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SCHEGGE E SCINTILLE
http://spazioinwind.libero.it/schegge
a cura di: don_franco_locci@libero.it
GIOVEDI’ 1 SETTEMBRE
Una scheggia di preghiera:
SIGNORE, MI FIDO PROPRIO PERCHE’ NON CAPISCO
Tra i santi di oggi ricordiamo:
FERRERO BENIGNA CONSOLATA, Serva di Dio
Nacque a Torino il 6 agosto 1885. Si sentì chiamata alla vita contemplativa. Guidata da don Luigi Boccardo entrò a 22 anni tra le visitandine di Como. Ebbe esperienze mistiche profonde. Il suo messaggio è una profonda teologia dell’amore. Morì a Como il 1 settembre 1916.
Parola di Dio: Col 1,9-14; Sal 97; Lc 5,1a.2-11
“SULLA TUA PAROLA GETTERO’ LE RETI” (Lc. 5,5)
Con Gesù c’è sempre da stupirsi.
A prima vista nulla funziona secondo la logica abituale: facendo un giochetto di parole possiamo dire che “dei pescatori vengono pescati attraverso una pesca miracolosa per diventare pescatori di uomini”. Proviamo a seguire il comportamento di Gesù, perché Egli usa lo stesso metodo con noi. Prima di tutto Gesù chiede un favore a Pietro: imprestami la barca perché devo predicare. Quando Gesù bussa alla porta del nostro cuore è spesso per chiederci qualcosa, magari una piccola cosa: “Potresti dedicare un po’ di tempo ad ascoltare quella persona?”, “Andresti a trovare quel malato?”, “Tu che te la cavi così bene con il tuo lavoro professionale potresti prestarti una volta a favore di quella comunità?”. E mentre Gesù predica alle folle, predica anche a Pietro e la sua parola comincia ad operare in lui. “Ho ascoltato quella persona e l’ho vista felice perché finalmente poteva esprimersi con qualcuno”, “Dopo la visita a quell’ammalato chissà perché mi sentivo così contento!”, “In quella comunità c’è un mucchio di brava gente che opere per gli altri!” Poi Gesù sconvolge Pietro toccandolo nella sua professionalità: chiede a lui, pescatore, di andare contro a tutti i suoi criteri di pesca. “Nella tua vita hai sempre calcolato tutto e se imparassi adesso a donare gratuitamente?” Pietro ha difficoltà, ma poi si fida. “Signore, non c’è più niente da fare con quel mio figlio drogato: ma ci provo ancora una volta”. “Signore quante volte ho provato a far cambiare mentalità ai cristiani della mia parrocchia! E quali sono stati i risultati?… Ma sulla tua parola…”, “Signore, li conosco bene gli uomini io! Altro che considerarli miei fratelli! Sono squali pronti a divorarmi! Però mi fido più di te che di me” La pesca miracolosa lascia tutti strabiliati. Ma proprio nel momento che i pescatori gioiscono e si arricchiscono con questo dono, Gesù chiede loro di lasciare le rete e di diventare a pieno titolo suoi apostoli. Se Gesù ti ha chiesto qualcosa e tu hai cercato di darglielo, se hai imparato che dare vale più che tenere, se hai ascoltato la Sua parola, se ti sei fidato nonostante tutto ti dicesse il contrario, se ti sei meravigliato davanti alla grandezza dell’amore di Dio, allora puoi anche buttar via tutto e andargli dietro gioiosamente.
Era un cristiano, forse scultore fuggito in Siria in seguito ad una persecuzione. Vi costruì una chiesa dedicata alla Santa Trinità. I pagani lo uccisero durante il regno di Costanzo nel IV secolo.
Parola di Dio: Col 1,15-20; Sal 99; Lc 5,33-39
“I DISCEPOLI DI GIOVANNI DIGIUNANO SPESSO E FANNO ORAZIONI; COSI’ I DISCEPOLI DEI FARISEI; INVECE I TUOI MANGIANO E BEVONO”. (Lc. 5,33)
In teoria la religione dovrebbe essere la conseguenza e la manifestazione di ciò che è la fede, in pratica purtroppo non sempre succede così. Anche all’epoca di Gesù spesso la mentalità della religione aveva il sopravvento sulla fede quando non arrivava a mettersi in contrapposizione o in concorrenza ad essa. Guardate questi scribi e farisei del vangelo che abbiamo letto oggi, sono preoccupati soprattutto del numero delle preghiere dette o non dette, dai digiuni, dalla ritualità e dalle osservanze, quasi che queste cose fossero l’essenza della fede, Gesù invece, senza vanificare queste cose, guarda soprattutto agli atteggiamenti di fondo delle persone. Quand’è che noi siamo solo “uomini di religione” e quando uomini di fede che la manifestano anche nella religione? Quando noi pensiamo che Dio sia solo una nostra conquista, quando pensiamo di “poterlo comprare” con le nostre preghiere o con le opere di bene, quando riduciamo Dio a quelle che sono le nostre esigenze e mentalità, quando badiamo all’esteriorità del comportamento, quando releghiamo Dio in codici senza scoprirne l’anima, quando la religione diventa direttamente o indirettamente solo forma di potere, allora siamo rappresentanti di “religione” Quando ci accorgiamo che è Dio che salva se noi gliene diamo l’opportunità, quando scopriamo che tutto è dono gratuito da parte Sua, quando gioiamo per le sue opere e con le sue opere, quando guardiamo il nostro prossimo con l’occhio di Dio e non con il giudizio delle norme, quando la preghiera non è un obbligo ma un momento di confidenza con il Signore, quando i comandamenti non sono un giogo terribile ma una strada amorevole che ci viene indicata, quando prima delle norme e delle osservanze contano le persone, allora è la fede che opera prima della religione, anzi la fede che informa e guida la religione
Era notaio della Chiesa romana. Andò a Suppentonia, l’odierna Castel Sant’Elia, tra Nepi e Civita Castellana dove per molti anni visse santamente fino al sopraggiungere della morte l’11 gennaio 570.
Parola di Dio: Col 1,21-23; Sal 53; Lc 6,1-5
“IL FIGLIO DELL’UOMO E’ SIGNORE DEL SABATO”. (Lc. 6,5)
Sovente nei Vangeli troviamo Gesù che si autodefinisce: “Figlio dell’uomo”. Che cosa vuol dire e come possiamo interpretare rettamente questa espressione? Essa sottolinea l’umanità di Gesù ma non intesa come se fosse in opposizione alla sua natura divina. Infatti questo Figlio dell’uomo opera prodigi, comanda alle forze della natura, ha la capacità di guarire e di perdonare i peccati… dunque l’umanità di Gesù è il supporto della sua divinità. Perciò Egli è anche “Signore del sabato” Nell'Antico testamento il sabato richiamava una istituzione antica, voluta da Dio stesso per due motivi precisi. Per un motivo di rispetto dell’uomo nello specificare che dopo ogni periodo lavorativo è giusto ed è sano per gli uomini avere un giorno di riposo, ma anche perché esso è il giorno dedicato al Signore e consacrato ad esso. Gesù è Signore del sabato perché è Signore del tempo e perché legge nel cuore dell’uomo. Detto in altre parole Gesù conosce esattamente il valore che ciascuno di noi dà alla domenica (cioè al rispetto di se stessi, a Dio, alla preghiera); a Lui non basta un’osservanza esteriore, formale, di religione, per Lui conta il modo con cui noi accogliamo e viviamo i doni che la domenica ci offre.
Era nato a Mango (Cuneo) l’ 8 marzo 1916. Ebbe una infanzia ed una adolescenza molto umili. Lavorò quasi sempre come servo di campagna. Conosciuta l’opera di don Alberione, desiderò dare il suo contributo a questo apostolo della buona stampa. Il 7 Aprile 1938 emise i primi voti e fu mandato ad Alba assegnato prima ai lavori di cartiera e poi al laboratorio di calzoleria. Morì di tubercolosi il 4 Settembre 1948 a Sanfrè (Cuneo)
Parola di Dio: Ez 33,7-9; Sal 94; Rm 13,8-10; Mt 18,15-20
“SE DUE DI VOI SI ACCORDERANNO PER DOMANDARE QUALUNQUE COSA, IL PADRE MIO CHE E’ NEI CIELI VE LA CONCEDERA’ “.
(Mt.18,19)
Anche in campo di fede e di religione, viviamo oggi in una affermata mentalità del “fai da te”. Ad esempio è facile sentire affermazioni come queste: “lo non vado in chiesa: che bisogno c’è di pregare insieme?.., lo quando sento la necessità parlo con Dio..., gli altri non c’entrano!”. E invece gli altri c’entrano! Essere cristiano significa far parte di un popolo, appartenere a una famiglia. E, vedere delle persone, che mettendo da parte le eventuali divergenze, si "accordano" per chiedere insieme la stessa cosa, è talmente stupendo che il Padre non può dire di no a quelle richieste espresse comunitariamente, quasi con la complicità gli uni degli altri. Gesù ci dice che perché la preghiera possa ottenere una risposta dal cielo, esige una richiesta da parte di più persone, una comunità. Dice: «Se due di voi». Due. È il numero più piccolo che forma una comunità. A Gesù dunque importa non tanto il numero quanto la pluralità dei credenti. Devono mettersi d'accordo sulla domanda da fare, certamente; ma questa richiesta, deve poggiare soprattutto su una concordanza dei cuori. Gesù afferma, in pratica, che la condizione per ottenere quanto si chiede è l'amore reciproco tra le persone. Che bello poterci accordare con i nostri cari, con ci comprende, con chi condivide il nostro stesso cammino di fede, poter essere disposti ad amare come il Vangelo comanda, così uniti da meritare la presenza di Gesù tra noi, e poter chiedere con fiducia. Ci fosse davvero questa fede nelle nostre assemblee liturgiche!
