GESU' UN FRATELLO
Don Franco Locci
Introduzione
Solo nel secolo scorso sono stati dedicati a Gesù circa 62.000 volumi. Di Lui si parla, si scrive, si discute. Ma se gli uomini hanno scritto e continuano a scrivere su di Lui è perché i discorsi su Gesù si possono chiudere, ma non terminano mai, è perché non ci può essere uomo a cui non possa interessare la figura e il messaggio di Gesù di Nazareth, è perché noi cristiani, nonostante le ore di religione e le prediche siamo denutriti di messaggio evangelico, e soprattutto perché quale senso avrebbe una religione che si dice cristiana nella quale la presenza di Cristo non avesse il primo posto?
Gesù ricercato
Ai tempi della rivoluzione giovanile (tanto per capirci 1968 e seguenti) circolava in giro un poster su cui capeggiava il volto di Cristo con la scritta “Wanted”: Ricercato!. Non so se gli autori volessero ricercare Gesù perché non riuscivano più a trovarlo nei cristiani, o se fosse ricercato perché primo rivoluzionario o se fosse ancora la speranza di qualcuno che vedeva nella riscoperta di Cristo una possibilità di nuovi valori da vivere, ma non si può negare che in un modo o nell’altro Gesù Cristo abbia avuto un ampio influsso su tutta la storia che è seguita alla sua venuta. Se noi guardiamo al nostro mondo occidentale i nostri sistemi giuridici hanno un ampio fondamento sui valori cristiani. L’attenzione di Gesù per i poveri ha fatto nascere molte attenzioni sociali ai lavoratori, ai malati, all’assistenza. Anche la cultura, le scuole, le università hanno radici che affondano nel lavoro di cristiani a favore dei loro fratelli. Certi interrogativi dell’uomo di ogni tempo come il senso della vita, la sofferenza, la morte e il dopo morte trovano nel messaggio di Gesù una possibilità di risposta. C’è però anche un rischio, quello che siccome tutti dicono di conoscerlo, lo si conosca per luoghi comuni, per abitudini e si finisca di ignorare totalmente la sua vera identità.
Hanno detto di Lui
Da circa quarant’anni raccolgo, dalle mie letture, le frasi che riguardano Gesù e i cristiani. Ve ne offro alcune anche contraddittorie proprio per indicare come Gesù sia in modi diversi un punto di confronto:
Cristo sarà per sempre un problema per colui che pensa. (Goethe)
Strappare il nome di Gesù dal mondo sarebbe come scuoterlo dalle fondamenta. (Renan)
Cristo ci ha mostrato la via, sta a noi percorrerla. (S. Agostino)
Gesù è più Salvatore di quanto io sia peccatore. (Jean Alberti)
Cristo non è un messaggio né un’idea. E’ un fratello che cammina con noi per fare la strada insieme. (J. Arias)
GESU' UN FRATELLO
Prima di tutto dobbiamo evitare di ridurre Gesù ad un personaggio lontano da noi, quasi un’idea, fuori del nostro tempo e dello spazio.
Spesso abbiamo messo Gesù su cime inavvicinabili e gli abbiamo impedito di camminare con noi quasi che si potesse dire: da un lato la vita di tutti i giorni, la casa, il lavoro, il riposo, il divertimento e dall’altra la religione. Dove è andato a finire il Gesù che divide gioie e speranze, tristezze e angosce, il Gesù che piange davanti alla tomba di un amico, che accarezza i bambini? Se la pensiamo così, abbiamo ucciso il senso dell’incarnazione. A volte fa più comodo pensare ad un Cristo disincarnato. Un Dio evanescente non coinvolge a fondo nessuno. Ognuno lo interpreta come vuole; ognuno può asserire di essergli amico. Si può addirittura arrivare all’assurdo di un Hitler che diceva: “Io credo di agire conformemente alla volontà del Creatore onnipotente. Io lotto per l’opera di Dio. Con un Dio che s’incarna, invece, non si può più scherzare. Egli è lì, davanti ai nostri occhi, con il suo stile di vita, con le sue preferenze, le sue idee, le sue esigenze. Per fortuna dell’uomo, Gesù non è solo un evento storico avvenuto sotto Quirino, governatore della provincia dì Siria (Lc. 2,1). Gesù è un “Dio che si è fatto carne ed ha posto la sua dimora in mezzo a noi” (Gv. 1,14). “Egli è in tutto simile a noi, fuorché nel peccato” (Eb. 4,15). Gesù è uomo dalla testa ai piedi. Nasce da una donna (Gal. 4,4) secondo la legge universale del genere umano. Fa la nostra stessa vita: è bambino, ragazzo, adolescente, giovane. Cresce (Lc. 2,51), matura, impara un lavoro, a trent’anni è pronto per la sua missione. Lo si può vedere, sentire, toccare. Giovanni, in una sua lettera, fa passare in rassegna tutti i sensi dell’uomo per dire che non ce n’è stato uno che non sia stato toccato da Cristo: “Quel che abbiamo inteso (udito); quel che abbiamo veduto con i nostri occhi (vista); quel che le nostre mani hanno toccato del Verbo di Dio (tatto), noi lo annunciamo anche a voi” (1 Gv. 1,1—3). Gesù calpesta la stessa terra che ancora calpestiamo noi, respira la stessa aria, mangia il nostro pane, beve la nostra acqua e il nostro vino: e se ne intende! (Mc. 2,22). Per rivelarci le sue grandi idee si serve del nostro linguaggio usando immagini di cose alla portata di tutti, allora come adesso. Parla del sole e della pioggia (Mt. 5,45) del temporale e del vento scirocco (Lc. 12,54—55), del lampo che appare ad oriente e brilla fino ad occidente (Mt. 24,27), degli uccelli (Mt. 6,26), dell’erba del campo che oggi esiste e domani è gettata nel fuoco (Mt. 6,30), del fico che quando mette le foglie annuncia l’avvicinarsi dell’estate (Mc. 13,28), del raccolto (Mc. 4,3), della tignola e del tarlo (Mt. 6,19), dei cani che leccano le piaghe (Lc. 16,21), degli avvoltoi che mangiano cadaveri (Mt. 24,28), di abiti rappezzati, di otri e di vino (Mc. 2,21—22), della scodella, del bicchiere, del piatto (Mt. 23,23—27); sa come una donna fa il pane (Mt. 13,1—8); sa come si costruisce una casa (Mt. 7,24—27), parla del pastore che va in cerca della pecora smarrita (Lc. 15,4—7); sa come il contadino lavora (Mc. 4,3), come i disoccupati vivono seduti in piazza in attesa di lavoro (Mt. 20,1), come i bambini nelle strade fanno i loro giochi (Mt. 11,16—18). Partecipa di tutti i condizionamenti della vita umana e, come vedremo, di tutti i nostri sentimenti, in particolare del terrore e dell’angoscia della morte violenta (Lc.22,44). Sente la fame (Mt. 4,2), la sete (Gv. 4,7), la stanchezza (Mc. 4,37), il freddo e il caldo, il sonno (Mt. 8,24), la vita insicura e senza tetto (Lc. 9,58), le lacrime (Lc. 19,41; Gv. 11,35). Sente la debolezza, la tentazione; gusta l’amarezza della depressione psicologica fino all’abbandono di Dio: “Perché mi hai abbandonato?”. Ha paura, sgomento, noia, angoscia.
Che cosa vogliamo di più per convincerci che Cristo si e fatto uomo sul serio e non per gioco?
Gesù è poi davvero esistito?
Ecco alcune prove storiche dell’esistenza reale di Gesù:
Di Gesù parlano tutti i 27 Libri del Nuovo Testamento. Sono però soprattutto i quattro evangeli a dirci chi sia stato Gesù, quale il suo messaggio e la sua storia. E’ un vantaggio che siano in quattro perché attraverso angolature diverse, dettagli particolari, preoccupazione di rispondere ad esigenze di comunità diverse in cui vivevano riescono a darci una visione completa delle parole, degli atti e del carattere di Gesù. Marco scrive per primo basandosi sulla predicazione di san Pietro. Matteo cerca di dimostrare come Gesù sia il compimento delle promesse dell’Antico Testamento. Luca vuole rispondere alle domande di coloro che volevano conoscere Gesù e ci presenta soprattutto la sua misericordia. Giovanni poi, scrivendo per ultimo e non avendo più la preoccupazione di raccontare le cose per filo e per segno ci dà attraverso racconti, parole e riflessioni una vera e propria teologia di Gesù e del perché della sua venuta.
Di Gesù parlano i Padri Apostolici, ad esempio:
La Didachè, composta in Oriente tra il 50 e il 70 d. C.
La prima lettera di S. Clemente papa ai Corinti composta nel 96 d. C.
La lettera di S. Ignazio, che conobbe gli apostoli e fu Vescovo di Antiochia tra il 70 e il 107
La lettera di Policarpo che poteva testimoniare di aver trattato con gli apostoli (la lettera è del 107).
Di Gesù parlano gli storici pagani. Tacito, Svetonio, Plinio il Giovane parlano nei loro scritti di Gesù. In particolare Tacito negli Annali scrive: “L’autore di questa denominazione, Cristo, sotto l’impero di Tiberio era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato”.
Di Gesù parla il grande storico ebreo Giuseppe Flavio.
