicità umana. E gli scribi? Turisti del sacro, dotti conoscitori della Scrittura. A Messa tutte le domeniche (anzi più volte a settimana), preghiera quotidiana e corso biblico. Sanno, conoscono tutto di Dio. Da Gerusalemme a Betlemme ci sono poche decine di chilometri. Eppure non riescono a fare quel piccolo percorso. Conoscono Dio sulla carta, nella loro mente illuminata, ma non nel loro cuore.
Nacque a Prachatitz in Boemia il 28 marzo 1811. Studiò in seminario ma non fu ordinato nella sua diocesi per abbondanza di clero. Partì per l’America e giunto a Nev York nel 1836 fu ordinato sacerdote. Scelse poi di essere Redentorista. Fu parroco, predicatore di missioni popolari, creatore di associazioni cattoliche. Nel 1852 fu nominato vescovo di Filadelfia. Fondò scuole, riformò il seminario, visitò le parrocchie della sua diocesi. Morì il 5 gennaio 1860.
Parola di Dio: 1Gv 3,22-4,6; Sal 2; Mt 4,12-17.23-25
Vangelo
Matteo 4, 12-17.23-25
Dal
Vangelo secondo Matteo
In
quel tempo, avendo intanto saputo che Giovanni era stato arrestato, Gesù si
ritirò nella Galilea e, lasciata Nazareth, venne ad abitare a Cafarnao, presso
il mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si adempisse ciò che
era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Il paese di Zàbulon e il paese di
Nèftali, sulla via del mare, al di là del Giordano, Galilea delle genti; il
popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce; su quelli che dimoravano
in terra e ombra di morte una luce si è levata. Da allora Gesù cominciò a
predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».
Gesù
andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e
predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di
infermità nel popolo. La sua fama si sparse per tutta la Siria e così
condussero a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori,
indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guariva.
“GESU’ PERCORREVA TUTTA LA GALILEA, INSEGNANDO NELLE LORO SINAGOGHE E PREDICANDO LA BUONA NOVELLA E CURANDO OGNI SORTA DI MALATTIE ED INFERMITA’ NEL POPOLO”. (Mt. 4,23)
L’amore di Gesù comincia a manifestarsi. Sono passati parecchi anni dal giorno della venuta dei magi. Quel Bambino è cresciuto in età, in sapienza, in grazia. Dio ha vissuto segretamente nel mondo per circa trent’anni. Dio ha gustato le gioie della vita della famiglia, ha sofferto le prove della vita quotidiana, Lui il Creatore si è guadagnato il pane quotidiano con il sudore della sua fronte, si è preparato nella preghiera alla sua missione. Ma quando questo suo amore comincia a manifestarsi per gli uomini lo fa in due modi: la parola e i gesti concreti di liberazione e di amore.
Gesù è il “Verbo”, la Parola di Dio fatta uomo, dunque una parola forte, creatrice, sicura, veritiera; se delle parole degli uomini spesso possiamo dubitare, di quella di Gesù no, perché è la parola di Dio. Oltretutto è anche semplice, ci chiede di partire dalla conversione, cioè dal riconoscere le nostre povertà e la grandezza della misericordia di Dio che ci salva là dove da soli non possiamo nulla, per poter così entrare nel Regno di Dio, quel regno che Gesù manifesta con gesti di liberazione: “curava ogni sorta di malattie e di infermità del popolo”.
E in questi due atteggiamenti (parlare con parole di Dio e agire per il bene del prossimo) è raccolto anche il compito del cristiano. Parlare con Parole di Dio non vuol dire diventare tutti predicatori, non vuol neanche dire diventare persone che asfissiano il prossimo con lunghe discussioni religiose (che spesso lasciano le persone come le trovano, al massimo più stufe di prima), non consiste neanche nel chiedere ai fratelli di partecipare a innumerevoli incontro di catechesi dove qualcuno si fa maestro e altri devono subire da allievi, consiste nel far trapelare che la nostra vita è guidata dalla Parola del Signore, che è Lui che mi sprona a cercare la strada del perdono e non della vendetta, che è la speranza in Lui che mi fa sorridere anche se in mezzo alle difficoltà, che è la fede nella risurrezione in Cristo che mi fa vivere quel lutto che tanto mi rattrista e mi lascia solo, con la sicurezza che i nostri rapporti con chi è morto non sono spezzati definitivamente ma solo mutati. Ma anche un Parola che mi spinge alla concretezza. Se io e te scopriamo di essere amati da Dio sarebbe assurdo che non ci amassimo vicendevolmente anche se siamo così diversi, anche se i nostri caratteri non sempre collimano facilmente. Se Cristo mi ha liberato dal mio egoismo devo farti vedere la mia generosità. Se Gesù ama i poveri, i malati, gli ultimi, io cristiano perdonato ed amato non devo dimostrare la stessa cosa? E facendo questo non divento forse la continuazione dell’opera e dell’annuncio di Gesù?
Fu vescovo di Gerapoli, in Frigia, nella seconda metà del II sec. Scrisse contro gli eretici e dedicò a Marco Aurelio un'apologia del cristianesimo.
Parola di Dio: Is 55,1-11;Cantico da ls 12,2-6; 1Gv 5,1-9; Mc 1,7-11
Vangelo
Mc 1, 7-11
Dal
Vangelo secondo Marco
In
quel tempo, Giovanni predicava dicendo: “Dopo di me viene uno che è più
forte di me e al quale io non sono degno di chinarmi per sciogliere i legacci
dei suoi sandali. Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo
Spirito Santo”. In quei giorni Gesù venne da Nazareth di Galilea e fu
battezzato nel Giordano da Giovanni. E, uscendo dall'acqua, vide aprirsi i cieli
e lo Spirito discendere su di lui come una colomba. E si sentì una voce dal
cielo: “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto”. Parola
del Signore
“IN QUEI GIORNI GESÙ VENNE DA NAZARETH DI GALILEA E FU BATTEZZATO NEL GIORDANO DA GIOVANNI”. (Mc 1,9).
Inizia così la vita pubblica di Gesù: senza splendore, senza gloria, senza nome. E così, presso il Giordano, egli è davvero l'uomo comune, l'uomo la cui esistenza assomiglia tanto alla ripetizione uguale di un destino che è di tutti.
Accade anche a noi, spesso, di trovarci in questa condizione. Anche noi, infatti, sentiamo tanto comune e ordinaria la nostra vita quotidiana: il nostro destino ci appare, di solito, scontato e prevedibile. Vorremmo allora quasi fuggire da questo destino comune, vorremmo liberarci dalla banale mediocrità di ogni giorno, e magari sogniamo una vita diversa, con amici diversi, in un mondo diverso. E dunque ci colpisce l'immagine di Gesù che si mette in fila con i suoi comuni fratelli per ricevere quel comune battesimo di penitenza. Quest'uomo non afferma la propria dignità proclamandola, ma ignorandola del tutto, e lasciando che un Altro, Dio stesso, se ne occupi per lui. Egli non afferma la propria innocenza separandosi dai comuni peccatori, ma sentendo compassione per i peccatori, sentendo il loro comune peccato come realtà che lo riguarda, che pesa sulle sue stesse spalle. E appunto per questo – per non aver temuto questa mescolanza con tutti, per aver anzi amato questa solidarietà con tutti – appunto per questo Gesù meritò di vedere i cieli aperti e lo Spirito discendere su di lui; soprattutto meritò di udire quella voce dal cielo che diceva il suo nome, quella voce che lo riconosceva quale Figlio: “Tu sei il Figlio mio prediletto”.
E allora abbandoniamo il nostro disgusto nei confronti del comune destino che ci aspetta; dimentichiamo i nostri sogni di mondi diversi e fantastici: solo in questa nostra vita comune e a volte anche banale, solo qui, mescolati ai nostri fratelli peccatori, Dio potrà riconoscerci come figli e potrà chiamarci per nome.
Le prime notizie che abbiamo di Lui ce lo fanno trovare nel convento di Iona dove nell’agosto del 651 fu eletto abate. Fu poi vescovo di Lindisfarne. Era un fermo sostenitore degli usi celtici. Portò alla conversione cristiana i principi angli e Sassoni. Morì nel 661
Parola di Dio: 1Sam 1,1-8; Sal 115; Mc 1,14-20
Vangelo
Mc 1, 14-20
Dal vangelo secondo Marco.
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo”. Passando lungo il mare della Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: “Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini”. E subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando un poco oltre, vide sulla barca anche Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello mentre riassettavano le reti. Li chiamò. Ed essi, lasciato il loro padre Zebedèo sulla barca con i garzoni, lo seguirono. Parola del Signore
“IL TEMPO E’ COMPIUTO, IL REGNO DI DIO E’ VICINO; CONVERTITEVI E CREDETE AL VANGELO”. (Mc. 1,15)
E’ questa la prima predica di Gesù, il primo annunzio della buona notizia. “Il regno di Dio è vicino”, non si tratta da parte nostra di dover raggiungere il cielo, è il cielo che è sceso fino a noi, non si tratta di andare lontano, si tratta di rientrare in noi stessi.
Ma noi abbiamo ancora bisogno di buone notizie? Spesso l'uomo, alla notizia di un Dio che ci viene incontro, che ha in mano la nostra personale felicità, che ci può riempire di gioia e di luce, davanti a questo avvenimento storico che sconvolge l'esistenza, davanti a questo inaudito annuncio... sbadiglia! L’ unico rimedio, e ce lo indica proprio Gesù è la conversione, cioè cambiare decisamente strada, ritrovare i veri valori, imparare di nuovo a gioire. Ma perché convertirci? Non ci si converte perché lo dice il prete, né perché sennò si va all'inferno, né tantomeno perché è cosa buona e giusta avere una religione. No, ci si converte perché avvinti, trascinati, convinti, incuriositi, affascinati da Gesù. Se Gesù rimane un personaggio della storia, se lo considero un moralista, un filosofo, posso dire: “Ecco un altro che fa teoria sulla vita” e posso mettermi a sbadigliare ma se Gesù è il figlio di Dio che passa nella mia vita non per portarmi via qualcosa ma per donarmi se stesso e con Lui il senso della vita allora anche per me vale la pena di lasciare le mie vecchie carabattole, come i pescatori lasciano le loro reti, allora conversione non è tristezza, non è rinuncia, é ritrovare se stessi, il prossimo e Dio, è la buona notizia della vita nuova nel Regno di Gesù.
