SCHEGGE E SCINTILLE
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a cura di: don_franco_locci@libero.it
Era eremita in Provenza quando Sant’Onorato gli chiese di accompagnarlo. Fondò con lui il monastero di Lérins. Morì dopo il 434.
Parola di Dio: Tb 3,1-11.16-17; Sal 24; Mc 12,18-27
“QUANDO RISUSCITERANNO DAI MORTI, INFATTI, NON PRENDERANNO MOGLIE NE’ MARITO, MA SARANNO COME ANGELI NEI CIELI”. (Mc. 12,25)
Più di una volta mi è capitato, dopo la lettura di questo brano di vangelo, di incontrare persone che con aria di vera tristezza venivano a dirmi: “Ma se in paradiso non ci saranno più marito ne moglie, che cosa ne sarà del nostro rapporto con i nostri cari?”, “Ho vissuto una vedovanza di circa vent’anni nella certezza della risurrezione dei morti e nella speranza un giorno di poter rivedere mio marito e adesso Gesù ci dice che saremo come angeli nel cielo: ma che cosa vuol dire?”
Bisogna capirlo bene questo brano di Vangelo. Innanzitutto Gesù risponde a dei sadducei che non credevano alla risurrezione dei morti e che erano andati da Lui con un caso estremo (la moglie dei sette fratelli che riesce a sotterrarli tutti prima di morire). Gesù dice: la risurrezione è certa perché Dio è il Dio della vita; la risurrezione non è la riedizione della vita corrente ma ogni cosa viene portata al suo completamento, al suo “massimo”; i rapporti rimangono ma non sono più inficiati, deturpati dall’egoismo e dal possesso sono invece espressi solo attraverso l’amore vero, quello di Dio per tutti e per ciascuno.
Detto allora in termini più facilmente pratici: noi non solo ritroveremo i nostri cari, ma il nostro rapporto con loro sarà purificato da ogni forma di egoismo e li ameremo come li ama Dio. Non è meraviglioso?
Nacque in una illustre famiglia irlandese. Ordinato sacerdote partì per un pellegrinaggio a Roma ma si fermò nella foresta di Thierache per fare vita eremitica e vi rimase fino alla sua morte verso il 670.
Parola di Dio: Tb 6,10-11;7,1.8-17;8,4-9; Sal 127; Mc 12,28-34
“ASCOLTA, ISRAELE!” (Mc. 12,29)
Alla domanda sul primo dei comandamenti che lo scriba gli ha rivolto Gesù risponde con quella che era la preghiera con cui più volte al giorno si rivolgevano a Dio gli israeliti: questa preghiera ci ricorda che l’amore di Dio e del prossimo sono la massima espressione degli appartenenti al popolo di Dio. Ma sia nella risposta di Gesù, sia nella preghiera c’è un verbo all’imperativo che noi spesso dimentichiamo ed è: “Ascolta!”
Come posso io sapere che cosa voglia Dio da me se non lo ascolto? Come posso sapere le necessità del mio prossimo se non so ascoltarlo e vederlo? Le nostre mamme piemontesi quando dovevano riprendere un figlio birichino o dovevano cercare di farlo ragionare cominciavano sempre con grande saggezza dicendogli “Scuta!”, “Ascolta!”
Prima di dire che Dio è muto e non ti parla, hai provato davvero a far silenzio, ad aprire occhi e orecchie per ascoltarlo? Prima di giudicare tuo fratello, hai provato ad ascoltare i motivi per cui si comporta in quel determinato modo. Prima di dire: “alle necessità dei poveri ci pensino i governi”, hai ascoltato davvero il pianto a volte silenzioso e lontano della sofferenza?
San Cono pare sia nato il 3 Giugno 1139 a Naso (Me) e battezzato col nome di Conone. All'età di 15 anni durante una Santa Messa rimane colpito da una frase del Vangelo di Matteo (10,37): "Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me" e decide, superando l'iniziale ostilità dei facoltosi genitori, di entrare nel Monastero di San Basilio nei pressi di Naso. Predilige la vita eremitica e contemplativa e per questo vive in una grotta in assoluta povertà. La sua fama inizia a diffondersi ben presto nella popolazione che andava a trovarlo per ricevere da lui una parola. Eletto abate del Convento di San Basilio qui vive per poco tempo per ritornare in una grotta nei pressi del convento detta di San Michele e qui muore in fama di santità il 28 marzo 1236.
Parola di Dio: Dt 7,6-11; SaI 102; 1 Gv 4,7-16; Mt 11,25-30
“IMPARATE DA ME CHE SONO MITE ED UMILE DI CUORE”. (Mt. 11,29)
Quando noi vogliamo dire la bontà di una persona diciamo che quella persona è di buon cuore, quando vogliamo indicarne la grettezza che “è senza cuore”. L'uomo da sempre ha scelto il cuore come segno dell'amore. Il cuore, in sé, è un organo come gli altri, seppur importantissimo. Ma Dio incarnandosi in Gesù, assume in tutto il nostro linguaggio, e allora ecco il Cuore di Gesù "mite ed umile", ecco Dio che ci ama con tutto il cuore, ecco il cuore di Gesù trafitto da un colpo di lancia che resta aperto per accogliere i nostri cuori.
Gesù è stato mite: non ci ha salvati con segni di potenza e di forza, non si è imposto a nessuno, ha porto l’altra guancia a chi lo percuoteva, ha guardato ai piccoli, ai poveri, ai malati, ai peccatori, ha avuto gesti di attenzione e di delicatezza. Tutto questo stride con la mentalità del nostro mondo che si fonda sempre più su potere, arrivismo, sopraffazione... Ma questo nostro mondo è contento, felice, sereno o sempre scontento, insoddisfatto, triste?
Se cerchi la serenità anche nella prova, se vuoi trovare la pace di Dio, imita Gesù, non lasciarti portar via dalle apparenze, non fidarti delle esteriorità vuote, ritrova le piccole gioie della vita quotidiana, fidati più degli affetti profondi che delle manifestazioni inutili. Anche nella fede, nella preghiera, nella vita della Chiesa, non fidarti troppo dei ragionamenti, delle parole, delle spiritualità troppo artefatte: fidati di Gesù, rifugiati in Lui, imitalo.
“Ti ringrazio, o Signore, di aver preso anche tu un cuore umano, di aver provato nel tuo cuore che cosa vuol dire amare, separarsi, soffrire, vedersi traditi, sapersi amati; un cuore che ha scelto, prediletto, perdonato. Quel tuo cuore umano , anche se è un semplice muscolo, per me è comprensione, vicinanza, condivisione, saper di essere accolti, sapersi amati con calore, con passione, con gioia. E quando ti accorgi invece che il mio cuore è gretto, incapace di aprirsi di pulsare per i fratelli e per te, fai una operazione di trapianto: insegnami ad amare come tu hai amato.”.
Nacque a Milevi (attuale Mila in Algeria) intorno al 320. In gioventù era stato pagano, ma si convertì e fu fatto vescovo della sua città. Fu un polemista e un teologo di grande importanza. E’ ricordato sia da San Agostino che da san Girolamo. Morì intorno al 390.
Parola di Dio: Cuore Immacolato della B. V. Maria Is 61,10-11; Cant 1 Sam 2,1.4-8; Lc 2,41-51
Parola di Dio del giorno: Tb 12,1.5-15.20; Cantico da Tb 13,2.7-8: Mc 12,38-44
“ED ERANO PIENI DI STUPORE PER LA SUA INTELLIGENZA E PER LE SUE RISPOSTE”. (Lc. 2,47)
In questa festa del Cuore Immacolato di Maria, anche noi, come Lei e come i saggi di Gerusalemme, rimaniamo stupiti davanti a Gesù vera “buona notizia di Dio”.
Vi offro come meditazione su questo argomento un pezzo del mio amico Bruno che da anni, ogni domenica offre a me e a tanti altri un commento “da laico” alla Parola di Dio.
“Mi fa impressione la rapidità in cui si accumulano i giornali vecchi in casa mia. Già l’indomani un quotidiano è invecchiato, inservibile, superato dalle buone notizie. Chi aveva scritto un articolo, un commento, un fondo… li vede buttati in un angolo dopo qualche ora. Le parole hanno un ciclo di vita molto rapido. Solo raramente qualche “pezzo” viene ripreso, criticato, chiosato da altri giornalisti o uomini di cultura.
Perché dico questo? Perché incontrando domenica dopo domenica i testi biblici proposti dalla liturgia corriamo il rischio di trattarli come il giornale: li ascoltiamo, magari li consideriamo per qualche sincera riflessione più approfondita e personale, ci lasciamo forse prendere per qualche istante dal loro messaggio e poi… via… siamo già al Vangelo della domenica successiva. C’è il pericolo che non abbiamo incontrato la novità di Gesù. Eppure la “buona notizia non la possiamo archiviare il giorno dopo in quanto essa è persona viva, destinata a toccarci così da vicino da diventare parte di noi stessi e del nostro destino. La “lieta novella” non ha scadenza e non invecchia solo perché siamo passati ad altro”.
Nacque a Santarem nel 1402. Era figlio di Giovanni I, re del Portogallo. Durante la lotta contro i mori fu preso in ostaggio dal sultano di Fez e sopportò con pazienza la schiavitù fino alla morte avvenuta nel 1252.
