SCHEGGE E SCINTILLE
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a cura di don Franco LOCCI
Era stato ordinato vescovo di Reims a 22 anni e resse questa diocesi per circa 70 anni. Grande fu la sua opera per convertire i Barbari. A lui si deve il battesimo del re dei Franchi Clodoveo nel Natale del 496. La data della sua morte sembra essere il 530.
Parola di Dio: Gb. 38,1.12-21; 39,33-35; sal. 138; Lc. 10,13-16
“CHI ASCOLTA VOI ASCOLTA ME, CHI DISPREZZA VOI DISPREZZA ME”. (Lc. 10,16)
Ad una prima lettura il Vangelo si presenta a noi con apparenti contraddizioni. Ad esempio, la frase che meditiamo oggi in cui Gesù si identifica completamente con il discepolo sembra in contrasto con i “guai” che Gesù lancia contro chi ha avuto di più nel cammino della fede. A me pare che, invece di essere in contrasto, queste frasi si spiegano a vicenda e ci dicono ancora una volta la grande bontà di Dio ma anche l’impegno e la serietà della nostra risposta. Parto da una frase che spesso mi sono sentito dire: “Preghi lei per me: lei è più vicino a Dio e Lui lo ascolta”. E’ una frase che ha un grande fondo di verità: il dono del sacerdozio è un dono che mette in comunione particolare con il Signore. Il sacerdote rappresenta per il popolo l’ “alter Christus” cioè la presenza di Cristo; egli ha il dono, attraverso lo Spirito che gli è dato, di rendere presenti i segni di Gesù, i Sacramenti; egli ha il dono e l’incarico di spiegare la Parola di Dio e di esserne il primo testimone, quindi è vero che è più vicino a Dio, è vero che ha il compito di elevare a Dio preghiere per tutti, ma è anche vero che questo non esime nessuno dalla propria risposta e preghiera personale ed anche vero che la responsabilità del sacerdote è ancora maggiore: proprio perché ha ricevuto tanto egli deve essere all’altezza del dono. Gesù ha diritto di essere rappresentato degnamente, gli altri hanno il diritto di vedere in lui l’agire di Gesù, di vederlo buon pastore come Gesù, di vederlo innamorato di Cristo, di sentirlo parlare di Cristo, di coglierlo capace di condivisione come Cristo, di riceverne esempio nelle scelte umane e cristiane…Ho parlato del sacerdote ma avrei potuto parlare di ogni cristiano: noi nel battesimo abbiamo “rivestito Cristo”, abbiamo avuto il dono della fede, abbiamo la possibilità dei Sacramenti dove Cristo viene ad abitare in noi…di questi doni siamo responsabili: chi ci vede agire può dire con verità: “Io vedo agire un uomo, una donna ma dietro di lui o di lei vedo Gesù”?
Nacque a Beyzymy Wielkie in Volinia il 15 maggio 1850. Scelse di entrare nel noviziato dei Gesuiti e diventò sacerdote a Cracovia nel 1881. A 48 anni riuscì finalmente ad andare in missione in Madagascar per il servizio dei lebbrosi. Andò a vivere con loro cercando la loro promozione umana. Costruì anche un ospedale con 150 posti per loro. Morì il 2 Ottobre 1912.
Parola di Dio nella memoria dei santi Angeli custodi: Es. 23,20-23; Sal. 90; Mt. 18,1-5.10
“GLI ANGELI DI QUESTI PICCOLI NEI CIELI VEDONO SEMPRE LA FACCIA DEL PADRE MIO CHE E’ NEI CIELI”. (Mt. 18,10)
Noi, estremamente razionalisti, viviamo in un mondo pieno di cose che sono avvolte nel mistero, ad esempio il pensiero non può essere ricondotto solo a scambi di corrente tra cellule del nostro cervello, il desiderio di bello, di infinito non può essere spiegato solo con lo spirito di sopravvivenza, senza contare, poi, che dall’esterno, dall’ambiente, dalle persone, dalla natura riceviamo dei condizionamenti positivi o negativi che non sono sempre riconducibili solo al materiale. Dunque a me, essere umano e cristiano non solo non risulta difficile ammettere il mondo dello “Spirito”, anzi specialmente grazie a Gesù affermo che esso è la vera casa dell’uomo che finché non raggiunge questo mondo non ha in sé la sua completezza. Dunque mi è di grande aiuto il fatto che Gesù mi abbia detto che ci sono degli spiriti buoni, gli angeli che sono messi vicino a me per aiutarmi.
Ci aiuta ancora di più a capire chi siano gli angeli custodi la preghiera della Messa di oggi. Dice: “O Dio che nella tua misteriosa provvidenza mandi dal cielo i tuoi Angeli a nostra custodia e protezione, fa’ che nel cammino della vita siamo sempre sorretti dal loro aiuto per essere uniti con loro nella gioia eterna”. Dunque gli angeli custodi sono vicini a noi per compito divino, sono puri spiriti che conoscono la sua volontà ed agiscono in essa, hanno il compito di proteggerci dal male (tutti i mali sia quelli spirituali che materiali), ci devono custodire (aver cura dei doni di Dio in noi) e sono il ponte perfetto tra Dio e noi e tra noi e Dio perché mentre essi vedono la nostra realtà materiale e in essa sono impegnati, allo stesso tempo vedono il volto di Dio.
Io so che il mio o i miei Angeli custodi mi vogliono bene, so che il loro compito lo svolgono bene e con amore, mi sono reso conto tante volte nella vita del loro intervento e chissà quante altre volte sono intervenuti senza che me ne rendessi conto; anch’io voglio bene a loro e so anche che un giorno li vedrò e la cosa più bella sarà poter dire insieme grazie a Dio per la sua misericordia.
Era una ragazzo, figlio di Ebrei, in Mesopotamia. Un giorno avvicinò dei ragazzi cristiani che gli parlarono del Signore, lo convinsero e lo battezzarono. Quando lo disse al padre, durante un banchetto ebreo, questi lo diseredò lo cacciò di casa, poi inseguitolo lo uccise.
Parola di Dio: Ab. 1,2-3; 2,2-4; Sal 94; 2Tim. 1,6-8.13-14; Lc. 17,5-10
“SE AVESTE FEDE QUANTO UN GRANELLINO DI SENAPA, POTRESTE DIRE A QUESTO GELSO: SII SRADICATO E TRAPIANTATO IN MARE, ED ESSO VI ASCOLTEREBBE”. (Lc. 17,6)
Cos’è, dunque la fede? Com’è difficile e inafferrabile parlarne, com’è complesso descriverla.
Fede non è credere in qualcosa, ricordare le verità del catechismo, ma è credere in qualcuno, nel Signore Gesù, fede è fidarsi di Lui. Fede è l’opposto dell’evidenza, dello scontato, del palese.
Ma, e questo è fondamentale, la fede che il Signore ci chiede poggia su solide basi. L’atteggiamento dell’uomo di fede non è uno sconsiderato atto d’obbedienza, un cieco gesto di abbandono. Noi ci fidiamo di qualcuno che ci ha dimostrato il suo amore, che ci ha riempito con la sua Parola. La conoscenza del Signore precede e accompagna la fede. E questa predicazione giunge fino a noi attraverso delle persone, fragili, di cui cogliamo la fede.
Fede: credere che il Signore è presente, arrendersi al corteggiamento di Dio, abbandonarsi (ragionevolmente) nelle braccia di un Dio Padre.
Fidarsi anche quando le cose funzionano diversamente da come vorremmo. Dio conosce la Storia, Dio agisce, anche se non lo vediamo, Dio condivide.
Certo, anche noi, come gli apostoli, ci rendiamo conto che la nostra fede è piccola, come il microscopico seme di senapa. Non importa, dice Gesù, basta per spostare le montagne. E questo è vero: la storia dei cristiani è lì a ribadire che la fede cambia il corso degli eventi.
Adautto era nato ad Efeso e divenne generale di Massimino Daia (che morì nel 313). Massimino avrebbe voluto prendere in moglie Callistene, la figlia di Adautto. Egli, per venire incontro al desiderio della figlia e per il fatto che conosceva quanto Massimino fosse degenerato, fece partire la ragazza di nascosto per l’oriente. Massimino esiliò Adautto a Melitene e poi accusandolo come cristiano lo fece decapitare. Callistene, morto Massimino, recuperò la salma del padre e la portò ad Efeso dove piamente condusse la sua vita.
Parola di Dio nella festa di San Francesco: Gal. 6,14-18; Sal. 15; Mt. 11,25-30
“TU, PADRE, HAI RIVELATO QUESTE COSE AI PICCOLI”. (Mt. 11,25)
Gianfranco Ravasi nel suo ‘Mattutino’ di alcuni anni fa commentava un preghiera di Francesco di Assisi, quella “davanti al Crocifisso” più o meno in questi termini.
Innanzitutto la preghiera: “Altissimu glorioso Dio, illumina le tenebre de lo core mio. Et dame fede dricta, speranza certa e carità perfecta, senno e conoscimento. Signore che io faccia lo tuo sancto e verace comandamento. Amen.”