Verso il 420 in Persia alcuni cristiani intemperanti diedero fuoco ad un tempio pagano. Fu arrestato Abdas che era vescovo di Ergol e gli fu ingiunto di ricostruire il tempio. Questi si rifiutò e fu messo a morte.
Parola di Dio: Col 1,24—2,8;Sal61; Lc 6,6-11
“UN SABATO GESU’ ENTRO’ NELLA SINAGOGA E SI MISE AD INSEGNARE. ORA C’ERA LA’ UN UOMO CHE AVEVA LA MANO DESTRA INARIDITA…” (Lc. 6,6)
La guarigione nella sinagoga dell’uomo dalla mano rattrappita dimostra ancora una volta che Gesù è Signore anche del sabato, ma proprio il tipo di sofferenza che quest’uomo subiva e la sua guarigione fanno pensare anche a noi: "Guarda a noi Signore e guariscici perché siamo ancora un po' tutti con le mani rattrappite. Siamo avari nel donare, gretti nel condividere, parsimoniosi nel dare il perdono, distratti nel vedere le necessità degli altri, abitudinari nella religiosità, usiamo il contagocce persino nella preghiera. Guarda a noi e guariscici, o Signore, perché non solo le mani ma soprattutto i cuori si sono rattrappiti, sono troppo contenuti, incapaci di slanci, paurosi di rendersi vulnerabili donando sentimenti e amore, incrostati nelle formule, incapaci di tenerezza e di sorriso e spesso persino incapaci di piangere. Abbi pietà di noi che, come i farisei di allora, non solo non siamo capaci di gioire per il miracolo che ha reso nuovamente abile una mano, ma siamo addirittura gelosi del tuo amore per i peccatori, dimenticandoci che peccatori siamo noi".
Limbania nacque nel XII secolo nell'isola di Cipro, che fu dominio dei Genovesi, ed ancora giovinetta, onde serbare per Dio la sua verginità, abbandonò la sua famiglia e giunse a Genova, dove fu accolta fra le monache del monastero di San Tommaso, che era presso il lido della città. Qui visse lungamente nella pratica di molte penitenze (si era fatta recludere in una cavità sotto il pavimento della cucina).
Parola di Dio: Col 2,6-15; Sal 144; Lc 6,12-19
“LA FOLLA CERCAVA DI TOCCANO, PERCHÈ DA LUI USCIVA UNA FORZA CHE SANAVA TUTTI”. (Lc. 6,19)
Si può andare da una persona per molti motivi diversi.
Si va da un superiore con un certo patema d’animo perché non sai esattamente che cosa vuole da te, si va da chi può per chiedere aiuto, si cerca l’amico perché si sta bene con lui…Ci sono infatti delle persone che noi consideriamo “speciali”con cui si sta veramente bene, sembra quasi che anche solo la loro presenza sia rasserenante. La folla, gli umili, particolarmente sensibili a queste cose avvertono in Gesù questa forza particolare. Le sue parole pur essendo estremamente impegnative non sono imposizioni; i suoi occhi penetranti, che mettono allo scoperto il cuore non giudicano ma sono occhi accoglienti, invitanti, amorosi; i suoi gesti sono familiari, paterni; da Lui scaturisce la forza per camminare nella fede; comanda ai demoni; fa star bene chi è con Lui, guarisce le malattie e perdona i cuori. Ecco perché andare a Gesù: perché con Lui si sta bene! Non tanto andare per obbedienza (“non vi chiamo più servi, ma amici”), per osservanza (“avete inteso che fu detto... ma io vi dico...”), per paura (“non temere piccolo gregge”) ma per fiducia (“venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi”), per riposare in Lui (“venite in disparte con me e riposatevi”), per amore (“imparate da me che sono mite ed umile di cuore”), per arrivare al Padre (“chi vede me vede il Padre”), per sperare (“lo sono la Risurrezione e la Vita, chi crede in me vivrà in eterno”).
CLODOALDO O CLOUD, Santo principe, monaco
Era il terzogenito di Clodomiro, re d'Orléans. Nato nel 522 nella odierna Saint Cloud, dopo la morte del padre, scampato, grazie a servi fedeli, al massacro in cui trovarono la morte i fratelli per opera degli zii Childeberto I e Clotario I, si dedicò alla vita monastica e fondò un monastero a Novientum. Morì nel 560 circa.
Parola di Dio: Col 3,1-11; Sal 144; Lc 6,20-26
“BEATI VOI…” . (Lc. 6,20-26)
Per commentare le beatitudini oggi prendo a prestito una riflessione-esortazione di Umberto de Vanna intitolata: Beatitudini, un progetto. Cento parole soltanto, ma un impegno, una scelta per tutta la vita. Parole facili da capire e difficili da attuare. Prova a leggerle da solo, con voce sommessa: sentirai in loro parlare Dio. Ad una ad una ti scenderanno nel cuore; questa volta l’intelligenza non serve, anzi, ti sarebbe d’ostacolo. Lasciati prendere da queste parole, lascia che ti trasformino. Ma soprattutto vivile nella vita rumorosa e distratta di ogni giorno. Dopo ogni sconfitta, dopo ogni delusione, lascia che siano balsamo. Risali ad esse come il salmone risale la corrente, perché in loro troverai il coraggio di riprendere il cammino. Ama queste parole come un amico e un fratello, più di te stesso: ringrazia il Signore per avertele date, per averti dato una traccia da seguire, per essere e per fare felice.
Nato da nobile famiglia scelse di diventare prete, In età matura nel 1171 fu designato vescovo di Volterra. Fu uomo di pace, si interessò anche alla vita civile e sociale del suo popolo: Morì nel 1184.
Parola di Dio: Mic 5, 1-4a opp. Rm 8,28-30; Sai 86; Mt 1,1-16.18-23
“ECCO LA VERGINE CONCEPIRA’ E PARTORIRA’ UN FIGLIO CHE SARA’ CHIAMATO EMMANUELE CHE SIGNIFICA: DIO CON NOI”.
(Mt. 1,23)
Oggi dovremmo fare gli auguri di buon compleanno a Maria infatti ricordiamo la sua natività. I Vangeli non parlano di questo lieto evento né ci rivelano i nomi dei genitori della Vergine. Per noi però la festa di oggi più che celebrare una data o una semplice ricorrenza, vuole ricordarci che la futura Madre del Signore è stata concepita senza ombra di peccato, preservata dal peccato originale, e proprio per questo schiaccerà il capo al serpente vincendo il male, ma soprattutto sarà la prescelta da Dio per diventare la Madre di Cristo. Maria viene così in modo prodigioso innestata nel mistero della redenzione di tutto il genere umano. In questa luce noi vediamo e celebriamo le feste della Vergine Maria. La nascita della fanciulla di Nazareth diventa quindi «la pienezza dei tempi», quando cioè i disegni di Dio trovano il loro compimento nella storia e i diversi protagonisti assumono i compiti previsti e preannunciati dallo stesso Signore. Anche noi, come Maria, dovremmo impostare e vivere le nostra storia quotidiana per farla diventare storia sacra, la storia del Dio con noi. Potremmo così realizzare l'ideale principale della nostra esistenza quello di fare del nostro tempo, dei nostri eventi, una celebrazione di salvezza, un approdo alla meta finale, dove vivremo senza tempo, nell'eternità di Dio. Ci sgorghi dal cuore una preghiera in questo giorno: chiediamo alla Beata Vergine una particolare protezione per tutti coloro che si affacciano alla vita, per tutti i bimbi e le bimbe del mondo, spessi minacciati dalle cattiverie degli adulti.
Nacque a Verdu (Barcellona) nel 1580. A vent’anni entrò tra i Gesuiti di Tarragona, poi studiò a Maiorca. Sentendo il desiderio di essere missionario chiese ed ottenne di essere mandato in Colombia. Si dedicò in particolare ai negri che venivano portati in quei paesi come schiavi e che erano trattati peggio delle bestie. Questo suo servizio durò ben 44 anni. Morì nel 1654. Leone XIII lo definirà: “L’Apostolo dei Neri”.
Parola di Dio: 1 Tm 1,1-2.12-14; Sal 15; Lc 6,39-42
“PERCHE’ GUARDI LA PAGLIUZZA CHE È NELL’OCCHIO DI TUO FRATELLO, E NON TI ACCORGI DELLA TRAVE CHE È NEL TUO?”.