Parola di Dio: Os 6,3-6; SaI 49; Rm 4,18-25; Mt 9,9-13
“MISERICORDIA IO VOGLIO E NON SACRIFICIO”. (Mt. 9,13)
Schematizzando ci sono due modi di vivere la religione: o considerarla un insieme di credenze, riti e norme attraverso i quali entrare in contatto con il Sacro e adempiuti i quali garantirsi la bontà divina o quella gioiosa di scoprire la presenza e l’amore di Dio nel cammino della vita, della natura e della storia e, meravigliati, sentirsene parte al punto da vivere gioiosamente il nostro rapporto con Lui, con la vita e con i fratelli. Se Dio pensi di poterlo raggiungere, spiegare, comprare con la tua intelligenza, con dei gesti rituali, con l’osservanza scrupolosa di alcune norme, ti sbagli di grosso: Dio non è in vendita, Dio è più grande della tua piccola intelligenza, Dio non ha bisogno delle tue offerte e di per sé neanche delle tue preghiere per essere quello che è. Dio sapeva che l’uomo da solo non lo avrebbe mai raggiunto e allora, per amore, ha scelto la strada di essere Lui a venirgli incontro, ma solo se l’uomo riconosce le proprie incapacità di salvarsi da solo può avvenire l’incontro e la salvezza. Per poter accogliere la salvezza di Gesù bisogna rendersi conto di appartenere ad una categoria di persone: quella dei peccatori. Non dovremmo far fatica a riconoscerci tali, eppure tante volte siamo talmente pieni di noi che abbiamo la presunzione di essere giusti e di salvarci da soli. Ma se ci succede questo, noi vanifichiamo l’opera e la croce di Cristo, è come se gli dicessimo: “Tu sei morto in croce per noi, ma potevi farne a meno perché intanto noi ci salviamo da soli, con le nostre opere”. Così pure succede quando noi pensiamo che la salvezza dipenda dai nostri sacrifici, dalle nostre offerte, dalle nostre preghiere. Queste cose sono tutte utili, necessarie, ma solo per permettere che la salvezza meritata da Gesù giunga a noi e in noi sia manifestata.
Nacque in Spagna verso il 779, ma ancora ragazzo si stabilì a Lione. Qui il vescovo Leidrado lo volle come suo ausiliare e poi successore. Prese parte a tanti eventi sociali e politici dell’epoca. Lottò contro le superstizioni e i duelli, Scrisse anche sia di teologia sia di politica. Morì il 6 giugno 840.
Parola di Dio: 2Cor 1,1-7; SaI 33; Mt 5,1-12
“BEATI I POVERI IN SPIRITO…”. (Mt. 5,1-12)
Essere “beati”, felici, di una felicità piena e duratura è la naturale aspirazione dell'uomo già durante la sua esperienza terrena. Egli fu illuso da Satana quando con la disobbedienza ebbe a credere di poter diventare come Dio. Si illude ancora quando ritiene di poter ottenere piacere e gioia andando contro la volontà divina realizzando progetti propri. Rischia ancora le più amare delusioni quando spera di poter conseguire la piena beatitudine in questo mondo. Ecco perché Gesù oggi ci proietta verso una dimensione superiore, verso la meta ultima e finale, verso la realizzazione del suo Regno qui e per sempre. I poveri in spirito, gli afflitti, i miti sono coloro che nella semplicità e nella purezza della vita sanno accogliere e gustare i veri beni di Dio, ponendoli al disopra di ogni altra aspirazione. Essi anelano alla giustizia e la testimoniano con la vita. Sperimentano la misericordia divina nella gratuità e allo stesso modo la donano ai fratelli, diventano così operatori di pace. Sono puri nel cuore e l'occhio della loro anima è aperto alla visione di Dio che abita e dimora in essi. Anche se perseguitati, anzi proprio perché perseguitati, hanno la certezza di essere accolti con Cristo nel suo regno di amore e di pace.
Il nostro mondo fa molta fatica a comprendere le beatitudini del Vangelo, esse risuonano perfino assurde rispetto ai canoni di cui l'uomo si è dotato. Se provassimo a scrivere le beatitudini del mondo di oggi ci troveremo a invertire letteralmente quelle proclamate da Cristo e ciò nonostante che appaia evidente che, mentre quelle evangeliche conducono davvero alla pienezza della gioia, quelle del mondo inesorabilmente deludono e ingannano. Entrano in gioco il tempo e l'eternità, il tutto e subito e l'attesa nella fede di un mondo diverso e migliore; s'intrecciano ancora la visione umana della gioia e la proposta divina della felicità senza fine e ancora il calcolo umano e la visione dei valori visti con l'occhio della fede. Fin quando restiamo con lo sguardo basso sulla terra e non alziamo gli occhi verso l'alto ogni nostra ricerca di benessere e di gioia è purtroppo destinata a naufragare sul nascere. E’ triste poi costatare che l'ansia non si smorza e le brame crescono a dismisura e la morsa dell'angoscia ci opprime e tutto ciò mentre Cristo seguita a ripeterci la via del vero bene...
MARTEDI’ 7 GIUGNO
Era nata nella Vecchia Castiglia ad Almendral nel 1549. Scelse di essere carmelitana nel convento di Avila e fu compagna di santa Teresa. Alla sua morte andò a fondare il convento carmelitano di Anversa dove morì nel 1626.
Parola di Dio: 2 Cor 1,18-24; Sal 118; Mt 5,13-16
“SE IL SALE PERDESSE IL SAPORE A NULL’ALTRO SERVIREBBE CHE AD ESSERE BUTTATO VIA E CALPESTATO DAGLI UOMINI”. (Mt. 5,13)
Ecco una leggenda cinese che ci illustra le parole di Gesù.
La Madre dei fiori, quando per la prima volta apparve sulla terra, si fece accompagnare dai suoi figli: Peonia, Loto, Crisantemo, Calicanto e Nanchino. Raccomandò loro di fiorire in tutto il mondo.
Peonia, Loto, Crisantemo e Calicanto si misero subito all'opera, disputandosi la migliore fioritura. Nanchino invece pensò: “Perché fiorire così in fretta? Presto o tardi... è lo stesso! I fiori non sono mai esistiti sulla terra: essere primi significa anche rischiare!”
In primavera i boccioli della Peonia esplosero in fiori di colore rosso, bianco-neve e verde. Vedendoli Nanchino esclamò: “Formidabile! Sarebbe meraviglioso se anch'io potessi fiorire così... Fiorirò quest'estate”.
Sopraggiunse l'estate. Il sole splendeva. Nanchino si disse: “Il calore è insopportabile. Fiorire adesso significa appassire in fretta”. In quell'istante si aprirono i fiori di Loto. Nanchino pensò: “È bello fiorire in estate, ma è troppo tardi. Fiorirò in autunno”.
Arrivò l'autunno. Il tempo era bello e fresco. Nanchino, soddisfatto del clima e del paesaggio multicolore, si addormentò. Al risveglio vide fiorire il Crisantemo e decise: “È troppo tardi, fiorirò durante la prossima stagione”.
In inverno fiorì il Calicanto. Nanchino, nascosto in mezzo all'erba secca, non si lasciò neppure sfiorare dall'idea di fiorire, a causa del freddo. E così il tempo passò, senza che Nanchino conoscesse mai il dolce profumo dei propri fiori.
Dio chiede di fiorire. Adesso. Spesso noi prendiamo tempo e quello diventa tempo perso.
Questo invito é un'occasione privilegiata per impegnarci, oggi, mettendo a servizio della Comunità i doni ricevuti dal Creatore, sotto forma di semi.
Non sappiamo esattamente in quale delle persecuzioni successe, ma Calliope arrestata come cristiana piuttosto che rinunciare alla sua fede sopportò torture, mutilazioni, ustioni e poi il martirio.
Parola di Dio: 2 Cor 3,4-11; Sal 98; Mt 5,17-19
“NON SONO VENUTO PER ABOLIRE LA LEGGE O I PROFETI, MA PER DARE COMPIMENTO”. (Mt. 5,17)
Dio, durante l’Esodo, aveva fatto dono ad Israele della Legge. Essa non era un giogo che il Padrone metteva sulla schiena del suo servo per poterlo comandare, era invece una grazia che permetteva al popolo di realizzarsi come popolo di Dio. I comandamenti, anche oggi, più che un’imposizione, sono una legge di libertà. Ma come sempre, quando ci sono delle leggi c’è il pericolo che anche una legge buona, nella sua interpretazione e applicazione diventi una legge pesante. Le leggi di Dio erano state appesantite dalle tradizioni degli uomini al punto tale che si era perso il genuino senso della Legge. Gesù viene non per modificare la Legge, vanificarla, dare leggi nuove, ma per purificarla, farla ritornare alla sua origine, motivarla: i comandamenti non hanno senso se non sono vissuti nella dimensione dell’amore, un amore che viene da Dio, che è risposta dell’uomo, che è rispetto di se stessi e dei propri valori.
Una religione legalista e formalista si preoccupa esclusivamente e ossessivamente della buona o cattiva condotta da un punto di vista esteriore, fissando e moltiplicando norme e regolamenti; Cristo invece individua il peccato, lo stana nel suo riparo più segreto: il cuore dell’uomo.
Se invece io amo Dio che mi dà la sua legge e il prossimo come mio reale fratello, osserverò la legge con amore, perché è un dono prezioso ma saprò anche andare oltre alla legge quando l’amore lo richiede. Per un cristiano, ad esempio, il comandamento: “Non uccidere”, allora, non è solo più negativo ma diventa: ama la vita, tua, degli altri, delle cose, e sempre nell’amore diventa addirittura come per Gesù: “Non c’è amore più grande che dare la propria vita per il fratello”.
Nacque a Siena nel 1769. A vent’anni si sposò con un domestico del principe Chigi. Da quest’uomo molto rozzo ebbe 7 figli. Donna di fede ebbe estasi, visoni ma anche sofferenze, incomprensioni persecuzioni e malattie. Fu un modello di sposa e di madre e molti, anche papi e cardinali, la consultavano. Aveva il dono particolare di riuscire a riconciliare le famiglie in difficoltà. Morì a Roma il 9 giugno 1837.