Francesco implora cinque virtù. Il primo è la “fede dricta” cioè la purezza e la trasparenza del credere che permette di scoprire in ogni realtà la presenza vivente dell’amore divino che trasfigura e salva. E, anche noi, riprendendo proprio le riflessioni di ieri, chiediamo al Signore di donarci e di aumentarci questa fede. Ma perché questa fede possa aprirsi ed essere fonte di gioia e di pace occorre anche “speranza certa” cioè quel tipico ottimismo francescano che è vitalità e fiducia della presenza divina in tutto il cosmo e in tutta la storia. Ma fede e speranza non starebbero in piedi se non si concretizzassero nella “carità perfecta” . Il nostro amore allora non è altro che una scintilla in noi deposta dall’infinito fuoco della Carità divina. Il quarto dono invocato è il “senno” cioè l’esperienza e non solo la conoscenza teorica di Dio, la sapienza vitale e non solo quella intellettuale. Da ultimo il “conoscimento” che è la chiarezza dell’intelligenza così da scoprire, senza deviazioni o sentimentalismi, la volontà divina, il bene e il male, la verità e la menzogna.
A noi che spesso chiediamo a Dio doni materiali, ci aiuti Francesco a chiedere invece soprattutto questi doni spirituali che ci aiutino a dare senso pieno al nostro vivere quotidiano.
E’ la protomartire, cioè la prima martire, di Padova. Profondamente cristiana, a soli 16 anni fu arrestata e imprigionata, ma né lusinghe né minacce la smossero dal suo credo: per questo, nell’anno 304, fu martirizzata. Le persecuzioni dell’imperatore Diocleziano avevano fatto un’altra vittima, pura e soave, colpevole solo di aver “donato il suo cuore a Cristo”. Il corpo di Giustina riposa ora nella grande basilica eretta a Padova in suo onore, proprio nel luogo del suo martirio.
Parola di Dio: Gal. 1,13-24; Sal.138; Lc. 10,38-42
“GESU’ ENTRO’ IN UN VILLAGGIO E UNA DONNA DI NOME MARTA LO ACCOLSE NELLA SUA CASA”. (Lc. 10,38)
Come mi piacerebbe accogliere Gesù come queste due sorelle, Marta e Maria. Qualche volta, specialmente quando non c’è la fretta di concludere la Messa con l’ultima preghiera e la benedizione ho cercato di rendere la mia anima come quella casa di Betania: mi auguro che Gesù si trovi bene in casa mia, cerco di comportarmi come Maria per accogliere Gesù e ascoltare la sua parola, cerco di fare come Marta che desidera che il suo ospite si trovi bene e che tutte le sue esigenze siano amorevolmente curate… e un bel giorno mi e sembrato quasi di sentire il Signore che mi diceva: “Grazie per l’accoglienza, grazie per la stima che hai della Eucaristia ma la tua casa è anche e sempre Betania per tutte le altre volte del giorno che la visito?” Ed ho pensato alle altre tante comunioni non eucaristiche ma altrettanto reali che ogni giorno mi da di fare. Gesù mi visita con i miei familiari. Sono talmente abituato alla loro presenza che spesso non ci faccio neppure più caso, sono quelli che mi danno maggiormente ma spesso sono anche coloro che, proprio perché mi conoscono e mi amano devono sopportare tutte le mie bizze, i miei umori e spesso non ricevono neanche un grazie. Gesù mi visita sul lavoro, ma lì spesso le persone si confondono con il loro ruolo, i clienti sono solo possibili affari, gli altri diventano concorrenti. Gesù mi visita con il telefono che suona sempre alle ore più inopportune e che spesso mi manda in bestia anche se per opportunità cerco di dire: “Non mi disturba affatto”. Gesù mi visita con il giornale e con la televisione, ma anche lì spesso sono solo storie più o meno lontane che mi toccano per un minuto e poi passano. Gesù mi visita con i conoscenti e gli amici (ma amici fino a quando? Fino a quando io la penso come loro o loro la pensano come me?) Gesù mi visita con chi ha bisogno (ma posso io sempre essere disponibile con tutti?… e poi gli altri sono disponibili con me?)…
Quante occasioni di essere Betania, di essere Marta, Maria e Lazzaro che in modi diversi ma amorosi sanno accogliere colui che in mille modi bussa alla mia porta per portare se stesso e i suoi doni!
Canonico a Colonia, maestro di teologia a Reims, Bruno (c. 1035—1101) aveva cinquant’anni quando si ritirò nella solitudine della Chartreuse di Grenoble per “cercare Dio assiduamente, trovarlo prontamente, possederlo pienamente”. E’ questo l’ideale di contemplazione pura che egli trasmise ai suoi figli, i Certosini, che con la preghiera e la penitenza sono chiamati a fecondare le fatiche degli apostoli nel mondo.
Parola di Dio: Gal.2,1-2.7-14; Sal. 116; Lc. 11,1-4
“UN GIORNO GESU’ SI TROVAVA IN UN LUOGO A PREGARE…”. (Lc. 11,1)
Gesù attrae i suoi discepoli alla preghiera perché Lui è uomo di preghiera e attraverso il suo modo di pregare ci mostra quello che potrebbe accadere anche a noi nella preghiera. Ecco alcuni esempi:
Gesù prega durante il suo battesimo e il cielo si apre su di lui. Quando preghiamo il cielo si apre sopra di noi, nella preghiera lo Spirito Santo scende su di noi e nella preghiera scopriamo che siamo incondizionatamente amati da Dio.
Gesù sovente si rifugia “in luoghi solitari a pregare”: la preghiera con il suo silenzio è il momento migliore per dare senso a Dio, all’ universo e anche alle cose. Prima delle grandi scelte e decisioni Gesù prega: è la comunione con Dio che ci aiuta nelle nostre scelte.
Nella preghiera al Tabor Gesù si trasfigura: nella preghiera noi entriamo in contatto con il nostro vero essere, cade tutto quanto è superficiale, vanno in pezzi le maschere dietro le quali ci nascondiamo e la gloria di Dio può risplendere in noi.
Gesù prega al Getzemani: pregare non è sempre e solo esperienza di pace può essere anche una lotta dolorosa con la volontà di Dio ma a colui che prega Dio invia il suo angelo per infondergli nuova forza anche se questo non toglie la paura. Nella preghiera viviamo spesso l’oscurità, abbiamo l’impressione che il nostro pregare cada nel vuoto, che non serva a nulla, che non accada nulla e qualche volta, come i discepoli ci addormentiamo, allora Gesù viene a svegliarci perché sia proprio la preghiera la via con cui superare le tentazioni. E come la preghiera del monte degli ulivi dà a Gesù la forza di sopportare la via crucis così dà anche a noi la capacità di vivere ogni momento in comunione con Dio. Se Gesù figlio di Dio nella sua umanità ha avuto un bisogno così intenso di preghiera quanto più ne abbiamo bisogno noi nella fragilità del nostro quotidiano.
Sergio era un ufficiale dell’esercito romano ed anche Bacco faceva parte dell’esercito. Scoperti cristiani e non scendendo a compromessi per la fede, furono aspramente torturati. Bacco morirà durante la flagellazione. Sergio dopo questa fu ancora costretto a camminare con dei chiodi ai piedi e poi venne decapitato. Il tutto avvenne durante la persecuzione di Diocleziano, verso il 310.
Parola di Dio: Gal. 3,1-5; Cant. da Lc. 1,69-75; Lc. 11,5-13
“QUALE PADRE TRA VOI, SE UN FIGLIO GLI CHIEDE UN PESCE, GLI DARA’ AL POSTO DEL PESCE UNA SERPE?… (Lc. 11,11)
Gesù conosce molto bene la nostra natura umana. Egli sa che ogni cuore paterno non può che volere il bene del proprio figlio. Ma sa anche che l’uomo nella sua fragilità spesso può sbagliarsi su quale sia il vero bene dell’altro e allora ci presenta Dio. Dio è il nostro Padre buono: egli sa che cosa ci fa bene e non ci deluderà, non ci darà nulla che possa nuocerci. Egli ci dona quel che ci dà nutrimento.
Agostino interpreta simbolicamente i tre doni: il pane indica l’amore, il pesce la fede, l’uovo la speranza.
Un buon padre non da al figlio la pietra della durezza al posto del pane dell’amore. Egli crede nel figlio e non lo ferisce come fa un serpente e infine dona speranza al figlio e non lo avvelenerà, come fa lo scorpione, con l’amarezza o con i sensi di colpa.
Dio è il Padre buono che ci dona quanto di meglio ha da darci: lo Spirito Santo. Nello Spirito Egli ci dona se stesso e si fa vicino a noi e se la materialità della terra ci ha ferito con la pietra, il serpente o lo scorpione, lo Spirito ci guarisce da queste ferite. Per Gesù la preghiera è dunque anche il luogo dove possiamo sperimentare la nostra guarigione.
Tra i santi di oggi ricordiamo: EUSEBIA, Santa, Monaca e Martire
Santa Eusebia è molto nota nella Francia meridionale, nella regione di Marsiglia, che la vide badessa. Eusebia sarebbe stata vittima delle incursioni dei Saraceni, ma non da sola, insieme con lei sarebbero state 40 monache, sue compagne.
Parola di Dio: Gal. 3,7-14; Sal. 110; Lc. 11,15-26
“QUANDO LO SPIRITO IMMONDO ESCE DALL’UOMO, SI AGGIRA PER LUOGHI ARIDI IN CERCA DI RIPOSO E, NON TROVANDONE, DICE: RITORNERÒ NELLA MIA CASA DA CUI SONO USCITO”.