In un passo delle
Antichità giudaiche, scritte tra il 93 e il 94, lo scrittore riferisce della
morte di Giacomo, parente di Gesù, “chiamato Cristo”, e in un altro passo:
“Ora ci fu verso questo tempo Gesù; uomo sapiente, seppure bisogna chiamarlo
uomo: era infatti un facitore di cose straordinarie. Ed attirò a sé molti
giudei ed anche molti greci”.
Perché la nascita di Gesù fu diversa?
Gli scrittori del Nuovo Testamento considerano la nascita di Gesù come un evento straordinario nella storia dell’uomo, e non come la nascita di un bambino qualsiasi. Come descrivono il significato della nascita e dell’umanità di Gesù?
Il Nuovo Testamento considera la nascita di Gesù una meravigliosa dimostrazione dell’amore di Dio per l’umanità.
I cristiani credono che Dio Padre abbia mandato suo Figlio nel mondo a vivere come un essere umano. Matteo, per esempio, dà a Gesù il nome di “Emmanuele”, che significa “Dio con noi”.
Dio venne nella persona di Gesù per farsi solidale con noi. Venne a vivere in mezzo a noi per dividere le nostre gioie e le nostre sofferenze, e infine per soffrire e morire. Questa visione di un Dio che vuole essere coinvolto nella vita degli uomini è diversa da ogni altra visione di Dio.
Molti filosofi greci consideravano l’apatia la più grande virtù dei loro dèi: letteralmente apatia significa “liberazione dalla sofferenza”. Questi dèi non avevano sentimenti, non si interessavano al mondo e alla sua sofferenza.
In opposizione a questa fredda immagine, Gesù è un Dio che vive nella realtà e nel dolore della vita umana: colui che è venuto a liberarci dalla sofferenza.
Molti Ebrei si aspettavano che il Messia venisse con grande splendore, circonfuso di gloria evidente. Questo spiega perché il re Erode era così sconcertato all’udire che un re doveva nascere nel suo territorio senza che lui lo sapesse.
Gesù nacque nell’oscurità, non in un palazzo. Ma Gesù non era venuto per sostituirsi ad Erode come capo politico. Come fa chiaramente capire la sua umile nascita, Dio non manda Gesù nelle vesti del re che la gente aspettava. Gli Ebrei volevano una carismatica figura militare che riconquistasse Gerusalemme e cacciasse i romani, invece Gesù era venuto ad additare agli uomini la necessità dell’obbedienza e della fedeltà a Dio in qualunque circostanza. Nel corso della sua vita, Gesù non si interessò tanto dei grandi e dei potenti, ma della gente comune: i poveri, gli affamati, i meno fortunati e quelli che nessuno ama. Tutto questo era in armonia con la sua nascita in un ambiente semplice. La sua famiglia era un esempio tipico delle persone per la cui salvezza era venuto: persone comuni che vivevano una vita comune.
Perché Gesù non é stato concepito come gli altri uomini ?
Gesù è un dono di Dio, un dono incomparabile. Concepito per opera dello Spirito Santo, è nato dalla Vergine Maria.
Questo è il messaggio centrale della Buona Novella espresso nelle prime pagine dei Vangeli di Matteo e Luca. Su questo la Chiesa fonda il dogma della verginità di Maria: Gesù è nato da lei senza che ella avesse conosciuto uomo (Lc. 1,34). Questa è un’ampia prova che “nulla è impossibile a Dio” (Lc. 1,37). La concezione verginale dice anzitutto chi è il bambino della promessa e ci introduce nel cuore del mistero della persona di Cristo.
Dio ha assunto la nostra carne in Gesù Cristo. In ebraico il termine carne indica tutta la persona considerata nella sua fragilità.
Tessuto nel ventre di sua Madre, Gesù è nato nudo e Maria e Giuseppe hanno amato il loro piccolo che piangeva. In lui Dio ha preso gli occhi di un bambino e, con i suoi piedini, ha imparato a camminare sui passi degli uomini. Da Maria ha imparato a parlare, da Giuseppe il suo lavoro. “Cristo è passato attraverso tutte le esperienze dell’uomo e in questo modo ha permesso a tutti gli uomini la comunione con Dio” (san Ireneo). Ha conosciuto la fame, la tentazione, la sofferenza e l’abbandono: è stato in tutto simile a noi, fuorché nel peccato.
Perché Maria é stata preservata dal peccato?
Maria è la donna del “sì”.
La disponibilità senza riserve di Maria è stata possibile per la sollecitudine amorosa di Dio. Maria, libera dal peccato originale e per nulla incline al male e all’egoismo, è stata salvata da colui che è morto per lei, anche se lei gli ha donato la vita.
Da sempre Dio aveva scelto Maria per essere la Madre di suo Figlio, per questo è “piena di grazia” è stata circondata dall’amore di Dio fin dal suo concepimento e preservata da ogni peccato.
Quando si parla della purezza di Maria, cioè della sua immacolata concezione, non ci si riferisce come spesso si pensa alla concezione verginale di Gesù. Si vuole invece sottolineare l’assenza del peccato originale fin dal primo momento della sua esistenza e la purezza della sua totale disponibilità a Dio. Questa grazia è un dono del Padre a Maria.
L’incarnazione porta in sé un’idea ben chiara: calandosi nella nostra pelle, Gesù sceglie l’uomo, si mette dalla nostra parte. Dice il Concilio: “Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in un certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo”. Da tutto ciò, l’uomo ne esce consacrato. Anche la persona che incontro sul tram ha la faccia di Cristo. E’ Cristo colui che ci passa accanto, vecchio da tutti abbandonato o lavoratore straniero ingiustamente disprezzato, o emigrante, o fanciullo nato da un’unione illegittima, che patisce immeritatamente per un peccato da lui non commesso, o affamato che richiama la nostra coscienza, rievocando la voce del Signore: “Quanto avete fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me
Ha detto H. Boll: “Persino il peggiore mondo cristiano, sarebbe per me preferibile al migliore mondo pagano, perché in un mondo cristiano c’è posto per gente alla quale il mondo pagano non ha mai fatto posto: storpi e malati, vecchi e deboli, e, più ancora che posto, c’è amore per quelli che al mondo pagano e senza Dio sembrarono e sembrano inutili”. Per il marxista Lucio Lombardo Radice “il cristianesimo è l’unica religione, o meglio fede, del mondo d’oggi che al suo centro ha l’uomo.
Dice Messori nel suo libro ‘Ipotesi su Gesù’: “Da quando Dio si è fatto uomo, l’uomo non può più essere schiaffeggiato senza che si schiaffeggi Dio stesso”.
Ma l’incarnazione ci dice che non solo l’uomo è consacrato, ma è consacrato anche l’universo. Non è che il mondo non fosse già in un certo senso sacro, perché creato da Dio, ma la presenza di Gesù che calpesta la terra, che vive con i nostri alimenti, che respira la nostra aria, lo rende ancora più buono, più santo.
Considerare Gesù solo come Salvatore dell’uomo e non anche come redentore universale, significa capirlo solo a metà. Cristo santifica tutto, vivifica tutto, ricapitola in sé tutte le cose (Ef. 1,10).
E questo ci impegna. L’incarnazione di Cristo ci impone di vivere sulla terra; il cristiano non è estraneo al mondo, è chiamato a operare nel mondo. Cristo ci mette in guardia dallo spirito di fuga, dallo spirito rinunciatario che, a forza di insistere sulla “valle di lacrime”, ci fa dimenticare il compito di trasformare la terra in un soggiorno di felicità e di gioia. Papa Giovanni, nella “Pacem in terris” richiama i cristiani “al dovere che hanno di partecipare alla vita pubblica e di contribuire all’attuazione del bene comune della famiglia umana”. Il Concilio giunge a dire che “il cristiano che trascura i suoi impegni temporali... mette in pericolo la propria salvezza eterna
Quindi, il cristiano è impegnato nella vita terrena proprio dall’incarnazione del suo fratello Gesù.
Lungo la storia molti hanno contrastato la Chiesa ma ben pochi hanno negato la simpatia che suscita la persona di Gesù. Non è una novità il fatto che Gesù suscitasse una simpatia tale da preoccupare i suoi avversari. I Farisei si rodevano il fegato dicendo: “Ecco, noi non riusciamo a nulla, mentre tutto il mondo va dietro a Lui” (Gv. 12,19).
Gesù aveva un’attrattiva straordinaria. Era contagioso.
D’altronde, come non si può essere presi da uno che non sta mai dalla parte di chi gli farebbe comodo (Mt. 26,27); non vive mai in modo passivo, ma ha grinta e sgobba e suda e lavora (Mt. 13,55); uno che lotta con obiettività, calma e determinazione contro le ingiustizie, i soprusi, le falsità (Mt. 23,13—38); uno che non conosce blocchi psichici ma si sente a proprio agio tanto con la peccatrice samaritana (Gv. 4,7—39) quanto con il membro del sinedrio, Nicodemo (Gv.3,9—29)? Come può non convincere chi è incapace di odiare, chi vive come il rovescio della volontà di potenza (Lc. 22, 24—30), chi è l’esatto contrario dello spirito di Caino (Gv. 15,12)?
Ma l’attrattiva di Gesù nasce soprattutto dal fatto che:
nessun uomo ha mai parlato come Lui (Gv. 7,46)
amò fino alla fine (Gv. 13,1)
ha visto un po’ di buono in ogni uomo.