Leonie Aviat nacque a Sezanne nell Champagne il 6.9.1844. Si formò spiritualmente alla scuola di Francesco di Sales nel convento di Troyes.Nel 1866 le prime industrie avevano bisogno di mano d’opera a buon mercato e soprattutto le donne pagavano un grave prezzo. Il Padre Brisson aveva fondato una casa di accoglienza per operaie e chiese a Leonie di fondare una congregazione religiosa per dirigerla. Il 30 ottobre 1868 Leonie prende il velo col nome di Suor Francesca di Sales. Si aprano nuove scuole, pensionati per operaie. La congregazione si spanderà per tutta Europa, nell’Africa del Sud e nell’Ecuador. Leonie morì il 10.1.1914.
Parola di Dio: 1Sam 1,9-20; Cantico da 1Sam 2,1.4-8; Mc 1,21-28
Vangelo Mc 1, 21-28
Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, nella città di Cafarnao Gesù, entrato proprio di sabato nella sinagoga, si mise ad insegnare. Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi. Allora un uomo che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si mise a gridare: "Che c'entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so chi tu sei: il santo di Dio". E Gesù lo sgridò: "Taci! Esci da quell'uomo". E lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: "Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono!". La sua fama si diffuse subito dovunque nei dintorni della Galilea. Parola del Signore
ERANO STUPITI DEL SUO INSEGNAMENTO PERCHE’ INSEGNAVA LORO COME UNO CHE HA AUTORITA’. (Mt. 1,22)
Penso capiti anche a voi di essere desiderosi di scoprire la Verità e di trovarvi spesso davanti a tante pseudo verità che invece di illuminarci ci lasciano ancora più nel dubbio.
Il Vangelo attira la nostra attenzione sulla parola di Gesù, una parola autorevole, chiara, senza esitazioni. Egli non si presenta come un professore (“come gli Scribi”), con tante disquisizioni e problemi, con soluzioni più o meno probabili; la sua parola è luce, la sua parola è efficace anche contro gli spiriti maligni. E’ parola, dunque, di un genere più che umano: Gesù con la sua parola si rivela parola divina. Se ne accorge anche l’indemoniato, un povero uomo invasato da uno spirito immondo, che grida il suo sdegno contro Gesù, ma che non può fare a meno di dichiararne la divinità. Il Signore non accetta quella testimonianza, non vuole che si creda in lui per un'affermazione di satana, definito il menzognero; la fede autentica non può e non deve sgorgare dal demonio anche se, suo malgrado, è costretto talvolta a dire la verità su Cristo. Impone quindi il silenzio al demonio e lo scaccia da quell'uomo. Quindi è dall'essere del Cristo che emana l'autorità e la verità: egli è Dio e per la volontà del Padre si è incarnato e quello che dice e fa tutto è orientato all'adempimento della sua volontà santissima: “le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza”. Chiediamo al Signore Gesù di manifestarsi anche per noi con questa duplice autorità. Chiediamogli cioè di rivelarci sempre più la sua dottrina, di aprire il nostro cuore quando ci svela, come ai discepoli di Emmaus, il senso delle Scritture, e di smascherare in noi tutto il male che c'è ancora. Il Battesimo ci ha liberati dal demonio, certamente ma in noi ci sono ancora molte cose cattive: lo spirito di discordia, lo spirito di vana compiacenza, lo spirito di egoismo... Bisogna che la presenza di Gesù le smascheri e le scacci, liberandoci dal male.
Leucio sarebbe nato ad Alessandria, poi venne in Italia Meridionale, nella zona di Brindisi dove egli diffuse il Vangelo. Durante una siccità tipica della Puglia, con le sue preghiere, ottenne una pioggia abbondante e provvidenziale e molti pagani si convertirono. Fondò la diocesi di Brindisi di cui divenne il primo vescovo. Qualcuno, senza fondamento storico pensa sia stato anche martire.
Parola di Dio: 1Sam 3,1-10.19-20; Sal 39; Mc 1,29-39
Vangelo
Mc 1, 29-39
Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, si recò subito in casa di Simone e di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli, accostatosi, la sollevò prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce e, trovatolo, gli dissero: “Tutti ti cercano!”. Egli disse loro: “Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!”. E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni. Parola del Signore
“AL MATTINO SI ALZO’ QUANDO ERA ANCORA BUIO E, USCITO DI CASA, SI RITIRO’ IN UN LUOGO DESERTO E LA PREGAVA”.
(Mc. 1,35)
La giornata di Gesù è incorniciata nella preghiera. Può sembrare strano vedere un Dio che prega eppure è proprio da questo rapporto intimo che Gesù ha con Dio che nasce la sua giornata di predicazione, di attenzione al prossimo, di guarigioni e miracoli. Riusciamo allora a comprendere che la preghiera di Gesù è composta da due movimenti: portare a Dio la realtà del quotidiano con tutti i suoi impegni, i suoi interrogativi, le sue aspettative e portare alla vita la volontà di Dio. Quanto è diverso questo modo di intendere da quello con cui molti di noi intendono la preghiera. Spesso la nostra preghiera ci è pesante perché è vista come un dovere: “Devo dire le preghiere”; spesso è distratta: “Certe formule addormentano”; spesso è rituale: “Dopo aver detto preghiere per un quarto d’ora se mi chiedessero dove era la mia testa cosa risponderei?”.
Se la vita non informa la preghiera e la preghiera non informa la vita, il pregare è solo formalismo vuoto o rituale. Che cosa se ne fa Dio dei nostri : “Bla Bla”? Assolutamente nulla. Come dice un ‘prefazio’ della messa anche le nostre lodi più sperticate non aggiungono un grammo alla grandezza di Dio. La vera preghiera serve soprattutto a noi, è come aprire la chiusa di un torrente per lasciare che l’acqua benefica scorra e bagni il campo, è ricordarci da dove veniamo per vedere giusto nell’andare verso una meta. La preghiera poi non è solo il pronto soccorso a cui rivolgersi in caso di problemi, ma è il cuore di un Dio che ama a cui puoi proprio dire tutto compresi i tuoi guai o anche la tua poca fede. A qualcuno la preghiera può sembrare tempo perso. Riflettici un momento essa è il tempo meno perso di tutta la giornata!
Nacque a Corleone (Palermo) il 16 febbraio 1605. Da giovane fu un buon spadaccino. Per fuggire, dopo un duello entrò nel convento dei Cappuccini e qui, toccato dalla grazia decise di rimanere. Si dedicò alle opere di misericordia a favore dei poveri, degli ammalati, e degli oppressi. Osservantissimo della vita regolare, si preoccupò unicamente di uniformarsi sempre più a Cristo crocifisso con una vita di fervida carità e austera penitenza. Morì a Palermo il 12 gennaio 1667, giorno in cui ricorre la sua festa.
Parola di Dio: 1Sam 4,1b-11; Sal 43; Mc 1,40-45
Vangelo
Mc 1, 40-45
Dal vangelo secondo Marco.
In quel tempo, venne a Gesù un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: “Se vuoi, puoi guarirmi!”. Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: “Lo voglio, guarisci!”. Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: “Guarda di non dir niente a nessuno, ma và, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro”. Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte. Parola del Signore
“MOSSO A COMPASSIONE GESU’ STESE LA MANO TOCCO’ IL LEBBROSO E GLI DISSE: LO VOGLIO, GUARISCI!”. (Mc. 1,41)
Essere malati di lebbra all’ epoca di Gesù e nella mentalità ebraica era, come ricorda Giobbe, come stare nell’anticamera della morte. Infatti il lebbroso era considerato un peccatore, un dimenticato da Dio, veniva estraniato dal consesso dei viventi, perdeva ogni diritto anche religioso, soprattutto era un intoccabile pena non soltanto il contagio della malattia, ma il contagio religioso. La legge ebraica dichiarava intoccabile un lebbroso, ma per Gesù non c’è legge che valga quando c’è di mezzo il bene di un uomo.
Gesù è la "buona notizia" di uno che tocca il lebbroso e lo guarisce. Egli è il medico venuto per guarire tutti i mali e tutti i malati.
Solo Gesù può liberare la nostra vita dalla lebbra che la devasta. Gli uomini e le leggi riconoscono il male e lo condannano, ma solo Gesù lo guarisce.
Il nostro diritto di accostarci al Signore non viene dal fatto di essere giusti e degni, belli e buoni, ma proprio dal fatto che siamo ingiusti e immondi, brutti e peccatori. Il diritto di precedenza è dato ai malati più gravi. Dio guarda il nostro bisogno, non il nostro merito.
Questo è il vangelo, la buona notizia che ci salva: Dio mi ama perché mi ama; la mia miseria non è ostacolo, ma misura della sua misericordia. Dio non è la legge che mi giudica né la coscienza che mi condanna: è il Padre che dà la vita, e mi ama più di se stesso, senza condizioni, così come sono. Il mio male non lo allontana, ma lo attira verso di me con un amore che non conosce altro metro che quello del mio bisogno. San Tommaso d’Aquino ha scritto: "Dio non ci ama perché siamo buoni, ma ci rende buoni amandoci".
Fu vescovo di Treviri e sappiamo che come tale partecipò al sinodo di Arles. Una tradizione racconta che avesse portato a Treviri una veste di Gesù e le reliquie di San Mattia. Morì verso il 335.
Parola di Dio: 1Sam 8,4-7.10-22a; Sal 88; Mc 2,1-12
Vangelo
Mc 2, 1-12
Dal vangelo secondo Marco.
Dopo alcuni giorni, Gesù entrò di nuovo a Cafarnao. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola. Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov'egli si trovava e, fatta un'apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: “Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati”. Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro: “Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?”. Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: “Perché pensate così nei vostri cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino disse al paralitico alzati, prendi il tuo lettuccio e và a casa tua”. Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: “Non abbiamo mai visto nulla di simile!”. Parola del Signore
“SI RECARONO DA LUI CON UN PARALITICO PORTATO DA QUATTRO PERSONE.” (Mc. 2,3)
Il paralitico non avrebbe mai potuto arrivare fino a Gesù senza i quattro uomini che lo portavano. La carità, quando è vera e disinteressata, costa sacrificio: i quattro del vangelo di oggi debbono superare non poche difficoltà per calare dal tetto il povero paralitico. La loro fede viene però abbondantemente premiata: “Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati”.