Parola di Dio: 2 Cor 3,15-4,6; SaI 84; Mt 5,20-26
“SE LA VOSTRA GIUSTIZIA NON SUPERERA’ QUELLA DEGLI SCRIBI E DEI FARISEI, NON ENTRERETE NEL REGNO DEI CIELI”.
(Mt. 5,20)
Cerchiamo di non far dire a Gesù proprio il contrario di quanto voleva indicarci! Qualcuno, infatti leggendo questa o altre pagine del Vangelo cerca indicazioni precise di comportamento prendendo alla lettera questi esempi e diventa allora scrupoloso a tal punto da non aver più respiro e da rischiare di cadere proprio in quello che Gesù voleva indicarci come sbagliato: una morale fondata solo sulla stretta osservanza di norme.
Quando Gesù ci parla di giustizia che deve superare quella degli scribi vuol liberarci dalla ipocrisia, dall’“essere buoni” perché Dio lo vuole e per evitare i suoi castighi.
Quando io amo una persona, mia unica preoccupazione e mia gioia è realizzare ciò che a questa persona fa piacere, se poi fare questo significa anche realizzare ogni mio bene, dovrei essere ancora più contento. Se dunque Dio è per me il Padre buono e misericordioso che mi ha presentato Gesù, per me sarà una gioia cercare di mettere in pratica la sua volontà e per di più, facendo questo sono convinto di realizzarmi nel miglior modo possibile. Dunque i comandamenti rimangono, anzi sono perfino ampliati ma l’osservarli non è un peso, una tassa ma un atto di amore e man mano che io mi lascerò amare da Dio e amerò di più ne vivrò sempre maggiormente lo spirito che li anima.
Sarebbe stato lo sposo di santa Sinforosa e sarebbe stato martirizzato con Cereale, Amanzio e Primitivo a Roma durante la persecuzione di Adriano.
Parola di Dio: 2 Cor 4,7-15; Sal 115; Mt 5,27-32
“CHIUNQUE GUARDA UNA DONNA PER DESIDERARLA, HA GIA' COMMESSO ADULTERIO CON LEI NEL SUO CUORE (Mt. 5,27)
Può sembrare un insegnamento impossibile quello del vangelo di oggi, e i ricercatori del peccato, su questa frase hanno costruito tutta una morale fatta di limiti e di paure. E pensare che Gesù dice frasi come questa per liberarci dalla paura e dalla schiavitù della legge! Gesù non vuole negare la natura umana. Se ad un bambino goloso di dolci tu metti davanti una bella torta è automatico che gli venga l’acquolina in bocca. Questo non è né male né bene, è fisiologico. Se però tu hai criterio e una scala di valori, allora indirizzerai, magari con fatica, i tuoi istinti verso quei valori. Quando vedo una bella donna o un bell’uomo, non posso non sentire un’attrattiva o un interesse, ma se credo ai valori della famiglia, delle mie scelte, allora saprò indirizzare anche il mio cuore. Se riesco a fare questo, allora nulla mi scandalizzerà più. Se vedo la mia e l’altrui persona non come oggetto di possesso ma come un fratello o una sorella, figli di Dio, amati da Lui, tempio dello Spirito, ecco che nasce in me la forza per superare l’istintuale ed anche la morale non è più: “non devi mangiare la torta”, “devi sacrificarti perché c’è un divieto”, ma diventa: “gioisco per i doni che ho e che Dio ha fatto al mio fratello e alla mia sorella e liberamente e gioiosamente mi costruisco sui veri valori che Dio mi ha dato”.
Era nato a Tournai nel 1102. A vent’anni lasciò il mondo per entrare nell’abbazia di San Martino di Tournai. Nel 1148 diventò abate del costruendo monastero di Marchiennes. Morì nel 1158. In vita aveva sopportato di una salute cagionevole ed era vissuto nella sobrietà, castità e umiltà.
Parola di Dio nella festa di san Barnaba apostolo: At 11,21b-26;13,1-3; Sal 97; Mt 10,7-13
“STRADA FACENDO PREDICATE CHE IL REGNO DEI CIELI E’ VICINO”. (Mt. 10,7)
Celebrando oggi la festa di San Barnaba apostolo, abbiamo letto un brano in cui Gesù indica il modo di essere missionari, e noi sappiamo che questo non si riferisce soltanto a coloro che partono per andare lontano ad annunciare Gesù, ma riguarda ciascuno di noi che dovrebbe essere un vero testimone di Gesù. Però quanto siamo ancora lontani dal realizzare questo: facciamo acqua da tutte le parti! Ci illumini e consoli questo racconto di Bruno Ferrero:
Un contadino portava l'acqua dalla sorgente al villaggio in due grosse anfore che legava sulla groppa dell'asino, che gli trotterellava accanto. Una delle anfore, vecchia e piena di fessure, durante il viaggio, perdeva acqua. L'altra, nuova e perfetta, conservava tutto il contenuto senza perderne neppure una goccia. L'anfora vecchia e screpolata si sentiva umiliata e inutile, tanto più che l'anfora nuova non perdeva l'occasione di far notare la sua perfezione. “Non perdo neanche una stilla d'acqua, io!”. Il giorno dopo, durante il viaggio, il padrone si rivolse all'anfora screpolata e le disse: “Guarda il bordo della strada”. “E’ bellissimo, pieno di fiori”. ”Solo grazie a te - disse il padrone - sei tu che ogni giorno innaffi il bordo della strada. lo ho comprato un pacchetto di semi di fiori e li ho seminati lungo la strada, e senza saperlo e senza volerlo, tu l’innaffi ogni giorno”.
Nacque a Genova nel 1809, sorella del sacerdote Giuseppe Frassineti, si ritirò con lui a Quinto al Mare e fondò l’Istituto di Santa Dorotea, dedito all’insegnamento. Questo Istituto ebbe una buona diffusione sia a Roma come in alcune regioni dell’Europa e dell’America. Paola morì a Roma nel 1882.
Parola di Dio: Es 19,2-6a; Sal 99; Rm 5,6-11;Mt 9,36—10,8
“PREGATE IL PADRONE DELLA MESSE CHE MANDI OPERAI NELLA SUA MESSE”. (Mt. 9,37)
Dio salva gli uomini attraverso gli uomini. Prima di tutto “Lui che era Dio annientò se stesso e prese in forma umana in tutto simile a noi”. La salvezza non ci piove dall’alto come gesto benefico di un Dio magnanime, ma “Dio si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”, “perché chi crede in Lui abbia la vita eterna” infatti “a coloro che lo accolsero diede il potere di diventare figli di Dio i quali non da carne né da sangue ma da Dio stesso sono stati generati”. Non è Dio che obbliga noi a parlare il suo linguaggio ma è Lui che scende a parlare il nostro e ci dimostra il suo amore fino alla croce e alla risurrezione.
Anche adesso il suo messaggio di salvezza ci giunge attraverso gli uomini e le cose. I suoi sacramenti sono segni concreti, la sua Chiesa è fatta di uomini santi e peccatori e il contatto con il sacro ci viene mediato da uomini come noi con dei doni che sono però esclusivamente Suoi. Per questo un uomo come me ma guidato dallo Spirito Santo, il Papa, può garantirmi l’unità della Chiesa nella Verità, per questo un uomo come me, ma incaricato da Gesù può assicurarmi a nome di Dio e della Chiesa il perdono dei peccati.
Ecco allora perché pregare “affinché Dio mandi operai nella sua messe”, non tanto perché ci siano tanti preti o perché la Chiesa diventi sempre più potente, ma perché Dio, attraverso questi uomini, poveri come noi ma pieni dei suoi doni possa continuare a trasmetterceli. Quando i preti avranno capito che il loro potere è solo per questo servizio e quando tutti noi esigeremo da loro solo Dio e i suoi doni allora, davvero non guarderemo più al numero ma alla qualità e, preti e laici riscopriremo ciascuno secondo i propri compiti la gioiosa missionarietà nei confronti di tutti.
Il nome si confonda con quello di Adelaide, Aleida, Alida. Nata presso Bruxelles, ancora piccolissima, manifestò fede e grande pietà ed attorno a lei cominciarono a fiorire miracoli. Entrò in monastero. Presto però si ammalò di lebbra e visse tutto il resto della sua vita come segregata. Sopportò con amore dolori e prove. Morì l’11 giugno 1250.
Parola di Dio: 2 Cor 6,1-10; Sal 97; Mt 5,38-42
“SE UNO TI PERCUOTE LA GUANCIA DESTRA TU PORGIGLI ANCHE L’ALTRA”. (Mt. 5,39)
Se da una parte ci è facile riconoscere che la “non-violenza” è l’unico modo per vincere odio e guerre, d’altra parte ci viene il dubbio che mettendo in prativa una “non-violenza come quella indicata dal vangelo di oggi si dia al malvagio e al male la possibilità di approfittare e di continuare ancora maggiormente la sua opera. Senza la pretesa di rispondere totalmente a questo interrogativo proviamo sinceramente a chiederci che cosa volesse dirci Gesù quando ci indicava questa strada.
Il cristianesimo, prima di tutto non è accontentarsi di mezze misure.
La vera rivoluzione contro il male non è la lotta diretta contro il male esterno, ma la conversione dal male interno, quello che non ci permette di essere sereni davanti alle cose, quello che non ci permette di vedere nel prossimo un fratello ma solo un nemico.