La Parola di Gesù
L’analisi della parola di Gesù ci fa scoprire il suo segreto d’attrazione perché ci mette a contatto con un uomo decisamente fuori del comune.
Le parole di Gesù ci rivelano un uomo limpido. Il premio Nobel ed il pastore, l’intellettuale e il semplice possono capirlo. Nella semplicità delle parole di Gesù splende la semplicità di Dio.
Ci rivelano l’uomo profondo. E’ impossibile che uno spirito vuoto produca un discorso così pieno come quello di Gesù.
Le parole di Gesù ci mostrano l’uomo forte, Il suo discorso ha i poteri della fiamma: illumina, riscalda, brucia, trasforma.
Ci mostrano un uomo schietto. Quando dice: “Pace” non pensa alla “guerra”; quando parla di “amore” non intende “odio”, come capita troppe volte tra gli uomini.
Le parole di Gesù ci mettono a contatto con un uomo serio. Cristo non scherza con le parole.
Conosce bene la differenza tra il “parlare” ed il “chiacchierare”. “Parlare” è riempire il silenzio d’idee; “chiacchierare” è riempire il silenzio di suoni. Gesù sa solo parlare e non chiacchierare perché tutte le parole inutili vengono dal maligno (Mt. 5,37).
La parola di Gesù è una parola nuova. Non ricalca ma scopre, non ripete ma svela tutto ciò che serve per “portare la giustizia ai popoli, per essere luce delle genti, per aprire gli occhi ai ciechi, per strappare le catene ai prigionieri. Un programma annunciato dal profeta Isaia (53,3), fatto proprio da Gesù all’inizio della sua vita pubblica.
L’amore di Gesù
Cristo aveva un cuore così ben fatto da superare ogni possibilità di descrizione (Ef. 3,18—19).
Gesù non ha inventato niente, non ha scritto niente. Ma ha amato, ma ha insegnato ad amare.
Gesù ha amato con finezza, con “cuore mite ed umile”, senza dare spettacolo, senza far pesare il suo perdono.
Alla peccatrice che gli lava i piedi in casa del fariseo Simone, dice semplicemente: “La tua fede ti ha salvata.
Va in pace (Lc. 7,50). Alla donna sorpresa in adulterio: “Nessuno ti ha condannata?... Nemmeno io ti condanno... Va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv. 8,10—11).
Gesù ha amato con larghezza.
Non c’era male morale o fisico che non lo scuotesse.
Mai intento a sé, ma sempre agli altri, possiamo definire Cristo “Dio a servizio dell’umanità”.
Per sua bontà “i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risuscitano” (Lc. 7,22).
Più di una volta avvenivano fatti del genere: “quanti erano ammalati si gettavano addosso a Lui per toccarlo” (Mc. 3,10),
“al tramonto del sole, tutti quelli che avevano infermi per diverse malattie li conducevano a Lui... ed egli li curava” (Lc. 4,40).
Tutte le categorie di persone sono toccate dalla sua bontà. Vuole bene ai bambini: li abbraccia e li benedice (Mc.1O,16). Vuole bene agli adolescenti: risuscita la figlia di Giairo che aveva “circa dodici anni” (Lc. 8,42).
Vuole bene ai giovani: “Gesù fissando lo sguardo sul giovane ricco, lo amò” (Mc. 10,21).
Vuole bene agli uomini maturi: “Guarda come lo amava” (Gv. 11,46) dicevano vedendolo piangere sulla tomba di Lazzaro.
Gesù ha amato con pienezza.
Fino alle lacrime (Lc. 19,41; Gv. 11,35), fino al dono della sua vita (Gv. 15,13): un amore da Dio.
Un sondaggio d’opinione d’alcuni anni fa ha constatato che ogni 100 italiani, 64 considerano Gesù “il personaggio più interessante della storia”. Garibaldi e Luther King, secondo e terzo in quella sorprendente classifica, seguono a grande distanza Gesù, ancora dopo vengono Gandhi e Marx. Perché l’amore continua a vincere? L’amore continua a vincere perché convince. Chi si limita a parlarti può bluffare, ma chi si scomoda e smette di vivere in pantofole per venirti in aiuto, chi si abbassa fino a lavarti i piedi (Gv. 13,3), chi vende se stesso per salvarti, non può scherzare, non può tradire. Un atto d’amore vale più di un intero trattato di teologia su Cristo, perché la carità è la più grande e la più sicura di tutte le verità. Ciò che differenzia la nostra religione da tutte le altre, ciò che la specifica e la rende originale è, infatti, il comandamento della carità, che Gesù stesso tenne a dire “suo” (Gv.14,12). Per Cristo, l’uomo risuscitato non è l’uomo bello e forte dei greci; non il guerriero disciplinato dei Romani; non l’asceta degli induisti; non l’uomo completamente sottomesso all’onnipotente Allah dei mussulmani. Per Cristo, l’uomo risuscitato è chi ama.
La fiducia di Gesù
La terza ragione che spiega il fascino del nostro fratello Gesù è che Egli non ammette che esistano uomini irrecuperabili, persone da lasciare alla deriva.
La convinzione di Gesù è che ogni uomo ha un punto sano da qualche parte.
Anche un Samaritano (Lc. 10,25) odiato dai sacerdoti e dai leviti, anche una pagana Cananea (Mt. 15,21—28), anche un ladrone (Lc. 23,43), persino un Giuda a cui pure, era affidato qualcosa: la borsa della comunità degli apostoli (Gv. 12,6). Veramente nessuno, prima di Gesù, aveva mostrato tanta fiducia nell’uomo.
Si pensi: Egli, un Dio, gioca tutte le sue carte sull’uomo, altrimenti non sarebbe venuto a morire per noi! In vita Cristo non fa che seminare speranza.
“Non spezza la canna incrinata, non spegne la fiammella ormai smorta” (Mt. 12,20).
Nonostante la fragilità e la debolezza con cui è venuto a contatto ha saputo sempre scrivere cronaca bianca.
Dove entra, entra la salvezza; si tratti magari di un uomo dalle mani non del tutto pulite come quelle di Zaccheo (Lc. 19,9).
La fiducia di Gesù per l’uomo è così grande che lo stima capace di cose divine: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt. 5,48).
“Amatevi come io vi ho amati” (Gv. 15,12).
Un programma da mozzare il fiato. La fiducia e l’ottimismo di Cristo hanno la loro utile lezione da trasmetterci. E’ impossibile essere buoni genitori ed educatori se non si è ottimisti, se non si possiede l’arte dell’incoraggiamento, la capacità di dare fiducia e stima; se non si ha l’occhio buono di Cristo che vede il bene, lo risveglia, lo fa crescere fino a che vinca il male. La fiducia è la prima vitamina psicologica, la prima forza dello spirito: non si può crescere se non c’è qualcuno che si fida di noi. In un mondo in cui pare stiano aumentando sempre più coloro che soffrono il “mal d’esistere”, l’offerta di una speranza è il più grande aiuto che si possa dare.
Che cosa pensava Gesù dell’uomo? Proviamo a dare alcune risposte...
Per Cristo l’uomo è intoccabile.
In giorno di sabato Gesù passava per i campi di grano, e i discepoli, camminando, cominciarono a strappare le spighe. I farisei gli dissero: “Vedi, perché essi fanno di sabato quel che non è permesso?”. Ma egli rispose loro: “Non avete mai letto che cosa fece Davide quando si trovò nel bisogno ed ebbe fame, lui e i suoi compagni?” (Mc. 2,23—25).
Un altro sabato egli entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. Ora c’era là un uomo, che aveva la mano destra inaridita. Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva di sabato, allo scopo di trovare un capo di accusa contro di lui. Ma Gesù era a conoscenza dei loro pensieri e disse all’uomo che aveva la mano inaridita: “Alzati e mettiti nel mezzo!”. L’uomo, alzatosi, si mise nel punto indicato. Poi Gesù disse loro: “Domando a voi: E’ lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o perderla?”. E volgendo tutt’intorno lo sguardo su di loro, disse all’uomo: “Stendi la mano!”. Egli lo fece e la mano guarì. (Lc. 6,6—10)
Perché Cristo si è comportato in questo modo? La risposta ci viene da lui stesso: “perché il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato” (Mc. 2,27). Ci troviamo davanti ad una delle frasi più profonde, più sorprendenti e più ossigenanti di tutto il Vangelo. Per Gesù non si discute: si può violare addirittura il giorno consacrato a Dio, il sabato, quando c’è di mezzo un uomo da salvare e da aiutare. Tutto si può toccare, eccetto l’uomo. Il Concilio ha tradotto questa frase di Gesù così: “La persona umana è e deve essere il principio, il soggetto e il fine di tutte le istituzioni. Tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all’uomo come a suo centro e a suo vertice”. In altri termini: a nessuno è permesso sfruttare l’uomo, perché, chiunque esso sia, vale più di ogni altra cosa creata.