È quindi la fede dei portatori che ottiene prima il perdono dei peccati e poi la guarigione al paralitico. Questo paralitico ha chiesto l'aiuto dei suoi amici. Che cosa potevano fare? Si sono messi in quattro e, nel suo letto, l'hanno portato. Non potevano fare di più. Invece l'aiuto divino, grazie a loro, agisce interiormente e trasforma tutta la persona. Gesù dice a quest'uomo: “Alzati, prendi il tuo letto e torna a casa tua!”. il Signore non porta il letto, ordina al paralitico di portarlo, perché gli ha dato le forze necessarie. Questa è la caratteristica dell'aiuto divino.
Mi piacciono questi quattro perché offrono le loro braccia per aiutare, quindi non sono "intellettuali della fede" ma guardano concretamente all'incapacità del paralitico di muoversi. Sono persone che non si lasciano scoraggiare dalle difficoltà che incontrano (la folla che impedisce l'accesso a Gesù). Sono persone che mettono la fantasia a servizio delle braccia e della fede: se non si può entrare dalla porta, entriamo dal tetto!
Sono persone che avendo fede vogliono salvare l'uomo intero e non solo il paralitico.
Le caratteristiche del volontariato cristiano dovrebbero essere l'armonia di questo: salviamo l'uomo (concretamente) e quindi offriamo braccia, intelligenza, fantasia, cuore ma, sapendo che insieme alla salvezza materiale c’è anche la salvezza dell'incontro con chi può liberarti dalla radice fondamentale di ogni male: il peccato.
Nato da nobile famiglia alla fine del 1532 a Siviglia, fu destinato alla vita ecclesiastica. Studiò a Salamanca, fu sacerdote nel 1557, Vescovo di Badajoz nel 1562. Nel 1568 fu nominato patriarca di Antiochia e arcivescovo di Valencia. Vi portò la riforma tridentina. Fu anche nominato vice re del regno di Valencia e vi combatté la pirateria. Morì a Valencia il 6 gennaio 1611.
Parola di Dio: 1Sam 9,1-4.10.17-19; 10,1a; Sal 20; Mc 2,13-17
Vangelo Mc 2, 13-17
Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli li ammaestrava. Nel passare, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi”. Egli, alzatosi, lo seguì. Mentre Gesù stava a mensa in casa di lui, molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi della setta dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: “Come mai egli mangia e beve in compagnia dei pubblicani e dei peccatori?”. Avendo udito questo, Gesù disse loro: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori”. Parola del Signore
“COME MAI EGLI MANGIA E BEVE IN COMPAGNIA DEI PUBBLICANI E DEI PECCATORI?”. (Mc. 2,16)
L’atteggiamento di Gesù che siede a tavola coi peccatori pubblici, coi collaborazionisti della potenza occupante (l’impero romano), coi rinnegati e gli scomunicati, ai farisei risulta ripugnante. Essi, uomini pii e giusti, credono di avere il monopolio dell’amore di Dio; ma la bontà del Signore che si manifesta nei gesti di Gesù, sovverte tutte le loro teologie e la loro giustizia.
E capiamo lo scandalo dei benpensanti, allora come oggi. Questo Gesù che accoglie tutti e che di tutti riesce a far emergere la verità interiore, è scomodo, a tutt'oggi. Meditiamo questa conclusione di don Curtaz. “Non vi è mai successo di criticare in cuor vostro la presenza a Messa di una persona di cui conoscete la vita non proprio evangelica? A me sì. E non mi accorgevo, in quello stesso momento, di passare dalla parte di chi si crede giusto e, tragicamente, non sente il bisogno di Dio. La chiesa, amici, è la comunità di quelli che, come Levi, hanno incontrato lo sguardo gonfio di tenerezza del Cristo e si sono lasciati riconciliare. Non è perciò la comunità dei perfetti, di quelli che non sbagliano, come alle volte alcuni (specie non credenti) vorrebbero. Non c'è nulla di più alieno al cristianesimo di una asettica perfezione. No! La chiesa è un popolo di perdonati, non di giusti! E perciò, proprio perché perdonati, la chiesa accoglie chi, nel suo cuore, riconosce di essere amato e perdonato e perciò fa festa”.
Era nato nella famiglia dei Duchi di Borgogna. Fu Vescovo, successore di San Paziente. Evangelizzò i Ruteni. Morì nei pressi di Vabres.
Parola di Dio: 1Sam 3,3b-10.19; Sal 39; 1Cor 6,13c-15a.17.20; Gv 1,35-42
Vangelo Gv 1, 35-42
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Giovanni stava ancora la con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: "Ecco l'agnello di Dio!". E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: "Che cercate?". Gli risposero: "Rabbì (che significa maestro), dove abiti?". Disse loro: "Venite e vedrete". Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: "Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)" e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: "Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)". Parola del Signore
“MAESTRO, DOVE ABITI? VENITE E VEDETE”. (Gv. 1,38)
Come fu semplice quel primo incontro. Andarono, scrive l'evangelista Giovanni che era tra i presenti e si fermarono presso di lui tutto quel giorno. Cosa dissero, non lo sappiamo; sappiamo però che decisero di rimanere con lui tutta la vita. Non si contentarono, anzi, di restare con lui da soli e di tenere per sé la chiamata: Andrea corre a dirlo a Simone, suo fratello; Filippo a Natanaele. Anche Giovanni corse a dirlo a qualcuno perché, in seguito, con lui troviamo anche suo fratello Giacomo.
I discepoli fanno discepoli; partecipano, con incontenibile desiderio, la loro scoperta agli altri.
Anche oggi, essere discepoli di Gesù di Nazareth significa essenzialmente due cose: primo, imitare Cristo, nel senso con cui l'intende il Vangelo di mettersi alla sua sequela e imparare da lui, soprattutto imparare a fare la volontà del Padre; secondo, testimoniare Cristo, dire al mondo chi Egli è, che cosa è stato ed è per noi, fare altri discepoli. Tutto questo a cominciare dalla propria casa; le prime persone alle quali Andrea e Giovanni andarono a raccontare la loro scoperta furono i propri fratelli; non si vergognarono di parlare di Gesù in casa! E noi?
Era un monaco irlandese che si recò in Inghilterra, vi fondò il monastero di Burgcastle, quindi passò in Francia, dove, appoggiato da Clodoveo II, fondò, presso Parigi, il monastero di Lagny. Morì nel 650.
Parola di Dio: 1Sam 15,16-23; Sal 49; Mc 2,18-22
Vangelo Mc 2, 18-22
Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Si recarono allora da Gesù e gli dissero: “Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?”. Gesù disse loro: “Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno. Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo squarcia il vecchio e si forma uno strappo peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi”. Parola del Signore
“FIN CHE HANNO LO SPOSO CON LORO NON POSSONO DIGIUNARE”. (Mc. 2,19)
Agli inizi della Chiesa la meditazione su Cristo sposo era abituale, e il titolo"sposo" tra i più usati nella preghiera; poi, col passare dei secoli, un po' ci siamo dimenticati di questa splendida realtà; certo: Gesù è Maestro di vita, lo acclamiamo Signore, cioè presenza di Dio, Dio stesso, ma è anzitutto sposo dell'umanità. La parola "sposo" è poco usata, oggi, si preferisce "marito", "compagno"... segno di una fragilità nel parlare di amore in questi nostri tempi. Gesù invece è lo "sposo" e questo termine significa passione, amore, seduzione; Gesù "sposo" significa anche fedeltà, coinvolgimento, quotidianità. Il rapporto nuovo che abbiamo con Dio non è più un rapporto rispettoso, sì, ma freddo. Una festa di nozze è l’occasione classica per darsi all’allegria. Le nozze diventano così una figura del tempo della salvezza, come leggiamo anche nel libro di Isaia: "Dio gode con te come lo sposo con la propria sposa" (62, 5; cfr 61, 10).
Chiamandosi sposo, Dio ci ha dato la più bella presentazione di sé e di noi. Sposo e sposa sono due termini relativi, dei quali l’uno non può stare senza l’altro. Colui che liberamente ci ha creati, necessariamente ci ama di amore eterno (Ger. 31, 3) e ci comanda: "Amami con tutto il cuore" (cfr Dt. 6, 4), perché anch’io ti amo e non posso non amarti.
L’Amore vuole essere liberamente amato. La grandezza dell’uomo è amare Dio. E uno diventa ciò che ama. Lo stesso amore che ha fatto diventare Dio uomo, fa diventare l’uomo Dio.
Nacque a Misilmeri il 17 maggio 1839 da una famiglia molto religiosa. Trascorse l’infanzia a Palermo ma a 15 anni a causa della sua malferma salute fa affidata alle suore domenicane di Misilmeri. A 17 anni vestì l’abito di S. Domenico nel collegio di Maria a Misilmeri e dopo pochi anni ne divenne rettrice. Da quel momento la sua opera zelante fu quella di rifondare monasteri, aprire scuole. Fu anche in Russia, poi a Roma nell’abbandonato convento si San Sisto vecchio. Segni particolari di Dio accompagnavano il suo agire. Morì il 9 Aprile 1914.
Parola di Dio: 1Sam 16,1-13; Sal 88; Mc 2,23-28
Vangelo
Mc 2, 23-28
Dal vangelo secondo Marco.