Il perdono vero non è mai un atto di viltà, un accondiscendere per bonomia ma un costruire in se stressi e nell’altro una realtà nuova, tant’è vero che quando succederà a Gesù di essere preso a schiaffi Egli non farà seccare la mano del suo persecutore ma con chiarezza gli dirà: “Se ho sbagliato dimostramelo, se no perché mi schiaffeggi?”
Il perdono del fratello è sì una strada difficile ma deve partire da una radice: dal fatto di riconoscere di essere perdonati totalmente a nostra volta senza che potessimo per questo accampare nessun diritto, e il culmine dell’amore di Dio per noi non è forse essere andato sulla croce per noi “mentre eravamo peccatori”?
E, un ultima osservazione, forse anche solo umana: il ricorso alla forza, alla violenza hanno mai garantito (anche all’interno della Chiesa) una difesa della verità mentre viene offesa la carità?
Rufino e Valereio, cristiani del III secolo avevano lasciato Roma per le Gallie. Avendo appreso dell’arrivo di un prefetto notoriamente anticristiano fuggirono nella foresta ma vennero egualmente arrestati e diedero testimonianza della loro fede in mezzo alle torture. Furono poi decapitati.
Parola di Dio: 2Cor 8,1-9; Sal 145; Mt 5,43-48
“SE AMATE QUELLI CHE VI AMANO, CHE MERITO NE AVETE?” (Mt. 5,46)
Durante un incontro, dopo avere parlato della carità, un signore venne a parlarmi e più o meno mi diceva: “Lei ha parlato dell’amore che ciascuno di noi dovrebbe avere. Io credo di essere capace di amare infatti quando le cose vanno bene sono contento di Dio, la mia preghiera è fervorosa e quando trovo il mio prossimo di mio gradimento mi è facile volergli bene. Con dei poveri gradevoli e disposti a fare come dico io sono persino capace ad allargare il cordino del borsello… ma è impossibile amare chi ci è contrario, chi istintivamente non mi piace, e anche Dio quando si nasconde o permette che passiamo attraverso cose non buone per noi non è facile accettarlo e dirgli ancora grazie!”
Credo che prima di tutto dobbiamo fare attenzione ad una cosa, a non confondere amore con sentimento. L’amore ha come base anche il sentimento ma se è solo sentimento non è più vero amore. Il sentimento infatti è soggetto a tutte le debolezze umane. Ad esempio il sentimento mi dice di prometterti oggi un amore eterno e domani di amare di “amore eterno” un altro. Il sentimento da solo poi spesso non regge al tempo, all’usura, alla gelosia, al nascere di nuove prospettive… Allora amare chi ci vuol bene è più facile, credere di amare Dio con tutto il cuore solo perché le cose vanno bene è certamente un buon sentimento ma non ancora amore.
Il vero amore lo si trova quando oltre al sentimento (e qualche volta “nonostante il sentimento”) si vuole il vero bene dell’altro gratuitamente e senza pretendere niente in cambio.
Il discorso certamente meriterebbe di essere approfondito… ma queste sono solo “schegge” Provi allora ciascuno di noi ad approfondire queste riflessioni applicandole concretamente ad esempio al nostro vivere in famiglia.
Una santità fatta di nulla potremmo dire per definire Santa Germana. Era nata in una fattoria di Pribac, vicino a Tolosa nel 1579. Divenne presto orfana di madre e la nuova matrigna la trattava male. A nove anni venne messa alla guardia delle pecore e trattata da tutti malamente. Essa però continuava frequentare la parrocchia, ad andare a messa quotidianamente, ad essere caritatevole con tutti coloro che incontrava. A ventidue anni la trovarono morta, un mattino dell’estate del 1601.
Parola di Dio: 2 Cor 9,6-11; Sal 111; Mt 6,1-6.16-18
“GUARDATEVI DAL PRATICARE LE VOSTRE OPERE BUONE DAVANTI AGLI UOMINI PER ESSERE DA LORO AMMIRATI”. (Mt. 6,1)
Mi è successo molte volte, e ringrazio Dio ogni volta che mi capita, di scoprire persone che consideravi di media capacità cristiana, che, magari per tutta la vita, nel silenzio, hanno dedicato parte dei loro proventi per i propri fratelli, che ogni settimana, senza suonar la tromba, si sono impegnate in opere di volontariato, che magari hanno dedicato parte della loro giornata di riposo, dopo aver assolto ai doveri familiari, alla visita e all’assistenza dei malati. Quanto bene nascosto c’è! Ma non sarebbe un aiuto per tutti se questo bene emergesse un po’ di più, fosse un po’ più conosciuto?
Gesù non ci dice di nascondere il bene, ci dice di non fare il bene per essere visti e ammirati. Cioè Gesù apprezza sempre il bene, sa che il bene fatto può essere anche di esempio e sprone agli altri, ma ci mette in guardia dalla tentazione di sentirci troppo buoni per aver fatto un po’ di bene, di vanificare il bene pretendendo la gratificazione e l’applauso degli uomini. Cioè il bene è bene e non va perso ma fare il bene vero dipende dall’intenzione che ci metti, dal fine per cui lo fai. Detto con un esempio: se ho fatto un’offerta per un lebbrosario, in qualunque caso questa offerta servirà a qualcosa, ma per me se l’ho fatta per scaricarmi la coscienza avrà un significato, se l’ho fatto per amore un altro, se per farmi vedere buono ho già la mia ricompensa, se per aiutare uno meno fortunato di me indica che riesco a riconoscere i miei fratelli. Noi possiamo mascherarci come vogliamo, possiamo ingannare gli altri sulla nostra bontà, possiamo perfino riuscire qualche volta a mascherarci davanti a noi stessi, ma Dio conosce il cuore e le sue vere intenzioni.
Sono figlio e madre. Giulitta, arrestata perché cristiana non rinunciò alla sua fede neanche quando il figlioletto Quirico di appena tre anni venne ucciso sotto i suoi occhi. Subito dopo fu martirizzata anche lei. Tutto questo avvenne tra il 268 e il 270
Parola di Dio: 2 Cor 11,1-11; Sal 110; Mt 6,7-15
“VOI DUNQUE PREGATE COSI’: PADRE NOSTRO…”. (Mt. 6,9…)
“Quando ti sei svegliato questa mattina ti ho osservato e ho sperato che tu mi rivolgessi la parola anche solo poche parole, chiedendo la mia opinione o ringraziandomi per qualcosa di buono che era accaduto ieri.
Però ho notato che eri molto occupato a cercare il vestito giusto da metterti per andare a lavorare.
Ho continuato ad aspettare ancora mentre correvi per la casa per vestirti e sistemarti e io sapevo che avresti avuto del tempo anche solo per fermarti qualche minuto e dirmi: "Ciao".
Però eri troppo occupato.
Per questo ho acceso il cielo per te, l'ho riempito di colori e di dolci canti di uccelli per vedere se così mi ascoltavi però nemmeno di questo ti sei reso conto.
Ti ho osservato mentre ti dirigevi al lavoro e ti ho aspettato pazientemente tutto il giorno.
Con tutte le cose che avevi da fare, suppongo che tu sia stato troppo occupato per dirmi qualcosa.
Al tuo rientro ho visto la tua stanchezza e ho pensato di farti bagnare un po' perché l'acqua si portasse via il tuo stress.
Pensavo di farti un piacere perché così tu avresti pensato a me ma ti sei infuriato e hai offeso il mio nome, io desideravo tanto che tu mi parlassi… c'era ancora tanto tempo…
Dopo hai acceso il televisore, io ho aspettato pazientemente, mentre guardavi la TV, hai cenato, però ti sei dimenticato nuovamente di parlare con me, non mi hai rivolto la parola.
Ho notato che eri stanco e ho compreso il tuo desiderio di silenzio e così ho oscurato lo splendore del cielo, ho acceso una candela, in verità era bellissimo, ma tu non eri interessato a vederlo.
Al momento di dormire credo che fossi distrutto. Dopo aver dato la buona notte alla famiglia sei caduto sul letto e quasi immediatamente ti sei addormentato.
Ho accompagnato il tuo sogno con una musica, i miei animali notturni si sono illuminati, ma non importa, perché forse nemmeno ti rendi conto che io sono sempre lì per te
Ho più pazienza di quanto immagini. Mi piacerebbe pure insegnarti ad avere pazienza con gli altri,
TI AMO tanto che aspetto tutti i giorni una preghiera, il paesaggio che faccio è solo per te.
Bene, ti stai svegliando di nuovo e ancora una volta io sono qui e aspetto senza niente altro che il mio amore per te, sperando che oggi tu possa dedicarmi un po' di tempo
Buona giornata...
Tuo papà DIO.
Nacque a Igolamija in Polonia il 20 agosto 1845. Studiò a Pitroburgo e poi a Varsavia. Nel 1863 partecipò alla insurrezione contro l’oppressione zarista e perse una gamba. Ebbe molte difficoltà a trovare la sua strada. Dal 1881 sentì di dover propagandare il Terz’Ordine Francescano. A Cracovia si mise al servizio dei derelitti e man mano diede vita alla Congregazione dei fratelli del Terz’Ordine di San Francesco, gli Albertini cui seguirono le Albertine. Morì a Cracovia il 25 dicembre 1916.
Parola di Dio: 2 Cor 11,18.21-30; Sal 33; Mt 6,19-23
“NON ACCUMULATE TESORI SULLA TERRA…”. (Mt. 6,19ss.)