(Lc. 6,41)
Attraverso la concretezza di questa immagine, Gesù ci invita a saper guardare con lucidità a noi stessi: prima di volere convertire gli altri, comincia a convertire te stesso, prima di puntare il dito, prima di fare l'elenco per filo e per segno di tutti i mali che affliggono la Chiesa comincia a cercare di togliere almeno uno dei mali che affliggono te. Oggi pretendiamo tutti di essere esperti di tutto. Entri in una casa e da esperto stilista hai da dire sul suo arredamento, da perfetto decoratore noti gli errori di imbiancatura, da buon letterato, dopo un' occhiata alla libreria, sai ciò che manca alla cultura dell'altro, conosci a menadito i difetti delle scelte politiche del tuo amico ed hai la ricetta per risolvere tutti i mali del mondo, hai uno sguardo di sufficienza per "certe superstizioni religiose". Ma… mentre critichi l'uso che viene fatto del denaro offerto per certe istituzioni benefiche, quanto stai dando del tuo, in concreto, per chi ha bisogno? Mentre critichi giustamente gli errori della Chiesa, tu, che della Chiesa fai parte, cerchi di essere più coerente al Vangelo?
Nacque a Sant'Angelo in Pontano (Macerata) nel 1245. Già nella sua giovinezza emersero i suoi doni carismatici. Entrò come oblato fra gli Agostiniani e compiuti gli studi di teologia, fu ordinato sacerdote da San Benvenuto, vescovo di Osimo. Per fare apostolato, passò la sua vita da una comunità all'altra, predicando in numerosi conventi delle Marche. A Sant'Elpidio fu Maestro dei Novizi. A causa della precaria salute si stabilì quindi a Tolentino ove visse trent'anni in preghiera, penitenza e apostolato. Fu un asceta rigidissimo con se stesso e dolce e comprensivo con i poveri, i bisognosi e gli ammalati. Grande confessore, fu pieno di umana compassione per ogni tipo di miseria. L'incondizionata obbedienza, il distacco completo dai beni terreni, l'umiltà e la modestia furono costanti della sua vita. Morì il 10 settembre 1305.
Parola di Dio: 1Tm 1,15-17; Sal 112; Lc 6,43-49
“PERCHE’ MI CHIAMATE: “SIGNORE, SIGNORE, A POI NON FATE CIO’ CHE VI DICO?
Questa affermazione di Gesù presta il fianco a cattive interpretazioni.
E’ perfino troppo facile applicare questo detto, specialmente se diventa occasione per giustificare la nostra non preghiera, ecco allora le solite frasi: “Pregare non serve... Dire il Rosario non è forse un ripetere da pappagallo? Quella persona tanto pia è una baciapile ma poi. Gesù ci mette in guardia da una fede fatta a compartimenti stagni non comunicanti tra loro. La fede non è puro attivismo, essa si fonda sull’ascolto della Parola. Dio è la Roccia su cui noi dobbiamo costruire. Se Dio è soltanto un paravento, se lo tiriamo fuori solo la domenica per poi nasconderlo nella vita quotidiana, la fede è un verbalismo inutile, e la nostra, risulta una costruzione unicamente terrena se si fonda unicamente su noi stessi, sui nostri progetti, sul fare tanto e in fretta senza approfondire, senza scavare. Gesù ci dice che dobbiamo fare la volontà del Padre, ma questa volontà dobbiamo cercarla, pregarla, approfondirla; solo allora il nostro essere cristiano sarà equilibrato: non fondato sulle parole e neanche fatto di tante cose ma senza Cristo. Un’altra tentazione ricorrente è poi quella di pensare che Dio possa comprarsi a base di parole e di formule. Gesù in tanti brani di Vangelo ci invita alla preghiera, ci dice anche di pregare incessantemente, di fidarci di Dio abbandonandoci a Lui, ma ci mette in guardia: la preghiera è un atto di fiducia, non una compravendita, è accettare la sua volontà, non avere la presunzione di ridurre Lui alla nostra volontà. Pregare è entrare con umiltà nel cuore di Dio, scoprire giorno per giorno il suo progetto di amore su noi, chiedere a Lui la capacità e la volontà di adeguarvisi e ripartire con forza. Se vuoi sapere se la tua preghiera è vera, se è efficace, se ha toccato il cuore di Dio, guardati: se dopo aver pregato sei cambiato, almeno nelle intenzioni, se sei ripartito con coraggio, se hai realizzato un atto concreto di carità, di perdono, di solidarietà, vuol dire che hai pregato davvero. Se non è così, forse, bisogna cambiar modo di pregare.
Nacque in Alvernia tra il V e il VI secolo. Fu discepolo di Sant’Avito. Avrebbe voluto passare tutta la sua vita in solitudine ma la sua santità e bontà attirarono tanti attorno a lui al punto che dovette fondare in convento. Morì l’ 11 settembre 560.
Parola di Dio: Sir 27,30—28,7; SaL 102; Rm 14,7-9; Mt 18,21-35
“QUANTE VOLTE DOVRO’ PERDONARE AL MIO FATELLO, SE PECCA CONTRO DI ME?”. (Mt. 18,21)
Ecco una bella riflessione sul perdono presa da un omelia di don Curtaz:
Un Vangelo di quelli che si fa fatica a mandare giù. Siamo chiamati, quindi, a perdonare sempre. Riflettiamo bene su questa pagina perché contagi, un poco almeno, la nostra vita. A leggere bene, Pietro fa un gesto straordinario. Non so voi, ma perdonare già sette volte è difficile! Immaginate: un amico si viene a scusare perché vi ha sparlato alle spalle. No problem: una pacca sulle spalle, una stretta di mano, pazienza. Torna dopo mezz'ora: ha riparlato male di voi: che fate, lo perdonate di nuovo o vi sentite presi in giro? Eppure Gesù rilancia il gioco: occorre perdonare sempre. Possibile? La durissima parabola che segue ci spiega questa esigenza: il cristiano è chiamato a perdonare quando si rende conto di quanto a lui è perdonato. L'accentuata sproporzione del debito nella parabola (centinaia di migliaia contro pochi centesimi di Euro) rivela il divario fra il gesto di Dio e il nostro. Quindi siamo chiamati a perdonare perché perdonati, perché noi per primi facciamo quest'esperienza di perdono gratuito, sproporzionato rispetto al condono del creditore. Eppure questo perdono non cambia il cuore del servo. L’ ha fatta franca, è incredulo, euforico, non stupito della misericordia del padrone. E, infatti, il suo cuore indurito non ha pietà per l'altro servo. Siamo chiamati a perdonare perché perdonati, non perché più buoni. Quante volte dimentichiamo un'offesa subita perché, tutto sommato, ci sentiamo migliori. Non ti perdono per dimostrare qualcosa, ma perché ne ho un bisogno assoluto… Siamo chiamati a perdonare a gratis, non sperando che il nostro perdono cambi l'atteggiamento di chi ci ha offeso. Anzi: come Gesù, rischiamo di essere ridicolizzati per il nostro gesto, di vedercelo rinfacciare come debolezza. Poco importa: chi ha incontrato il grande perdono non può fare a meno di guardare all'altro con uno sguardo di comprensione e verità. E concretezza. Mi spiego: riuscire a perdonare persone che mi hanno profondamente ferito non è cosa semplice. Spesse volte, poi, giocano un grosso ruolo fatiche di tipo psicologico. Nella concretezza di ciò che sono devo dare il massimo, non aspettare il perdono perfetto, ma esercitare il perdono possibile. Sono rimasto colpito da una preghiera che una vecchia mamma brasiliana, analfabeta, fece durante una preghiera comunitaria. Gli squadroni della morte gli avevano torturato e ucciso due figli sindacalisti negli anni della dittatura. Disse: "Signore che ascolti e proteggi le vedove, fammi vendetta: converti chi ha ucciso i miei figli!" Vi garantisco: fu meglio di mille parole sul perdono. L'atteggiamento del perdono lo maturiamo nella consapevolezza del nostro limite. Il Signore desidera talmente superare il nostro limite che ha istituito il Sacramento della Riconciliazione. Un momento straordinario, così poco valorizzato da noi cristiani, quasi timorosi e vergognosi del nostro peccato invece che meravigliarci del perdono gratuito. Ci presentiamo alla Confessione come dichiariamo i redditi: meno dichiariamo, meno paghiamo! Se sapessimo, se capissimo di quanto amore il Signore è capace di colmarci! Se prendessimo più sul serio questa pagina del Vangelo! Se riuscissimo a costruire delle comunità di perdonati! Il nostro mondo ha smarrito la dimensione del proprio limite e fatica a trovare il perdono profondo che solo l'amore di Dio può dare. Che le nostre comunità, continuando il cammino suggeritoci dal Vangelo domenica scorsa, diventino luogo di comunione, di accoglienza di perdono dato e ricevuto, per diventare testimoni credibili dell'amore di Dio.
Probabilmente era un Vescovo missionario in Africa che, respinto dall’ Islam tornò a morire a Palermo.