Avvenne che, in giorno di sabato Gesù passava per i campi di grano, e i discepoli, camminando, cominciarono a strappare le spighe. I farisei gli dissero: “Vedi, perché essi fanno di sabato quel che non è permesso?”. Ma egli rispose loro: “Non avete mai letto che cosa fece Davide quando si trovò nel bisogno ed ebbe fame, lui e i suoi compagni? Come entrò nella casa di Dio, sotto il sommo sacerdote Abiatàr, e mangiò i pani dell'offerta, che soltanto ai sacerdoti è lecito mangiare, e ne diede anche ai suoi compagni?”. E diceva loro: “Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell'uomo è signore anche del sabato”. Parola del Signore
“IL SABATO E’ STATO FATTO PER L’UOMO E NON L’UOMO PER IL SABATO”. (Mc. 2, 27)
Per il buon Ebreo il sabato è il giorno del riposo settimanale, consacrato a Dio che ha riposato nel settimo giorno della creazione. A questo motivo religioso si unisce una preoccupazione umanitaria: è necessario che i non-liberi, gli schiavi, sentano almeno ogni sette giorni la gioia della libertà. Inoltre, gli israeliti devono ricordare che essi sono liberi perché Dio li ha liberati dalla schiavitù. Il sabato è quindi una festa-ricordo, un memoriale di ciò che Dio ha fatto per loro e di come Dio vuole l’uomo: lo vuole libero. Ma, quando più l'autenticità della fede e della pratica religiosa è in calo, tanto più aumentano le norme e si aggrovigliano le leggi. È quanto accadeva ai tempi di Gesù e la conseguenza più drammatica era il formalismo esteriore portato all'esasperazione. I farisei erano i portabandiera di tale deviazione, per cui l’osservanza del sabato era diventata l’osservanza di tutta una serie di norme che rischiavano di far perdere di vista il senso pieno del sabato e che obbligavano l’uomo rendendolo schiavo di forme religiose. Gesù stabilisce un principio: "Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato!".
Nell’ambiente in cui viveva Gesù, la legge valeva assai più dell’uomo. Gesù non ha abolito la legge, ma ha contestato le false interpretazioni di essa e ha indicato il principio che dà valore ad ogni legge: la legge è per l’uomo.
Provando a tradurre in esempi al giorno d’oggi, quando l’uomo è fatto per il sabato? Quando le burocrazie uccidono l’uomo. Quando entrando in un ospedale non sei più il Signor Tal o Talaltro ma il “letto numero 12”. Quando il lavoro diventa solo più guadagno, non importa a quale prezzo umano. Quando l’amore diventa solo più la soddisfazione che me ne viene. Quando uno che ha peccato diventa solo più un peccatore.
Gesù ci ricorda che prima c’è l’uomo. La legge umana o religiosa è importante, ma a servizio dell’uomo. Il lavoro, il guadagno sono importanti ma solo se rispettano l’uomo e il suo vero progresso. E’ importante vincere il peccato, ma salvando il peccatore.
Nacque a Budapest nel 1242 da Bela IV, re d’Ungheria. A dodici anni entrò nel monastero delle domenicane nell’Isola delle lepri, sul Danubio. Amava la semplicità e la povertà. Fu anche una grande mistica. Morì il 18 gennaio 1270.
Parola di Dio: 1Sam 17,32-33.37.40-51; Sal 143; Mc 3,1-6
Vangelo
Mc 3, 1-6
Dal vangelo secondo Marco.
In quel tempo, Gesù entrò di nuovo nella sinagoga. C'era un uomo che aveva una mano inaridita, e lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato per poi accusarlo. Egli disse all'uomo che aveva la mano inaridita: “Mettiti nel mezzo!”. Poi domandò loro: “E’ lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?”. Ma essi tacevano. E guardandoli tutt'intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse a quell'uomo: “Stendi la mano!”. La stese e la sua mano fu risanata. E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire. Parola del Signore
TENNERO CONSIGLIO CONTRO DI LUI PER FARLO MORIRE”. (Mc. 3,6)
Continua l’opposizione tra Gesù e i Farisei. Lui in giorno di sabato, proprio nella sinagoga luogo della lode a Dio lo glorifica guarendo un ammalato ma neanche l'evidenza del miracolo smuove i farisei! Spesso il male ha una durezza ed irremovibilità davvero diabolica e scatena l'odio e la più cieca e abietta avversione. Questi estremi difensori della legge formale non hanno approvato la guarigione di un malato in giorno di sabato per timore di violare la legge, ma non hanno scrupolo, in giorno di sabato, di decidere la morte di una persona innocente, del Salvatore, di Dio stesso. Guarire e far vivere è un delitto che merita la morte, far morire è un’opera buona che rende gloria a Dio. Strana logica, strana morale: è la "morale" dell’odio che si oppone alla morale dell’amore. I farisei avevano fatto di Dio il nemico dell’uomo, in Gesù si rivela Dio-con-noi-e-per-noi: questa è la grande novità della rivelazione. Ma gli uomini spesso rifiutano un Dio amico che li ama e li libera, e gli preferiscono un falso dio che li spadroneggi. Di fronte alla durezza di cuore dei farisei, Gesù prova indignazione e tristezza. Circolano ancora tra di noi, anche tra la così detta “buona gente”, alcuni integralisti di vecchio e nuovo stampo, che malati di ipocrisia e affetti da puerile grettezza, vorrebbero trasformare le nostre chiese in caserme e noi fedeli in militanti in divisa: sono molto pericolosi perché si ammantano di zelo e trovano spesso adepti tra i più meschini!Ma aldilà di questi personaggi, integralisti pericolosi, anche tra noi può annidarsi l’ipocrisia di pensare di servire Dio solo con l’osservanza esteriore delle norme. Lo Spirito Santo ci aiuti sa non diventare come coloro che pensando si servire Dio lo hanno messo in croce.
Era un prete, venerato come martire a partire dal VI secolo. Sarebbe stato martirizzato nella persecuzione di Diocleziano. E’ patrono di Porto Torres e protettore con Proto e Gianuario di Sassari.
Parola di Dio: 1Sam 18,6-9; 19,1-7; Sal 55; Mc 3,7-12
Vangelo
Mc 3, 7-12
Dal vangelo secondo Marco.
In quel tempo, Gesù si ritirò presso il mare con i suoi discepoli e lo seguì molta folla dalla Galilea. Dalla Giudea e da Gerusalemme e dall'Idumea e dalla Transgiordania e dalle parti di Tiro e Sidone una gran folla, sentendo ciò che faceva, si recò da lui. Allora egli pregò i suoi discepoli che gli mettessero a disposizione una barca, a causa della folla, perché non lo schiacciassero. Infatti ne aveva guariti molti, così che quanti avevano qualche male gli si gettavano addosso per toccarlo. Gli spiriti immondi, quando lo vedevano, gli si gettavano ai piedi gridando: “Tu sei il Figlio di Dio!”. Ma egli li sgridava severamente perché non lo manifestassero. Parola del Signore
“E LO SEGUI’ MOLTA FOLLA DALLA GALILEA”. (Mc. 3,7)
C’è chi per il successo sarebbe disposto a far carte false. Penate ad esempio a certi piccoli attori o cantanti che per essere sempre sulla cresta dell’onda sono disposti a buttare la propria vita familiare e privata in pasto a milioni di persone, quando non arrivano addirittura ad inventarsi certi scandali purché si parli di loro. E se veniamo a noi, nel nostro piccolo non è forse vero che certe bugie dette per esagerare un po’ i fatti di cui siamo protagonisti sono dette perché la stima dei nostri ascoltatori aumenti a nostro favore?
Gesù ha successo nella sua prima predicazione: le sue parole non sono vuote come quelle degli scribi, i suoi gesti di guarigione stupiscono, meravigliano e fanno accorrere tutti i tipi di malati, il suo messaggio che riguarda gli umili e gli ultimi e che ha una carica rivoluzionaria, che castiga i potenti religiosi e i ricchi, avvince la gente comune. Dice il vangelo di oggi che c’era talmente tanta gente che, nonostante il servizio d’ordine dei discepoli Gesù rischiava di essere schiacciato e in un altro brano si dice che erano talmente tante le richieste che Gesù e i suoi amici non avevano nemmeno tempi per mangiare.
Gesù però non si lascia stringere dalle spire del successo, sa benissimo che è una tentazione (“Se mi adorerai ti darò tutti i popoli della terra”, lo aveva tentato il diavolo nel deserto, “Se sei Figlio di Dio, scendi dalla croce noi ti crederemo” lo tentano ai piedi della croce). Gesù è contento che tanti ‘piccoli’ siano toccati dalla Buona novella, ma sa anche che c’è molta apparenza nel successo e tanta fragilità nelle persone. Coloro che oggi gridano: “Osanna”, domani, ben sobillati da qualcuno possono gridare: “In croce”. Gesù si difende dal successo o fuggendo (come gli capiterà dopo la moltiplicazione dei pani) o continuando la predicazione dalla barca, non cedendo al facile trionfalismo miracolistico ma prendendo le distanze anche dai miracolati, imponendo loro il segreto nei suoi riguardi e soprattutto non perdendo il suo rapporto con il Padre. La preghiera dà a Gesù la forza di essere fedele a Dio e non ai canoni del successo terreno.
Il successo è come le cose terrene, effimero. Ho ritrovato un vecchio album in cui, ragazzino, raccoglievo le figurine dei calciatori. Allora erano gli idoli di noi ragazzi, oggi a sfogliarlo oltre 40 anni dopo mi ricordo sì e no una decina di nomi sapendo più o meno a chi corrispondevano, gli altri sono sconosciuti o dimenticati. Quando faccio un giro nei camposanti (e a me serve sempre come meditazione) mi piace immaginare che dietro quelle lapidi ci sono i resti di illustri professori, studiosi, cantanti o poveri operai, gente buona e gente che ha fatto del male ad altri, ma chi li ricorda ancora oggi? Qualche parente, raramente qualche amico… il successo grande e piccolo di ognuno è finito. Per che cosa hai corso nella vita? L’unico che non ti dimentica, ma davanti a Lui non c’è bisogno di mascherarsi perché ti conosce così come sei: è Dio. Per lui vale la pena di correre.
Era nata il 25 marzo 1434 a Messina, figlia di un mercante, e ricevette il nome di Smeralda. Sentì profondamente la vocazione e nonostante le opposizioni dei fratelli entrò nelle Clarisse dedicandosi alla preghiera e alla penitenza. Cambiò poi convento perché il primo non era troppo rigido. Trasferì la nuova comunità nel monastero di Montevergine dove morì il 20 gennaio 1491. E’ la patrona di Messina
Parola di Dio: 1Sam 24, 3-21; Sal 56; Mc 3,13-19
Vangelo
Mc 3, 13-19
Dal vangelo secondo Marco.