Quanti stati hanno trattato milioni di vite umane come merce da macello per le loro inutili guerre. Quanti uomini considerano le donne al loro servizio. Quanti vivono sulla pelle dei giovani servendosi di essi come ottimo mercato nei loro turpi affari di droghe, di pornografia, ecc... E poi, che dire dei sofisticatori di merce che sono disposti a passare sopra a mille morti di cancro pur di aumentare i loro guadagni? E dei protettori delle prostitute, e dei padrini della mafia? E degli insegnanti che fanno tutto solo in vista dello stipendio? E degli scienziati, medici e ricercatori che “provano” su carni d’uomo? E di chi sfrutta la religione solo per far soldi? Sono solo alcuni casi in cui quell’idea tanto alta di Gesù sull’uomo, viene messa sotto i piedi.
Per Gesù l’uomo deve solo e sempre seguire la coscienza.
Per Gesù ciò che conta è “l’interno” (Mt. 5,28; 6,17—18); è il “cuore” (Mc. 7,15) .
“Infatti dal cuore provengono i propositi cattivi, gli omicidi, gli adulteri, le prostituzioni, i furti, la falsa testimonianza, le bestemmie.
Queste sono le cose che rendono l’uomo immondo; invece il mangiare senza essersi lavate le mani non rende immondo l’uomo” (Mt. 15,19— 20).
Si possono osservare anche tutte le leggi sul pagamento della decima della menta ed essere, all’interno, pieni di ossa di morti e di ogni empietà (Mt. 23,13).
Al contrario, si può uccidere un Dio ed essere perdonati perché non si sa quello che si fa (Lc. 23,34).
Gesù ha veramente il massimo rispetto della coscienza di ognuno.
Non impone, ma propone: “se vuoi” (Mt. 19,21), “se qualcuno vuole” (Mc. 8,34).
Anche gli apostoli avevano capito questo se S. Paolo scrive: “Non intendiamo fare da padroni sulla vostra fede, siamo invece collaboratori della vostra gioia” (2 Cor. 1,24), e se S. Pietro esorta il clero a non “spadroneggiare sulle persone affidate, ma a farsi modello del gregge” (1 Pt. 5,3). Anche la Chiesa di oggi sta riappropriandosi di questo atteggiamento di Gesù; il Concilio dice: “Non si deve costringere l’uomo ad agire contro coscienza... soprattutto in campo religioso. La coscienza va rispettata con sacro impegno. Essa è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria”.
Per Cristo tutti gli uomini hanno un solo nome: fratelli.
“Voi siete tutti fratelli” (Mt. 23,8). Nella mente di Gesù “non c’e più né Giudeo, né schiavo, né libero, né uomo, ne donna” (Gai. 3,27—28), ma tutti siamo uguali, tutti siamo fratelli.
Nelle prime comunità cristiane questo era chiarissimo: i cristiani “erano un cuor solo e un’anima sola”. S. Basilio diceva: “Se uno spoglia chi è vestito si chiama ladro, e chi non veste l’ignudo, quando può farlo, merita forse altro nome? Il pane che tieni per te è dell’affamato, il mantello che custodisci nel guardaroba è dell’ignudo, le scarpe che marciscono in casa tua sono dello scalzo, l’argento che conservi sottoterra è del bisognoso.” E Gregorio di Nissa concludeva: “Chi ha troppo non è fratello, ma ladro.” S. Giovanni Crisostomo scriveva: “Mio e tuo non sono che parole... Non aiutare i poveri è rubare: quanto possediamo non appartiene a noi, ma a tutti... Dio, all’inizio, non ha fatto uno ricco e uno povero, ma ha dato a tutti la stessa terra. La terra non è forse del Signore? E allora i frutti della terra devono essere comuni a tutti. Le parole “mio” e “tuo” sono causa di discordia. La comunità è molto più conveniente all’ordine naturale delle cose che non alla proprietà”.
Quando i nostri fratelli cristiani dei primi secoli parlavano così, dovevano pensare all’esempio portato da S. Giacomo:
“Supponiamo che entri in una vostra adunanza qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito splendidamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se voi guardate a colui che è vestito splendidamente e gli dite: “Tu siediti qui comodamente”, e al povero dite: “Tu mettiti in piedi lì” oppure: “Siediti qui ai piedi del mio sgabello”, non fate in voi stessi preferenze e non siete giudici dai giudizi perversi? Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano? Voi invece avete disprezzato il povero! Non sono forse i ricchi che vi tiranneggiano e vi trascinano davanti ai tribunali?” (Gc. 2,2—6).
Chi è che si comporta da fratello? Chi ama. Ecco come Paolo definisce l’amore: “La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta (1 Cor. 13,4—7).
Gesù non si è limitato ad essere esperto sull’uomo; ha saputo essere uomo.
Ecco alcune doti (non certo tutte) di Gesù:
Gesù l’uomo leale.
“Maestro — dicevano i Farisei — sappiamo che sei veritiero ed insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno, perché non guardi in faccia ad alcuno” (Mt. 22,16). Ecco, Gesù ha un’anima schietta, chiara, pulita. Non ama imbrogli e astuzie nel parlare: “Sia il vostro parlare: “sì sì, no no” (Mt. 5,37). Non ama la facciata, vuoi vedere ciò che sta dietro. Se c’è un peccato contro cui si lancia, è l’ipocrisia: “Guardatevi dal lievito dei Farisei che è l’ipocrisia!” (Lc. 11,1); “Guai a voi guide cieche... Sepolcri imbiancati che dal di fuori appaiono belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti”.
Gesù è leale con i suoi seguaci. Non li inganna: “Sarete odiati da tutti per il mio nome” (Mt. 10,22). “Sarete traditi persino dai genitori e fratelli e parenti e amici, ed alcuni di voi saranno uccisi” (Lc. 21,16).
E’ leale con se stesso. Hanno accusato Gesù di essere un beone e un mangione (Mt. 11,19), di amare la compagnia di mala gente (Lc. 15,2), ma nessuno lo ha mai accusato di fare il doppio gioco, di tenere il piede in due staffe. Perché Gesù viveva come parlava. Invitava alla povertà ma per primo lui era povero (Lc. 9,58); parlava di bontà ma lui “amò fino alla fine” (Gv. 13,1). Usando delle parole un po’ strane ma che rendono l’idea potremmo dire che Gesù non sceglie l’anguillismo di chi sgattaiola via e non si compromette mai: era così coerente da versare il sangue sulle sue parole; non è per il capracavolismo di chi vuoi salvare la capra e il cavolo: Dio e denaro (Mt. 6,24); vita cristiana e vita pagana... Egli conosce un solo stile: quello della lealtà e della coerenza, conosce lo stile dell’uomo retto, forte, deciso; dell’uomo dall’io profondo e non di sughero come quello di tanti che oggi galleggiano nel mare della nostra società.
Gesù è sensibile.
Gesù aveva il dono della meraviglia. Sapeva scoprire in tutto — nei fiori, nella vendemmia, nella donnetta che getta i suoi spiccioli in elemosina nel Tempio — dei risvolti che nessuno avrebbe immaginato. Era sensibile all’odore delle buone cose vicine alla terra: le vigne, le sementi, la farina, il lievito, il pane...
Nella sensibilità di Gesù, però, vi è qualcosa di più profondo ancora del richiamo a non perdere gli occhi incantati dei bambini per non invecchiare prima del tempo.
La sensibilità di Gesù nasce da una convinzione di fondo: l’indifferenza è la sorella gemella della crudeltà. L’uomo insensibile e apatico crea intorno a sé il freddo che raggela, allontana e uccide. Sì: anche il calore fa parte dell’uomo completo; Gesù ne è una simpatica prova. Gioie, dolori, fatiche e speranze, tutto in Lui si ripercuote in modo così vivo e caldo che te lo senti partecipe, vicino e fraterno. Nulla di ciò che è umano gli è estraneo. Si entusiasma (Lc. 7,9), si meraviglia (Mc. 6,6), si sente fremere nell’assistere al funerale del figlio unico di una vedova (Lc. 7,13), è mosso a pietà dal popolo affamato che si aggira come gregge senza pastore (Mc. 6,34), si indigna contro i mercanti del tempio (Gv. 2,16), si irrita per lo spirito di vendetta degli apostoli (Lc. 9,55) o per la loro ottusità nei riguardi dei bambini (Mc. 10,13—14), nello stesso tempo si preoccupa che i suoi discepoli non manchino di nulla: “Quando vi mandai senza borsa, né bisaccia, né sandali, vi mancò forse qualcosa?” Risposero: “Nulla” (Lc. 22,35). Finalmente — ed è qui che ce lo sentiamo particolarmente vicino — Gesù vive il terrore e l’agonia della morte violenta (Mc. 14,33—34). Cristo non muore da impassibile. La sua è una morte di uno che ha sofferto e pianto; la morte dignitosa e grande dell’uomo maturo. Sul patibolo prega per i suoi nemici ed infine, “preso l’aceto, disse: Tutto è compiuto!”. Ed esclamò: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. E, detto questo, reclinato il capo, spirò (Gv. 19,30; Lc. 23,46). Se è vero che un uomo lo si può misurare solo dopo che lo si è visto soffrire, ebbene, ancora una volta, dobbiamo dire che Gesù risulta insuperabile. Insuperabile anche nel dolore, così come fu nell’amore. D’altronde, dolore ed amore in Lui non si possono mai separare l’uno dall’altro. Se muore, non è per fatalità o necessità, ma per puro dono d’amore: “lo do la mia vita... Nessuno me la toglie, ma la do io da me stesso” (Gv. 10,17—18).
Gesù libero e liberante.