(Lc. 11,24)
“Ma non si arrende proprio mai il male che è in noi e attorno a noi? Credi di avercela fatta a cacciare via una tentazione, ti senti rincuorato di aver trovato il coraggio di farla finita con una brutta abitudine e poi, ecco di nuovo spuntare prepotente la tentazione… e ti sembra di essere ancora più fragile di prima. E si ci caschi ecco la delusione ed ecco anche lo scoraggiamento: cominci a dirti:”Ma vale la pena di continuare a lottare? Non sarà poi una debolezza di carattere contro cui non c’ è nulla da fare”. Frasi come questa che un prete ha certamente sentito dette da molti e che forse noi stessi abbiamo pensato rischiano, se non ci rifacciamo subito a Gesù, di gettarci nello sconforto, e ci portano a pensare al male come a qualcosa di invincibile. Eppure Gesù ci ha messo in guardia. E’ una esperienza che in un modo o in un altro abbiamo fatto tutti. Il male non si arrende, il diavolo pur sapendo di essere sconfitto ci prova ancora e sempre. Non bisogna spaventarsi; sapendo che le nostre forze sono deboli bisogna umilmente e con costanza chiedere aiuto a chi è più forte di noi. La tentazione più forte non è tanto quella che ci spinge a singoli peccati, è quella di perdere la fiducia che Dio, nonostante noi, possa farci vincere la battaglia definitiva.
Nato a Lucca nel 1541 divenne farmacista. Poi abbandonò tutto e fu ordinato sacerdote. Gran predicatore si dedicava soprattutto ai fanciulli. Nel 1574 fondò l’Ordine dei Chierici Regolari della Madre di Dio e istituì un collegio di sacerdoti per la propagazione della fede (anticipatore di Propaganda fide). Con il suo equilibrio e carità fece rifiorire varie congregazioni religiose.
Parola di Dio: Gal. 3,22-29; Sal. 104; Lc. 11,27-28
“BEATI COLORO CHE ASCOLTANO LA PAROLA DI DIO E LA OSSERVANO”.(Lc. 11,28)
Nelle due righe di Vangelo di oggi abbiamo assistito ad una scena istintiva molto bella: una donna, con semplicità, ammirata dalla figura di Gesù, forse con un po' d'invidia dice:“Beata, fortunata tua madre ad avere un figlio così”. Gesù le risponde: “La fortuna non è avere un ‘figlio bravo’, è essere fedeli a Dio!”.
Secondo il vangelo non si è beati perché le cose vanno bene, perché economicamente non abbiamo grossi fastidi, perché mio figlio non è un drogato o un perdigiorno, perché i miei hanno fatto carriera..., ma si può essere beati sempre se si cerca la volontà di Dio, se Dio è il nostro fine, la nostra unica "ricompensa".
Sono due i verbi contenuti in questa beatitudine: “ascoltare” e “osservare”.
La fede non può nascere se non dall’ascolto, dalla conoscenza. Quanto sono assurdi, ad esempio, certi genitori che dicono: “Mio figlio quando sarà grande sceglierà lui la sua fede” ma poi non fanno conoscere la fede al figlio: no al Battesimo, no alla preghiera, no alla scuola di religione... Ma che cosa potrà scegliere se neppure conosce? Ascoltare vuol dire incontrare, conoscere, fare esperienza. Quanti cosiddetti cristiani conoscono magari tutto sull’astrologia e non hanno mai letto i vangeli!
Ma per essere beati bisogna poi passare dall’ascolto alla pratica. Non basta conoscere tutto della fede, non basta andare a “sentire” messa. Bisogna che la nostra vita, il nostro agire diventi come quello di Cristo, che la nostra messa non finisca con la benedizione del sacerdote, ma che scenda con noi nella nostra settimana. E allora la benedizione di Maria coincide con la nostra. Lei è beata perché ha ascoltato Dio e poi ha fatto la sua volontà, noi siamo beati se, avendo ascoltato, abbiamo scoperto che solo con Dio si può davvero essere felici.
Sembra fosse di origine africana, avrebbe vissuto per un certo tempo come eremita sulle coste toscane e poi sarebbe diventato vescovo di Populonia. Nei Dialoghi di San Gregorio Magno si raccontano alcuni episodi della sua vita, quando ad esempio essendo stato esposto ad un orso, questi lo avrebbe lasciato vivo. All’arrivo dei Longobardi si rifugiò sull’ isola d’Elba dove morì tra il 573 e il 575.
Parola di Dio: 2Re 5,14-17; Sal. 97; 2Tim 2,8-13; Lc. 17,11-19
“ENTRANDO IN UN VILLAGGIO GLI VENNERO INCONTRO DIECI LEBBROSI”. (Lc. 17,12)
Dieci lebbrosi e uno di loro è samaritano. Questa prima annotazione ci rivela un dato semplicissimo: la sofferenza ci accomuna. Gli ebrei consideravano i vicini samaritani "cani bastardi" e come tali venivano trattati. Eppure qui tutti gridano ma, una volta guariti, le differenze tornano (mistero dell'umana fragilità!): nove vanno al Tempio e il samaritano, di nuovo solo, senza un Tempio in cui essere accolto, corre dal Tempio della gloria di Dio che è Gesù.
Notate la freschezza di questo racconto, il gesto pieno di stupore, euforico del samaritano: "tornò indietro lodando Dio a gran voce", non può tacere, urla la sua gioia: la sua solitudine e la sua emarginazione sono finalmente finiti.
E gli altri? ,nota Gesù: nulla, spariti, scomparsi. Guarire gli uomini dalla loro ingratitudine è ben più difficile che guarirli dalle loro malattie.
Cosa ci dice questo brano? Credo due lezioni fondamentali: la prima è che essere guariti non significa essere salvati.
I nove ingrati sono la perfetta icona di un cristianesimo purtroppo ancora diffuso, che ricorre a Dio come ad un potente guaritore (una specie di mago...) da invocare nei momenti di guai. Che triste immagine di Dio si fabbricano coloro che a lui ricorrono "quando c'é bisogno", che lasciano Dio ben lontano dalle loro scelte, dalla loro famiglia, salvo poi arrabbiarsi e tiralo in ballo quando qualcosa va storto nei loro progetti.
I nove sono guariti: hanno ottenuto ciò che chiedevano. Ma non sono salvati. Rimasti chiusi nella loro parziale e distorta visione di Dio, guariti dalla lebbra sulla pelle, non vedono neppure la lebbra che hanno nel cuore.
Davanti alla sofferenza, come i due ladroni sulla croce, possiamo bestemmiare Dio accusandolo di indifferenza, o accorgerci che sta morendo accanto a noi. Cadere nella disperazione, o ai piedi della croce. Gesù ci dice che la salute non è tutto, come spesse volte affermiamo. Certo: è un bene essenziale, prezioso, da custodire ed invocare. Ma non è vero che “basta la salute”; più della salute c’è la salvezza.
La seconda lezione, straordinaria, è il senso della gratitudine di questo uomo.
La gratitudine, la festa, lo stupore, sono atteggiamenti connaturali all'uomo, eppure così poco spesso manifestati nella nostra vita. Siamo tutti molto lamentosi, sempre pronti a sottolineare il negativo che pesa come un macigno nelle nostre bilance. Diamo tutto per scontato: è normale esistere, vivere, respirare, amare; normale e dovuto nutrirsi, lavarsi, abitare, lavorare ... Il nostro sguardo, un po' assuefatto dalle troppe cose troppo scontate, non sa più aprirsi alla gratitudine.
Come vorrei vedere più sorrisi sulle bocche dei cristiani, più lode nelle loro preghiere, più gratitudine nei gesti di coloro che, guariti dalle loro solitudini interiori e dalla lebbra che è il peccato, sono anche salvati e fatti Figli di Dio.
Nacque a Milano nel 1534 da una famiglia di origine genovese. A 17 anni scelse di entrare tra i Barnabiti che gli avrebbero permesso di dedicare la sua vita sia a Dio che allo studio da lui amato. A 29 anni insegnava già all’Università di Pavia, poi a Milano fu superiore del collegio di Santa Barbara, poi fu superiore generale dei Barnabiti tra il 1567 e il 1570. Venne poi nominato Vescovo di Aleria in Corsica. La regione era particolarmente povera, devastata dalla malaria, con una cultura ancora tribale legata a vendette e violenza. Egli impegnò tutto se stesso a favore dei poveri e dell’annuncio evangelico tanto da venir chiamato: “Angelo tutelare, padre dei poveri, Apostolo della Corsica. Fu poi ancora per un anno Vescovo a Pavia. Morì a Calosso d’Asti nel 1592.
Parola di Dio: Gal. 4,22-24.26-27.31- 5,1; Sal 112; Lc. 11,29-32
“QUESTA GENERAZIONE CERCA UN SEGNO MA NON LE SARA’ DATO NESSUN SEGNO FUORCHE’ IL SEGNO DI GIONA”(Lc. 11,29)
I Giudei contemporanei di Gesù avrebbero voluto un grande segno per convertirsi eppure Gesù di segni ne faceva tanti ma ad essi non bastavano. Questo dimostra ancora una volta, che la fede non dipende dai miracoli ma viceversa.
I miracoli di Dio, quelli straordinari e quelli ordinari, invitano a credere, ma non danno automaticamente la fede. Alcuni si chiedono perché Dio non dà agli atei dei segni schiaccianti, perché non scrive il suo nome in cielo con tanta chiarezza da rendere impossibile rifiutarsi di credere. Non lo fa per la stressa ragione per cui Cristo non volle offrire portenti, né in questa occasione, né al tentatore nel deserto, né ai suoi nemici quando moriva sulla croce. Questi richiami pubblicitari non servirebbero a niente, al massimo suscitare un consenso forzoso, cioè una falsa fede. Dostoewskij nella leggenda del Grande Inquisitore dice: “Non scendesti dalla croce, Signore perché non volevi fare degli uomini schiavi con un portento, perché desideravi un amore libero e non quello che nasce da un miracolo. Avevi sete di amore volontario, non di incanto servile davanti al potere”.