In quel tempo, Gesù salì sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demòni. Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro; poi Giacomo di Zebedèo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè figli del tuono; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananèo e Giuda Iscariota, quello che poi lo tradì. Parola del Signore
“NE COSTITUI’ DODICI CHE STESSERO CON LUI, PER MANDARLI A PREDICARE E PERCHE’ AVESSERO IL POTERE DI SCACCIARE I DEMONI”. (Mc. 3,14)
Le finalità sono chiare: stare con lui, cioè fare esperienza di lui, per predicare il vangelo e per allontanare il Maligno. Tutto qui. Questa è la chiesa: la comunità di quelli che stanno con lui, che predicano il vangelo, che allontanano il Maligno. Non chiedete altro alla chiesa, non aspettatevi altro da lei. Ma la cosa straordinaria è quell'elenco su cui passiamo come se niente fosse. Se non avessimo alle spalle duemila anni di catechismo sobbalzeremmo leggendo questo elenco! Dodici nomi che indicano dodici personalità opposte, inconciliabili. Gesù mette assieme pescatori e intellettuali, ultratradizionalisti come Giacomo e Zeloti, cioè terroristi, come Simone, ebrei ortodossi a pubblicani... Che sfida! Di più: Gesù ha pregato tutta la notte per avere con lui un uomo come Giuda. Si sarà sbagliato? Eppure sotto la croce tutti fuggiranno: Gesù forse vuole dirci qualcosa di nuovo, di eclatante. Vedete, se questa è la prima comunità, il modello a cui ispirarci, abbiamo di che riflettere. La chiesa non raccoglie i primi della classe, i giusti, i perfetti. La chiesa non è un club di gente con gli stessi interessi cultural-religiosi. No. La chiesa è il popolo radunato dal Signore; siamo così diversi eppure uniti dallo stesso Cristo. Guardate le nostre comunità quanto sono diverse. Quale altra situazione potrebbe radunarci? Se ci mettessimo a discutere di come deve vestire un prete ci scanneremmo. Se dovessimo metterci d'accordo per animare una Messa, idem. E invece siamo insieme, uniti dalla stessa fede, uniti dallo stesso Cristo. Questa è la chiesa: il popolo radunato dalla Parola che cammina verso la pienezza del Regno. Tutto il resto, è coreografia. La chiesa non è il popolo dei perfetti, ma dei riconciliati.
Una scritta nella chiesa di Sant’Ambrogio di Susa dice che fu discepolo di San Romualdo, fondatore della celebre Sacra di san Michele. Morì il 21 gennaio del 1000. Qualcuno pensa di identificarlo con Giovanni XIII, arcivescovo di Ravenna che si sarebbe ritirato a Celle.
Parola di Dio: 2Sam 1,1-4.11-12.17.19.23-27; Sal 79; Mc 3,20-21
Vangelo
Mc 3, 20-21
Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù entrò in una casa e si radunò di nuovo attorno a lui molta folla, al punto che non potevano neppure prendere cibo. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: “E’ fuori di sé”. Parola del Signore
“I SUOI USCIRONO PER ANDARE A PRENDERLO; POICHE' DICEVANO: E’ FUORI DI SE'”. (Mc. 3,21)
Era da un po’ che quel giovane ventenne mi chiedeva di andare una sera a mangiar cena a casa sua. “Sai, io vorrei provare ad entrare in seminario, ma non so come parlarne con i miei: sono tutti contrari”. Io tergiversavo dicendogli: “Guarda che queste sono decisioni tue e se non sai o non riesci a prenderle con forza proprio in casa con quale forza affronterai tutte le difficoltà di una vita sacerdotale?”. Alla fine giungemmo ad un compromesso: sarei andato a casa sua a tastare il terreno ma sarebbe stato poi lui, sempre che ne fosse convinto, a parlare direttamente con i suoi delle sue decisioni. Sarà forse perché avevano mangiato la foglia ma durante la cena il discorso cadde su uno sceneggiato allora in voga alla televisione dove uno dei personaggi principali ad un certo punto lasciava tutto e andava in seminario. “Bello stupido, disse subito la sorella del mio giovane, con il pezzo di ragazza che si trovava, con il gruppo di amici da sballo con cui girava, va a chiudersi tra quattro mura! Non è uno speco, reverendo?”. “Con tutto quello che ha faticato suo padre per farlo studiare, con la possibilità di diventare direttore nell’industria del Padre, questo pensa e farsi prete per andare a chiedere l’elemosina per sé e per altri. Non per offendere, reverendo ma a farsi prete vadano i figli dei poveri, quelli che non hanno prospettive”. “Tu fai tanto per mettere al mondo un figlio, ci metti altrettanto se non di più per farlo crescere all’onor del mondo e poi quello ti saluta e te lo vedi tornare infagottato in una sottana come se fosse una donna”. (Volete sapere come andò a finire? Io imparai a stare zitto e il giovanotto proprio da questa opposizione familiare trovò la forza di maturare la sua scelta e oggi è un ottimo prete). Ma vi ho raccontato questo episodio perché i primi ad opporsi a Gesù furono proprio i suoi familiari. Questo ci rivela la maniera di pensare degli uomini, ai quali manca qualsiasi comprensione per le assolute esigenze di Dio. Essi non comprendono che un uomo possa essere tutto preso dagli interessi di Dio e dedicarsi completamente al suo servizio. Una tale cecità è sempre un pericolo per parenti e familiari di uomini che Dio chiama a un particolare servizio, ed è un ammonimento a guardarsi da pensieri di ordine semplicemente naturale e da preoccupazioni borghesi riguardo al buon nome, alla salute e agli affari.
Secondo i "suoi", Gesù dovrebbe avere un po’ più di buon senso: dovrebbe investire meglio le sue qualità per avere di più, potere di più e valere di più. Secondo i "suoi", questi sono i mezzi utili per il trionfo del bene, per togliere il potere ai cattivi, per orientare tutto "a fin di bene" e, soprattutto, per la gloria di Dio.
Gesù invece simpatizza con i cattivi e trascura i propri interessi: si può prevedere che con la sua bontà e sprovvedutezza, e facendo l’avvocato degli emarginati e di quelli che non contano (l’avvocato delle cause perse!), andrà a finir male.
E’ fuori di sé, è pazzo! Per noi che abbiamo barattato l’intelligenza con la furbizia, saggio è colui che cerca l’utile e il vantaggio proprio, e non il bene e la verità. Questo buon senso umano ha fuorviato i parenti di Gesù, fuorvierà Giuda e tanti altri dopo di lui.
Senza una conversione radicale, in realtà, non si ama lui, ma se stessi e i propri progetti proiettati in lui e nei suoi progetti, pronti a seguirlo quando lui ci segue e a catturarlo quando lui non ci segue. Questo non è amore, ma egoismo, è il tentativo di assimilare lui a noi invece di assimilare noi a lui.
Molti confondono questo Gaudenzio con il santo Vescovo di Novara, noi lo ricordiamo invece come santo protettore di Varallo Sesia che lo celebra il 22 gennaio. E’ il santo evangelizzatore dei Grigioni (Svizzera) e fu martire nel IV secolo.
Parola di Dio: Giona 3,1-5.10; Sal 24; 1Cor7,29-31; Mc 1,14-20
2^ Lettura 1 Cor 7, 29-31
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Questo vi dico, fratelli: il tempo ormai si è fatto breve; d'ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l'avessero; coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo! Parola di Dio
“IL TEMPO ORMAI SI E’ FATTO BREVE”. (1Cor. 7,29)
“Il tempo è compiuto”, dice Gesù, e Paolo: “Il tempo è breve”. Non c'è contraddizione, perché si parla di due tempi diversi. Gesù parla del tempo dell'attesa - della sua prima venuta - e dice che esso è compiuto..
Il detto: il tempo ormai si è fatto breve usa una espressione tecnica della navigazione che alla lettera dice: il tempo ha imbrogliato le sue vele. Questa affermazione di san Paolo riguarda il rapporto tra i cristiani e la venuta finale del Signore, qualunque sia l'intervallo tra il momento presente e la venuta finale Gesù, esso perde la sua importanza poiché in Gesù Cristo risuscitato il mondo futuro che attendiamo in realtà è già presente. Tenendo davanti agli occhi questa verità e riflettendo su di essa, tutti i valori della vita mortale, tutte le realtà temporali, tutti i beni di questo mondo verso i quali ci portano le nostre tendenze spontanee e naturali, assumono un aspetto di relatività. Il pensiero di San Paolo non costituisce un invito alla svalutazione delle realtà terrene e mondane; egli vuole inculcare l'uso e insieme il distacco dei beni di questo mondo; l'espressione: usare come se non usassero, applicata al dolore, alla gioia, al possesso, alla stessa vita coniugale esprime questo pensiero. I valori umani ci sono dati da Dio perché li usiamo allo scopo di raggiungere la nostra salvezza senza che ci attacchiamo a tali valori come se essi fossero definitivi, come se per sempre dovessimo portarli con noi. L'inclinazione umana all'uso delle realtà conduce a possederle in modo esclusivo e geloso, a comportarsi nei loro confronti come se esse non dovessero mai venire meno, come se in esse fosse deposta la nostra sicurezza. Ora l'attesa della venuta finale del Signore e la sua anticipata presenza nella risurrezione ci insegna a non attaccarci ai beni temporali pur usandoli secondo la volontà di Dio. L'ideale proposto da san Paolo non è facile, è un punto di arrivo al quale dobbiamo tendere e che sarà raggiunto per grazia di Dio, il quale vuole la nostra salvezza. Passa la scena di questo mondo! Ciò che conta, ciò che vale è il rapporto a Gesù Cristo e al suo regno che viene, che è già in mezzo a noi se abbiamo lo sguardo della fede per cogliere i segni di tale presenza. Il nostro cuore, la nostra mente, la nostra personalità deve essere fissa nel Signore che rimane per sempre, che non delude, che corona ogni nostra speranza. E con questo atteggiamento, di uso e di distacco insieme dei beni temporali che dobbiamo accettare la vita di ogni giorno.
Qualcuno dice che Emerenziana fosse la sorella di latte di Santa Agnese. Essa certamente era presente alla sepoltura della santa. Quando i pagani fecero irruzione tra quella folla, tutti fuggirono, solo Emerenziana apostrofò gli assalitori finendo però lapidata da essi. Venne poi sepolta vicino ad Agnese.