Parola di Dio: 1 Tm 2,1-8; Sal 27; Lc 7,1-10
"SIGNORE, NON STARE A DISTURBARTI, IO NON SONO DEGNO CHE TU ENTRI SOTTO IL MIO TETTO". (Lc.7,6)
Ogni volta, prima di ricevere la Comunione, noi ripetiamo questa frase del centurione romano. E’ una frase di grande fede che presuppone riconoscenza ed umiltà. In fondo diciamo a Dio che ci fidiamo di Lui anche in mancanza di sicurezze materiali. Oggi c’è quasi una ossessione di avere sicurezze. Si esige e si offre sicurezza per tutto: malattie, incidenti, invalidità, pensione, disoccupazione, casa, automobile, viaggi. Anche sul piano della fede vorremmo sicurezze. Mai come oggi, in una società materialistica, c’è tanta sete di straordinario e di miracoli; basta una presunta apparizione per attirare folle mentre, magari, la domenica le chiese sono semivuote. Il centurione invece ci dimostra che l’unica sicurezza è fidarsi della Parola, a quella parola dobbiamo firmare una polizza in bianco; in questo sta la fede che, come dice la lettera agli Ebrei, “è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono”. Noi non siamo degni che Gesù venga ad abitare in noi. Prima di tutto non siamo degni perché come può la nostra piccola umanità accogliere in se stessa la divinità? Anche il più grande santo o il più grande mistico è indegna dimora del Dio Creatore, Salvatore, Onnipotente. Per un ebreo, entrare in casa di un pagano era contaminarsi; a noi, ad entrare in Comunione con Gesù, sembra quasi di contaminare Lui. Poi non siamo degni anche perché siamo peccatori, incapaci di vivere con equilibrio, con decisione, con costanza la sua parola, egoisti incapaci di amore… E allora? Non andremo più a fare la Comunione, ci priveremo del pane del cammino per la nostra indegnità? Ricordiamoci sempre che se noi siamo indegni e abbiamo quasi timore di accostarci a Gesù, è invece Lui che vuole venire a noi. La distanza tra noi e Lui non siamo noi a superarla, è Lui a venirci incontro, è Lui che ci chiede di fare memoria di quanto ha fatto per noi per entrare in comunione di salvezza con Lui. Ricevere il pane della vita significa infatti essere salvati senza alcun merito da parte nostra, ma unicamente attraverso la Grazia che ci viene donata. Ripetere la frase del centurione prima di accostarci all’Eucaristia, è allora constatare, con umiltà e quindi con verità che noi non solo non abbiamo nessun merito per ricevere Gesù, ma è anche riconoscenza assoluta per Colui che ci ama e ci salva “mentre siamo peccatori” e diventa anche il momento in cui, come il centurione, abbiamo il coraggio di chiedere e sul suo amore siamo anche certi che Lui in qualche modo ci ascolterà.
Nacque a Grenoble tra il 565 e il 570, fu monaco ad Agauno, nel Vallese. Dopo trent’anni si ritirò a vita eremitica, dalla quale usci solo per fondare con Romarico un monastero doppio, maschile e femminile. Della sua morte non conosciamo l’anno ma solo il giorno, il 13 settembre.
Parola di Dio: 1 Tm 3,1-13; Sal 100; Lc 7,11-17
“VEDENDOLA (LA MADRE DEL MORTO) IL SIGNORE NE EBBE COMPASSIONE…”. (Lc 7,13)
Ogni miracolo di Gesù ha sempre molteplici significati. Ad esempio il far risorgere il figlio della vedova di Naim ci mostra prima di tutto un Gesù attento, pieno di sentimenti umani profondi. Egli vede il dolore di una madre accanto alla bara del figlio morto. Ha compassione e si muove anche spinto da questo profondo dolore. Immaginiamo il suo sguardo puro e limpido che non esita a manifestare i suoi sentimenti. Si avvicina alla bara e con il suo solo gesto e la sua parola resuscita il figlio morto e lo ridona alla madre. Ma in questo gesto del ridare la vita ad un morto è indicata anche tutta la missione di Gesù: la sua compassione per noi lo porta a donarci la vita. Il cristiano, infatti, immedesimandosi nel mistero pasquale di Cristo rinasce ad una nuova vita che supera le semplici qualità della vita terrena. La vita cristiana, vissuta nella fede, nella carità e con la preghiera è proprio il continuo rinascere in Cristo. Il battesimo ed i sacramenti ridonano, in Cristo una nuova vita, e ci mostrano la possibilità di poter partecipare alla sua vita divina. La partecipazione all'Eucaristia ci aiuta in questa rigenerazione spirituale in Cristo, assumendo il suo Corpo. Il sacramento della riconciliazione, che i Padri definivano la seconda zattera di salvezza, dopo il Battesimo, ci riconcilia all'amore del Padre tramite la chiesa di Cristo nell'opera dello Spirito Santo. I sacramenti ci accompagnano nelle scelte fondamentali della nostra vita proprio indicandoci la strada che è in Cristo, per Cristo e con Cristo.
Parola di Dio: Nm 21,4b-9 opp. Fil 2,6-11; Sal 77; Gv3,13-17
“COME MOSE’ INNALZO’ IL SERPENTE NEL DESERTO. COSI’ BISOGNA CHE SIA INNALZATO IL FIGLIO DELL’UOMO, PERCHE’ CHIUNQUE CREDE IN LUI ABBIA LA VITA ETERNA”. (Gv. 3,14-15)
Da sempre e per primo Dio ha amato gli uomini, ma il Vangelo ci dice anche la misura senza limiti di questo amore: il dono del Figlio morto e risuscitato per noi. Egli è come l’antico serpente di rame innalzato nel deserto per la guarigione di quanti erano stati morsicati da serpenti velenosi, a causa della loro infedeltà. Egli è innalzato come su un trono, è glorificato sul legno della croce. Chi guarda Lui è salvo. Al termine della passione di Gesù, Giovanni riporterà le parole di un profeta: “Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto”. Tutta la storia della salvezza è storia di questo amore fedele, tenace da parte di Dio. Se vogliamo essere coinvolti in questa storia di salvezza, dobbiamo credere all’amore di Dio, affidarci a questo amore anche nei momenti più bui e difficili, guardare con più insistenza e con più passione al Cristo crocifisso: Egli non è venuto per giudicare e per condannare, ma per salvare. Chi guarda il crocifisso smaschera le proprie menzogne, i propri alibi, il proprio egoismo; si fa trasparente come è trasparente lui, lì sulla croce, squarciato e aperto allo sguardo di tutti. Il crocifisso ci insegna a smascherare gli idoli di questo mondo, i potenti di questo secolo, i soprusi e le ingiustizie, per far risplendere la luce e la verità del Padre su tutte le cose. Guardiamo al Signore Gesù innalzato sul legno della ignominia e della gloria e chiediamo con le parole della liturgia: “O Dio che illumini ogni uomo che viene in questo mondo, fa risplendere su di noi la luce del tuo volto”.
Nacque nel 1124. Scelse la strada del monachesimo cistercense. San Bernardo ebbe grande fiducia in lui e lo mandò a fondare monasteri in Francia e in Germania. In vecchiaia fu maestro dei novizi a Chiaravalle. Morì dopo il 1170
Parola di Dio: Eb 5,7-9; Sal 30; Gv 19,25-27 opp. Lc 2,33-35
"STAVA PRESSO LA CROCE DI GESU', SUA MADRE". (Gv.19,25)
Fra tutte le ore della vita, non c’e un’altra ora più preziosa di quella della morte tua o dell’altro. Lì non puoi non essere veritiero e sincero. Maria davanti al mistero della passione e morte di Cristo quali opere ha fatto? Nulla di trascendentale, ma Maria c'era. Maria, si è fatta trovare come in tutti gli altri momenti importanti della vita di Gesù, perché è lì e partecipa. Infatti ai piedi della croce Maria non è una figura decorativa, espressione dei buoni sentimenti pietistici umani. E' lì perché corredentrice. Il suo dolore non è figura, è dolore vero, concreto, da infarto, di una madre che vede morire il proprio Figlio in una maniera terribilmente atroce; Lei vede il frutto del suo grembo piagato, distorto, tumefatto, grondante sangue; ogni ferita del Figlio è ferita della Madre; è il dolore di una donna di fede che grida come suo Figlio al Padre: ".. se possibile.." e che non sente risposta; "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?", e prova il silenzio di Dio. E' il dolore di una donna che ha vissuto il mistero di un figlio, il Figlio di Dio e vede suo figlio e il suo Dio in croce, impotente. E' colei che ha sentito e vissuto la predicazione del Figlio, che ha partecipato alla vita dei primi amici di suo Figlio ed ora li vede dispersi. E' Colei a cui viene chiesto di farsi carico, come figli, di coloro che stanno facendo morire in croce suo Figlio per i quali anche lei deve pregare come Gesù: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno". Maria, Tu ci sei ancora, alla croce di tuo Figlio e alle croci dei tuoi figli, e il tuo dolore si rinnova ogni volta… sembra che non fai niente, come quel giorno, eppure fai più di tutti, perché tu ci sei e noi, come Gesù in quel momento, abbiamo bisogno soprattutto della tua presenza.