Gesù è libero dalle cose: non ha neppure una casa fissa (Lc. 9,58), vive povero e vuole discepoli poveri: prima di seguirlo bisogna vendere quanto si possiede e darlo in elemosina (Mc. 10,22).
E’ libero nei movimenti. Parla nelle strade, nelle piazze, nelle sinagoghe, nel Tempio, nelle case private. Parla personalmente e parla alle folle, al povero come al ricco, agli uomini come alle donne, al popolo come ai signori. Guai a fermarlo. La Parola di Dio non può essere imbrigliata. Un giorno gli dicono: “Allontanati di qui perché Erode vuole ucciderti”. Risponde: “Andate a dire a quella volpe: Ecco, io scaccio demoni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno avrò finito” (Lc. 13,31—32).
Gesù è libero nei confronti delle persone. Frequenta con disinvoltura gente che allora veniva considerata proibita; rifiuta ogni segregazione: tutti sono invitati alle nozze (Mt. 22,1—14).
Un uomo così libero come Gesù, non poteva che essere liberante (Ef. 5,1).
Da che cosa Cristo ci ha liberati? Da tante paure. Dalla paura degli scrupoli dei farisei (Mc. 15,1—20). Dalla paura degli uomini: “Non temete gli uomini!” (Mt. 10,26). Dalla paura di Dio perché Dio non è un despota cattivo e capriccioso, ma un Padre buono che pensa perfino a due passeri: “Ora voi valete molto più di molti passeri” (Mt. 10,31). Dalla paura della morte. Perché la morte non è l’ultima parola, ma la penultima: il Venerdì Santo è la porta d’ingresso della Pasqua.
Ma più che la liberazione da paure e pregiudizi, Gesù ha portato a tutti gli uomini la “libertà dal peccato” (Rom. 6,18).
Gesù libera i bambini: ama i piccoli (“Lasciate che i bambini vengano a me”, Mc. 10,14); li protegge(”chi scandalizza uno di questi piccoli, sarebbe meglio si appendesse al collo una macina da asino e venisse buttato in mare”, Mc. 9,42), li presenta come modelli (“se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli”, Mt. 18,3), si identifica addirittura con essi (“chi accoglie uno di questi bambini, accoglie me”, Mc. 9,37).
Commenta così Milan Machovev, un marxista contemporaneo: “Ecco una cosa veramente nuova nei confronti della storia delle religioni e anche nella storia della cultura. Prima di Gesù nessuno aveva parlato dell’infanzia come di un valore umano, nessuno aveva posto l’infanzia come esempio di umanità. I documenti asiatici ed europei prima di Gesù, se parlano dell’infanzia, la presentano come una realtà umana immatura, quindi provvisoria, non importante, nessuno pensa alla possibilità di vedere nel bambino il termine di confronto e il mezzo di salvezza. L’esaltazione dell’infanzia come valore, del bambino come uomo, rappresenta un aspetto importante della storia dell’umanesimo.
Gesù libera le donne.
E’ ben difficile riuscire oggi ad immaginare quale tabù sociale Cristo abbia infranto permettendo che Maria Maddalena, Giovanna, Susanna e altre donne lo seguissero e provvedessero a Lui e ai suoi discepoli (Lc. 8,3); più ancora lasciandosi ungere da una donna di malaffare (Mc. 14,3—9) e parlando con un’eretica samaritana (Gv. 4,7 ss.). Un piccolo episodio significativo lo troviamo in Mc. 1,29—31 dove è detto che Gesù guarisce la suocera di Pietro prendendola per mano. “La febbre la lasciò ed ella li serviva”. E’ stato detto che in questo vi sono tre cose inaudite e intollerabili per la società ebraica:
Un rabbì, un maestro anche modesto, non si sarebbe mai degnato di avvicinarsi ad una donna.
Se per assurdo, lo avesse fatto, mai e poi mai l’avrebbe presa per mano.
Un rabbì, soprattutto, non si sarebbe mai fatto servire da una donna, avvolta da gravi sospetti di “impurità”.
Il rovesciamento è dunque radicale. Non c’è dubbio: i vangeli restano una piccola oasi di rispetto e di difesa della donna in un fiume che precede e purtroppo segue di esasperato “maschilismo”.
Gesù esigente.
Certe raffigurazioni sdolcinate di Gesù non gli rendono giustizia. Poteva essere sdolcinato uno che diceva: “Lascia che i morti seppelliscano i morti” (Lc. 9,60), oppure: “Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te” (Mt. 5,29), o ancora: “Chi vuole venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc. 8,34)?
Dobbiamo affermano con la massima chiarezza possibile: il cristianesimo vuole coraggio: “il regno dei cieli soffre violenze e i violenti se ne impadroniscono” (Mt. 11,12). Abitualmente si dice che il Vangelo è di tutti. E’ un errore. E’ di tutti, tranne che di una categoria di persone: i vili. Forse per questo, Gesù che pure aveva parlato alle prostitute e ai peccatori, non risponde alla domanda di Pilato: “che cos’è la verità?” (Gv. 18,38): aveva davanti a sé un vile. La croce non può essere disgiunta da Cristo, eppure mai come oggi sembra che gli uomini siano tentati di schivare quella Croce sulla quale Gesù è stato inchiodato. Dice il Catechismo degli adulti: “Rifiuta di prendere la croce, oggi, il professionista o l’operaio che non compie il proprio dovere. La rifiutano oggi, quelle famiglie che allontanano da casa i vecchi, relegandoli nei ricoveri; la madre che non allatta il suo bambino senz’altro motivo che la tutela di un certo tipo di bellezza del proprio corpo. Ma rifiuta la croce anche chi, oggi come ieri, ignora le esigenze della crescita e della maturazione morale, civile, religiosa dell’uomo; chi restringe la propria scala di valori nell’ambito angusto di una nazione o della classe sociale, oppure subordina il bene comune all’utile personale, la pace alla guerra, il perdono alla vendetta, l’amore, la riconciliazione, il dialogo, all’odio, alla divisione, alla contesa”.
Chi agisce in questo modo si trova all’estremo opposto dello stile di Cristo.
Gesù non ha rifiutato la croce, non si è resa facile la vita. Ho conosciuto le albe (Mc. 1,35) ed i tramonti (Lc. 4,40) perché “il Figlio dell’uomo è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la vita in riscatto per molti” (Mc. 10,45). “Le volpi hanno tane e i volatili del cielo rifugio, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Lc. 9,58).
Senza grinta non si cresce: nessuno può far nascere in sé l’uomo e tanto meno il cristiano con parto indolore.
Gesù sereno.
Il quadro della persona di Gesù sarebbe esageratamente incompleto se non si parlasse anche della sua serenità e della sua gioia (Gv. 5,11). Gesù ci ha chiamati ad essere felici. La pagina più famosa del Vangelo — quella delle beatitudini — contiene ben nove volte l’invito alla felicità (Mt. 5,1—12), ecco perché un cristiano triste, se non è un cristiano morto, certo è un cristiano fortemente sospetto.
I segreti della serenità di Cristo sono fondamentalmente due:
Gesù sapeva conservare una profonda pace interiore anche in mezzo a tutte le difficoltà che la vita gli riservava perché non riceveva la gloria dagli uomini (Gv. 5,41): gli bastava avere l’approvazione del Padre suo (Mt. 17,5). Per essere felici è necessario essere liberi da tutte le opinioni, tranne una sola: quella di Dio la cui voce risuona nell’intimità di ciascuno.
La seconda causa della gioia di Gesù sta nel fatto che Egli sapeva veramente amare. Nessuna meraviglia nel sentire che chi impara ad amare trova la via della gioia. Un celebre psicologo inglese, George Vickers ha detto: “La più significativa scoperta della scienza psichiatrica attuale è il potere dell’amore di proteggere e ristabilire la mente”. Ormai è cosa ammessa da tutti che alla base della stragrande maggioranza delle tristezze, angosce, incubi, paure... sta l’incapacità di amare. Se questa manca, “sono possibili soltanto dei miglioramenti superficiali”, afferma Enik Fromm, uno specialista in materia. Non saper amare e non essere amati è veramente l’inferno. Insomma: risulta sempre più indovinato il detto di Gesù: “E’ più bello dare che ricevere” (Atti 20,35).
Tutta la nostra religione è appesa alla divinità di Cristo. Se Gesù è solo uomo, il Cristianesimo crolla; se invece è anche Dio, regge. Infatti, se Gesù è solamente uomo, possiamo benissimo disinteressarci di lui, come possiamo, ad esempio, disinteressarci dì Giulio Cesare o di Napoleone. Se è Dio non possiamo non prenderlo in considerazione. Se Cristo è soltanto uomo, sarà sempre un povero uomo, per grande e straordinario che sia. Ed allora non sarebbe da pazzi agganciare a lui la nostra vita?
Se è un uomo e nulla più, la Chiesa con i suoi sacramenti e con le sue parole di salvezza eterna, è tutta un trucco, tutta una illusione.
Se Gesù è solo un uomo, tutti siamo ancora immersi nei peccati: nessuno è salvo dal di dentro. Infine, se Gesù è semplicemente uomo, ognuno deve sbrigarsela da solo. Se è Dio, invece, Egli ci sta sempre accanto, anche in questo momento.
