Archivio

 
     
     

SCHEGGE E SCINTILLE

PENSIERI, SPUNTI, RIFLESSIONI

DALLA PAROLA DI DIO E DALLA VITA

a cura di don Franco LOCCI

 

NOVEMBRE 2002

 

VENERDI’ 1 Novembre

TUTTI I SANTI

Parola di Dio: Ap. 7,2-4.9-14; Sal. 23; 1 Gv. 3, 1-3; Mt. 5, 1-12

 

1^ Lettura (Ap 7,2-4.9-14)

Dal libro dell’Apocalisse

Io, Giovanni, vidi un angelo che saliva dall'oriente e aveva il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli ai quali era stato concesso il potere di devastare la terra e il mare: "Non devastate né la terra, né il mare, né le piante, finché non abbiamo impresso il sigillo del nostro Dio sulla fronte dei suoi servi". Poi udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila, segnati da ogni tribù dei figli d'Israele: Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. E gridavano a gran voce: "La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all'Agnello". Allora tutti gli angeli che stavano intorno al trono e i vegliardi e i quattro esseri viventi, si inchinarono profondamente con la faccia davanti al trono e adorarono Dio dicendo: "Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen". Uno dei vegliardi allora si rivolse a me e disse: "Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde vengono?". Gli risposi: "Signore mio, tu lo sai". E lui: "Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello".

 

2^ Lettura (1 Gv 3, 1-3)

Dalla Prima lettera di San Giovanni Apostolo

Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! La ragione per cui il mondo non ci conosce è perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.

 

Vangelo (Mt 5, 1-12)

Dal Vangelo di Matteo

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:

"Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati gli afflitti, perché saranno consolati.

Beati i miti, perché erediteranno la terra.

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.

Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli".

 

RIFLESSIONE

 

Fin da bambino, quando pensavo alla festa di tutti santi, la mia fantasia galoppava a più non posso; mi piaceva immaginarmi tutti questi grandi uomini e donne radunati insieme intorno a Dio. Naturalmente me li vedevo divisi a schiere, prima di tutto i martiri, poi i fondatori di ordini, poi quelli più conosciuti e infine tanti e tanti altri, tra i quali mi sembrava facile riconoscere anche alcuni cari defunti che avevo conosciuto. Diventato ‘teologo’ ho cominciato a farmi tante domande: Ma c’è proprio bisogno che la Chiesa canonizzi i santi? Come sarà la vita nell’eternità? Dove staranno i santi? Ed ho rischiato di perdere la poesia e con questa anche la fede, fino a quando, alla morte di mio padre proprio il giorno dei santi, mi sono ricordato che quell’uomo di fede semplice ma profonda aveva desiderato morire in quella festa perché diceva che in Paradiso, in quel giorno, fanno festa proprio tutti e "il Padre, il Figlio , lo Spirito Santo e la Madonna avranno preparato anche un bel banchetto.." Ma aldilà delle sensazioni che ognuno di noi prova celebrando questa festa, provo con voi a pormi alcune domande e a cercarne le risposte proprio per vivere più pienamente quanto la liturgia di oggi ci fa celebrare Quanti sono i santi? Potremmo andar a vedere dove sono elencati. Nelle Litanie dei santi ne contiamo appena qualche decina. Sfogliando un calendario, ne troviamo qualche centinaio. C'è poi un libro, detto Martirologio, che contiene l'elenco ufficiale dei santi venerati dalla Chiesa, e ne presenta alcune migliaia. Ma san Giovanni nell'Apocalisse (ricordiamo la prima lettura) ci ha detto: "Apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua"! E allora? Credo che possiamo pensare: sono santi tutti quelli morti nell'amicizia del Signore. E questo è estremamente consolante, perché è un’opportunità che possiamo sfruttare anche noi. Come e dove saranno i santi? Nei quadri delle nostre chiese li troviamo sovente dipinti sulle nuvole. Non è che un'immagine fantasiosa. Un'altra immagine, molto bella, ce l'ha offerta san Giovanni nell'Apocalisse: "Stavano in piedi davanti all'Agnello (cioè davanti a Gesù), avvolti in vesti candide, e portavano palme nella mano". Veste candida, ramo di palma: sono simboli, segni di vittoria sul male e sulla morte. Ma Giovanni nella seconda Lettura ci ha messi in guardia, precisando: "Ciò che noi saremo, non è stato ancora rivelato". È un chiaro invito a non lavorare troppo di fantasia. Ma ci sono ancora altre domande importanti: Chi sono i santi? Perché sono santi? In che modo sono diventati santi? Ora la risposta a queste domande la troviamo nel Vangelo, ce l'ha data Gesù. Il santo, lo abbiamo udito nel Vangelo, è l'uomo delle beatitudini e di quelle beatitudini che vanno contro il pensare comune. Ecco le Beatitudini del senso comune:

 

Non beati i poveri, ma beati i ricchi.

Beati quelli che ridono e se la spassano. Beati i furbi che la fanno franca.

Beati quelli che pretendono, chiedono e ottengono "tutto e subito". Beati i prepotenti.

Beati gli operatori di guerra, che conquistano.

Beati i violenti e i persecutori degli altri...

Beati quelli che al Nord si dividono le tangenti e al Sud riscuotono il pizzo.