Sono tre vergini ricordate a Maranza. Esse con ogni probabilità dovettero fuggire dal loro paese (probabilmente paesi baltici) a causa delle invasioni barbariche nel V secolo dopo Cristo. Arrivarono in Val d’Isarco ma non furono accolte, allora si spostarono verso la Val Pusteria e poi salirono al paese di Maranza dove furono accolte. Esse lavorarono in quel paese e propagarono la fede cristiana ottenendo molte conversioni. Furono però martirizzate per la fede.
Parola di Dio: 1 Tm 6,2c-12; Sal 48; Lc 8,1-3
"C'ERANO CON LUI I DODICI E ALCUNE DONNE… CHE LI ASSISTEVANO CON I LORO BENI". (Lc. 8,2-3)
Il problema femminile oggi ha fatto grandi passi (o, almeno, così si pensa). Ma credo che la mentalità nei confronti della donna stenti ancora molto sia nel mondo civile che in quello religioso ed anche che un certo modo di rivendicazione di diritti da parte di certi gruppi femministi non sia poi una vera liberazione se consiste nel permettere alla donna di caricarsi delle catene dell’uomo. Gesù, con buon scandalo dei benpensanti di allora, in una mentalità difficile per il popolo ebraico, gioiva della presenza, dell’aiuto di alcune donne. Ancora una volta ci accorgiamo che Gesù non guarda tanto ai ruoli prefissati dal costume, ma al cuore che con le sensibilità diverse dell’uomo o della donna, vuol però seguire e amare il suo insegnamento. Anche Maria, la Madre di Gesù non ha fatto campagne in favore della donna, ha fatto la donna. Insegni Lei a uomini e donne il rispetto e la valorizzazione vicendevole.
Erano parenti di Chiara di Assisi e l’avevano seguita. Verso il 1233 partirono da San Damiano per la Spagna dove diffusero le clarisse. Agnese morì il 17 settembre 1281. Chiara nel 1319.
Parola di Dio: 1Tm 6,13-16; Sal 99; Lc 8,4-15
“IL SEMINATORE USCI’ A SEMINARE” (Lc. 8,5)
Lascio che oggi un amico laico, Bruno, ci stimoli con una sua riflessione: Quel Contadino innamorato della campagna deve farci fermare a riflettere. Se il Seminatore è Dio quell’“uscì” è carico di significato. Dio “esce” per seminare, cioè si muove per andare verso l’uomo, per incontrarne la profondità più autentica del cuore e piantare in lui il germe di una parola destinata a cambiarlo radicalmente e a dargli la vita per sempre. Dio “esce” dalla propria trascendenza per giocarsi il tutto e per tutto in una relazione in cui sa già che potrà essere “perdente” più di una volta. Dio “esce”da una beatitudine che potrebbe da sola dare l’impressione di gelosa chiusura sulla propria santità, per cercare un rapporto diretto con la sua creatura. Dio “esce” anche sapendo che una parte del terreno sarà inadatto a far crescere la benefica semente; Egli non si ferma tentennante sull’uscio per stare a pensare un’ultima volta se “ne vale proprio la pena…” Quel Dio che “esce deve farci commuovere, deve toccarci nel cuore indurito ed assuefatto ai tanti artificiosi calcoli umani che hanno ucciso il volto più nobile dell’amore. Se anche noi non impariamo ad “uscire” più spesso e con meno preventivi in tasca, rischiamo di perdere la parte più bella della vita e di non riuscire più a gustarne le pienezza. Soprattutto rischiamo di non essere più capaci di guardare all’atto del dare per dare, troppo presi dal dare "qualcosa", per ricevere "altrettanto".
EUSTORGIO I, Santo, Vescovo
Sembra che Eustorgio sia stato inviato a Milano dall'Oriente come governatore della città, dove, alla morte di Protaso, fu acclamato vescovo e tale operò tra il 343 e il 350 Tenne due sinodi contro Fotino. E’ rimasto nella memoria per il suo zelo, lodato da Sant’ Atanasio e Sant’Ambrogio. Fu sepolto nella chiesa dei santi Re Magi dedicata in seguito a lui.
Parola di Dio: Is 55,6-9; Sal 144; Fil 1,20c-27; Mt 20,1-16a
“MORMORARONO CONTRO IL PADRONE DICENDO: QUESTI ULTIMI HANNO LAVORATO UN’ORA SOLTANTO E LI HAI TRATTATI COME NOI CHE ABBIAMO SOPPORTATO IL PESO DELLA GIORNATA E IL CALDO”. (Mt.20,11-12)
Tutta la “morale” della parabola è nell’ ordine inverso della paga. La paga è la valutazione del lavoro in termini di denaro; ebbene, la parabola vuol dire che Dio ha un modo diverso di ragionare e di valutare. Noi siamo dentro una società di conti e di bilanci e la mentalità del contratto ha conquistato ogni dimensione dell’uomo e questa mentalità è addirittura arrivata a contaminare i rapporti dell’uomo con Dio. Spesso crediamo di essere noi i costruttori della nostra salvezza attraverso l’osservanza di alcune norme, Dio, per qualcuno è diventato una specie di datore di lavoro o di controllore che alla fine pesa, paga e tutto è a posto. Ma Dio non è così, Dio non è riducibile ai nostri schemi e “i suoi pensieri sono diversi dai nostri pensieri”. Dio agisce secondo i criteri della gratuità: Egli non è tanto Colui che paga secondo il guadagno ma Colui che dona al di sopra e al di fuori di ogni contratto. La gratuità non rinnega la sua giustizia, ma imprevedibilmente la supera. Come è bello, invece che essere calcolatori nei confronti di Dio, non aspettarsi niente come dovuto ma passare da una meraviglia all’altra nello scoprire la sua misericordia e la sua grandezza! Potergli dire: “mi fido di te perché non hai mai deluso nessuno!”.
Era nato il 17 Ottobre 1500 a Oropesa vicino a Toledo, in Spagna. Studiò arte e musica e pur avendo solo quattordici anni era già alla famosa università di Salmanca. Nel 1523 sentì il dovere di entrare negli Agostiniani e fu mandato a predicare. Nel 1549 si imbarcò per il Messico come missionario, ma per motivi di salute dovette ritornare. Fu scelto come predicatore reale alla corte di Carlo V ma, nonostante questo, la sua vita era austera e povera, assisteva malati e bisognosi e pregava molto. Morì il 19 Settembre 1591.
Parola di Dio: Esd 1,1-6; Sal 125; Lc 8,16-18
“NESSUNO ACCENDE UNA LAMPADA E LA COPRE CON UN VASO; LA PONE INVECE SUL LAMPADARIO, PERCHE’ CHI ENTRA VEDA LA LUCE. (Mt. 8,16)
Per cercare di comprendere in pieno il versetto del vangelo che meditiamo oggi, dobbiamo partire da un’altra affermazione di Gesù che dice di se stesso: “Io sono la luce del mondo”. Lui con la sua persona, con la sua parola è venuto ad accendere in noi la luce di Dio, a farci vedere il mondo, la vita non con le nostre piccole luci baluginanti, ma con la luce, il pensiero stesso di Dio su di noi e su tutte le cose. Il cristiano dovrebbe dunque essere un “illuminato” dallo Spirito di Dio. E allora come mai i cristiani stentano a diventare a loro volta luce riflessa di Dio sul mondo? Come mai, ad esempio, molti ci conoscono per qualche particolare della nostra vita o della nostra famiglia oppure per la professione che esercitiamo ma raramente siamo conosciuti come cristiani veri? Forse perché troppe storpiature cristiane sono state presentate al mondo, sembra quasi esserci in noi una sorta di falso pudore nel presentarci come cristiani. E’ vero che il credente e il non credente sono entrambi figli di Dio, è vero che noi non dobbiamo imporre la fede agli altri. Ma gli altri dovrebbero accorgersi dal nostro modo di vivere, di affrontare le cose, di rapportarci con la storia e con il prossimo concreto, che noi ci lasciamo illuminare e guidare da Dio. Se allora il cristiano non è uno che attacca manifesti di propaganda per la sua fede è uno però che deve lasciare che la luce che Dio gli ha dato, e che Gesù ha acceso in lui fin dal giorno del battesimo, si manifesti e direttamente o indirettamente porti luce anche al mondo.
Apparteneva ad un famiglia aristocratica romana. Nella propria abitazione aveva organizzato una grande biblioteca dei padri latini e greci. Fu consacrato il 13 maggio del 535. Uomo forte e deciso operò per affermare sempre più il primato di Pietro. Andò personalmente a Bisanzio per cercare di evitare l’invasione dell’Italia. Morì il 22 aprile 536.