La grande sfida
Gesù si comporta in un modo che lascia tutti perplessi, tutti obbligati a domandarsi: “Ma chi è mai costui?” (Mt.8,27); “chi pretende di essere?” (Gv. 8,35). Infatti il suo comportamento è perlomeno provocante:
Sostiene di essere vivo già “prima che il mondo fosse” (Gv. 17,5); di essere “disceso dal cielo” (Gv. 6,51); di “aver visto Dio” (Gv. 3,11).
Afferma di essere superiore non solo ai profeti come Giona (Mt. 12,4) e Salomone (Mt. 12,42) ma agli angeli (Mt. 13,41; Mc. 13,32), al Tempio nel quale Dio abitava (Mt. 12,6) e alla stessa Legge data da Dio a Mosè (Mt.12,8).
Dichiara: “Senza di me non potete far nulla” (Gv.15,5); “chi crede in me non morirà in eterno” (Gv. 11,26); “mi è stato dato ogni potere” (Mt. 28,16); “io sono la vita”(Gv. 6,35); “io sono la luce” (Gv. 8,12); “io sono la risurrezione” (Gv. 11,25); “io sono la via e la verità” (Gv. 14,6); “io sono la porta” attraverso la quale bisogna passare per salvarsi (Gv. 10,7).
Non discute mai coi discepoli dei suoi progetti e delle sue decisioni. Mai domanda loro un consiglio.
Insegna come uno che ha autorità (Mt. 7,28), senza ammettere incertezze. Il mio giudizio è vero (Gv.8,16).
Fa promesse inaudite: “Chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv. 8,12); “io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv. 6,54). A chi gli crede garantisce la vita eterna (Gv. 3,36), chi non gli crede, invece, “sarà giudicato” (Gv. 12,48).
Vanta pretese mai sentite. Esige di essere amato più del padre e della madre (Mt. 10,37), più della nostra stessa vita (Mt. 10,39). Vuole che prendiamo la sua croce (Mt. 10,38) e che ci riteniamo felici di essere molestati per causa sua (Mt. 5,11). Pretende di essere onorato come Dio: “chi non onora il Figlio, non onora il Padre che l’ha mandato”(Gv. 5,23); che si preghi in nome suo (Gv. 16,24); che si creda in Lui per non morire nei peccati (Gv. 8,24).
Si attribuisce poteri divini.
Un giorno gli si presenta un lebbroso e gli chiede la guarigione. Gesù gli risponde: “Lo voglio, sii mondato” (Mt.8,3). Un altro giorno un centurione gli domanda di guarirgli il suo servo malato. Gesù lo fa senza nemmeno recarsi a casa sua (Mt. 8,7). Un uomo chiamato Giairo ha una figlia morta, Gesù gliela richiama in vita (Mc. 5,23 ss.). Gli muore un amico, Lazzaro. Lo seppelliscono. Disse Gesù: “Togliete la pietra!”. Gli rispose Marta, la sorella del morto: “Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni”. Le disse Gesù: “Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?”. Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: “Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. lo sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato”. E detto questo, gridò a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!”. Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudano. Gesù disse loro: “Scioglietelo e lasciatelo andare” (Gv. 11,39—44).
Una tempesta agita il lago e mette in pericolo la vita sua e dei discepoli. Gesù la calma con una parola (Mc. 4,39).
Un padre gli presenta un figlio indemoniato e Gesù intima: “Spirito sordo e muto, io te lo comando, esci da lui, per non entrarci più... e lo spirito uscì” (Mc. 9,14—25).
Non basta ancora. Al colmo dei colmi, Gesù muta persino la Sacra Scrittura (“agli antichi è stato detto... ma io vi dico...”), risuona per ben sei volte nel discorso della Montagna (Mt. 5); perdona i peccati (Mc. 2,1—12); dice di avere la stessa voce di Dio (Lc. 10,16), addirittura la stessa faccia: “Chi vede me, vede il Padre” (Gv. 14,9—10) perché “lo e il Padre siamo una cosa sola” (Gv. 10,30).
Che dire?
Il comportamento di Gesù non poteva essere più sconcertante. Così sconcertante che subito, immediatamente, gli uomini si dividono in due blocchi.
Da un lato abbiamo chi non sa trattenere l’entusiasmo: “Mai s’è vista una cosa simile in Israele” (Mt. 9,33); “tutti erano fuori di sé e glorificavano Dio” (Mc. 2,12); “abbiamo visto cose meravigliose!” (Lc. 5,26). Dall’altra, invece, abbiamo chi grida allo scandalo: “Ha bestemmiato” (Mt. 26,65); “ha un demonio addosso” (Gv. 7,20).
Vi è anche chi è più prudente, come Nicodemo e ragiona: nessuno potrebbe fare i miracoli che fa se non avesse Dio dalla sua (Gv. 3,2).
Quasi ciò non bastasse, Gesù insiste: “E voi chi dite che io sia?” (Mt. 8,29). Sembra che Cristo stesso voglia presentarsi come un problema. E’ proprio così. La fede esige sempre qualcosa di oscuro: non si crede nella luce del sole in un bel giorno d’estate; non si crede perché si vede. Nel caso di Gesù, invece, possiamo parlare di vera fede perché mentre da un lato lo vediamo compiere azioni che solo Dio può fare e lo sentiamo dire cose tanto profonde da lasciare ancora oggi tutti sorpresi, dall’altro sappiamo bene che era come noi, un povero figlio di falegname (Mt. 13,35).
Ecco: in Gesù vi è un lato chiaro che fa sì che chi ha fede abbia dei motivi per credere, in modo che il suo atto non sia un gesto cieco e credulone; ed un lato oscuro per cui la fede sarà sempre un atto libero. Adesso comprendiamo che la via scelta da Gesù per manifestarsi sia veramente la più intelligente perché ci dà buone ragioni per credergli senza toglierci la libertà e il coraggio della nostra fiducia in Lui. A chi vuole credere pienamente resta sempre da fare un salto nel buio. Salto decisivo che porta due firme: quella della nostra volontà che sceglie il Cristo e si fida di Lui; e la firma dell’aiuto di Dio che dà la forza e la spinta a credere.
Ritornando però alla persona e alle parole di Gesù, con il nostro ragionamento non possiamo scappare dal dilemma: O Gesù è un pazzo o le sue parole nascondono una misteriosa verità.
Se Cristo ci avesse lasciato dei sospetti sulla sua serietà umana avremmo tutti i diritti per dubitare delle sconcertanti dichiarazioni sulla sua divinità. Ma un Gesù tanto equilibrato, schietto, sincero, intelligente, austero non può truffarci in una affermazione così decisiva sulla sua persona. E’ impossibile ritenere Gesù il più grande uomo della storia e poi giudicarlo impostore. Una sorgente sana non può originare acqua inquinata. Un animo come quello di Gesù così innamorato della verità e così stroncatore di ogni forma di ipocrisia (Mt. 23 13 28), non può mentire neanche una volta. Piuttosto muore sulla verità, ma non la tradisce.
GESU' AVEVA UN CUORE DA DIO
Un altro motivo per credere alla sua divinità è la santità di Gesù.
Uno solo al mondo ha avuto il coraggio di dire: “Chi di voi mi può accusare di peccato?” (Gv. 8,46). Tutti concordano nel ritenere Gesù l’innocenza assoluta. Persino i demoni che lo definiscono: “Il Santo di Dio” e gridano terrorizzati: “Tu sei venuto a rovinarci” (Mc. 1,24). Giovanni lo presenta al mondo come “l’Agnello di Dio che toglie il peccato” (Gv. 1,29). San Pietro rinfaccia gli israeliti di aver ucciso “Il Santo e il Giusto” e di aver chiesto che fosse graziato un assassino (At. 3,14). Pilato non trova nessun motivo per condannano (Mc. 15,14). Uno dei due ladroni lo riconosce: “Noi giustamente siamo condannati, ma Lui non ha fatto niente di male” (Lc. 23,42). Il centurione sul Calvario confessa: “Veramente questo uomo era giusto!” (Lc. 23,47) e quanti erano presenti alla morte di Gesù si battono il petto (Lc. 23,48) ammettendo di aver partecipato all’uccisione di un innocente.
La lettera agli Ebrei definisce Gesù “santo innocente, immacolato, segregato dai peccatori (Eb. 7,26). Perché? Perché Gesù aveva Dio in cuore. Era sufficiente vederlo pregare. Deve aver fatto una profonda impressione il nome con cui egli amava chiamare Dio se ci è conservato proprio in aramaico come l’aveva pronunciato Gesù stesso: “Abbà” : “Papà” (che dice qualcosa di più intimo del nostro “Padre”). Gesù ci svela un Dio nuovo, un Dio caldo d’amore: “Il Padre stesso vi ama” (Gv. 16,27), un Dio che è più forte nell’amore che nell’onnipotenza: pensiamo anche solo alla parabola che siamo soliti chiamare del “Figlio prodigo” (Lc. 15,11 e seguenti), ma che sarebbe molto più esatto chiamare la parabola del “Padre del prodigo” o meglio ancora “del Padre misericordioso” perché protagonista è proprio questi e non già il figlio. Un Dio senza preferenze “che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” (Mt. 5,45). Un Dio chino sui suoi piccoli di quaggiù perché “sa che abbiamo bisogno di tutto” (Mt. 6,32). Un Dio vicino che conta persino i capelli del nostro capo (Mt. 10,30). Un Dio paziente che non si irrita quando la pecora si perde (Mt. 18,11—14), ma torna sui suoi passi per cercarla. Un Dio che gioisce nel trovare chi ha bisogno della sua misericordia (Mt. 13,44—46).