Gesù stesso nel suo mistero pasquale di morte e risurrezione è il grande segno dell’amore di Dio per noi; se non capiamo questo, la fede è impossibile, per quanti miracoli si possano accumulare davanti ai nostri occhi.
Fu martire nella persecuzione di Diocleziano in Laurentum un città tra le attuali Castelnuovo Fusano e Torre di Paternò.
Parola di Dio: Gal. 5,1-6; Sal. 118; Lc. 11,37-41
“PIUTTOSTO DATE IN ELEMOSINA QUEL CHE C’E’ DENTRO, ED ECCO PER VOI TUTTO SARA’ MONDO”. (Lc. 11,41)
Spesso il desiderio giusto di spiritualità ha portato a cercare quale sia il modo migliore, perfetto per realizzare la fede, il cristianesimo.
E’ vero noi dobbiamo essere “perfetti come è perfetto il Padre nostro celeste”, ma questa ricerca esasperata di perfezione ci ha spesso portati a guardare solo a noi stessi, all’osservanza esteriore delle minime norme, all’ ipocrisia.
Gesù invita il fariseo osservante, che però lo aveva subito giudicato, a non fermarsi alle esteriorità, ma ad imparare ad andare al nocciolo delle cose e credo che in fondo dica a lui e a noi più o meno così: “Quando uno sta morendo dalla fame, ha bisogno di trovare un piatto pulito o del cibo? Quando uno bussa alla tua porta per chiederti aiuto bada alle belle parole che tu puoi dirgli o a ciò che concretamente tu puoi fare per lui? La Chiesa mostra il suo vero volto perché tanti cristiani parlano o perché qualcuno si sforza di fare le stesse scelte che Gesù ha fatto?”.
La purezza di cuore non è legata alle esteriorità formali della legge, anche se queste potrebbero essere di aiuto, ma è legata al dare agli altri ciò che vi è dentro. Dio non si lascia ingannare dalle apparenze e dalle maschere che noi mettiamo per apparire più buoni di quello che siamo. Gesù in pratica ci dice: “Liberatevi dalla preoccupazione di voler apparire perfetti, dalla tentazione del voler raggiungere le vette di una virtù disincarnata, e rendetevi disponibili con semplicità, all’incontro con ogni persona; liberatevi dalla religiosità della fredda osservanza, da quella della paura e lasciate che il vostro cuore ripieno di Dio debordi e vi conduca per strade nuove con la fantasia dello Spirito Santo che abita in voi”.
Nacque nell’ 855, figlio del barone di Auriac (Francia) era di costituzione debole e voleva consacrarsi al Signore. Fondò infatti un monastero e voleva dedicarsi alla preghiera. Ma il Vescovo di Chaors lo sconsigliò invitandolo ad essere testimone del Signore nella vita comune, cosa che egli fece specialmente nel periodo della sua vita in cui fu completamente cieco. Morì il 13 Ottobre 909.
Parola di Dio: Gal. 5,11-25; Sal. 1; Lc. 11,42-46
“GUAI A VOI, FARISEI.”(Lc. 11,42)
Gesù mette in evidenza gli errori dei farisei perché anche noi non cadiamo in quel modo di comportamento religioso. Quale é il torto degli scribi e dei farisei? Quello di restringere la propria fede all’osservanza rigorosa della legge, di affidarsi unicamente al culto per incontrare Dio. E’ un’illusione che perdura anche oggi, in mezzo ai cristiani. C’è sempre il rischio di separare il culto dalla vita, il mestiere di cristiani da quello di uomini, i doveri religiosi dalla pratica della giustizia. Alcuni pensano che con la Messa domenicale, l’ utilizzo dei sacramenti (quasi tutti), le devozioni, l’ osservanza dei comandamenti (qualcuno) si abbia risolto il problema religioso: il buon Dio è a posto e noi abbiamo pagato la tassa per il paradiso. Gesù grida: “Guai!”: Dio non lo puoi comprare! Per essere cristiani non ci sono soltanto i rosari, le novene, le giaculatorie, il segno di croce prima di addormentarsi o la medaglietta (possibilmente d’oro) da portare al collo. Per essere cristiani c’è tutto il resto. Ossia “la giustizia, la misericordia, la sincerità”. Ecco che cosa ci suggerisce San Gregorio Magno, un Padre della Chiesa: “La sapienza del giusto sta nel fuggire ogni finzione e falsità, nel manifestare con le parole il proprio pensiero, nell’amare il bene così com’è, nell’evitare la doppiezza, nel donare gratuitamente i propri beni, nel sopportare più volentieri il male piuttosto di farlo, nel non vendicarsi dei torti ricevuti, nel ritenere un guadagno l’offesa subita a causa della verità.”
Gaudenzo nacque ad Efeso nell'Asia Minore. Giunto a Roma fu battezzato, poi ordinato sacerdote e consacrato vescovo. Inviato a Rimini come pastore, combatté vigorosamente i residui di paganesimo e l'eresia. Nell'anno 359 partecipò al Concilio di Rimini indetto dall'Imperatore Costanzo II, appositamente convocato per condannare Ario; allorché se ne profilò la vittoria, Gaudenzio, con altri diciassette vescovi, abbandonò il concilio e si ritirò in una piccola cittadina vicina e che dopo questo evento fu chiamata la Cattolica. Rientrato a Rimini, attaccò apertamente le posizioni ariane. Arrestato dal preside dell'imperatore Costanzo, fu strappato dalle mani dei giudici e linciato dai seguaci di Ario, il 14 ottobre del 360.
Parola di Dio: Ef. 1,1-10; Sal. 97; Lc. 11,47-54
“GLI SCRIBI E I FARISEI COMINCIARONO A TRATTARLO OSTILMENTE, TENDENDOGLI INSIDIE”. (Lc. 11,53)
“Dovevi aspettartelo, Gesù! Tu hai messo in evidenza le mancanze dei religiosi di allora perché avresti voluto vedere in loro una conversione, ma Tu sai benissimo che l’orgoglioso, colui che pensa di essere il migliore di tutti, davanti ad un rimprovero, davanti a qualcosa o qualcuno che metta anche solo lontanamente in crisi la propria costruzione accuratamente costruita per mantenere il potere, ha un solo modo di reazione, quello di contrattaccare o inglobando o espellendo.
Da sempre è successo così. I profeti non hanno mai avuto vita semplice, le persone pure sono sempre state considerate sciocche, chi cerca la verità in modo diretto e chi la vuole concretizzare è stato etichettato rivoluzionario, antisociale, turbatore della quiete pubblica e quindi persona da allontanare, da punire, da eliminare. Aiutami, Signore, ad esaminare uno per uno i tuoi “Guai” e a considerarli non tanto come una umiliazione, uno schiaffo morale che Tu mi dai, ma come una tua mano tesa per aiutarmi ad uscire dall’ ipocrisia, specialmente da quella terribile ipocrisia religiosa della quale spesso soffro.
Aiutami a capire che se tu mi dici: “Guai”, non e per condannarmi senza appello, ma per invitarmi a cambiare, per aiutarmi ad accogliere Te e Tuo Padre così come siete e non come le maschere della religione vi hanno presentato. Aiutami anche a non cadere in un’altra ipocrisia religiosa terribile, quella di vedere i tuoi “Guai!” solo e sempre indirizzati agli altri. Tu vuoi, come mi suggerivi due giorni fa, che io “ti dia in elemosina” i miei peccati e la mia ipocrisia: se saranno nelle tue mani e io mi abbandonerò a te, allora c’è speranza che io possa guarire da questa malattia”.
Non si sa con certezza se la santa festeggiata a Strasburgo fosse una delle compagne di Santa Orsola o un’altra santa le cui reliquie furono trovate da San Colombano. La si invoca contro le febbri perché sarebbe morta di queste alle porte della città.
Parola di Dio: Ef. 1,11-14; Sal. 32; Lc. 12,1-7
“NON C’È NULLA DI NASCOSTO CHE NON SARÀ SVELATO E NULLA DI SEGRETO CHE NON SARÀ CONOSCIUTO”. (Lc. 12,2)
Qui sulla terra tutti abbiamo le nostre maschere. Qualcuna serve a farci vedere più belli di come siamo, altre a nascondere le nostre debolezze. Qualche volta il “Buon Giorno!” affrettato che diamo alla persona incontrata nasconde auguri tutt’altro che sereni per quella persona, spesso un sorriso esteriore nasconde un giudizio truce e terribile, un atteggiamento pio il desiderio di essere ammirati e qualche volta addirittura un gesto di carità è tutt’altro che caritatevole ma fatto o per non fare brutta figura o magari per togliersi dai piedi una persona a noi non gradita
Davanti a Dio c’è poco da nascondere!
Lui legge il cuore, lui il film della nostra vita lo vede al naturale… senza doppiaggio!
Non so se sia solo una mia fantasia ma qualche volta mi immagino il giudizio finale non tanto come Dio che dice: “Tu a destra nel paradiso e tu a sinistra nell’inferno” ma quanto piuttosto non essendoci più nulla di nascosto a nessuno, l’uomo stesso che desidera nascondersi, non farsi vedere così com‘é in realtà, insomma una specie di Adamo che ritrovandosi nudo cerca un cespuglio quasi potesse nascondersi.
Se ci pensassimo un po’ più spesso che un giorno qualunque cosa sarà svelata, intanto saremmo più umili, poi avremmo più fiducia nella misericordia di Dio e poi cercheremmo di essere meno falsi, ipocriti, in cerca di false apparenze. Ricordiamocelo: in quei giorno la foglia di fico sarà seccata e il cespuglio sarà trasparente come la lastra di vetro.