Parola di Dio: Esd 6,7-8.12b14-20; Sal 121; Lc 8,19-21
“MIA MADRE E I MIEI FRATELLI SONO COLORO CHE ASCOLTANO LA PAROLA DI DIO E LA METTONO IN PRATICA”. (Mt. 8,21)
Gesù è davvero la novità. Con lui saltano un po’ tutti i nostri modi di intendere o, meglio, trovano in Lui un significato diverso e pieno anche tutti i nostri rapporti umani: guardiamo l’esempio del Vangelo di oggi. Se noi ragioniamo solo con la mentalità umana potremmo considerare Gesù addirittura un maleducato o un presuntuoso che non accoglie la visita di sua Madre e dei suoi parenti. Gesù, invece, approfittando di questo fatto vuol farci capire che valorizza al massimo la parentela, ma non solo quella del sangue (che sotto un certo aspetto non abbiamo scelto noi) ma che con Lui assume dei connotati nuovi. Maria è parente di Gesù perché lo ha generato alla vita terrena, perché con Lei c’è un legame profondo di figlio e madre, ma Maria è ancora più Madre di Gesù proprio perché Lei, nella sua semplicità ma nella sua fede profonda, ha accolto non solo un Figlio, ma il Figlio di Dio, perché è la prima discepola nel mettersi ad ascoltare e vivere la Parola di suo Figlio. E noi possiamo diventare: “madre e fratelli di Gesù” se anche noi ci mettiamo in ascolto di Lui per poi realizzare con Lui il suo Regno. Però ci sono tanti modi di ascoltare: posso ascoltare, sentire dei suoni, ma non comprenderli (ad esempio quando uno parla una lingua da me non conosciuta o quando non conosco i termini che usa), si può far finta di ascoltare e pensare ad altro (metodo molto usato specialmente da chi vuol perseguire i propri interessi); si può non capire il senso delle parole altrui perché molto diverse dal nostro modo di intendere; si può capire, magari anche dare ragione, ma poi o dimenticare o passare oltre. Anche in questo Maria può insegnarci molto. Anche lei non capiva tutto, ma ascoltava, registrava, “teneva nel cuore”, “meditava”. Lei era sicura di suo Figlio: anche davanti ad un apparente diniego dice sicura ai servi di Cana: “Fate quello che Egli vi dirà”; è una che non perde le occasioni, è una che c’è nei momenti più importanti; non è una che si appropria di Gesù, ma sa mettersi in fila come gli altri… Sia proprio Lei ad insegnarci ad ascoltare e a gioire della nuova parentela che ci unisce al Figlio di Dio.
Abbiamo poche notizie di questi due santi, esse ci dicono che i due vescovi furono prudenti e pieni di timor di Dio attenti alla predicazione e alla carità.
Parola di Dio: Ef 4,1-7.11-13; Sal 18; Mt 9,9-13
“MENTRE GESU’ SEDEVA A MENSA IN CASA, SOPRAGGIUNSERO MOLTI PUBBLICANI E PECCATORI E SI MISERO A TAVOLA CON LUI E CON I DISCEPOLI”. (Mt. 9,10)
Nella liturgia della festa di San Matteo, mi piace molto la preghiera che la Chiesa ci propone al termine dell’Eucaristia, essa dice così: “O Padre, tu ci fai rivivere nell’ Eucaristia l’esperienza gioiosa di San Matteo che accolse come ospite il nostro Salvatore: fa che possiamo sempre recuperare le nostre energie alla mensa di colui che è venuto a chiamare a salvezza non i giusti, ma i peccatori” Ogni volta che celebriamo l’Eucaristia noi siamo chiamati a casa di Gesù, nel cuore di Gesù e del suo mistero di salvezza. Ogni volta che ci cibiamo del suo pane e della sua parola noi santi e peccatori siamo chiamati a partecipare della sua misericordia e della sua luce. Ogni volta che capiamo davvero che cosa sia mangiare alla mensa di Gesù significa “recuperare le nostre energie”, scoprire l’altro come un fratello e allora non c’è più l’invidia come nei farisei (“mangia insieme ai peccatori e ai pubblicani”) ma gioia nel vedere noi e il fratello recuperati. Che bella questa Eucaristia preparata da Dio a cui siedono uomini di ogni genere: santi e peccatori perché i santi vi prendono la loro santità e i peccatori, se lo vogliono, vi trovano la misericordia. Non siano mai più un rito formale le nostre Eucaristie, sarebbe svilire il dono della misericordia e la fonte della gioia!
Nacque il 5 giugno 1686 a Santhià in provincia di Vercelli. Nel 1706 sentì di essere chiamato alla vita ecclesiastica ed entrò nel seminario di Vercelli. Ordinato nel 1710 fu istruttore per la nobile famiglia Avogadro, ma nel 1716, rinunciando a nomine e privilegi, entrò tra i cappuccini di Chieri. Per 13 anni fu maestro dei novizi a Mondovì. Fu anche cappellano dell’esercito del Re Carlo Emaunuele II. Si prodigò in particolare nell’assistenza dei feriti e degli ammalati. Poi si spostò, fino alla sua morte, al Monte dei Cappuccini dove pur compiendo i suoi umili doveri quotidiani predicò, confessò, andò a trovare i poveri di Torino. Morì il 22 settembre 1770.
Parola di Dio: Ag 1,1-8; Sal 149; Lc 9,7-9
“ERODE CERCAVA DI VEDERLO”. (Lc. 9,9)
Erode sa che cosa succede nel suo Regno. i suoi informatori lo avvisano sulla predicazione e sui miracoli di Gesù come già in precedenza lo avevano informato sull’operato di Giovanni. Ma questo non suscita in lui altro che curiosità e qualche velleitario desiderio di vedere Gesù. Anche oggi Gesù e i cristiani suscitano discussioni, perplessità e in molti, specialmente davanti ad aspetti misteriosi, il desiderio di “vedere”. Ci sono persone disposte magari ad affrontare anche viaggi lunghi e disagiati pur di raggiungere “quel posto dove avvengono miracoli” ,ci sono potenti che pur di raccattare qualche consenso, dimostrano attenzione agli aspetti religiosi degli uomini, ci sono intellettuali sempre disposti a suon di logica a fare “tavole rotonde” su Gesù. Anche Erode cercava di “vedere Gesù”, ma gli mancava l’intenzione di “riconoscere” Gesù nella sua missione di profeta. Non basta “vedere Gesù”, “incuriosirsi di Gesù”, magari andare a vedere il volto di Gesù nella Sindone. Gesù bisogna incontrarlo personalmente, lasciarci mettere in crisi dalla sua persona, lasciarci coinvolgere dalle sue parole, trovare l’umiltà di confrontarci con il mistero che Egli manifesta.
Nacque a Miseno nel 205 Fu uno dei più ardenti animatori di gruppi dei primi cristiani. Papa Simmaco ce lo mostra Diacono zelantissimo fino al sacrificio. Fu talmente ripieno di Spirito Santo che il suo consiglio fu richiesto anche dal grande vescovo nolano san Gennaro. Fu durante una visita di questi che il popolo vide una fiammella pentecostale sulla testa del santo. Morì decapitato il 19 settembre del 305 presso la solfatara di Pozzuoli, durante la persecuzione di Diocleziano, proprio insieme a san Gennaro.
Parola di Dio: Ag 1,15b—2,9; SaI 42; Lc 9,18-22
“PIETRO RISPOSE: TU SEI IL CRISTO DI DIO”. (Lc. 9,20)
Non basta sapere la risposta giusta, bisogna capire chi sia davvero il Cristo. Gesù aveva fatto la sua inchiesta tra gli apostoli su cosa la gente pensasse di Lui, poi si era rivolto a loro per interrogarli personalmente e Pietro guidato dallo Spirito era arrivato alla risposta giusta: “Tu sei il Cristo di Dio”, ma non basta: una volta accettato che Gesù sia il Cristo bisogna vedere se corrisponde al nostro modo di pensare o sia totalmente diverso. Pietro pensava, come i suoi contemporanei, ad un Cristo liberatore politico, instauratore di un nuovo regno, uomo di forza e di potere che avrebbe liberato Israele dai Romani e che in seguito avrebbe anche riportato il popolo alla vera religione degli antichi. Invece Gesù gli cambia le carte in tavola: Lui è davvero il Cristo ma un Cristo che libera l’uomo dal di dentro, dal male, dal peccato e che per far questo non sceglie la strada della potenza ma quella della non violenza. E non sarà neanche il Cristo dei religiosi, delle teologie preconfezionate, delle caste sacerdotali anzi saranno proprio questi a riprovarlo, a condannarlo, a farlo morire come uno schiavo sulla croce. Dio metterà la firma all’opera del Cristo non facendolo scendere dalla croce, non rendendolo eroe senza macchia e senza paura, ma facendolo risorgere dai morti perché il risorto porti nel cielo anche le ferite della sua passione e del suo amore per gli uomini. Penso che tutti voi che leggete queste righe insieme con me diciate: “Credo che Gesù è il Cristo!” : Bravi! Risposta giusta, ma anche noi, detto questo è ora che cominciamo a capire chi sia veramente Gesù e Dio suo e nostro Padre perché anche noi abbiamo tante false immagini del suo volto per esempio: Il nostro dio non sta sempre con i cosiddetti “buoni” ma cerca i peccatori; Dio non risolve i problemi a colpi di bacchetta magica; Dio non gode delle nostre sofferenze per poterci redimere; Dio non lo compri con preghiere o Messe fatte dire; Dio non è solo con questa o con quella chiesa; Dio non veste solo come i religiosi ma lo trovi ovunque; la Bibbia non è la risposta automatica a tutte le nostre domande. “Tu sei il Cristo, Gesù, ma, detto questo, aiutami a capire chi sia il Cristo che vuole salvarmi, il Cristo di Dio”.