Parola di Dio: 2Sam 5,1-7.10; Sal 88; Mc 3,22-30
Vangelo
Mc 3, 22-30
Dal vangelo secondo Marco.
In quel tempo, gli scribi, che erano discesi da Gerusalemme, dicevano: “Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del principe dei demòni”. Ma egli, chiamatili, diceva loro in parabole: “Come può satana scacciare satana? Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non può reggersi; se una casa è divisa in se stessa, quella casa non può reggersi. Alla stessa maniera, se satana si ribella contro se stesso ed è diviso, non può resistere, ma sta per finire. Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire le sue cose se prima non avrà legato l'uomo forte; allora ne saccheggerà la casa. In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna”. Poiché dicevano: “E’ posseduto da uno spirito immondo”. Parola del Signore
“COSTUI E’ POSSEDUTO DA BEELZEBUL, E SCACCIA I DEMONI PER MEZZO DEL PRINCIPE DEI DEMONI”. (Mc. 3,22)
Vi ripropongo oggi una riflessione che già vi avevo proposto in un’altra occasione; credo valga la pena di ritornarci.
In questa società di facciata, il diavolo sembra aver ritrovato il suo posto. Naturalmente, essendo un maestro di confusione, anche su se stesso crea un po’ di caos.
Qualcuno ha rispolverato il diavolo dalla faccia rubizza con tanto di corna, con forchettone e coda incorporata, altri lo hanno mistificato con i fantasmi della notte di Hallowey o come caspita si chiama questa americanata senza senso, altri lo dipingono mellifluo e intrigante in mezzo a donnine discinte per invitare in locali “privati”. Ma se questo è fumo, il diavolo usa cose ben più pesanti per denunciare la sua presenza, anche se le sue armi sono più o meno sempre le stesse: l’orgoglio, la paura, la voglia di risolvere facilmente i problemi… Ed ecco, allora, in questo mondo che si vanta di credere solo alle cose concrete, di aver fatto piazza pulita di tutte le credenze e superstizioni medievali, prolificano paure, superstizioni, maghi e fattucchieri. Persino gli esorcisti spesso fanno notizia perché il loro lavoro è aumentato notevolmente.
Ma io non ho bisogno neppure di questo (che pure è grave e riduce a brandelli moralmente e fisicamente migliaia di uomini) per credere al male e al suo autore. Come, credo, molti di voi, il diavolo lo vedo all’opera tutti i giorni.
Prova ad aprire un giornale qualunque. Il diavolo non sta solo nelle fotografie di donne discinte e allettanti, sta ad esempio nella notizia che un cane ha ereditato un miliardo di dollari, mentre centinaia di milioni di uomini stanno morendo di fame, sta nel sorriso smagliante del politico che promette… successo, potere, denaro per se stesso; il diavolo lo incontro al supermercato dove un orso gigante di peluche può fare la felicità del tuo bambino alla modica somma di due milioni e mezzo, lo incontro nel nipote impomatato che sta cercando di circuire la nonna di cui nulla importa, pur di portarle via i soldi. Il diavolo l’ho incontrato nelle sacrestie delle parrocchie e addirittura nelle prime file dei banchi delle chiese magari ben accomodato in calde pellicce di “care donne benpensanti e benemerite della comunità”. Lo incontro ogni giorno alla porta di casa mia. Lui, maestro di trasformismo e di falsità non si dà per vinto e ci prova sempre. Ma si può riconoscerlo e abbiamo pure le armi per combatterlo. Dio non gli ha permesso il potere assoluto. Le sue maschere lasciano sempre trapelare un po’ di puzza di ipocrisia, di orgoglio e se proprio non sei sprovveduto, riesci a riconoscerlo, a intuirlo, quasi a commiserarlo in certe persone che vedi totalmente asservite a lui.
Se vuoi combatterlo non pensare di cavartela da solo (lui gioca proprio su questo), combattilo con il suo nemico di sempre, metti la tua fiducia in Colui che con la purezza di cuore e la croce lo ha già vinto per sempre.
Nacque a Forlì, in Romagna, nel 1317. A dieci anni entrò nel monastero dei domenicani di Forlì e vi rimase per tutta la vita. La sua caratteristica fu l’umiltà. Preghiera, penitenza, silenzio dimostravano il suo amore per Dio e per l’obbedienza. La sua vita umile fu però benedetta da Dio con estasi e il dono dei miracoli. Morì come era vissuto in umiltà e silenzio il 2 gennaio 1397.
Parola di Dio: 2Sam 6,12b-15.17-19; Sal 23; Mc 3,31-35
1^Lettura
2 Sam 6, 12-15. 17-19
Dal secondo libro di Samuele.
In quei giorni, Davide andò e trasportò l'arca di Dio dalla casa di Obed-Edom nella città di Davide, con gioia. Quando quelli che portavano l'arca del Signore ebbero fatto sei passi, egli immolò un bue e un ariete grasso. Davide danzava con tutte le forze davanti al Signore. Ora Davide era cinto di un efod di lino. Così Davide e tutta la casa d'Israele trasportavano l'arca del Signore con tripudi e a suon di tromba. Introdussero dunque l'arca del Signore e la collocarono al suo posto, in mezzo alla tenda che Davide aveva piantata per essa; Davide offrì olocausti e sacrifici di comunione davanti al Signore. Quando ebbe finito di offrire gli olocausti e i sacrifici di comunione, Davide benedisse il popolo nel nome del Signore degli eserciti e distribuì a tutto il popolo, a tutta la moltitudine d’Israele, uomini e donne, una focaccia di pane per ognuno, una porzione di carne e una schiacciata di uva passa. Poi tutto il popolo se ne andò, ciascuno a casa sua. Parola di Dio
DAVIDE OFFRI’ OLOCAUSTI E SACRIFICI DI COMUNIONE DAVANTI AL SIGNORE”. (2Sam 6,17)
Il racconto della prima lettura può aiutarci a correggere le nostre idee sul sacrificio. Spontaneamente noi pensiamo che il sacrificio sia una privazione, una rinuncia e la parola ‘sacrificio’ ha piuttosto un colore negativo, perfino triste per noi. Qui invece il sacrificio è gioia, festa, esultanza. Davide offre dei sacrifici e offre con gioia; trasporta l'arca di Dio a Gerusalemme e immola vittime,mentre danza con tutte le forze davanti al Signore. L'impressione che ne viene non è certamente di tristezza, ma di gioia piena. Il vero sacrificio non è privazione, è un atto positivo, già sotto l'aspetto di offerta a Dio Quando vogliamo far piacere a una persona non proviamo tristezza e l'eventuale privazione è secondaria per noi, non ci pensiamo neanche. Così verso Dio: il sacrificio è un regalo fatto a Dio.
Ma più profondamente il sacrificio è un dono che riceviamo da Dio. È Dio che agisce, noi non siamo capaci di fare un sacrificio. Perché, che cosa è un sacrificio? È un atto che rende sacra una cosa: “sacrificare, fare sacro”. Solo Dio può operare così, solo lui può santificare una cosa, e trasformandola con la sua santità la rende un ‘sacrificio’. Questo è il sacrificio: la trasformazione divina.
Una sofferenza non è un sacrificio, è una realtà negativa; diventa un sacrificio quando è trasformata da Dio che le infonde la sua grazia, ne fa un gesto di generosità, di amore. E questo è un motivo di profonda gioia, una trasformazione dell'anima che si apre alle grazie del Signore. D'altronde non è necessario che ci sia sofferenza, perché nel suo senso profondo il sacrificio è un aumento di grazia che apre l'anima a Dio. Così tutte le nostre gioie dovrebbero essere offerte a Dio, perché egli le trasformi in atti veramente santificati, perché invece di essere semplicemente gioie umane siano mezzi di unione con lui: allora sono dei veri sacrifici. Noi non siamo abituati a pensare che una gioia offerta a Dio è un vero sacrificio. Dobbiamo davvero correggere il nostro modo di pensare. E’ difficile, ma con la grazia del Signore dobbiamo arrivare a vedere nel sacrificio un atto positivo e attuarlo nelle nostre azioni, senza pensare a privazioni, sofferenze, rinunce, ma al dono di Dio che trasforma la nostra vita in offerta spirituale a lui gradita.
Nato a Costanza, in Germania il 21 Marzo 1295, a tredici anni entrò in convento. Ripresosi da un periodo di fede incerta, divenne famoso per la sua vita penitente, e insieme a Maestro Eckart e a Giovanni Taulero fu uno dei maestri della scuola di spiritualità domenicana. Del suo intimo colloquio con l'Eterna Sapienza restano testimonianze nelle sue opere che - come il Libro della Verità, il Libro dell'Eterna Sapienza e l'Orologio della Sapienza - hanno lasciato una notevole impronta nella spiritualità cristiana. Fu instancabile predicatore del SS. Nome di Gesù, che si era impresso sul petto con un ferro rovente. Morì a Ulma il 25 gennaio 1366.
Parola di Dio: At 22,3-16 opp. At 9,1-22; Sal 116; Mc 16,15-18
Vangelo Mc 16, 15-18
Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, apparendo agli Undici, Gesù disse loro: "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno". Parola del Signore
“ANDATE IN TUTTO IL MONDO E PREDICATE IL VANGELO AD OGNI CREATURA… NEL MIO NOME SCACCERANNO I DEMONI, PARLERANNO LINGUE NUOVE, PRENDERANNO IN MANO I SERPENTI…”. (Mc. 16,15-18)
Paolo è in viaggio. Sta andando a cercare cristiani per farli arrestare. Pensa di fare bene ad estirpare questa nuova razza di eretici che sta invadendo la religione ebraica. Ed ecco che viene fermato da questa apparizione che lo butta giù da cavallo e che gli scombina tutte le sue credenze. Oggi, guardando alla figura di Paolo, siamo invitati a scoprire l’agire di Dio: Dio ha bisogno di peccatori che si convertano per poter, grazie ad essi, testimoniare il suo Regno. Paolo viene inseguito da Dio che lo ama e quando Paolo cede a Gesù, Dio si serve di lui per il suo progetto.