LA VERA RICCHEZZA
C’era una volta, in un villaggio indiano, un uomo di nome Gokul. Lavorava sodo e senza sosta, ma non accettava denaro, insisteva sempre per essere pagato in grano e in indumenti. Diceva: “Finché avrò cibo e vestiario per la mia famiglia mi riterrò soddisfatto. Che cos’altro mi può servire?”. Un giorno il suo datore di lavoro volle dargli per forza dieci rupie d’argento dicendogli: “Va’ in città e compra un regalo per la tua sposa!” Gokul le prese controvoglia e, tornato a casa, le mostrò alla moglie. Grande fu il suo stupore vedendo brillare di gioia i suoi occhi alla vista di quelle monete sonanti. “Desidero da tanto un vestito di seta pura! Forse in città puoi trovare una stoffa pregiata per confezionarlo!”. “lo vorrei un cavallo bianco e una spada d’argento”, esclamò il figlio maggiore. “E io sogno uno scialle rosso tutto ricamato e un paio di sandali dorati!”, intervenne la figlia.
“Se queste cose vi rendono felici - rispose Gokul - ve le porterò domani dalla città.” Molto presto, la mattina dopo, si mise in cammino di buon’ora e arrivò al mercato della Città Santa, sulle rive del Gange. C’era un’immensa varietà di tutto, di cose belle e di lusso, che il pover’uomo non si era mai sognato che potessero esistere. Un bancone esponeva stoffe pregiate di raso e di seta. Stordito da tanta bellezza, scelse un taglio di stoffa ricamato d’oro. Il venditore esclamò: “Ah, siete davvero un uomo di gusto. Ne farete il vestito più bello di tutti, costa solo quattromila rupie!” Gokul, stupito, aprì la mano e mostrò le sue dieci rupie d’argento che brillavano lustre e pulite come non mai. Il venditore gridò infuriato: “Fuori dal mio negozio! Ho perso il mio tempo a mostrare le mie stoffe ad un uomo completamente pazzo!” Gokul, mortificato, andò a cercare i sandali dorati per la figlioletta, ma ancora una volta non ebbe successo. Sperando di poter almeno soddisfare il desiderio del figlio, si diresse al luogo dove si vendevano i cavalli. Gokul scelse un piccolo pony dall’andatura maestosa che teneva il capo fieramente eretto. “Vi darò dieci rupie che sono in mio possesso in cambio dell’animale”, disse al mediatore. “Non mi fate perdere tempo”, rispose quello indignato. Disgustato da tutta quella gente aggressiva e maleducata, Gokul, pensieroso, si avviò in fretta verso casa, quando la voce lamentosa di un mendicante attirò la sua attenzione: “Fate la carità! Datemi qualcosa, fratello! Colui che dona al povero sarà amato dal Signore. E il Signore lo ripagherà con una felicità cento volte più grande delle ricchezze donate!” Gokul pose sul palmo sporco della mano del mendicante le sue dieci disprezzate rupie: “Prendete questo denaro. Ve lo dono volentieri nel nome del Signore. Fatene l’uso che volete. A me non è servito a nulla. E pregate perché io sia cento volte ripagato in felicità e pace interiore.” Tornò alla sua famiglia, a mani vuote, ma con un’immensa ricchezza: la saggezza. L’esperienza che aveva fatto quel giorno gli aveva insegnato che la felicità non si può comprare e che l’uomo che riesce a conquistare la serenità, anche senza denaro, è molto più ricco di chi desidera con avidità le ricchezze terrene.
Nata a Bonn nel 1129 circa, fu benedettina a Schönau, presso Bingen, divenne superiora del convento nel 1157. Ebbe visioni ed estasi che descrisse in diversi suoi scritti. Morì a Schonau nel 1165.
Parola di Dio: 2 Cor 12,1-10; Sal 33; Mt 6,24-34
“NON AFFANNATEVI… CERCATE PRIMA IL REGNO DI DIO E LA SUA GIUSTIZIA E TUTTE QUESTE COSE VI SARANNO DATE IN AGGIUNTA”. (Mt. 6,33)
E poi venite a dirmi Vangelo non è anche un ottimo medicinale per la nostra vita! La buona notizia di Gesù che ci presenta Dio come un Padre buono che si interessa a noi, che è Provvidenza, che ha a cuore il nostro vivere oltre che riempirci il cuore e quindi farci bene in tutti i sensi non diventa anche un ottimo antidoto contro l’ansia e tutte le sue conseguenze di paure, di pessimismo, di depressione.
E’ vero che Gesù con l’annuncio della Provvidenza divina non vuol dirci che noi non dobbiamo fare la nostra parte e mettere gioiosamente in pratica tutti i doni che ci sono stati dati, ma è anche vero che se noi mettiamo in scala i valori del Vangelo rimane poco posto per le false preoccupazioni: se Dio è il mio tesoro, la mia meta, mi preoccupo molto meno delle cose, non ne divengo schiavo e so gustarle anche meglio. Se scopro che siamo tutti figli di Dio, il prossimo non è prima di tutto un nemico da combattere o da superare ma un fratello (magari difficile) con cui camminare, le apparenze esteriori lasciano spazio alla verità dell’essere, le ansie cessano perché riposo in Colui che è e che può tutto e che vuole il mio bene… un po’ di “terapia evangelica” ci renderebbe più sereni e forse anche psicologi e psichiatri avrebbero meno clienti e più tempo per dire al mondo la bellezza del vivere.
Fu re di Edessa all’epoca di Gesù. La leggenda dice che avendo sentito parlare di Gesù gli avesse scritto una lettera per pregarlo di venire da lui per guarirlo di una malattia. Gesù avrebbe risposto lodandolo per aver creduto e promettendogli di mandare un suo apostolo, cosa che sarebbe successa ad opera di Taddeo.
Parola di Dio: Ger 20,10-13; Sal 68; Rm 5,12-1; Mt 10,26-88
“NON VI E’ NULLA DI NASCOSTO CHE NON DEBBA ESSERE SVELATO, E DI SEGRETO CHE NON DEBBA ESSERE MANIFESTATO.
(Mt 10,26)
Specialmente durante il conclave per l’elezione del Papa più volte le televisioni hanno indugiato sui grandiosi e meravigliosi affreschi di Michelangelo nella cappella Sistina. A parte l’opera d’arte, a parte la teologia che traspare da questi affreschi, essi, almeno per me, rappresentano un po’ la visione che per l’insegnamento ricevuto, avevamo da ragazzi del giudizio universale e che spesso ancora oggi ci portiamo dietro: quella di un giudice che, svelando le nostre intenzioni più intime mette a nudo la nostra povertà e a suo giudizio decide se per noi paradiso o inferno. Eppure nonostante la bellezza poetica della Divina Commedia, nonostante le opere d’arte come quelle di Michelangelo, nonostante certi tipi di predicazione, il Vangelo ci dice che non sarà così. Certo ci sarà un giudizio; visto che sulla terra il bene e il male non sempre sono automaticamente premiati o condannati è proprio della Giustizia e di Dio che ci sia un giudizio, ma non sarà il giudice ( che per altro è sempre lo stesso Gesù misericordioso che ha dato per noi la sua vita, che viene a cercare i lontani e che gioisce quando un peccatore si converte) ma saremo noi stessi che porteremo a conclusione le scelte della nostra vita senza poter barare, senza poter nasconderci, manifestando con chiarezza se davvero ci fidiamo della misericordia di Dio o se ancora una volta costruiamo anche quel momento, come gli altri momenti della nostra vita terrena sull’egoismo e, detto per me, questo mi fa ancora più paura perché conosco bene le mie debolezza e il mio poco amore. Gesù il giudice, che pur sempre è dalla nostra parte non potrà che ratificare quanto nelle scelte della vita e nella conclusione di quel momento noi avremo deciso.
Se tutto questo ci crea paura, perché non cominciare oggi con scelte di fede e di amore a costruirci quello che sarà il giudizio che alla fine dei tempi noi stessi ci daremo? E perché non cominciare già fin da oggi ad allenarci affidarci, nonostante tutto, della misericordia di Dio?
Fu monaco benedettino a San Massimino di Treviri, poi verso il 950 chierico in Colonia. Fu a capo di una missione in terra russa che ebbe però esito negativo. Nel 966 fu abate a Weissemburg, in Alsazia. Nel 969 fu poi eletto Arcivescovo di Magdeburgo. Morì il 20 giugno del 981
Parola di Dio: Gn 12,1-9; Sal 32; Mt 7,1-5
“COL GIUDIZIO CON CUI GIUDICATE SARETE GIUDICATI”. (Mt. 7,2)
Ieri meditavamo sul giudizio universale e ancora una volta oggi nel Vangelo Gesù ci insegna quale sia il modo per prepararci un giudizio favorevole: usare con gli altri lo stesso metro che vorremmo usato con noi.
Nella vita non si può fare a meno di giudicare: abbiamo occhi per vedere, dobbiamo compiere delle scelte che sempre implicano giudizi, ma c’è modo e modo. Il metro è sempre uguale quando giudico me stesso e quando giudico i politici, i commercianti, i vicini di casa, mio marito o mia moglie, il mio capo ufficio, il mio parroco? Noi quando giudichiamo gli altri è perché vorremmo ci fosse “più giustizia”, spesso quando giudichiamo noi stessi invece cerchiamo tutte le scusanti immaginabili e possibili se pur non sospendiamo il giudizio su noi stessi sicuri che quanto facciamo noi è sempre il meglio. Eppure se penso a quanto livore, a volte, a quanta rabbia suscitano certi giudizi che do su quelli che sono i veri o presunti nemici, sarei contento di essere giudicato con lo stesso metro? Eppure Dio accetterà, come dicevamo ieri, che il metro sia il medesimo che abbiamo usato noi. In questa riflessione può esserci di aiuto questo racconto congolese:
C'era una volta un ragazzo con un brutto carattere: si irritava molto spesso. La gente del villaggio lo evitava.