Tra i santi di oggi ricordiamo: EDVIGE, Santa
Figlia del conte bavarese Bertoldo IV, Edvige andò, a soli 13 anni, in sposa al duca Enrico I di Slesia ed ebbe da lui 7 figli. Malgrado i nobili natali, la sua vita fu molto difficile e le riservò i più grandi dolori: vide morire, uno dopo l’altro, tutti i suoi figli, eccetto Gertrude. Proprio dall’unica figlia rimastale si ritirò alla morte dell’amato marito, e nel monastero diretto da Gertrude, Edvige trovò la pace nella preghiera e nella meditazione. Morì nel 1243.
Parola di Dio: Ef. 1,15-23; Sal. 8; Lc. 12,8-12
“CHI BESTEMMIERA’ LO SPIRITO SANTO NON GLI SARA’ PERDONATO”. (Lc. 12,10)
Quando sentiamo la parola bestemmia ci vengono subito in mente certe parole rivolte contro Dio, contro la Madonna che, purtroppo, sentiamo sempre più in bocca a tante persone che il più delle volte non sanno neppure cosa dicono. Ma, se ci pensiamo un momento, si può bestemmiare Dio in tanti altri modi oltre che con le parole; ad esempio, sentendoci noi unici padroni del creato e manipolandolo a nostro piacimento pur di far soldi, sentendoci noi padroni della vita, capaci di decidere chi deve nascere o meno o scegliendo chi deve vivere e chi deve morire…
Ma qui Gesù parla di una “bestemmia contro lo Spirito Santo”. Quale sarà?
Si bestemmia contro lo Spirito Santo quando il nostro atteggiamento di vita esclude a Dio e al suo Spirito ogni possibilità di agire in noi e attorno a noi, quando in pratica ci si organizza esclusivamente da soli senza lasciare spazio a Dio, quando si esclude la speranza per noi e per il prossimo.
Ma, mi chiedo: perché è imperdonabile? C’è davvero qualcosa di imperdonabile per Dio?
E’ imperdonabile perché l’uomo si mette nella situazione di non accettare il perdono. E’ molto pericoloso attribuirsi la buona fede, credere di essere giusti, presumere di aver ragione, non essere disposti a cambiare, scambiare la verità con la certezza. Tutto ciò riguarda questo peccato di resistenza allo Spirito, che è l’amore di Dio che dona e perdona.
La bestemmia imperdonabile è non riconoscere che Dio, in Gesù, è grazia e perdono, cercando di vivere della propria giustizia e delle proprie giustificazioni.
Era nato a Creta nell’VIII secolo. Fu monaco e anacoreta, forse anche stilita. Nel 767, mentre imperversava la persecuzione iconoclasta di Costantino V Copronimo, Andrea andò a rimproverare l’imperatore per questo. Fu flagellato, imprigionato e poi abbandonato alla folla che lo linciò.
Parola di Dio: Es. 17,8-13; Sal. 120; 2Tim 3,14-4,2; Lc. 18,1-8
“GESU’ DISSE AI SUOI DISCEPOLI UNA PARABOLA SULLA NECESSITA’ DI PREGARE SEMPRE, SENZA STANCARSI”. (Lc. 18,1)
A prima vista può sembrarci una parabola tutta sbagliata.
Prima di tutto ci troviamo davanti ad un giudice disonesto e ateo che viene quasi preso ad esempio come se fosse Dio; secondo, c’è una vedova terribilmente seccante e scocciatrice che non fa che ripetere in continuazione la sua cantilena di richieste quasi esistesse solo lei al mondo, alla fine c’è un esaurimento non certo per amore. E tutto questo per insegnarci a pregare!
Eppure gli insegnamenti sono tanti!
Dio non ha bisogno delle nostre parole di preghiera: Lui sa tutto! Siamo noi che con la preghiera ci rendiamo conto di chi siamo e di chi sia colui al quale ci rivolgiamo perché ci aiuti, ci liberi, ci salvi, quindi la preghiera serve soprattutto per noi.
L’insistenza, poi, non deve essere uno ‘scocciare’ Dio, ma un rafforzare sempre di più noi nella fede: sono convinto che Dio può tutto, che Dio mi è Padre e me ne convinco sempre più chiedendo in continuazione.
Un giorno un signore tra il convinto e il sorridente mi diceva: “ La Madonna ha bisogno di sentirsi dire per cinquanta volte: Ave Maria, per capire che la salutiamo?”. No, Maria no, Lei sa se noi la amiamo, se la nostra preghiera è sincera, filiale, ma sono io che ho bisogno di ricordarmi che Lei mi è Madre, che è la Madre di Gesù, che è piena di doni che vuol riversare su di me e sul mondo dei suoi figli, che è vicina a Dio e che è vicina a noi, che è santa mentre io sono peccatore. Quanto siamo assurdi quando consideriamo la preghiera come un tempo che noi rubiamo quasi a noi stessi per darlo a Dio, la preghiera è invece il tempo in cui rendiamo Dio presente a noi e noi presenti a Lui.
A San Luca dobbiamo il terzo Vangelo e gli Atti degli Apostoli, ed è proprio dai suoi appunti di viaggio che possiamo ricostruire la sua attività di missionario. Luca è l’evangelista che più degli altri ci ha dipinto l’umana fisionomia del Salvatore, la sua mansuetudine, le sue attenzioni verso i poveri e i derelitti, le donne e i peccatori. Purtroppo abbiamo di lui solo poche notizie forniteci da San Paolo nelle sue Lettere da cui traspaiono la sua sensibilità e la sua profonda e amorevole attenzione al prossimo.
Parola di Dio nella festa di San Luca: 2Tim. 4,10-17; Sal. 144; Lc. 10,1-9
“ANDATE: ECCO IO VI MANDO COME AGNELLI IN MEZZO AI LUPI”.(Lc. 10,3)
Come Luca, anche noi sentiamo oggi questo imperativo di Gesù: “Andate!”. E’ un comando che noi spesso cerchiamo di cambiare in “state”: troviamoci in Chiesa per la messa, troviamoci in parrocchia per parlare, leggiamo comodamente in poltrona di discussioni di Chiesa... Andate, ci dice Gesù e non ci nasconde neppure le difficoltà: non è semplice vivere da agnelli in mezzo ai lupi.
La vera missione, prima ancora del decidersi a partire, comincia dal cuore.
Non si è missionari se non si sente battere il proprio cuore per Gesù e per i fratelli. Solo se amo davvero Gesù, se gli sono riconoscente, se sento che Lui davvero è liberazione e salvezza, ho desiderio di comunicarlo agli altri, perché gli altri (i miei fratelli) facciano la mia stessa esperienza gioiosa e liberante. Se non c’è questo spirito, si fa solo dell’inutile colonialismo religioso, del proselitismo ad una religione e non un annuncio di fede.
Qualcuno, poi, considera la missione come esercizio di lingua. Incappi in certi sedicenti cristiani che pensano di convertire con le parole e parlano (il più delle volte direttamente o indirettamente di se stessi) facendo sfoggio di una presunta (e quante volte è proprio solo presunta) sapienza filosofica e teologica.
Sono invece veri missionari le persone umili che senza fare cose grandiose, hanno però seminato per tutta una vita testimonianze concrete di carità, di pazienza, di perdono, di servizio quotidiano. Davvero quanti missionari sono stati tali senza uscire da quello che molti considerano ‘il banale quotidiano’ e che essi invece hanno considerato come il dono del tempo nel quale godere dell’amore di Dio, esserne ricolmi e trasmetterlo con semplicità.
Nella persecuzione dei cristiani verso il 192 fu arrestato Tolomeo perché cristiano. Egli lo ammise, fu torturato e condannato. Alla lettura della sentenza un giovane si rivolse al prefetto Ubrico dicendogli che era ingiusta una simile condanna. Venne chiesto se anche lui era cristiano e Lucio lo ammise. Furono giustiziati insieme.
Parola di Dio: Ef. 2,12-22; Sal. 84; Lc. 12,35-38
“SIATE PRONTI CON LA CINTURA AI FIANCHI E LE LUCERNE ACCESE”. (Lc. 12,35)
La vigilanza è l’atteggiamento proprio dell’amore che veglia; è la lampada che, attraverso le tendine di una finestra, si vede accesa a tarda notte in attesa del ritorno del marito o del figlio. L’amore mantiene il cuore in guardia, sia quello dell’innamorato che vive pensando alla persona amata, sia quello della madre che veglia il sonno e la salute del figlio malato. Così sono anche la fede e l’amore cristiano: non dormono mai, ma spiano sempre con desiderio il futuro, in attesa del Signore che può arrivare in qualunque momento. “Siate pronti, con la cintura ai fianchi”. A noi, questo, forse dice poco, ma se pensate che i contemporanei di Gesù portavano lunghe vesti, avere una cintura ai fianchi, significava avere qualcosa per tirarsi su il vestito e non essere impacciati nel cammino. E’ la stessa cosa che Dio aveva detto agli Ebrei nella notte della Pasqua: “Tenetevi pronti per partire, per camminare”. Quindi vigilanza è principalmente essere pronti per qualcosa di impegnativo, essere disponibili a muoversi. “Con le lucerne accese”. La luce serve per vedere. Dobbiamo sapere dove mettere i piedi, dobbiamo scoprire il volto del nostro Signore che è già arrivato dalle sue nozze con l’umanità, dobbiamo imparare a vedere il volto dei fratelli. Avere la luce significa anche poterla usare per illuminare il cammino di qualcun altro. Allora, la vigilanza diventa anche far portare frutti ai doni che ci sono stati dati. Ecco, allora, la vigilanza cristiana: è la mentalità di chi sa di essere in viaggio. Avere Gesù Via, Verità, Vita, non ci autorizza a sederci, a sentirci a posto, non ci garantisce né vita serena, né paradiso assicurato ma ci mette in cammino, e non solo verso il paradiso futuro ma verso una realtà più piena del senso della nostra vita… questo però comporta da parte nostra una capacità di adattamento a situazioni impreviste, prontezza nelle decisioni, dinamismo, accortezza. Essere vigilanti è anche avere davanti la consapevolezza della precarietà della nostra vita e delle cose di questo mondo, per cui è vigilante chi non fonda il suo essere su cose non consistenti; ed è anche la consapevolezza di vivere in mezzo a pericoli e tentazioni costanti, ma è anche sperare. La fede e l’amore non dormono mai, ma si concretizzano nel presente, spiano con desiderio il futuro dal quale, se la nostra fiducia è in Lui, non può che venirci il Bene.