Dio ha bisogno di te, ha bisogno della tua povertà, si serve dei tuoi limiti; se solo sapessimo abbandonarci nelle sue mani, allora Gesù potrebbe dire anche a noi: “Andate!” e non ci fermeremmo a fare tante obiezioni come la non voglia, la difficoltà dell’impresa, la paura, la delusione dei tentativi precedenti non riusciti, il giudicare coloro a cui si dovrebbe andare evidenziando il loro negativo, il ridurre la parola di Dio per renderla più attraente, il pensare di non essere all’altezza del compito affidatoci…Queste sono solo scuse per mascherare la nostra poca fede. Se è Cristo che ci manda, è Lui stesso che ci dà la sua forza. E’ Cristo che passa, guarda, chiama, manda, sostiene. Se i risultati non saranno quelli che aspettiamo noi, saranno certamente quelli che si aspetta Lui. L’importante è non deludere la chiamata del Signore, anzi sentircene gioiosamente orgogliosi. E daremmo così a Gesù anche la possibilità di realizzare, attraverso noi, i suoi segni. Non pensiamo a miracoli straordinari ma, quando una persona, nel nome dell’amore di Gesù, riesce a perdonare invece di odiare, non è forse un miracolo strabiliante? E' più miracoloso parlare contemporaneamente più lingue o parlare la lingua universale dei gesti dell'amore che sa superare le barriere delle razze e delle divisioni?
Dai serpenti velenosi è meglio stare alla larga, ma a chi è stato morso dal veleno dell’ira, della rabbia, della vendetta, si può dare l’antidoto della comprensione, dell’affetto, della speranza. E, a proposito di mali e di malattie, non è forse già un miracolo vivere senza disperazione un momento di prova, o condividere con serenità e pazienza il proprio tempo con un malato? E allora, coraggio, se “andiamo” con Gesù, qualche miracolo possiamo farlo anche noi!
Batilde fu sposa di Clodoveo II. Dolce, prudente, discreta, si occupava personalmente dei poveri e degli orfani. Quando morì il marito, essendo i figli tutti minori. esercitò la reggenza con impegno e con spirito di fede. Quando finì questo periodo si ritirò nel monastero di clausura di Chelle, vicino a Parigi dove visse in umiltà, silenzio e preghiera fino al 30 gennaio del 680.
Parola di Dio nella festa dei santi Tito e Timoteo : 2Tm 1,1-8 opp. Tt 1,1-5; Sal 88; Lc 22,24-30
Vangelo Lc 22, 24-30
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, sorse una discussione, chi di loro poteva esser considerato il più grande. Egli disse: "I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve. Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io preparo per voi un regno, come il Padre l'ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno e siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele". Parola del Signore
“CHI E’ IL PIU’ GRANDE TRA VOI DIVENTI IL PIU’ PICCOLO”. (Lc. 22,26)
Anche nella comunità cristiana esiste, per volontà di Cristo, una "gerarchia". Ma mentre nelle comunità del mondo chi ha il potere di sottomettere gli altri, li sottomette allo scopo di essere l’unico a detenere l’autorità e così dominare incontrastato, chi ha l’autorità nella comunità cristiana, deve sapere che non è il padrone di essa, ma il servo. Ogni potere, in Cristo, è un servizio.
La bramosia di vincere, il desiderio di prevalere sull’altro è all’origine di ogni guerra e lotta tra gli uomini.
Davanti a Gesù che si umilia fino alla morte di croce, si evidenzia il peccato del mondo: il protagonismo. Tutte le divisioni tra gli uomini e nella Chiesa, anche se camuffate in infiniti modi, nascono da quest’unica fonte: l’autoaffermazione. E’ l’egoismo, frutto mortale del veleno del serpente. E Gesù si dona proprio a questi discepoli. Il pane della sua umiltà e del suo nascondimento è antidoto al lievito dei farisei. Tutte le lotte tra gli uomini sono sempre per questo "sembrare più grande". Il protagonismo è la malattia infantile dell’uomo che non si sente amato e non sa amare. E’ la regola di azione per il mondo e il principio di ogni male. Lo Spirito di Cristo, rivelato e donato nell’Eucaristia, è amore che si attua nella povertà, nel servizio e nell’umiltà. E’ il contrario di quello del mondo.
San Paolo scrive: "Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Gesù Cristo" (Fil 2, 3-5).
"Io sto in mezzo a voi come colui che serve". E’ la più bella definizione che Gesù dà di se stesso, la vera rivelazione della sua divinità. Dio è amore. E l’amore è servizio. La presenza di Gesù tra noi sarà sempre quella del servo. Il punto fondamentale della fede è accettare che lui ci serva e ci lavi i piedi. Il cristiano è colui che riconosce come sorgente della sua vita il servizio gratuito del Signore: solo così può avere parte con lui e amare come lui ha amato.
Chi condivide con Cristo la fatica, condividerà anche la gloria. In uno degli inni più antichi che i cristiani cantavano a Cristo, troviamo queste parole: "Se moriamo con lui, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, anch’egli ci rinnegherà; se manchiamo di fede, egli però rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso"
(2Tim 2, 11-13).
Visse tra il III e il IV secolo fu vittima in Corsica della persecuzione di Diocleziano. La sua Passio è talmente simile a quella di santa Giulia da far dubitare che sia la stessa santa.
Parola di Dio: 2Sam 11,1-4a 5-1Oa 13-17; Sal 50; Mc 4,26-34
Vangelo
Mc 4, 26-34
Dal vangelo secondo Marco.
In quel tempo, Gesù diceva alla folla: “Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura”. Diceva: “A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra”. Con molte parabole di questo genere annunziava loro la parola secondo quello che potevano intendere. Senza parabole non parlava loro; ma in privato, ai suoi discepoli, spiegava ogni cosa. Parola del Signore
“IL REGNO DI DIO E’ COME UN UOMO CHE GETTA IL SEME NELLA TERRA, DORMA O VEGLI, DI NOTTE O DI GIORNO, IL SEME GERMOGLIA E CRESCE”. (Mc. 4,26-27)
Perché la Parola produca frutto basta seminarla, annunciando il vangelo: il resto viene da sé. Forse che il contadino, dopo la semina, si ferma nel campo per ricordare al seme che deve germogliare? Il seme non ha bisogno di lui, è autosufficiente: ha in sé tutto il necessario per diventare spiga matura. Così il regno di Dio annunciato dalla Parola.
Compito del cristiano è l’evangelizzazione: il resto non dipende da lui, ma da chi accoglie la parola di Dio. Non è l’azione dell’uomo che produce il Regno, ma la potenza stessa di Dio, nascosta nel seme della sua parola. Tante nostre ansie per il bene, non solo non sono utili, ma dannose. L’efficacia del vangelo è l’opposto dell’efficienza mondana. Il regno di Dio è di Dio. Quindi l’uomo non può né farlo né impedirlo. Può solo ritardarlo un po’, come una diga sul fiume.
Gesù ha seminato la Parola, ed è lui stesso il seme di Dio gettato nel campo della storia. Ha bisogno solo di trovare una terra preparata che lo accoglie e una pazienza fiduciosa che sa attendere.
Gesù ha proclamato: "Il regno di Dio è vicino" (Mc. 1,5), ma apparentemente nulla è cambiato nel mondo: la gente continua a vivere, a soffrire e a morire. Di nuovo c’è semplicemente un uomo che predica in un luogo poco importante dell’impero e i suoi ascoltatori sono malati, analfabeti, squattrinati: quelli che non contano niente. E’ tutto qui il regno di Dio? Sì, è tutti qui! Gesù è la grandezza di Dio che per noi si è fatto piccolo fino alla morte di croce. Proprio così è diventato il grande albero dove tutti possono trovare accoglienza. Il discepolo deve rispecchiare il suo spirito di piccolezza e di servizio. Questo vince il male del mondo, che è desiderio di grandezza e di potere.
Chi ama si fa piccolo per lasciare posto all’amato; il suo io scompare per diventare pura accoglienza dell’altro. Per questo la piccolezza è il segno della grandezza di Dio
Nacque nel Delfinato il 21 gennaio 1110. Nel 1125 si fece monaco a Clairvaux poi fu designato personalmente da san Bernardo alla guida della abbazia di Hautecombe. Nel 1144 fu fatto Vescovo di Losanna. Si dedicò a conoscere e incontrare tutti i suoi diocesani, occupandosi principalmente della educazione della gioventù e della formazione del clero, fu anche attento e partecipe alle vicende politiche dell’epoca. Morì il 27 agosto 1159.
Parola di Dio: 2Sam 12,1-7a.10-17; Sal 50; Mc 4,35-41
Vangelo
Mc 4, 35-41
Dal vangelo secondo Marco.
In quel giorno, verso sera, Gesù disse ai suoi discepoli: “Passiamo all'altra riva”. E lasciata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano anche altre barche con lui. Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: “Maestro, non t'importa che moriamo?”. Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”. Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. Poi disse loro: “Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?”. E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: “Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?”. Parola del Signore
“PASSIAMO ALL’ALTRA RIVA”. (Mc. 4,35)
Ci aiuta oggi una riflessione di don Paolo Curtaz:
"Passiamo all'altra riva": esiste forse un modo migliore per descrivere la nostra vita? Sappiamo tutti che la nostra vita è un viaggio, un passare, un andare altrove vivendo con gioia e serenità ogni passo che facciamo. E in questo viaggio siamo invitati a prendere Gesù sulla nostra barca, "così com'è", senza cioè gettargli addosso una maschera, senza aspettarci che egli sia secondo i nostri desideri, senza vedere in lui una specie di assicurazione contro i guai. E' difficile, me ne rendo conto, avvicinarci a Gesù senza aspettative, eppure è condizione essenziale per fare davvero esperienza di lui e – insieme a lui – per fare esperienza di noi stessi; vorremmo, lo sappiamo, che durante il viaggio Dio si manifestasse, almeno nei momenti più difficili, che intervenisse in qualche modo; invece no, ci sono momenti in cui Dio dorme, tranquillo e sereno e abbiamo la tragica e destabilizzante impressione che a Dio, di noi, proprio non importi nulla, che sia distratto o rivolto altrove.