Un bel giorno il padre chiamò il ragazzo, gli diede un sacchetto di chiodi e gli disse: "Ogni volta che perdi la pazienza e litighi con qualcuno, pianta un chiodo sullo steccato del nostro cortile di casa".
Il giorno dopo il ragazzo conficcò ben 37 chiodi.
Il padre disse: "Figlio mio, devi imparare a controllarti di più! Non puoi continuare ad arrabbiarti 37 volte al giorno!".
Nelle settimane seguenti il ragazzo imparò a moderarsi un po', e il numero di chiodi sullo steccato diminuiva di giorno in giorno.
Finalmente arrivò il giorno in cui il giovane non piantò neppure un chiodo.
Allora corse raggiante dal padre e gli disse: "Sai, non ho piantato nemmeno un chiodo!".
Il padre allora gli diede un altro consiglio: "Ora, per ogni giorno che non perdi la pazienza e non litighi con qualcuno, estrai un chiodo dallo steccato".
Passarono i giorni. E arrivò il momento in cui il ragazzo, di nuovo felice poté dire al padre di aver estratto tutti i chiodi. Il genitore allora condusse il figlio davanti allo steccato e disse: "Ragazzo mio, ti sei comportato bene, ma guarda quanti buchi sono rimasti. Lo steccato, così sforacchiato, non sarà mai più quello di una volta! Quando litighi con qualcuno e lo insulti, gli lasci una ferita come questi buchi”.
Puoi piantare un coltello in una persona e poi levarlo; ma rimarrà sempre la ferita. Non importa quante volte ti scuserai. La ferità rimarrà. E sarà questa ferita che un giorno brucerà in te.
Nacque in Messico il 28 novembre 1866. Per 26 anni fu cappellano in una parrocchia della diocesi di Guadalajara. Durante la rivoluzione fu denunciato da un compagno, arrestato, incarcerato. Portato in un camposanto cercarono di impiccarlo ma non vi riuscirono, vollero sparargli ma le armi non funzionarono, allora un soldato lo sgozzò.
Parola di Dio: Gn 13,2.5-18; Sai 14; Mt 7,6.12-14
“QUANTO E’ STRETTA LA PORTA E LA VIA CHE CONDUCE ALLA VITA”. (Mt. 7,14)
Gesù in un altro brano del vangelo ha detto di essere la porta dell’ovile attraverso la quale passano il buon Pastore e le pecore che da Lui sono invitate ad entrare per essere protette e ad uscire per andare verso pascoli di erbe fresche. Gesù però qui dice che bisogna passare attraverso una porta stretta e a noi, a prima vista può sembrare strano che Gesù che è Via, Verità e Vita sia una porta stretta, ma proviamo a rifarci proprio all’ esempio pastorale di Gesù. I pastori alla sera sia per poter essere in più a difendere il gregge, sia per vegliare meglio mettevano insieme i propri greggi, quando potevano al chiuso in un ovile o anche all’aperto formando un recinto in cui raccoglievano tutte le greggi. Per evitare contestazioni sia la sera che la mattina facevano passare le pecore attraverso uno stretto ingresso per poterle contare. Era il modo attraverso il quale il pastore riconosceva le sue pecore, controllava che ci fossero tutte, evitava di unire al proprio gregge quelle degli altri. Gesù allora ci dice di “passare attraverso Lui” per poterci riconoscere suoi e se questo è esaltante per noi perché siamo riconosciuti uno per uno da Lui è anche molto impegnativo perché il buon pastore ci fa suoi proprio insegnandoci a vivere come lui, non attaccati alle facili e piccole soddisfazioni del mondo, non ricercatori in dio di un mago che risolva i nostri problemi, ma come persone che liberamente guardano al proprio maestro per imparare a vivere e ad amare come è vissuto ed ha amato Lui e allora significa anche “prendere ciascuno la propria croce con amore e andargli dietro”.
Era di origine romana, ma visse in Inghilterra tra il III e il IV secolo. Per proteggerlo dalla persecuzione ospitò un sacerdote cristiano che lo convertì alla fede. Scoperto, Albano rifiutò di sacrificare agli dei, venne torturato e poi decapitato nell’anno 287 , primo martire in terra inglese.
Parola di Dio: Gn 15,1-12.17-18; Sal 104; Mt 7,15-20
“GUARDATEVI DAI FALSI PROFETI CHE VENGONO A VOI IN VESTE DI PECORE MA DENTRO SONO LUPI RAPACI” (Mt. 7,15)
Nel corso della storia fino ai nostri giorni sono stati e sono ancora numerosi i ciarlatani e i millantatori. Purtroppo i venditori di fumo trovano sempre un certo numero di adepti, o meglio, di vittime. Le testimonianze più evidenti dei nostri giorni sono i cosiddetti venditori telematici, i quali a spese di ingenui creduloni hanno accumulato ingenti guadagni. Godono di una vasta clientela anche la schiera dei maghi e degli indovini e dei sedicenti guaritori. Non sono meno fortunati i banditori di nuove dottrine, i capo setta e i falsi profeti di ogni genere. Si aggrava ulteriormente la situazione quando si spacciano da profeti e da guide spirituali individui che cercano il proprio tornaconto e non il vero bene delle anime. Lo stesso Gesù li addita come mercenari o come camuffati da pecora mentre dentro sono lupi rapaci. C'è dato di poter fare su questa scia un'umiliante constatazione: il basso livello di istruzione e ancor più grave la debolezza della fede e dello scarso senso di appartenenza alla propria chiesa. L'inganno alligna di preferenza dove trova alberi senza radici e senza frutti. Quando invece trova una fede radicata questa genia di falsi profeti non trova spazio. La constatazione finale è allora duplice: una quella di cercare di riconoscere dai frutti le piante e l’altra per poter far questo quella di vincere l’ignoranza e il superficialismo della fede.
Era nato a Pergamo, diventato cristiano andò a predicare il cristianesimo a Lione, vi fu martirizzato con atroci supplizi nel 177.
Parola di Dio: Gn 16,1-12.15-16; Sal 105; Mt 7,21-29
“NON CHIUNQUE MI DICE: SIGNORE, SIGNORE, ENTRERA' NEL REGNO DEI CIELI, MA COLUI CHE FA LA VOLONTA' DEL PADRE MIO CHE È NEI CIELI”. (Mt. 7,21)
E’ perfino troppo facile applicare questo detto di Gesù, specialmente se diventa occasione per giustificare la nostra non preghiera, ecco allora le solite frasi: “Pregare non serve... Dire il Rosario non è forse un ripetere da pappagallo?... Quella persona tanto pia è una baciapile ma poi…”.
Gesù ci mette in guardia da una fede fatta a compartimenti stagni non comunicanti tra loro. La fede non è puro attivismo, essa si fonda sull’ascolto della Parola (ricordiamo l’episodio di Marta e Maria). Dio è la Roccia su cui noi dobbiamo costruire. Se Dio è soltanto un paravento, se lo tiriamo fuori solo la domenica per poi nasconderlo nella vita quotidiana, la fede è un verbalismo inutile, e la nostra, risulta una costruzione unicamente terrena se si fonda solo su noi stessi, sui nostri progetti, sul fare tanto e in fretta senza approfondire, senza scavare. Gesù ci dice che dobbiamo fare la volontà del Padre, ma questa volontà dobbiamo cercarla, pregarla, approfondirla; solo allora il nostro essere cristiano sarà equilibrato: non fondato sulle parole e neanche fatto di tante cose ma senza Cristo.
Fu un vescovo che viaggiò molto ed operò in luoghi diversi. Era stato ordinato in Francia poi passò in Irlanda e poi ancora in Inghilterra per finire vescovo di Parigi dal 668 dove rimase fino alla sua morte verso il 680.
Parola di Dio: Is 49,1-6; Sal 138; At 13,22-26;Lc 1,57-66.80
“DAVVERO LA MANO DEL SIGNORE STAVA CON LUI”. (Lc. 1,66)
Oggi è la solennità della Natività di Giovanni Battista. Per pochissimi santi la Chiesa celebra il natale: celebra quello di Gesù, di Maria, Sua Madre e di Giovanni Battista: un modo di dire grazie a Dio per il dono che fa alla nostra famiglia umana con loro. E la festa di Giovanni ci dà occasione per riflettere su chi siano stati e siano oggi i profeti. Alle volte si pensa che siano persone che predicono il futuro... macché, quelli sono gli indovini! No, i profeti sono amici di Dio che, animati nel profondo dallo Spirito Santo, indicano al popolo l'interpretazione di eventi, ammoniscono, scuotono, a volte anche con metodi piuttosto inusuali e rudi. Straordinaria la presenza dei profeti nella Scrittura, uomini diversi sedotti da Dio che fanno diventare la loro vita una catechesi vivente, un monito continuo al popolo, a volte al costo della propria vita. Persone che rischiarano le tenebre e che invitano alla speranza. E, tra questi, spicca come un gigante Giovanni Battista. Giovanni crudo asceta del deserto, Giovanni tagliente predicatore, Giovanni disposto a morire per mantenere fede alla sua missione di verità. Giovanni che prepara e dispone il popolo all'accoglienza del Messia ma che, teneramente, resta anche lui spiazzato dall'originalità di questo Messia. D'altronde: come biasimare Giovanni?! Il più grande dei profeti ma anche il più sfortunato: invita a conversione, grida e minaccia, indica un Messia vendicativo con l'ascia pronta a tagliare l'albero che non produce frutto e poi arriva Gesù che invece di abbattere accarezza e pota l'albero per fargli portare più frutto! Impressiona il fatto che addirittura Giovanni sia spiazzato dall'inaudita tenerezza di Dio: anche lui deve arrendersi alla contrologica del Dio d'Israele.