Milanese, nacque il 3 agosto 1800 in una pia famiglia; compì i suoi studi nei migliori collegi diocesani, laureandosi nel 1823 in diritto civile ed ecclesiastico all’Università di Pavia. Dopo due anni da legale, si sentì chiamato al sacerdozio, quindi entrò nel Seminario Maggiore di Milano per gli studi teologici; venne consacrato sacerdote il 13 giugno 1829, entrando nello stesso giorno fra gli Oblati Missionari di Rho, dediti alla predicazione al clero stesso e al popolo. Aprì a Saronno nel 1836 un oratorio festivo e poi un orfanotrofio; nel 1850 riuscì ad aprire a Saronno il primo seminario italiano per sacerdoti da inviare nelle Missioni Estere (oggi P.I.M.E.). Venne eletto vescovo di Pavia; Era in piena attività apostolica, quando nel 1858 venne eletto patriarca di Venezia, diocesi in cui entrò il 15 maggio 1858, fra l’entusiasmo dei veneziani che lo salutarono come ‘angelo di nome e di fatto’. A soli 61 anni, morì il 24 settembre 1861 a Crespano del Grappa.
Parola di Dio: Zc 2,5-9.14-15; Cantico da Ger 31,10-12b.13;Lc 9,43b-45
“MA ESSI NON COMPRENDEVANO” (Lc. 9,45)
Credere a Gesù può anche essere esaltante, ed è bello. Ma credere a Gesù che annuncia non di conquistare il mondo, ma di andare a finire su una croce come l’ultimo dei briganti, non è facile. Credere a Gesù che ci parla di gioia, di paradiso, è entusiasmante, ma credere quando ti scontri con il dolore, quando cerchi di conciliare la morte di un bambino o di un innocente con la bontà del Padre, non è così semplice. Essere cristiani, discepoli di Cristo, non significa aver capito tutto. Dopo il battesimo, dopo il catechismo, dopo anni che magari sei prete ed hai predicato ad altri Gesù, non hai la garanzia di sapere tutto, ogni giorno anche tu, come tutti gli altri, sei alla ricerca davanti al mistero di Gesù, puoi incorrere in errori, devi ancora e sempre interrogarti. Anche il ministero della Chiesa, pur con la sua infallibilità sui dogmi della fede, non è esente dalla ricerca, dagli errori temporali, dalla gioia di un incontro sempre nuovo con il suo Salvatore. E, notiamolo, Gesù non si spaventa delle incomprensioni e degli errori degli apostoli, non li caccia via perché non ci arrivano, continua a camminare con loro, si fida ugualmente di loro, affida se stesso e la sua Parola a loro. Mettersi a seguire Cristo non è trovare automaticamente Lui e le risposte ad ogni quesito e aspetto della vita, è invece la bellissima e gioiosa avventura del tentare e ritentare, dell’aprirsi a Lui ogni giorno. Che un filosofo o un teologo, blaterando, cerchino di spiegare ad un malato il perché della sofferenza, non cambia di una virgola la sofferenza del malato; se qualcuno con amore, servizio, disponibilità si fa parte della sofferenza del malato, anche questo non cambia la sofferenza del malato, ma lo aiuta, non lo fa sentire solo, gli dà conforto. Gesù ha fatto proprio così.
E’ il primo Vescovo di Milano, con ogni probabilità verso la fine del secondo secolo, epoca in cui la municipalità divenne colonia imperiale. Sembra che fosse un orientale venuto a Milano per assistere spiritualmente i suoi compatrioti che erano cristiani, ed è proprio da allora che il cristianesimo a Milano cominciò a fare conquiste anche nel mondo romano.
Parola di Dio: Ez 18,25-28; Sal 24; Fil 2,1-11; Mt 21,28-32
“UN UOMO AVEVA DUE FIGLI…”. (Mt. 21,29)
I benpensanti religiosi del tempo di Gesù, come quelli di oggi, dividevano il mondo in “giusti” e “peccatori”. Gli “osservanti” facevano parte della prima categoria i secondi erano tutti quelli che vivevano al margine della legge. Gesù, invece ci fa comprendere che i criteri che sostengono la morale del Regno di Dio sono ben diversi dai nostri. I “giusti” appaiono a Gesù autosufficienti, arroganti, inconcludenti perché arroccati nei propri schemi personali. I “peccatori” sono dei fuorilegge rispetto alla regolamentazione religiosa, ma mostrano apertura e si rivelano disponibili credendo all’annuncio del regno. I primi “hanno visto”, ma non hanno creduto; i secondi si sono “pentiti” e quindi “passano avanti” nel Regno. Ma Gesù raccontando di quei due figli che cambiano idea vuole insegnarci anche un’altra cosa importantissima: la fede cristiana ha una caratteristica che la rende unica. Il fatto di avere un Dio incarnato costringe la nostra spiritualità ad incarnarsi, obbliga la nostra preghiera a diventare azione, porta i nostri discorsi alla verifica continua nelle azioni. Come sarebbe più comoda una fede che resta nei cieli! Una religione che si esaurisce nella preghiera e nel culto. Macché: Gesù desidera che lo imitiamo nelle parole e nelle opere. Che la nostra fede conservi questo doppio polmone di incontro nell’intimo e di servizio nella vita. E allora, anche se disturba, dobbiamo chiedercelo: quanto influisce la nostra fede sulla nostra vita? Quanti gesti sono cambiati da quando il Vangelo è entrato nella mia vita? Questa riflessione ci obbliga ad essere estremamente concreti, sinceri con noi stessi.
EUSEBIO DI BOLOGNA, Santo, Vescovo
Fu il 5º vescovo di Bologna. Partecipò con sant'Ambrogio al concilio di Aquileia del 381. Fu sostenitore della fondazione dei collegi di vergini. Morì verso il 390.
Parola di Dio: Zc 8,1-8; Sal 101; Lc 9,46-50
"MAESTRO, ABBIAMO VISTO UN TALE CHE SCACCIAVA I DEMONI NEL TUO NOME E GLIELO ABBIAMO IMPEDITO PERCHE' NON E' CON NOI, TRA I TUOI SEGUACI". (Lc. 9,49)
“Dobbiamo difendere la verità, l’ortodossia della nostra fede!”. Forse Giovanni pensava così o forse era anche un po’ invidioso di aver visto uno che non essendo del gruppo dei dodici riusciva a fare miracoli là dove forse lui non era riuscito. Sovente si prende posizione contro qualcuno, lo si considera un nemico, soltanto perché fa ciò che noi non vogliamo o non sappiamo fare. Ed è triste constatare come un gruppo si rafforzi ( ma anche si radicalizzi) soprattutto quando si coalizza contro qualcuno. Gesù non è venuto contro qualcuno, ma per tutti. Il Vangelo non serve per difendere i diritti di qualcuno ma per essere buona notizia per ogni uomo. Noi viaggiamo ancora per etichette. Nel nostro mondo religioso i muri stentano a cadere. La storia, le interpretazioni arbitrarie, spesso dettate da motivi tutt'altro che religiosi, hanno fatto sì che si manifestasse la piaga delle divisioni: persone che si dicono credenti in Cristo e si fanno la lotta tra loro. Pensiamo poi a un’altra fonte di divisione: cattolici che si osteggiano perché appartengono a gruppi diversi. Gesù è venuto per unire. Gesù vuol fare un sol gregge sotto un solo pastore. Gesù ci dà il metro per saper leggere l’unità: tutto ciò che concorre al bene del prossimo, tutto ciò che sfocia in opere di fede e di carità è positivo. Dovremmo proprio deporre gli occhiali scuri che ci fanno vedere solo il negativo per aprire gli occhi alla luce e cogliere tutto il positivo! Provate a pensare anche solo alle nostre famiglie, se invece di accanirci e farci sangue gramo per le diversità, invece di lamentarci per i veri o presunti soprusi, sapessimo vedere quanto di buono ci è dato e c’è nell’altro, quanta più tolleranza ci sarebbe, quante discordie sarebbero superate!
Nacque a Robians in Provenza nel 1285 era conte di Ariano presso Benevento. Fu soldato. Sposò la Beata Delfina di Glandeve. Gli sposi avevano fatto voto di castità. Elzeario morì a Parigi nel 1325.