Uomini di poca fede, gli apostoli e noi, uomini piccoli e ancora da crescere, loro e noi; no, Signore, ancora non abbiamo fede, fino a quando non ti riconosciamo presente sulla nostra barca in mezzo alla tempesta; la tua presenza non è garanzia di bonaccia, o di un viaggio tranquillo, non sei – ancora una volta – il Dio delle soluzioni semplici, dei problemi risolti: tu vuoi che siamo noi a condurre la barca della nostra vita, ci inviti a non avere paura durante le tempeste e a vedere, soprattutto, che tu sei sempre il presente tra di noi e anche noi ci chiediamo: "chi è dunque costui?" Sei sempre diverso da ciò che ci aspettiamo, sempre più autentico e libero, sempre più grande e adulto rispetto a quello che nella nostra infantile fede vorremmo...
Forse era di origine tedesca, fu a Colonia, a Parigi, a Pavia e poi a Milano venerato nella basilica di San Lorenzo dove sarebbe stato assassinato dagli eretici che combatteva verso il 1015. E’ protettore dei facchini.
Parola di Dio: Dt 18,15-20; Sal 94; 1Cor 7,32-35; Mc 1,21-28
Vangelo Mc 1, 21-28
Dal vangelo secondo Marco
A Cafarnao, entrato proprio di sabato nella sinagoga, Gesù si mise ad insegnare. Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi. Allora un uomo che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si mise a gridare: "Che c'entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so chi tu sei: il santo di Dio". E Gesù lo sgridò: "Taci! Esci da quell'uomo". E lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: "Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono!". La sua fama si diffuse subito dovunque nei dintorni della Galilea. Parola del Signore
“TACI! ESCI DA QUELL’UOMO”. (Mc. 1,25)
Gesù si incontra per la prima volta nel vangelo di Marco con la presenza e l'azione del demonio, nemico di Dio e dell'uomo. Il demonio proclama la sua conoscenza della vera identità di Gesù dicendo: “Io so chi tu sei: il Santo di Dio”. La denominazione di Gesù quale il Santo di Dio è una professione di fede altissima. Tale nome significa che Gesù è l'inviato, è l'eletto di Dio, consacrato e unito a lui in modo unico, il Messia. Non deve fare meraviglia che il demonio conosca e proclami la identità di Gesù con esattezza; la lettera di san Giacomo infatti ci informa: “Anche i demoni credono e tremano” (Gc. 2, 19). Per il demonio la proclamazione della identità di Gesù è fonte di terrore, per il credente è fonte di luce, di sicurezza, di gioia. Nella sinagoga di Cafarnao si fronteggiano Male e Bene e lì si ‘grida’: “Taci, esci da quell’uomo!”. E’ il comando di Gesù che, con la sua autorità divina, ordina al demonio di andarsene, di non parlare più, di non ingannare più. Taci! Non imbrogliare più l’uomo, non dividerlo più in se stesso. Taci! Con i miraggi di un piacere che non solo non porta gioia, ma tristezza. Taci! Non far sembrare il male bene. Taci! Non impedire alla creatura di ascoltare il suo Dio.
Dobbiamo far tacere il demonio per poter ascoltare Dio. San Pietro ci ricordava: "Fratelli, siate sobri e vigilate, perché il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede”. E resistergli consiste prima di tutto nel farlo tacere perché la forza della Parola di Gesù, entrando dentro di noi lo allontani definitivamente e ci aiuti a comprendere il vero valore della vita.
Nacque in Messico il 29 gennaio 1881. Era un sacerdote professore al seminario di Guadalajara. Schierato più volte con gli operai, difensore della santità del matrimonio, mentre aiutava dei soldati feriti fu arrestato e poi fucilato il 30 gennaio 1915.
Parola di Dio: 2Sam 15,13-14.30; 16,5-130; Sal. 3; Mc. 5,1-20
Vangelo Mc 5, 1-20
Dal vangelo secondo Marco.
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero all'altra riva del mare, nella regione dei Gerasèni. Come scese dalla barca, gli venne incontro dai sepolcri un uomo posseduto da uno spirito immondo. Egli aveva la sua dimora nei sepolcri e nessuno più riusciva a tenerlo legato neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva sempre spezzato le catene e infranto i ceppi, e nessuno più riusciva a domarlo. Continuamente, notte e giorno, tra i sepolcri e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi, e urlando a gran voce disse: "Che hai tu in comune con me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!". Gli diceva infatti: "Esci, spirito immondo, da quest'uomo!". E gli domandò: "Come ti chiami?". "Mi chiamo Legione, gli rispose, perché siamo in molti". E prese a scongiurarlo con insistenza perché non lo cacciasse fuori da quella regione. Ora c'era là, sul monte, un numeroso branco di porci al pascolo. E gli spiriti lo scongiurarono: "Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi". Glielo permise. E gli spiriti immondi uscirono ed entrarono nei porci e il branco si precipitò dal burrone nel mare; erano circa duemila e affogarono uno dopo l'altro nel mare. I mandriani allora fuggirono, portarono la notizia in città e nella campagna e la gente si mosse a vedere che cosa fosse accaduto. Giunti che furono da Gesù, videro l'indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. Quelli che avevano visto tutto, spiegarono loro che cosa era accaduto all'indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio. Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo pregava di permettergli di stare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: "Và nella tua casa, dai tuoi, annunzia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ti ha usato". Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decapoli ciò che Gesù gli aveva fatto, e tutti ne erano meravigliati. Parola del Signore
"SCESE DALLA BARCA E GLI VENNE INCONTRO UN UOMO POSSEDUTO DA UNO SPIRITO IMMONDO".(Mc. 5,2)
Ci troviamo davanti ad un duplice incontro: Gesù e un uomo malato nel profondo, ma anche Gesù e il demonio.
Nel primo incontro c'è tutta l'attenzione di Gesù per quest'uomo, la solidarietà che si fa gesto di guarigione. Nel secondo l'eterno scontro tra la potenza del male e la forza liberante del bene.
La potenza del male è forte, è addirittura "legione" e personifica tutti i mali ricorrenti nel mondo che "legano", rendono schiavo l'uomo; possiamo indicarne alcuni dei più ricorrenti:l'autoritarismo nella famiglia, tra generazioni, nei rapporti tra uomo e donna, la volontà di dominio dei potenti, l'esplosione di una sessualità ridotta a pura soddisfazione dei sensi, la perdita del senso e del valore dell'uomo... E davanti a tanto male l'uomo diventa impotente. Solo una forza più grande può contrastare questo male. Solo Gesù, l'uomo-Dio veramente libero può contrastare il male e vincerla.
Davanti all'enormità del male nel mondo si può diventare fatalisti, si può ricorrere a forme di magismo o si può contrastare il male con la forza liberante di Cristo.
Se da solo affronto il male che c'è in me, sono uno sconfitto in partenza. Ma se mi fido di Cristo compirò le sue opere di liberazione, di bene, di fiducia e allora le catene e i vincoli poco per volta cadranno non solo dalle mie mani, e se anche il male e la morte sembreranno avere esteriormente la vittoria proprio come per Cristo, nella morte stessa c’è già il germe di una vita nuova, incorruttibile.
Era nata a Roma nel 1474, fu allevata dai nonni. A vent’anni fu data in sposa a Giacomo della Cetera da cui ebbe tre figli. Rimasta vedova nel 1506, entrò nel Terz’Ordine francescano e si diede totalmente alla preghiera e alla penitenza dedicandosi altresì alle opere della carità. Era talmente attenta e generosa che presto diede fondo al suo patrimonio creandosi anche l’ostilità dei parenti. Morì il 31 gennaio 1533
Parola di Dio: 2Sam 18,9-10.14b.24-25a.30-32; 19,1-4; Sal 85; Mc 5,21-43
Vangelo Mc 5, 21-43
Dal vangelo secondo Marco.
In quel tempo, essendo passato di nuovo Gesù all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi e lo pregava con insistenza: "La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva". Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: "Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita". E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male. Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: "Chi mi ha toccato il mantello?". I discepoli gli dissero: "Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?". Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: "Figlia, la tua fede ti ha salvata. Và in pace e sii guarita dal tuo male". Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: "Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?". Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: "Non temere, continua solo ad aver fede!". E non permise a nessuno di seguirlo fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava. Entrato, disse loro: "Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme". Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina. Presa la mano della bambina, le disse: "Talità kum", che significa: "Fanciulla, io ti dico, alzati!". Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare. Parola del Signore
"LA BAMBINA NON È MORTA, MA DORME" (Mc. 5,39).
La bambina era morta, ma alla luce della fede, la morte è solamente un sonno, dal quale siamo risvegliati dalla potenza di Dio. La Chiesa ha conservato l’espressione antica quando chiama i defunti coloro che "si sono addormentati" nel Signore, alimentando così continuamente la sua speranza nella futura risurrezione dei morti.
Il brano di Marco letto oggi ci presenta due miracoli intrecciati: la guarigione della donna affetta da emorragia e la risurrezione della figlia di Giairo. Questi due miracoli hanno in sé una somiglianza in crescendo. L’emorragia è una perdita di sangue e, quindi, una perdita di vita: guarendo la donna affetta da perdita di sangue, Gesù si rivela come colui che ferma la perdita graduale della vita; con la risurrezione della figlia di Giairo, si manifesta come colui che ridona la vita totalmente perduta.
La risurrezione della figlia di Giairo è il culmine di questa prima parte del vangelo. Di tutti i limiti a cui l’uomo è sottomesso, la morte è quello che ha l’aspetto pauroso della definitività. Contro la malattia si può combattere e vincere; contro le disgrazie si può sempre tentare qualcosa, ricostruirsi una vita dopo il fallimento, e si è soliti dire: "Finché c’è vita, c’è speranza!". Ma di fronte alla morte si constata: "A tutto c’è rimedio, fuorché alla morte!".
E questa è proprio la convinzione che sta dietro al nostro racconto: "Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?". In altre parole: ormai è troppo tardi; contro la morte non c’è rimedio. Di fronte alla morte, l’impotenza umana è totale.
Avere fede vuol dire costruire la propria speranza su un Altro più forte della morte. Dal punto di vista umano, la vita è provvisoria e la morte è definitiva. Dal punto di vista cristiano, la morte è provvisoria e la vita è definitiva ed eterna.
La conversione che Gesù ci ha chiesto fin dall’inizio del vangelo comprende anche, e soprattutto, questo cambiamento di ottica e di valutazione riguardo alla vita e alla morte.
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