Nacque verso la metà del VII secolo. Crebbe vicino a San Bosa e lo seguì a Roma e poi a Hexham, dove fu fatto Vescovo. Fu amico di san Beda, incoraggiò la cultura, l’arte e la liturgia. Morì intorno al 710.
Parola di Dio: Ef. 3,2-12; Cant. da Is. 12,2-6; Lc. 12,39-48
“A CHIUNQUE FU DATO MOLTO, MOLTO SARA’ CHIESTO; A CHI FU AFFIDATO MOLTO, SARA’ CHIESTO MOLTO DI PIU’”. (Lc. 12,48)
Siamo spesso portati a vedere nella nostra vita le cose che ci mancano. Altre volte il confronto con gli altri ci porta quasi ad invidiare doti o cose che essi hanno e di cui noi non siamo forniti. Forse però, non è il caso di fare delle graduatorie su chi ha ricevuto di più. Siamo tutti dei continui ‘graziati’, siamo tutti dei debitori evidentemente insolvibili. Tutto quello che abbiamo è dono gratuito. La vita non me la sono data da solo; gli occhi, le orecchie, l’intelligenza, le capacità affettive sono un dono… Viene da sorridere quando qualche piccolo uomo solo perché ha raggiunto qualche posto di comando o ha un po’ di banconote nel portafoglio dice: “Mi sono fatto da solo!”.
Però tutto quello che ci è stato dato ci è dato per un fine. Noi non siamo ‘padroni’ del mondo, di noi stessi; il padrone è Dio, noi siamo servi. Si è detto che il mondo andrebbe meglio se avesse meno architetti e più muratori, meno discussioni e più darsi da fare. Probabilmente sia il mondo che la chiesa hanno bisogno di meno ‘padroni’ e più ‘servi’ che sappiano far fruttificare per sé e per gli altri i doni ricevuti. Se Dio ti ha affidato una famiglia, un figlio, un lavoro di responsabilità… se Dio ti ha affidato la fede, i sacramenti, la comunità cui partecipi è perché ha avuto fiducia in te e da te si aspetta quella risposta, e Lui sa che tu puoi darla.
Se ti tiri indietro il mondo sarà più povero e Dio dovrà cercare un’altra strada per riuscire a realizzare il bene che aveva progettato per te e con te.
Gesù ci ricorda che ogni dono ci è dato affinché porti frutto per noi e per gli altri, perché tutti ne possano gioire. Non importa se i tuoi doni sono più o meno grandi dell’altro, importa che non siano morti, importa che fruttino.
Nacque a Roma il 6 gennaio 1786. Fin da bambino sentiva il dovere di essere missionario. Fu ordinato sacerdote nel 1808 e si dedicò soprattutto al popolo e ai poveri. Rifiutato il giuramento a Napoleone venne imprigionato e poi esiliato per 4 anni. Al ritorno Pio VII gli indicò la strada delle missioni popolari per tutta l’Italia. Per meglio adempiere a questo compito fondò la Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue e quella delle Suore Adoratrici del Preziosissimo Sangue. Combatté in particolare con la massoneria e contro il brigantaggio. Morì a Roma il 28 Ottobre 1837.
Parola di Dio: Ef. 3,14-21; Sal 32; Lc. 12,49-53
“SONO VENUTO A PORTARE IL FUOCO SULLA TERRA”(Lc. 12,49)
Molti, contrari alla religione, hanno pensato che Gesù sia venuto a portare agli uomini una religione che “tenga buoni” davanti ai grandi problemi della società. E anche molti cristiani pensano che la fede sia una specie di pillola placebo.
Invece Gesù si presenta come “fuoco”. Ora il fuoco brucia, illumina, riscalda. Gesù non annacqua le passioni, non risolve i problemi appiattendoli o ignorandoli, non ci scarica dalle nostre responsabilità.
La luce di Gesù illumina un cammino difficile. Non ci spiega tutto ma ci invita a seguirlo.
La luce di Gesù non va nascosta dietro spesse lenti affumicate. E’ Lui stesso che ci fa vedere il bene e il male. E’ Lui che illumina un cammino difficile, ci invita a seguirlo, a rischiare. Gesù poi ci scalda il cuore: non solo non è geloso dei nostri affetti, delle nostre gioie, ma viene ad indirizzarle, a rinnovare i sentimenti, a dare il gusto giusto alla vita. Se noi cristiani avessimo un po’ di questo fuoco nel cuore! Se la smettessimo di lasciarci ‘spegnere’ da chi, in nome del potere e della tranquillità (sua) continua a dirci che le iniziative sono proprie della gerarchia, che la nostra fede è obbedienza a testa china, che la nostra preghiera è solo quella organizzata da altri, che in chiesa bisogna solo star zitti… Se davvero ci lasciassimo incendiare e correndo appiccicassimo un po’ di fuoco attorno a noi, bruciacchiando qualche falsa barba di perbenista, il mondo scoprirebbe che il Vangelo è ancora una novità.
E se tutto questo può costare avversione, ricordiamoci di Lui che per donarci tutto questo non ha esitato ad accettare la croce.
Era irlandese e fu vescovo di Fiesole nel secolo IX. Fondò la chiesa fiesolana di Santa Brigida che fu usata per ospitare gli Irlandesi.
Parola di Dio: Ef. 4,1-6; Sal. 23; Lc. 12,54-59
“E PERCHE’ NON GIUDICATE DA VOI STESSI CIO’ CHE E GIUSTO?”. (Lc. 12,57)
Qualcuno ha pensato, detto e sostenuto che le religioni e in particolare il Cristianesimo siano formule per rendere l’uomo schiavo di una morale e di un potere, insomma, un qualcosa che non solo non rispetta la libertà dell’ uomo ma che offrendogli norme e riti lo addormenta e non gli consente di usare liberamente i suoi doni di intelligenza, di fantasia, di libero arbitrio e di amore. Se questo può essere vero per false religioni ed anche per qualcuno che vuole approfittare di Gesù per i suoi interessi particolari, non è assolutamente presente nell’insegnamento di Gesù.
Gesù non ha mai imposto se stesso. Gesù non ha mai visto i riti religiosi come una forma di magia, Gesù non ha mai insegnato norme particolari ma ha sempre indicato una strada, Gesù non ha mai detto che non dobbiamo usare della nostra intelligenza, delle nostre capacità umane.
Anche nel vangelo di oggi Gesù ci invita a farci un giudizio delle cose, degli avvenimenti, in altra occasione quando vanno a chiedergli di essere giudice per una eredità mal divisa, Gesù non accetta di farlo ma insegna la strada per un giusto giudizio sul denaro e sulle eredità. E anche la fede cristiana non è un vendersi il cervello ma un atto di fiducia accompagnato da una ricerca sincera e da una volontà libera. Essere piccoli, umili, non appoggiarsi unicamente sulle cose di questo mondo, perdonare non sono atti di viltà, rinuncia alle proprie prerogative, abbandonarsi alla legge del più forte, dovrebbero essere sempre scelte motivate.
Il cristianesimo vero non è mai qualcosa che si sostituisce all’uomo, anzi, se non sei uomo non puoi neppure essere cristiano.
Conquistato fin da giovane dallo stile di vita dell’Abbazia di Montecassino volle rimanervi e ne divenne abate dall'848 (o 856) sino alla morte, promosse la cultura e gli studi classici. Diede saldo ordinamento al patrimonio di san Benedetto, tentò di contrastare con ogni mezzo l'avanzata dei Saraceni fortificando il monastero e fondò la città di Eulogimenopoli, l'odierna Cassino. Promosse gli studi sacri e profani. Ha lasciato alcuni scritti latini in prosa e in versi. Fu ucciso dai Saraceni che conquistarono e devastarono Montecassino il 22 ottobre 884.
Parola di Dio: Ef. 4,7-16; Sal. 121; Lc. 13,1-9
“QUEI DICIOTTO SUI QUALI ROVINO’ LA TORRE DI SILIOE CREDETE FOSSERO PIU’ COLPEVOLI DI TUTTI GLI ABITANTI DI GERUSALEMME?”. (Lc. 13,4)
Perché il dolore, la morte, perché la sofferenza del giusto? Il dolore sarà la punizione di Dio?.