Poteva essere inventato un Dio come questo? Può dire tante cose su Dio chi Dio non è?
Colpisce anche la profonda comunione di preghiera di Gesù con il Padre. “Ti ringrazio, o Padre che mi hai ascoltato” (Gv. 11,41); “Ti lodo o Padre, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt. 11,25); “Padre, non come voglio io, ma come vuoi tu” (Mt. 26,39). Preghiere brevi, schiette, concise. Preghiere che rivelano un’anima concentrata e profonda, in perfetta armonia con Dio. Ma, soprattutto, preghiera perfetta perché libera da ogni interesse e da ogni pensiero che non sia lode e riconoscenza a Dio. Chi sapeva pregare così non poteva che regalarci la preghiera più grande del mondo: il Padre nostro (Mt. 6,9—13). Gesù è veramente lo specialista della preghiera. Sapeva come pregare, dove pregare, quando pregare.
Dove. “Congedata la folla, salì sul monte, solo a pregare” (Mt. 14,23); “si ritirava in luoghi solitari a pregare” (Lc. 5,16); “passò tutta la notte in preghiera” (Lc. 6,12). Quando. Prima dei miracoli (Mc. 6,41); prima della scelta degli Apostoli (Lc. 6,12); nell’ora della tentazione (Lc. 22,44); nell’ora della morte (Lc. 23,46).
Parole e azioni di Gesù: tutto è sostenuto dalla preghiera.
Ma
se la preghiera ci mostra che Gesù aveva sempre in cuore Dio, tutta la sua vita
ci rivela che Egli aveva Dio solo in mente. In fondo che cosa è venuto a fare
Cristo sulla terra? Nient’altro che gli interessi di Dio, che la volontà di Dio.
Le prime parole che l’evangelista mette sulla bocca di Gesù contengono già tutto
il programma della sua vita: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del
Padre mio?” (Lc. 2,49). Le ultime parole sulla croce sono ancora un’accettazione
della volontà di Dio: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc.
23,46).
S. Giovanni paragona il suo desiderio di adempiere il volere del Padre a
mangiare: Intanto i discepoli lo pregavano: “Rabbì, mangia”. Ma egli rispose:
“Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete”. E i discepoli si domandavano
l’un l’altro: “Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?”. Gesù disse loro:
“Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e di compiere la sua
opera” (Gv. 4,31-34). In questa dichiarazione c’è tutto il segreto della sua
santità.
Ritorniamo al succo della nostra riflessione: Un uomo così pieno di Dio, non ha qualcosa di eccezionale, di straordinario, di divino?
Si chiedeva Carl Adam: “Chi è mai questo Gesù che prega con tanta santità, che vive con tanta confidenza, che sa morire con tanta innocenza? Tutte le misure umane sono povere e inette a questo caso”.
Ma prima di confrontarci con l’ultima prova della divinità di Gesù dobbiamo passare attraverso “lo scandalo della sua morte in croce”.
Perché Gesù fu arrestato?
Gesù era molto popolare, attorno alla sua figura si erano concentrate molte speranze specialmente dei poveri, Lui poi non aveva fatto nulla per ingraziarsi i potenti e i religiosi di allora anzi li aveva provocati per la loro ipocrisia. Specialmente dopo il momento in cui Gesù viene accolto in Gerusalemme tra il tripudio dei semplici, i religiosi decidono di liberarsi di Lui. Ma arrestarlo pubblicamente, alla luce del sole, avrebbe potuto provocare una sommossa. L’occasione per arrestarlo si presentò quando uno dei suoi seguaci, Giuda, si offrì di rivelare ai capi gli spostamenti di Gesù durante la notte. Ma quali erano le accuse contro Gesù?
Gesù non era un eretico: Gesù aveva detto chiaramente che non intendeva sostituire i propri insegnamenti a quelli dell’Antico Testamento (Mt. 5,17).
Gesù non voleva prendere il potere. Anche dopo la moltiplicazione dei pani quando volevano farlo re Gesù si era ritirato in solitudine, fuggendo la folla. (Gv. 6,15).
Gesù non si comportò mai da messia politico, anzi rifiutava pubblicamente il nome di Messia perché questo nome era troppo legato dalla gente all’aspetto di liberazione dai nemici terreni.
Le accuse allora contro Gesù furono quelle di bestemmia: “Ti accusiamo perché tu che sei uomo, ti fai Dio”. (Gv. 10,33). Un altro motivo di condanna era il fatto che Gesù frequentava persone alle quali un devoto ebreo non avrebbe neppur rivolto la parola (pubblici peccatori, prostitute, romani…). Accusavano poi Gesù di non essere un pio osservante di tutte le norme, specialmente quella del sabato e di mettere in ridicolo scribi e farisei (Mt. 23,15).
Davanti al tribunale ebraico Gesù viene incolpato di aver bestemmiato, crimine che secondo la legge ebraica era punibile con la morte, bisognava però trovare almeno due testimoni. Ma il processo non andò liscio come gli avversari di Gesù avevano sperato. I testimoni furono contraddittori e la loro testimonianza invalida. Anche Gesù taceva. Infine il sommo sacerdote in persona chiese sotto giuramento a Gesù se era lui il Messia. Gesù rispose in modo prudente: “Tu lo dici”, probabilmente intendeva dire: “Si, sono il Messia, ma non come intendi tu”. Questa parola però fu intesa subito come bestemmia.
Agli Ebrei non era permesso di mettere a morte nessuna persona senza il consenso delle autorità romane. Gesù viene dunque portato da Ponzio Pilato. I capi del sinedrio sapevano che Pilato non avrebbe dato il minimo peso alle accuse religiose, per questo accusarono Gesù davanti a Lui di crimini diversi dai precedenti. Luca parla di tre accuse: Gesù avrebbe svolto attività rivoluzionaria, avrebbe incitato il popolo a non pagare le tasse ai romani e si sarebbe proclamato re. Pilato, interrogato Gesù si rese conto che non era colpevole dei crimini addebitatigli e voleva liberare Gesù. Coloro che lo volevano morto giocarono d’astuzia dicendogli: “Se liberi Gesù non sei amico di Cesare”. Pilato allora cerco di scaricare le proprie responsabilità mandando Gesù da Erode. Anche costui non prese sul serio le accuse contro Gesù, ma davanti alla sua debolezza e al suo silenzio lo considerò solo oggetto di scherno e lo rimandò a Pilato. Questi allora lo fece flagellare sperando con questo di calmare, la folla poi ricorse ancora all’espediente di proporre un atto di clemenza nei confronti di Gesù per festeggiare la Pasqua Ebraica, ma chi voleva Gesù morto fece scegliere la libertà per Barabba. Gesù quindi viene condannato a morte non perché le accuse erano state riconosciute ma perché l’odio in particolare dei rappresentati religiosi ha fatto tutto il possibile per farlo condannare.
Gesù sapeva che le sue scelte per i poveri, per i deboli, per gli umiliati, che la sua fedeltà al Padre, Dio dell’amore, lo avrebbe portato alla croce ma non la fuggì. Lo aveva preannunciato più volte (Lc. 18,31-32) ora lo accetta perché è il modo più grande per dirci che ci ama, per farsi carico di ogni nostra sofferenza per inchiodare su quella croce il peccato dell’uomo, per offrire se stesso come vittima sacrificale per noi
C’è anche una firma di Dio alla divinità di Gesù ed è la risurrezione. Chi non sa vincere la morte, resta sempre —per quanto grande sia stato — un povero uomo. Senza risurrezione Gesù avrebbe detto, sì, tante cose sublimi, avrebbe compiuto anche atti straordinari, ma poi, tutto sarebbe stato chiuso con la chiusura del suo sepolcro dove mani pietose lo avrebbero deposto. La morte avrebbe detto l’ultima parola anche per Lui. Senza risurrezione non c’è che delusione. Se invece Egli risorge, tutto il passato si deve leggere in una luce nuova: le parole, gli insegnamenti, gli esempi, le azioni, i silenzi, ogni cosa, insomma, risulterà appartenente a colui che, solo, è padrone della vita e della morte: Dio.
La risurrezione è il grande punto fermo del Cristianesimo: l’evento attraverso il quale ha senso tutta la nostra fede. E’ il più grande di tutti i miracoli, perché conferma tutti gli altri miracoli. Lo sapevano bene gli Apostoli che continuavano a predicare quasi unicamente il Cristo morto e risorto (At. 2,32; 3,15; 4,8—10). Fin dal mattino di Pentecoste Pietro “levatosi in piedi con gli altri Undici parlò a voce alta così: ‘Uomini di Israele ascoltate queste parole: Gesù di Nazareth che voi avete inchiodato sulla croce ed avete ucciso, Dio lo ha risuscitato!’ “ (At. 2,14—24). Gli Apostoli hanno tale certezza di aver sperimentato realmente Gesù risorto, presente e vero, Gesù che appare loro come e dove vuole, che restano radicalmente trasformati e continuano a predicarlo anche se minacciati (At. 4,21), anche se incarcerati (At. 4,1—3); anche dopo che Stefano è stato lapidato (At. 7,59—60) e Giacomo ucciso di spada (At. 12,2).