Alcune considerazioni, allora. I profeti esistono ancora, sono presenti in mezzo a noi. Uomini e donne che vivono il Vangelo con tale coinvolgente semplicità e convinzione da diventare un segno di conversione per noi tutti. Ciascuno di noi è chiamato a diventare profeta, a diventare segno là dove vive, ad essere almeno un po' trasparenza di Dio. Mi viene in mente il sospiro di Mosè che, commentando il fatto che alcuni profetizzavano senza suo permesso, sognava: "fossero tutti profeti i figli di Israele!"
Nacque nell’864. Il suo nome significa : “buona rugiada slava”. Morti i suoi genitori è accolta come figlioccia dai duchi Boriboy. Mentre , ancora giovanissima è in viaggio per andare sposa a Fortunio Jimenez, figlio del re di Aragona, viene assalita da un bandito, Aben Lupo che vuole farla sua e le chiede anche di rinnegare la fede. Al suo diniego la uccide.
Parola di Dio: Gn 18,1-15; Cantico da Lc 1,46-50.52-55; Mt 8,5-17
“EGLI HA PRESO SU DI SE LE NOSTRE INFERMITA’ E SI E’ ADDOSSATO LE NOSTRE MALATTIE”. (Mt. 8,17)
Dai Vangeli appare chiaro che Gesù suscita giudizi diametralmente opposti nei suoi uditori: alcuni lo esaltano, credono in Lui, lo riconoscono come il profeta inviato da Dio, lo identificano con il Messia atteso, gli riconoscono una “autorità” che non riescono a scorgere nei capi religiosi del tempo. Altri tramano continuamente contro di lui cercando subdoli e maligni pretesti per accusarlo. Coloro che lo cercano sono prevalentemente i poveri e gli umili, i puri di cuore, quasi naturalmente aperti al suo messaggio di novità e di amore che egli va proclamando. Oggi costatiamo un'eccezione: è un centurione, un pagano, a cercarlo. Viene ad implorare la guarigione non per sé, non per un suo famigliare, ma per un suo servo, che giace paralizzato e soffre terribilmente. “Io verrò e lo curerò”, dice il Signore. Venire per curare anime e corpi è la sua missione e non si sottrae al suo compito. Egli si compiace della fede di quel pagano che non si ritiene degno di accogliere il Signore sotto il suo tetto, convinto che una sua parola è già sufficiente per ottenere quanto desidera. Gesù vede con gioia che il suo annuncio sta già valicando e valicherà i confini del popolo d'Israele per spaziare ovunque troverà accoglienza nella semplicità e nella purezza del cuore. “Va’, poi dice al centurione, sia fatto secondo la tua fede”. Davvero il Signore Gesù è venuto a colmare ogni distanza; Egli non è legato al tempo e allo spazio perché “Egli comanda e tutto è fatto”, ha in sé tutta la potenza di Dio. L'unica condizione siamo noi a porla e riguarda appunto la nostra fede. Altra certezza c'infonde l'istantanea guarigione della suocera di Pietro: questa volta egli tocca la mano dell'inferma e subito la febbre scompare ed è pronta a servire il Signore. Egli ancora ci tocca per guarirci, ancora viene a noi e prende dimora nei nostri cuori. Ci tocca nella realtà e nel mistero della santa Eucaristia che prendiamo nelle nostre mani per poi fonderci con Lui nell'intimità della perfetta comunione. Egli viene e ci tocca nell'intimo per prendere le nostre infermità e addossarsi le nostre malattie, quelle personali e quelle più profonde della nostra umanità. È importante, decisivo lasciarsi toccare!
Nacque il 23 novembre 1863 a Fiumicello di Campodarsego (provincia di Padova) da contadini molto poveri ma religiosi. A 16 anni chiese di entrare nel noviziato dei Cappuccini e prese il nome di Andrea Giacinto. Fu per 18 anni direttore spirituale dei giovani religiosi. Conosciuto personalmente da Pio X, lo fece vescovo di Treviso. Per cinque anni visitò la sua diocesi, riformò il seminario, fece una programmazione per la formazione permanente del clero. Durante la guerra del 15-18, rimase al suo posto e provvide alla assistenza dei poveri e dei feriti e in seguito alla ricostruzione. Morì il 26 Giugno 1936.
Parola di Dio: 2 Re 4,8-11.14-16a; Sal 88; Rm 6,3-4.8-11; Mt 10,37-42
“CHI AMA IL PADRE O LA MADRE PIU’ DI ME NON E’ DEGNO DI ME…”. (Mt.10,37)
Questo brano di Vangelo risulta di inaudita lontananza dalla nostra realtà. Questo Gesù che chiede il primo posto, prima degli affetti, questo Gesù che ci chiede di entrare nel mistero della sofferenza, questo Dio che ci chiede di perderci, lascia sbigottiti. E' possibile vivere ciò che il Signore chiede? E' davvero realizzabile quanto il Signore vuole? Misurando, con un po' di sano realismo e di autenticità, questa parola con la nostra vita, non si può che restare scoraggiati. Eppure non credo che la Buona Notizia scoraggi, non penso che il Vangelo, che è proposta di vita, stile di libertà, pienezza di amore, ci ponga degli obiettivi così irraggiungibili. La prima reazione, leggendo la Parola, è quella di sentirci inadeguati. Il Signore, invece, ci chiede di spostare lo sguardo da noi a lui. Invece di dire: "non è possibile essere cristiani in questo modo!", il Signore ci chiede di dargli fiducia. Allora la Parola s’illumina, e mi chiedo: ma colui che pretende così tanto, questo Signore così esigente, cosa ci propone in cambio? Il Signore si presenta come colui che è più dei nostri affetti, più della sofferenza, più della vita stessa. Dio si presenta come il tutto, mantiene ciò che promette, gioca a chi è più generoso. Sì, questa pagina deve gonfiare il nostro cuore di gioia. Non perché sentiamo che le cose che il Signore ci chiede sono irraggiungibili. No. Ma perché se ce lo chiede è che la sua presenza è di più! Intuisco, allora, quanto grande dev'essere la presenza del Signore nel cuore di chi crede sul serio. Intuisco, barlume nella mia mediocrità, Ma: come arrivare a tanto? Accogliendo, ci dice il Vangelo. Accogliendo chi porta la Parola senza pregiudizi, con semplicità e fede. Come accogliamo la Parola? Come accogliamo chi ce l'annuncia? Sempre così pronti a fermarci a chi ne parla, piuttosto che ad ascoltare il contenuto. Esiste una chiusura di cuore (la più terribile!) che ci impedisce di accogliere il Vangelo perché scandalizzati o infastiditi da chi l'annuncia. "Ma come, questo prete, questo cristiano, così incoerente mi parla in questo modo di Dio?". E così sbarriamo il cuore alla Parola, impediamo a Dio di agire nella nostra vita. Accogliere significa fidarsi. Accogliere significa abbattere i propri muri per finalmente intravedere la pienezza dell'amore. Gesù ci suggerisce l'atteggiamento del giusto.
Era nato in Polonia verso il 1040 e fu eletto al trono grazie ad acclamazione popolare. Fu detto anche “il Pio” per la sua giustizia, sapienza e fede nel governare. Diffuse la fede tra il suo popolo. Morì a Nitra in Slovacchia nel 1095
Parola di Dio: Gn 18, 16-33; Sal 102; Mt 8,18-22
“LE VOLPI HANNO LE LORO TANE E GLI UCCELLI DEL CIELO I LORO NIDI MA IL FIGLIO DELL’UOMO NON HA DOVE POSARE IL CAPO”. (Mt. 8,20)
Tutte le volte che leggo questo brano del Vangelo mi vengono in mente certi “procacciatori di vocazioni” che ho incontrato nel cammino della vita che pur di pescare qualcuno da aggiungere come numero alla “schiera degli eletti” non mancavano di presentare la vocazione religiosa come fosse la panacea di tutti i mali, la strada per realizzare ogni felicità. Gesù non fa assolutamente così. Quando chiama non nasconde le difficoltà, non dice che seguirlo è una passeggiata in un corteo fatto di gloria e di onore, ma al massimo è prendere la croce e seguirlo verso il Calvario; andargli dietro non significa farsi una posizione, perché il figlio dell’uomo non ha neanche un sasso dove posare il capo, non è sedere alla destra o alla sinistra di Dio perché quei posti sono già occupata da due ladri crocifissi come il Salvatore, non è trovare gente che si inchina e che ti serve ma è mettersi a lavare dei piedi sporchi, è fare spazio perché altri ti passino avanti… Ma allora seguire Gesù è tristezza? È solo sacrifico? Assolutamente no! (come si usa dire oggi) Seguire Gesù è avere trovato il tesoro per cui le altre cose diventano carabattole, rinunciare a piccoli piaceri quotidiani significa allargare il cuore perché accolga meglio il salvatore, fare spazio agli altri significa cominciare ad amare come Dio ama. La caratteristica del cristiano è il distacco dai beni del mondo non perché essi siano “brutti e cattivi” ma per mettere al primo posto il Signore. I suoi ministri hanno il dovere di andare “sgombri” di ogni peso e liberi da ogni umana preoccupazione. È difficile oggi convincersi che il distacco dai beni materiali e l'abbandono fiducioso alla Provvidenza divina possa essere motivo di interiore libertà e garanzia di vera ricchezza eppure il senso della povertà cristiana sta proprio lì: posso essere povero solo perché sono già ricco di Dio.