Con queste e tante domande simili si erano recati da Gesù per chiedergli il perché di quei giusti uccisi nel tempio da Pilato o il perché di quegli operai morti per il crollo di una torre a cui stavano lavorando. Gesù non ci dà la risposta esatta, esaustiva, totale al problema del dolore ma con la sua vita, le sue scelte e le sue parole ci dà come sempre delle indicazioni preziose. Prima di tutto il dolore, la sofferenza e la morte non sono volute direttamente da Dio. Dio non è Colui che castiga, lui che lascia crescere insieme la zizzania e il buon grano. Se il dolore qualche volta può essere maestro, Dio non gioca con esso nei nostri confronti. Di fronte al dolore l’atteggiamento dell’uomo di fede non può essere quello di abbandonarsi al fatalismo, rinunciando alla lotta, ma neanche quello di darsi al vittimismo, alla disperazione o alla ribellione. Il dolore è infatti un grande richiamo alla precarietà della condizione umana, un invito a dare un senso alla propria vita, a vivere con maggior coerenza per sé e per gli altri. Il dolore, anche quello imprevedibile, legato alle forze apparentemente irrazionali della natura, diventa un invito a vigilare, ad usare tutto il tempo a nostra disposizione per completare il nostro cammino di conversione.
Dotato di energia e di senso pratico, Antonio Maria (1807 - 1870) fu un predicatore infaticabile e uno scrittore religioso molto influente nella sua terra natale, la Catalogna, poi nelle Canarie, e infine a Cuba, dove fu arcivescovo di Santiago dal 1859 al 1867. La sua azione a favore degli schiavi neri gli attirò l’odio dei loro oppressori, che attentarono per ben quindici volte alla sua vita.
Parola di Dio: Sir. 35,12-14.16-18;Sal. 33; 2Tim. 4,6-8.16-18; Lc. 18,9-14
“DUE UOMINI SALIRONO AL TEMPIO A PREGARE: UNO ERA FARISEO E L’ALTRO PUBBLICANO”. (Lc. 18,10)
Abbiamo sempre letto la parabola del fariseo e del pubblicano in un certo modo, oggi vi presento una lettura di essa di Don Curtaz in un modo un po’ diverso dal solito ma che certamente ha molto da farci riflettere.
I due personaggi della parabola, il fariseo e il pubblicano, sono due modi diversi di essere discepoli. Modi molto diversi. Il fariseo dice il vero, tutto sommato: vive la fede con entusiasmo, pratica la giustizia, è un fedele modello, e sa di esserlo. Prega anche nel modo giusto: ringrazia Dio, subito, prima di chiedere qualcosa. Ma presume d’essere giusto e disprezza gli altri, ha un nemico, fuori di sé. Guarda con disprezzo il pubblicano (che è davvero peccatore!) e ne prende le distanze. Il pubblicano, invece, non osa alzare lo sguardo: conosce il suo peccato, non ha bisogno di fare l’esame di coscienza: glielo ha già fatto il fariseo! Solo chiede pietà. Succede anche a me: faccio fatica a guardarmi dentro con equilibrio. Fatico a non deprimermi nei momenti di difficoltà, in cui emergono più evidenti i miei limiti e i miei difetti. Fatico a non tentare di mostrare il mio “meglio” quando sto con gli altri. Ma soprattutto fatico a paragonarmi agli altri in maniera serena. Se capissimo di essere unici, imparagonabili! Se sapessimo amarci come Dio ci ama, senza eccessi! No, non ho bisogno di guardare al peggio o al meglio di chi sta intorno per esaltarmi o deprimermi, specialmente nella fede. L’errore del fariseo è questo: è giusto e sa di esserlo, ma non ha compassione né misericordia. Misericordia e compassione che, invece, ha Dio verso il pubblicano, che esce cambiato.
Ecco una buona battaglia per il discepolo: l’equilibrio in se stesso, senza trovare colpevoli “fuori”, senza autolesionismo depressivo. Consapevole della propria fragilità e della propria grandezza, perdonato che sa perdonare, pacificato che sa pacificare.
Tra i santi di oggi ricordiamo: BONIFACIO I Santo, Papa
Romano, uomo energico e pio già collaboratore di papa Innocenzo I succedette a san Zosimo grazie all'appoggio di Onorio I, che lo sostenne contro l'antipapa Eulalio. Combatté l'eresia pelagiana e affermò i diritti della Santa Sede in Africa, in Gallia e nell'Illirico. Morì il 4 settembre 422.
Parola di Dio: Ef. 4,32-5,8; Sal 1; Lc. 13,10-17
“IL CAPO DELLA SINAGOGA, SDEGNATO PERCHE’ GESU’ AVEVA OPERATO QUELLA GUARIGIONE DI SABATO DISSE: CI SONO SEI GIORNI DELLA SETTIMANA IN CUI SI DEVE LAVORARE; IN QUELLI VENITE A FARVI CURARE E NON IN GIORNO DI SABATO”. (Lc. 13,14)
Nel brano di vangelo di oggi si scontrano due mentalità, due modi di vedere Dio e il prossimo, due modi di agire.
C’è una persona malata. Il capo della sinagoga è impegnato nella celebrazione del sabato e vede questa donna come una delle tante fedeli che partecipano ad un rito. Gesù vede la donna, capisce la sua sofferenza, la chiama, la libera dal suo male.
La malata glorifica Dio, la gente rimane meravigliata ed esulta, il capo della sinagoga vede il miracolo come un “lavoro” quindi come un’offesa a Dio per inosservanza sulle norme del sabato.
Anche oggi può succedere la stessa cosa.
Dio può essere visto come il padrone che ci impone leggi, norme e pesi, al quale bisogna obbedire per non incorrere in pene o può essere visto come il Padre che ci ama e che se ci chiede di vivere in un certo modo lo fa solo per il nostro bene.
Le persone possono essere viste come potenziali nemici o come fratelli chiamati come noi alla salvezza.
Di qualcosa di buono che capita ad un mio fratello io posso essere contento o geloso.
La vita può essere un qualcosa di estremamente bello da vivere in tutti i suoi aspetti oppure una terribile prova piena di negatività.
Sta a noi scegliere il Dio della morte o quello della vita, sta a noi saper cogliere i segni dell’amore e della bontà di Dio o non saperli vedere. Se Dio è un Padre buono che ama i suoi figli più delle cose, scopro che solo l’amore vero è in grado di mettermi in rapporto con Lui e l’amore non ha giorni feriali e giorni festivi, non ha misure né strutture. È un’avventura gioiosa, piena di rischi e di fatiche, non sempre ricompensata come vorremmo, ma è la strada per cui si è incamminato Gesù e per la quale, se vogliamo davvero incontrarlo, dobbiamo incamminarci anche noi.
Era nato da una famiglia giudaica di Betlemme, fu sommo Pontefice dal 97 al 105. Di lui non abbiamo molte notizie se non il fatto che ordinò 15 vescovi e che assegnò ai sacerdoti di Roma un titolo, cioè un settore particolare della città.
Parola di Dio: Ef. 5,21-33; Sal. 127; Lc. 13,18-21
“IL REGNO DEI CIELI E’ SIMILE AD UN GRANELLINO DI SENAPA… E’ SIMILE A LIEVITO…” . (Lc. 13,18.20)
Sappiamo che aveva fatto la scelta di vita eremitica secondo la regola di San Pacomio. Fu prima sulla riva destra del Nilo e in seguito si fermò a Manuf, vivendo di sole fave e sale, in perfetta solitudine e in preghiera. I suoi 23 anni di vita anacoretica si possono situare tra il 320 e il 346.
Parola di Dio: Ef. 6,1-9; Sal. 144; Lc. 13,22-30
“SFORZATEVI DI ENTRARE PER LA PORTA STRETTA”. (Lc. 13,24)
E se la porta stretta che Gesù ci indica, invece di essere quella di una vita fatta di osservanze e di rinunce fosse invece la porta difficile da passare del modificare la nostra mentalità? Gesù per venire a noi ha accettato di passare attraverso la porta stretta della nostra umanità per farsi in tutto simile a noi e per donarci la possibilità di diventare come Lui figli di Dio, ecco allora che anche noi dobbiamo passare attraverso la porta stretta per essere da Lui rigenerati.
Porta stretta è allora rinunciare alla visione di Dio come spesso ce lo raffiguriamo o come per interessi propri certe religioni hanno cercato di rappresentarcelo. Il Dio, Padre di Gesù e Padre nostro, è amore e non terrore, è Padre e non padrone assoluto, è rispettoso dei suoi figli, è uno che non viene a prendere ma che dona, è uno che non si impone ma si propone. Porta stretta è allora riconoscere che Dio lo trovo non tanto nelle grandi manifestazioni religiose, nel ritualismo, nel fare di Lui uno che si aspetta solo tributi e preghiere, ma lo trovo nel quotidiano, nelle cose piccole come nelle grandi, nei fratelli, nei segni che ci ha lasciato nella natura, nel fare le stesse scelte, anche difficili ma esaltanti, che ha fatto Gesù.
Porta stretta è liberarsi da quello che ingombra, è tornare all’essenziale della fede, è non fidarsi delle cose di questa terra, è non far conto sul trionfo della Chiesa, è saper essere fedeli anche quando non vedi subito i risultati che ti saresti aspettato.
Porta stretta non sarà forse fidarsi di più dell’opera dello Spirito Santo in noi che non sentirci assoluti padroni di noi, del mondo, della verità e della giustizia?
Era un soldato Romano di stanza a Magonza in Germania. Convertitosi al Cristianesimo depose le armi. Per questa scelta fu arrestato torturato e poi lasciato morire di fame in carcere a Kastel in Germania, verso il 300, durante le persecuzione di Diocleziano.