Tra tutti chi proclama con maggior calore che “Gesù è il Signore” perché “Dio lo ha risuscitato dai morti” (Rom. 10,9) è proprio Paolo, uno che aveva combattuto Cristo (At. 9,2). La sua testimonianza è preziosissima per tanti motivi: perché è la più antica (risale ad una ventina d’anni dopo la morte di Gesù), è perché viene da un testimone critico.
“Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono l’infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. Pertanto, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto” (1 Cor. 15,3—11).
Ancora oggi i cristiani di tutto il mondo nella Veglia di Pasqua cantano: “Questa è la notte in cui hai vinto le tenebre del peccato... Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti nel Cristo... Oh notte veramente gloriosa!” Perché gloriosa? Perché in essa “Morte e vita si sono affrontati in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa”. Ancora oggi in tutte le Messe l’assemblea proclama: Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta.
Cristo Risorto: questa la nostra grande sicurezza. Una sicurezza che è in grado di cambiare una vita, perché la risurrezione, non solo è principio della nostra fede, ma anche del nostro impegno cristiano.
Quante volte le nostre chiese sembrano essere fatte di delusi, di indifferenti, di vecchi, di morti. Insomma, gente ferma che si è seduta sulla fede e si è dispensata dal vivere. Viene da domandare: ma chi crede veramente nella Risurrezione? I cristiani sono fratelli di un Risorto oppure di un morto? Dove è andata a finire la Chiesa fermento, la Chiesa lievito, la Chiesa sempre nuova, come il Gesù di Pasqua in cui essa continua a sostenere di credere?
Il Concilio ecumenico ci ha detto chiaramente: “Ogni laico deve essere davanti al mondo un testimone della Risurrezione e della vita del Signore Gesù e un segno del Dio vivo. L’umanità è oggi orfana di Cristo risorto. Deve essere il cristiano a rappresentarglielo. Però, come si può annunciare il Risorto con certe facce?
Un antico scritto dell’epoca apostolica, il Pastore di Erma, diceva: “Tutte le persone serene fanno il bene. L’uomo triste, invece, fa sempre il male... Rivestiti dunque di serenità che da sempre ha grazia presso Dio ed è gradita a Lui. Gioisci in essa”. Ecco perché S. Paolo non si stancava di esortare: “Siate sempre lieti” (1Tess. 5,16); “godete nel Signore, sempre! Ve lo ripeto: godete!” (Fil. 4,4).
E’ certo che i cristiani delle origini erano più sereni di noi. Si sentivano responsabili della vera gioia del mondo: quella portata da Gesù (Gv. 15,11). Ad Antiochia “i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo” (At. 15,32); spezzavano il pane “con gioia e semplicità di cuore” (At. 2,46); e Paolo confidava: “Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia pur in mezzo a tutte le tribolazioni” (2 Cor. 7,4). Evidentemente i nostri fratelli di un tempo non avevano ancor preso le distanze dalla Risurrezione. Il pensiero di questa donava ad essi, anche in mezzo a difficoltà e sofferenze, un ottimismo ed una fiducia di fondo che diventavano atteggiamento abituale. E per questo erano contagiosi. Chi è sereno, infatti, annuncia di non aver sbagliato impostazione di vita, ma di aver imbroccato la strada esatta. Chi è insoddisfatto, al contrario, rivela il proprio fallimento.
Se questo è vero, la gioia pasquale deve essere considerata dal cristiano come una delle forme più fini e persuasive di apostolato.
Ma c’è di più. La Risurrezione di Gesù dimostra che la nostra vita ha un senso, che serve a qualcosa. A che cosa? A diventare anche noi dei risorti! Dice S. Paolo: “Con Lui, Dio ci ha anche risuscitati” (Ef. 2,6). Veramente: se Cristo Gesù, uomo come noi, è risorto, si può dire che tutta l’umanità è già, in un certo modo, risorta assieme a Lui.
“Ciascuno però — continua Paolo — nel suo ordine: prima Cristo che è la primizia, poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine” (1 Cor. 15,23—24). Ecco, la Risurrezione è la garanzia che la nostra vita non muore. Risorgeremo: l’esistenza sarà mutata, non annullata. Inutile domandarci come quella vita sarà, una cosa però è certa: in noi c’è il lievito della risurrezione; in ciascuno vi sono i lineamenti della statua nuova che si sta formando in vista della vita “senza lutto, senza lamento, senza affanno perché le cose di prima sono passate” (Ap. 21,4); “Noi siamo coloro che portiamo la gioiosa speranza pasquale, mentre i pagani sono coloro che non hanno speranza” (Ef. 2,12). Ad accompagnarci in questa nostra speranza è Cristo stesso. E’ il Risorto che è con noi: “Ecco: io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt. 28,20). La Risurrezione pone Gesù sui nostri passi, lo fa pellegrinare con noi come i due discepoli di Emmaus (Lc. 24,13 ss.). Di Gesù non si può mai parlare al passato, ma sempre al presente; mai come di un lontano ma sempre come di un vicino. Egli è con noi nel lavoro, nelle ansie, nei crolli; continua a ripeterci: “Coraggio! Sono io. Non temete!” (Gv. 6,20).
C’é ancora una prova” della risurrezione di Gesù. E’ la prova, testimonianza di coloro — e sono milioni di milioni —che vivono per Lui.
Sono uomini che lavorano gratis, eppure sono intelligenti. Sono uomini che sgobbano forte, eppure sono sereni. Sono uomini che magari non conoscono tante cose, eppure sono eroi della carità.
Sono uomini fragili, eppure sopportano persecuzioni per Lui. Sono uomini semplici, eppure sembra che possiedano lo stile di Dio.
Chi li ha trasformati in sale della terra e in luce del mondo?
Solo una forza divina provoca certi cambiamenti... Perché si comportano così?
No, per un semplice uomo non si diventa “Samaritani” tutti i giorni, a tutte le ore, per un semplice uomo non si dà la vita.
Ecco la testimonianza più eloquente della divinità di Cristo. E’ la testimonianza della Chiesa, umile, povera, libera, buona, perseguitata. La trovi al Cottolengo, al Sermig, al gruppo Abele, la trovi nell’assistenza ai malati, nelle missioni, come alla porta di casa tua, la trovi come Gesù ovunque c’è bisogno di amore.
E’ la testimonianza di ciascuno di noi che nella vita quotidiana ci lasciamo amare da Cristo, cerchiamo di incontrarlo e amarlo, cerchiamo di imitarlo non solo perché è il nostro fratello o il nostro modello ma perché è molto di più: è il nostro vero Dio.
Abbiamo concluso questa nostra catechesi su Gesù. La preghiera che segue possa esprimere in sincerità alcuni sentimenti e desideri suscitati da questa riflessione.
O Gesù, ho peccato contro il nome che porto da sempre: “cristiano”.
Ho aggiunto anch’io la mia parte di macchie alla parola che, tra tutte, continua ad essere la più macchiata sulla terra: “cristiano”.
Lo so e lo riconosco: è la verità.
So anche però, che parlare con Te è parlare con Chi faceva risorgere i morti con Chi raccoglieva cocci per fare capolavori con Chi scriveva diritto su righe storte.
Tu non conoscevi — né conosci — anime sbagliate, neppure la mia...
Grazie Gesù del coraggio che mi dai...
Adesso mi
viene facile pregarti. Anche Tu hai carne.
Anche Tu hai sangue. Mi sei fratello.
Sia chiaro: non Ti prego per chiedere miracoli.
Il miracolo più grande sei Tu! Per questo chiedo Te.
Chiedo Te perché non ho ancora fatto la bocca alle Tue parole non ho ancora fatto la mente alle Tue idee non ho ancora fatto il cuore al Tuo amore.
Chiedo Te perché in Te Misericordia e Verità si sono incontrate, Giustizia e Pace si sono baciate.
La Verità è germogliata dalla terra, a Giustizia si è affacciata dal cielo. Chiedo Te perché l’uomo che Ti crede è saggio, l’uomo che Ti spera è sereno, l’uomo che Ti ama è immenso.
Chiedo Te perché lampada ai miei piedi è la Tua Parola, perché Tu sei colui che doveva venire e non dobbiamo aspettarne un altro, perché beato chi non confida nei potenti, ma spera in Te Signore nostro Dio.
Chiedo Te perché il mondo si lavi la faccia, la terra non si inceppi, l’umanità non sfiguri il suo — e Tuo — volto.
Chiedo Te perché non voglio avere un’anima sbiadita, non voglio essere un vaso di noia, non voglio camminare sulla terra con gli occhi bassi e lo sguardo truce, non voglio essere un calcolatore di virtù, non voglio aver un cuore dalla speranza morta.
Chiedo Te perché essere Tuo seguace è un’esaltante impresa che non finisce mai.
Ecco il miracolo che desidero:
Fa’ che, subito, al primo sguardo mi riconoscano come uno dei Tuoi.
Fa’ che vedendo me, leggano Te.
Perché ormai, non hai che le mie braccia per lavorare, che le mie labbra per parlare,
che il mio cuore per amare, che la mia gioia per annunziarti risorto.
Signore, fammi tutto cristiano e mi basta...
Allora avrò gustato la vita in pienezza.
Allora morirò con la certezza del felice, eterno incontro con Te, mio Fratello, mio Modello, mio Dio. Amen.