Fu monaco e soldato contemporaneamente. Apparteneva alla nobile famiglia milanese dei Cotta, collaborò con il vescovo Arialdo per riformare i costumi del clero. Fu ucciso il 28 giugno 1075 dai seguaci del vescovo simoniaco Guido contro cui si era schierato.
Parola di Dio: Gn 19,15-29; Sal 25; Mt 8,23-27
“ED ECCO SCATENARSI NEL MARE UNA TEMPESTA COSI’ VIOLENTA CHE LA BARCA ERA RICOPERTA DALLE ONDE; MA GESU’ DORMIVA. (Mt. 8,24)
Ha sempre lasciato perplessi il leggere che Gesù dorme mentre si sta scatenando una violenta tempesta che scaglia onde minacciose sulla barca dei suoi discepoli. È ancora più sorprendente costatare nella storia e nella vita che lo stesso Signore appaia talvolta disinteressato e assente mentre vicende minacciose si abbattono sul mondo, sulla sua chiesa e sulle singole persone. Quel sonno e quel distacco ha scandalizzato e scandalizza molti, ha generato e genera spesso crisi di fede, ha indotto molti a parlare del silenzio di Dio, dell'assenza di Dio dal nostro mondo. Qualcuno è giunto a parlare della “morte di Dio” e, sulla stessa scia ha fortemente dubitato del suo amore per noi. Ma è Dio che è assente, Lui che ha intessuto una storia di salvezza per l’uomo, Lui che in Gesù si è fatto in tutto come noi eccetto che nel peccato per salvarci, o siamo noi che con la nostra poca fede non lo vediamo? Quando manca la fede le burrasche assumono dimensioni distruttive. E’ quasi sempre l'uomo a scatenarle, ma non è capace di riconoscere le proprie responsabilità, apportare i necessari rimedi, anzi le attribuisce a Dio e osa incolparlo; emana condanne contro quel Dio che egli volutamente ignora. Non è quindi il silenzio o il disinteresse o ancor meno l'assenza o la morte di Dio la causa delle nostre disfatte, ma l'oscuramento dell'anima, il buio della fede che genera tempeste, violenze, sopraffazioni ed è ancora la stessa mancanza a scatenare la paura in coloro che le subiscono. E’ di qualche giorno fa l'ammonimento del Signore che ci ricordava di non aver paura di coloro che possono uccidere il corpo, ma piuttosto di coloro che possono distruggerci dentro creando l'inferno nella nostra vita. Ai nostri giorni malessere profondo e decantato progresso convivono assurdamente insieme e sono pochi coloro che con intelligenza e sapienza ne sanno scrutare difetti e valori. Non alziamo la testa per bestemmiare Dio ma apriamo gli occhi per vederlo accanto a noi solidale tutte le volte che lottiamo per vincere ogni specie di male.
Vissero verso la fine del sec. XI. La storia leggendaria che le riguarda dice che Salome, di ritorno da un pellegrinaggio in Terrasanta ebbe una serie di disgrazie fisiche, al punto che lebbrosa chiese di essere murata in una cella di un convento. Giuditta era una sua parente. Si mise a cercarla e quando la trovò anche lei decise di dedicare la sua vita alla preghiera e alla penitenza.
Parola di Dio: At 12,1-11; Sal 33; 2 Tm 4,6-8.17-18;Mt 16,13-19
“E IO TI DICO: TU SEI PIETRO E SU QUESTA PIETRA IO EDIFICHERO’ LA MIA CHIESA E LE PORTE DEGLI INFERI NON PREVARRANNO CONTRO DI ESSA”. (Mt. 16,18)
Strani materiali, quelli usati da Gesù per edificare la sua Chiesa! Pietro, con tutto rispetto, è un ottimo uomo ma tutt’altro che il santo che noi ci aspetteremo, tutto pio, mistico, buono, misericordioso. Da quanto ci raccontano i Vangeli, Pietro viene fuori con tutto il suo caratteraccio.
E’ un pescatore, anzi un piccolo boss di una cooperativa di pescatori, è un impulsivo, è anche portato a reagire violentemente fino al punto di impugnare la spada; in certe occasioni è presuntuoso, si permette di dire a Gesù quello che deve fare. Ma nello stesso tempo è debole, ha paura, ragiona con mentalità umana... Eppure è il materiale preferito da Gesù. Gesù sa vedere le possibilità di bene di quest’uomo, sa la sua capacità di amare, vede le sue lacrime di pentimento, si fida di lui e di quanto in lui può operare lo Spirito.
E Paolo? Non era forse un integralista, un persecutore dei cristiani? Non è forse l'intellettuale, lo studioso, l'intransigente, l'uomo senza mezze misure con se stesso e con gli altri, lo scaltro, il coraggioso, il temerario? Eppure Gesù va a cercarlo, lo butta giù da cavallo, lo vuole tutto per sé.
Se Pietro avesse detto: “Signore, tu mi chiedi troppo! Intanto mi cambi il nome e mi chiami roccia. Forse ti sei sbagliato. Io non sono una roccia, sono molto fragile, alle volte tradisco quelli che si fidano di me. E poi ho una famiglia da mantenere, ho anche una suocera… lasciamo perdere!”; e se Paolo avesse detto: “Proprio Tu mi parli! Lo sai che io perseguito i tuoi discepoli, li porto in prigione dove forse saranno uccisi! Scegli qualcun altro…”, come il Regno di Dio e la buona novella di Gesù si sarebbero potuti espandere? Dio si serve di materiali ben strani per costruire il suo Regno, ma Dio allora come oggi ha bisogno di uomini, ha bisogno di me e di te, non perché siamo indispensabili per la nostra intelligenza, per la fede integerrima, per la bontà totale, ha bisogno di noi così come siamo, ma gioiosi nel testimoniarlo. Non deludiamo l’amore di Dio in Cristo e pur conoscendo i nostri limiti lasciamoci “portare là dove Lui vorrà” per il bene nostro e per poter offrire a Gesù un po’ di noi stessi.
Era nata nella prima metà del VII secolo da una nobile famiglia. Entrò in monastero, ma pensò anche ai sofferenti fondando un ospedale nella città belga di Orp Legrand. Morì nel 670.
Parola di Dio: Gn 22,1-19; SaI 114; Mt 9,1-8
"ED ECCO GLI PORTARONO UN PARALITICO STESO SU UN LETTO". (Mt. 9,2)
Quando uno è paralitico, oltre alla malattia soffre di un handicap molto grande. Per muoversi, per fare le cose che gli aggradano, ha bisogno di altri.
Il paralitico del Vangelo poteva avere tutta la fede che voleva in Gesù, ma se i suoi amici non si caricavano di lui e della sua barella e si mettevano in viaggio, non avrebbe potuto incontrare Gesù a da Lui ricevere non una, ma due grazie: il perdono dei peccati e la guarigione dalla paralisi.
Spesso l'uomo, caduto nelle spire del peccato, resta paralizzato. Provate a pensare, ad esempio, a quando ci si è lasciati invischiare dal male, come sia difficile rompere con esso e con le sue abitudini, le sue costrizioni; un drogato non riesce facilmente a venirne fuori, anche se in certi momenti lo vorrebbe: c'è il bisogno fisico, la paura della sofferenza, il 'giro' in cui è entrato…
Quando ci si ritrova paralizzati così, forse si vorrebbe risolvere il problema, ma da soli non possiamo niente, neppure recarci da Gesù.
Abbiamo bisogno di amici che ci aiutino. Possiamo diventare amici per aiutare. Il senso vero dell'amicizia è proprio qui. Non sono amico solo perché "con te mi trovo bene", neanche perché "insieme ne abbiamo combinate di cotte e di crude", sono amico vero specialmente quando posso fare per te qualcosa che tu, da solo, in quel momento, non potresti fare.
E c'è ancora un'altra grande forma di aiuto che possiamo offrirci a vicenda, specialmente quando siamo impediti di poter agire immediatamente nei confronti dell'altro, ed è la preghiera di intercessione.
E' uno dei doni più preziosi che possiamo fare. Non serve a scaricarci le responsabilità: se chiedo qualcosa per un amico, devo essere disponibile, appena ne avessi la possibilità, di farmi in quattro per farglielo avere.
Non è inutile perché Gesù apprezza tutto quello che è amore e amicizia ed è favorevolmente disposto a chi, per amore, non chiede per sé, ma per gli altri.
Sono convinto che se nella mia vita ho potuto, qualche volta, fare un po’ di bene, è dovuto certamente alla preghiera umile e profonda di tante persone, cominciando da mia madre, che ogni giorno pregano per me.
E nella preghiera di intercessione non occorre neppure specificare entità e quantità di dono richiesto, basta affidare alla bontà di Dio: Lui provvede a dare ciò che è buono e giusto.
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Visto l’ultimo nostro argomento di riflessione mi piace suggerirvi una preghiera per i fratelli scritta da: Germana Resch,
una mistica fondatrice con don Stefano Ferreri delle Suore di Betania di Fiamenga (Mondovì)
Verbo di Dio che per il tuo grande amore hai preso la natura umana e ti sei fatto nostro fratello, Gesù Salvatore che hai accordato la risurrezione di Lazzaro all’affetto e alle preghiere di Marta e di Maria sue sorelle, degnati di esaudire le domande che ti rivolgiamo dal profondo del cuore per i nostri fratelli.
Conservali costanti nella fede, ferventi nella pietà, puri nelle tentazioni, forti nella prova, coraggiosi nell’opera.
Proteggili contro tutti i pericoli, riconducili a te se si fossero smarriti, assistili soprattutto nell’ora della morte, affinché, dopo essere stati tuoi servi sulla terra, siano un giorno, e noi con essi, i tuoi eletti nel cielo. Così sia.