Parola di Dio nella festa di san Simone e san Giuda: Ef. 2,19-22; Sal. 18; Lc. 6,12-16
“GESU’ SE NE ANDO’ SULLA MONTAGNA A PREGARE” . (Lc. 6,12)
Oggi, nel giorno della festa di due apostoli, la liturgia ci offre il brano di Vangelo che ricorda la loro chiamata.
E Gesù, prima di designare gli apostoli, passa una notte in preghiera.
Per Lui una scelta importante non può che avvenire in comunione con Dio.
Oggi si parla di crisi di vocazioni (ma se ne parlava anche tanti anni fa quando esse era molte più di oggi: non sarà un po’ un luogo comune per nascondere altro?). Ma qual è il criterio per riconoscere una vocazione? Servono i test attitudinali, serve lo studio della teologia, serve una preparazione seria e concreta al ministero indicato dalla vocazione, servono buoni educatori… ma soprattutto per capire quale sia una vocazione serve tanta preghiera, preghiera che a volte dura degli anni.
E’ solo mettendosi davanti a Dio e chiedendo con insistenza: “Che cosa vuoi da me, Signore?”, è solo portando a lui i nostri sforzi, i desideri, le paure, le riuscite, i propri difetti, è solo guardando a Lui, a Gesù e al suo modo di operare, è solo mettendo a nudo con sincerità i perché profondi della nostra vita, è solo facendo silenzio davanti a Lui che poco per volta si scopre la strada.
E poi dopo aver cominciato il percorso è solo rimettendolo nelle mani di Dio ogni giorno, richiarendolo, ritrovando motivazioni, chiedendo perdono, ripartendo, che poco per volta si riesce ad essere nella sua volontà.
E passando gli anni e guardando indietro, sempre nella preghiera ti accorgi che Dio ha intessuto con te una storia originale, diversa da quella di tutti gli altri, ma una storia di amore che ti riempie il cuore di senso di ringraziamento.
Era nato in una famiglia pagana. Guarito da una malattia per aver invocato il nome di Gesù, divenne cristiano. Entrò in un monastero di Novgorod (Russia), Sentì poi il desiderio di essere missionario e lo fece partendo da Rostov. Sarebbe morto nel 1010.
Parola di Dio: Fil. 1,1-11; Sal 110; Lc. 14,1-6
“E’ LECITO O NO CURARE DI SABATO?” (Lc. 14,3)
Gesù chiede ai dottori della legge: “E’ lecito o no curare in giorno di sabato?” mirando con questa domanda ad una retta interpretazione del sabato e della guarigione, come se dicesse: “Che cosa compete al sabato? E in che cosa consiste il guarire?
Per Gesù il sabato è un giorno in cui vengono create delle opere a immagine di Dio e il guarire è opera di Dio, non lavoro umano.
Gesù è dunque il medico che ristabilisce l’essere umano così come è stato pensato da Dio.
Per Gesù guarire significa liberare, sciogliere una persona dai vincoli delle malattie e dalle catene dei demoni. La malattia è essere legati. Ogni legame a modelli di vita, abitudini, obblighi suscita in noi un’energia negativa di fronte a noi stessi e agli altri. Guarigione significa liberazione da ogni legame e, di conseguenza, il dissolversi della negatività interiore. Questo essere liberi ci rende capaci d’unione, di buone relazioni, d’amicizia.
Dicendoci che questo capita di sabato, Luca non avrà forse anche voluto suggerirci il valore vero della domenica nella quale i cristiani si riuniscono per spezzare insieme il pane e celebrare nella Messa colui che un tempo nella storia ha guarito e risollevato gli uomini?
Nella liturgia l’agire sanante di Gesù si fa presente. L’Eucaristia è il luogo della guarigione profonda dell’uomo.
Nato a Siena nel 1339, scelse di consacrarsi a Dio attraverso gli Eremitani di San Agostino. Visse tra penitenza, preghiera e lavoro soprattutto da copista. Scrisse un’opera morale gli “Assempri” (Gli esempi) dove castigò i vizi più gravi. Morì a Lecceto, presso Siena il 30 ottobre 1422.
Parola di Dio: Fil. 1, 18-26; Sal. 41; Lc. 14,1.7-11
VEDENDO COME GLI INVITATI SCEGLIEVANO I PRIMI POSTI, DISSE LORO UNA PARABOLA”. (Lc.14,7)
Quello che Gesù ha notato è uno spettacolo quotidiano: intrighi, congiure, ricatti e raccomandazioni, bustarelle e tangenti si collocano in questa linea di aspirazioni.
Come i commensali osservati da Gesù, spesso anche noi pensiamo che è il posto che fa l’uomo.
Gesù con la parabola che racconta ci invita “a farci furbi”.
Il posto che vogliamo conquistare è la salvezza, l’eternità e lì non si arriva attraverso gli onori; Dio non lo si compra con bustarelle o buone azioni ma attraverso l’amore che sa essere umile, che sa lasciar posto agli altri, che va controcorrente.
Parlare di umiltà in questi tempi in cui una certa visione dell'uomo spinge ad esaltarne le potenzialità è perlomeno ardito ma, a scanso di equivoci, sgomberiamo prima la mente da false interpretazione.
Umiltà significa verità di sé, e deriva dalla parola latina "humus", terra.
Terra significa realismo, stabilità, fecondità.
L'umiltà, non è in alcun modo un atteggiamento autolesionista che mi porta a svalutarmi. Non è umile chi dice a Dio: "Non valgo a nulla". Chi dice così è una persona depressa, non una persona umile!
Il Signore mi ha creato come un capolavoro e io, di risposta, gli dico che mi ha fatto come uno sgorbio!
Manca di umiltà chi non riesce a vedere il positivo che Dio gli ha messo nel cuore e, tutto ripiegato sui suoi difetti, non sa far fiorire quel tanto di bello e grandioso che Dio ha dato a ciascuno a servizio del bene di tutti. Ed è ovviamente lontano anni luce dall'umiltà l'atteggiamento di esteriorità esasperata, di supponenza, di egocentrismo così esaltato in questi tempi: “Sei ciò che appari, sei ciò che guadagni, sei il tuo corpo”.
L'umiltà, quindi, è prendere coscienza di ciò che valgo, è equilibrio con lo sguardo costantemente rivolto verso Dio. Ciò permette a Dio di agire in noi e per noi e permette a noi di accogliere tutto quello che Egli ci dà come un dono di cui essere gioiosamente grati.
Volfango, nominato vescovo di Ratisbona, visse nel X secolo e si dedicò alla riforma dei monasteri e fondò la diocesi di Praga. Si adoperò affinché le regole monastiche venissero vissute nel corretto spirito.
Parola di Dio: Sap. 11,22-12,2; Sal.144; 2Tes. 1,11-2,2; Lc. 19,1-10
“ZACCHEO, SCENDI SUBITO, PERCHE’ OGGI DEVO FERMARMI A CASA TUA”. (Lc. 19,5)
Zaccheo manager riuscito: soldi a palate, rispetto (timore?) da parte dei suoi.
Gerico lo teme: collaborazionista dei romani, è riuscito ad ottenere l’appalto delle tasse per conto dell’odiato invasore.
Certo Zaccheo non è molto amato, ma ci vuole grinta per riuscire, che diamine!
Passa quello che è considerato il fenomeno da baraccone Gesù di Nazareth, la folla è curiosa, Zaccheo pure e sale sul sicomoro, nascosto tra le foglie, per non essere visto.
Ha una vita di fede, Zaccheo? Non ci viene detto ma, a naso, possiamo dire che non è il suo principale problema Dio e le noiose storie dei vecchi e dei rabbini.
E accade l’inatteso: Rabbi Gesù lo stana, lo vede, gli sorride: scendi, Zaccheo, scendi subito, vengo da te. Zaccheo scende, di corsa. Perché? Il fascino di Gesù lo ha riempito? Intuisce qualcosa?
Gesù non giudica, né teme il giudizio dei benpensanti di ieri e di oggi: va a casa sua, si ferma, porta salvezza. Zaccheo è confuso, vinto: fa un proclama che lo porterà alla rovina (leggete! Restituisce quattro volte ciò che ha rubato!), ma che importa? E’ salvo ora. Non più solo sazio, solo temuto, solo potente. No, salvo, discepolo, finalmente. Lui, temuto ed odiato, ora è discepolo.
Che grande è Dio! Zaccheo siamo noi: travolti dal delirio quotidiano, concentrati a riuscire, frustrati perché non riusciti. Zaccheo sono io che do retta alle sirene intorno a me, sirene che mi chiedono sempre di più, sempre il massimo: al lavoro, a casa, nell’aspetto fisico. La fede non importa poi molto, sì, un po’ di curiosità, qualche solletico New Age che tratta Dio come una serva e mette me sempre al centro dell’universo.
Eppure Dio ti ripesca lì, dove credi di essere arrivato.
Dio ti stana, ti rincorre, ti sta dietro. Perché ti ama, davvero: Lui sì, ti ama come sei e prende l’iniziativa; Dio ti ama, senza giudicarti.
L’amore di Dio precede la nostra conversione.
Dio non ci ama poiché siamo buoni ma, amandoci ci rende buoni.
Gesù non chiede: dona, senza condizioni. Se Gesù gli avesse detto: “Zaccheo, so che sei ladro: se restituisci ciò che hai rubato quattro volte tanto, vengo a casa tua”, forse Zaccheo sarebbe rimasto sull’albero. E’ talmente inaudita e inattesa la salvezza, che ci porta a conversione.
Non importa chi sei, né quanta strada hai fatto o che errori porti nel cuore. Non importa se scruti il passaggio del Rabbi per curiosità. Oggi, oggi, adesso, lui vuole entrare nella tua casa.