Parola di Dio: Zc 8,20-23; Sal 86; Lc 9,51-56
"SIGNORE, VUOI CHE DICIAMO CHE SCENDA UN FUOCO DAL CIELO E LI CONSUMI?". (Lc. 9,54)
Il Vangelo di ieri ci metteva in guardia contro la tentazione di dividere il mondo in buoni (i “nostri”) e in cattivi (gli altri), quello di oggi sul seguito di questa tentazione: “se non la pensano come noi, facciamoli fuori!” Gli apostoli davanti a dei Samaritani che non vogliono accogliere Gesù, non solo si sentono autorizzati a giudicarli ma, quasi fossero essi stessi il giudizio e la forza di Dio, vogliono impunemente mettersi al suo posto per bruciarli. La tentazione di invocare i fulmini di Dio sui cattivi o su coloro che non la pensano come noi, è sempre presente: pensate alle guerre di religione, quelle grandi che ancora oggi arrossano di sangue il mondo e quelle piccole che dividono all’interno delle nostre comunità cristiane dove a volte si lanciano anatemi a persone della stessa fede solo perché appartengono a gruppi diversi. E’ il solito peccato: diventare noi giudici prendendo il posto di Dio. Lui solo conosce i cuori, Lui solo sa tutto, Lui solo può giudicare. E il giudizio di Dio non è per la distruzione ma per la salvezza. Gesù non accetta guerre di religione, Gesù non dimostra di essere la verità facendo scendere con potenza il fuoco dal cielo. Gesù non si impone con forza ma ha sempre cercato di illuminare le coscienze e di convertire i cuori con pazienza e amore. Non ci dice di non discernere tra il vero e il falso, non ci dice neppure di lasciarci prendere per il naso da pseudo religioni prive di ogni fondamento, ma ci dice di saper vedere anche in chi è diverso, in chi ci è contrario, un fratello, così come non ci manda per imporre la sua religione, ma per proporre serenamente con parole, ma soprattutto con fatti, la sua persona.
Nacque il 19 marzo 1844. Fu ordinato sacerdote nel 1867 e svolse l’ufficio di vicerettore del Seminario di Brescia. A trent’anni, aspirando ad una vita di maggior perfezione entrò nell’ordine dei frati cappuccini, nel convento della Santissima Annunziata a Brescia. Morì il 3 marzo 1890.
Parola di Dio: Ne 2,1-8; Sal 136; Lc 9,57-62
“IL FIGLIO DELL’UOMO NON HA DOVE POSARE IL CAPO (Lc. 9,58)
Gesù davanti all’entusiasmo un po’ troppo immediato e forse senza grandi radici di uno che vuole seguirlo afferma di “non avere casa fissa”, di non dare “sicurezze materiali ai suoi discepoli. Fa impressione pensare che Gesù, Figlio di Dio, Signore dell’universo, non abbia un posto dove posare il capo. Questo ci indica, prima di tutto, l’ansietà di Dio nel venirci a cercare, poi il distacco di Gesù dalla materialità delle cose e soprattutto il suo desiderio di trovare dimora presso il nostro cuore. A Gesù non serve una casa, non servono neppure le chiese se dietro non ci sono dei cuori disposti ad accoglierlo. A Gesù non servono neanche le mille cose che possiamo fare per la sua religione se non sono espressione di averlo incontrato e volerlo portare con gioia ad altri. Gesù cerca noi. E viene a noi come un povero. Ma viene a noi per portarci se stesso, cioè tutto. Non preoccupiamoci neppure se la nostra casa è in perfetto ordine o se ancora solo un tugurio; a mettere in ordine ci penserà Lui se noi lo accogliamo. Pensiamo a Zaccheo, quell’esattore delle tasse anche un po’ ladro, che una volta accolto Gesù in casa sua riesce a cambiar vita e a restituire il maltolto; pensiamo a quel romano che dice a Gesù di non essere degno di accoglierlo, ma di essere sicuro del suo amore; pensiamo a quel ladrone che accoglie Gesù all’ultimo momento della sua vita, nella sofferenza, a cui viene promessa la casa dell’eternità
Apparteneva alla nobile famiglia dei Burckart. Sentì la chiamata al silenzio e alla adorazione, divenne quindi anacoreta nell’isola di Ufnau sul lago di Zurigo. In seguito entrò nel monastero di Einseuldeln e, verso la fine della sua vita tornò a Ufnau dove morì nel 973.
Parola di Dio: Dn 7,9-10.13-14 opp. Ap 12,7-12a; Sai 137; Gv 1,47-51
“VEDRETE IL CIELO APERTO E GLI ANGELI DI DIO SALIRE E SCENDERE SUL FIGLIO DELL’UOMO”. (Gv. 1,51)
Come dice la lettera agli Ebrei, gli angeli sono “spiriti incaricati di un ministero, inviati per coloro che devono ereditare la salvezza”. Oggi allora, non solo onoro questi tre Arcangeli per i compiti svolti nella storia della salvezza ma li considero tre preziosi amici del cammino verso Dio, e li invoco per me e per la comunità cristiana. Invoco Gabriele perché porti a me nella giornata, la buona notizia del Vangelo e mi doni la semplicità e fedeltà di Maria per accoglierla, meditarla e metterla in pratica; lo invoco anche perché accompagni i missionari, i sacerdoti, i catechisti, i testimoni affinché continuino a portare al mondo la buona notizia di Gesù. Invoco Raffaele perché, come ha fatto con Tobia, mi prenda per mano e mi accompagni nel cammino di oggi, mi aiuti a districarmi in mezzo ai problemi che incontrerò, mi tenga in piedi quando incespico, mi rincuori quando non ho voglia di camminare per le strade del Vangelo. Lo invoco perché aiuti la Chiesa a guarire dalla cecità del pensare solo a se stessa e le conceda di vedere con gli occhi di Dio. Invoco Michele, che ha ricevuto da Dio il compito di combattere e vincere il diavolo e il male, perché mi faccia scudo e mi difenda nelle tentazioni, perché addestri le mie mani e la mia volontà a combattere ogni forma di male che incontrerò. Lo prego perché oggi il male non abbia la meglio nel mondo, perché il pessimismo non rattristi, perché le paure non immobilizzino, perché anche la morte odori di vita e di vittoria definitiva in Cristo. E chiedo a questo arcangeli e anche agli angeli custodi di aiutare noi a diventare “angeli” di presenza dell’amore di Dio in mezzo al quotidiano.
Era nato a Nusco, in provincia di Avellino verso il 1003. Nel 1048 fu consacrato Vescovo della sua città. Restaurò alcune chiese, fu sempre molto attento ai bisogni dei poveri, morì nel 1093 dopo aver lasciato tutto ai poveri. E’ considerato protettore di Nusco contro i terremoti.
Parola di Dio: Bar 1,15-22; Sal 78; Lc 10.13-16
“CHI ASCOLTA VOI, ASCOLTA ME, CHI DISPREZZA VOI, DISPREZZA ME! E CHI DISPREZZA ME, DISPREZZA COLUI CHE MI HA MANDATO”. (Lc. 10,16)
La frase che meditiamo oggi, ci aiuta ad entrare nel cuore della Trinità e a scoprire che anche noi ne facciamo parte. Proviamo a seguire il ragionamento e l’annuncio di Gesù: Accogliere Gesù significa accogliere “Colui che lo ha mandato” cioè il Padre che lo ha consacrato fin dal momento del concepimento attraverso lo Spirito Santo. Così dice l’Angelo a Maria: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque Santo e chiamato Figlio di Dio”. Quindi Gesù, il Padre e lo Spirito Santo sono Uno, dove opera uno dei tre, opera Dio. La grande novità del Cristianesimo è proprio questa: Gesù non è solo un grand’uomo, un pensatore famoso come tanti altri, un uomo dotato di poteri taumaturgici, un legislatore... Gesù è Dio! Anche oggi molti hanno ammirazione per ciò che Gesù ha detto e fatto, ci sono addirittura alcune sette che, facendosi passare per cristiane, citano continuamente le parole di Gesù, ma vedono Gesù solo come un profeta. Gesù è Dio! E tutto cambia allora: le sue parole non sono solo indicazioni morali di un brav’uomo e allora si possono sviscerare, discutere, applicare secondo i tempi; sono Parola di Dio! I Sacramenti non sono degli ‘optional’ della religione, sono segni efficaci del suo amore per noi. Gesù non è morto solo per la fedeltà alle sue idee in contrasto con il potere politico e religioso di allora, è morto per me, per la mia salvezza. Ma, secondo la frase che meditiamo oggi, anche noi siamo entrati, proprio grazie a Gesù nell’intimo della Trinità. Gesù identifica a sé i discepoli. Noi cristiani parliamo a nome di Gesù, siamo la presenza di Gesù sulla terra. Questo non è solo un onore, è una grandissima responsabilità! Non ci rende onnipotenti, invulnerabili all’errore e al peccato. Nessuno di noi deve far passare le proprie povertà come parola di Dio, però abbiamo la garanzia dello Spirito sul fatto che Gesù si serve di noi per continuare la sua opera di salvezza, e proprio per questo dobbiamo conformarci sempre più a Cristo. Chi non crede, chi è alla ricerca di Gesù, ha il diritto di esigere di vedere in noi la sua presenza. Chissà se gli altri, sentendomi parlare, riescono a percepire la profondità della sapienza, della dolcezza di Gesù? Chissà se, vedendomi pregare, colgono un amore profondo per Dio? Chissà se, vedendomi nei miei rapporti quotidiani con il prossimo, riescono a vedere l’amore di Gesù che si china su tutti, che lava i piedi ai suoi discepoli, che perdona i suoi persecutori
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