 

Queste sarebbero le Beatitudini del senso comune. E diciamo la verità: sono così praticate! Ebbene, Gesù ha rovesciato queste beatitudini. Ha presentato anzitutto per sé, e poi ha proposto per i suoi discepoli, per i cristiani, situazioni diametralmente opposte: situazioni di distacco, atteggiamenti di generosità, impegno, dedizione. I santi, per Gesù, sono quelli che vivono così. E ci sono. Sono in mezzo a noi. Un giorno intervistarono Madre Teresa di Calcutta, e le domandarono: "Dicono che lei è santa. E vero?". Era una domanda provocatoria. Proviamo a immaginare la sua risposta. Si sarà confusa, avrà balbettato, protestato la sua fragilità, eccetera. Niente affatto. Rispose: "Tutti i cristiani sono impegnati a diventare santi". E puntando il dito sui suoi intervistatori: "Anche voi". Così li mise in crisi. Ma forse mette in crisi anche noi. Eppure madre Teresa in quella circostanza non aveva fatto altro che applicare il Vangelo. Perché la chiamata alla Santità viene da Gesù ed è per tutti noi, ed è quotidiana. Dio ti dice che sei suo Figlio e come tale puoi diventare simile a Lui, non è questione di essere particolarmente dotati o di saper fare i miracoli, è solo questione di lasciarci guidare dallo Spirito Santo che abita già in noi.

 

 

SABATO 2 Novembre

COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI

Parola di Dio: Gb. 19, 1.23-27; Sal. 26; Rm. 5, 5-11; Gv. 6, 37-40

 

QUESTA E’ LA VOLONTA’ DI COLUI CHE MI HA MANDATO, CHE IO NON PERDA NULLA DI QUANTO MI HA DATO, MA LO RISUSCITI NELL’ULTIMO GIORNO".

(Gv. 6,40)

La giornata odierna è dominata dall’affettuoso ricordo delle persone defunte che in vita ci sono state care. Ognuno di noi, specialmente dopo una certa età, ha il suo piccolo o lungo necrologio nel cuore; i nomi che vi sono stati scritti di fresco sono naturalmente quelli che salgono prima alla mente, che ridestano ricordi, fremiti e rimpianto. E' giusto che oggi e non solo oggi, diamo spazio a queste persone care perché possano rivivere nel nostro affetto e nella nostra preghiera. Noi cristiani, però, dobbiamo credere che i nostri morti vivono non solo nel ricordo o in un vago mondo di ombre, essi vivono "in Dio". Se andiamo a visitare il loro sepolcro, a portare un fiore, non è, perciò, soltanto per ridestare un ricordo, per rivivere il momento doloroso del distacco, ma per stabilire, attraverso questi segni sensibili, un contatto reale con essi, per imparare da essi qualcosa intorno al grande viaggio che anche noi, presto o tardi, dovremo compiere, e per rinnovare non solo la speranza nel futuro ma per vivere nel presente la fede in Cristo che ha previsto per i nostri cari e per noi una vita che dura sempre con lui. La morte può farci paura, il dolore del distacco dai nostri cari è indubbiamente un momento molto difficile, è il vuoto della mancanza degli affetti sensibili, ma la risurrezione di Cristo la illumina. C’è una bellissima affermazione di Georges Bernanos che può davvero aiutarci a meditare oggi sulla morte dei nostri cari e sul nostro futuro ‘passaggio’: "Non esiste un regno dei vivi e un regno dei morti, esiste solo il Regno di Dio; e noi - vivi o morti - ci siamo tutti dentro".

 

 

DOMENICA 3 Novembre - 31^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

SAN MARTINO DE PORRES, Religioso; SANTA SILVIA

Parola di Dio: Ml. 1,14-2,2.8-10; Sal. 130; 1Tes. 2,7-9.13; Mt. 23,1-12

 

1^ Lettura (Ml. 1,14 - 2,2.8-10)

Dal libro del profeta Malachia.

Io sono un re grande, dice il Signore degli eserciti, e il mio nome è terribile fra le nazioni. Ora a voi questo monito, o sacerdoti. Se non mi ascolterete e non vi prenderete a cuore di dar gloria al mio nome, dice il Signore degli eserciti, manderò su di voi la maledizione e cambierò in maledizione le vostre benedizioni. Anzi le ho già maledette, perché nessuno tra di voi se la prende a cuore. Voi invece vi siete allontanati dalla retta via e siete stati d'inciampo a molti con il vostro insegnamento; avete rotto l'alleanza di Levi, dice il Signore degli eserciti. Perciò anch'io vi ho reso spregevoli e abbietti davanti a tutto il popolo, perché non avete osservato le mie disposizioni e avete usato parzialità riguardo alla legge. Non abbiamo forse tutti noi un solo Padre? Forse non ci ha creati un unico Dio? Perché dunque agire con perfidia l'uno contro l'altro profanando l'alleanza dei nostri padri?

 

2^ Lettura (1 Ts. 2, 7-9. 13)

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi.

Fratelli, siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature. Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari. Voi ricordate infatti, fratelli, la nostra fatica e il nostro travaglio: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno vi abbiamo annunziato il vangelo di Dio. Voi siete testimoni, e Dio stesso è testimone, come è stato santo, giusto, irreprensibile il nostro comportamento verso di voi credenti; e sapete anche che, come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi, incoraggiandovi e scongiurandovi a comportarvi in maniera degna di quel Dio che vi chiama al suo regno e alla sua gloria.Proprio per questo anche noi ringraziamo Dio continuamente, perché, avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione, l'avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete.

 

Vangelo (Mt. 23, 1-12)

Dal vangelo secondo Matteo.

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filatteri e allungano le frange; amano posti d'onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare "rabbì" dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare "rabbì", perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno "padre" sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare "maestri", perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato".

 

RIFLESSIONE

 

Può sembrare una cosa assurda in sé, ma proprio chi ha maggior evidenza in campo religioso corre dei rischi altissimi. "Tutti siamo responsabili della nostra fede e di darne testimonianza, ma voi preti – mi diceva un amico laico – proprio perché siete sempre davanti agli altri avete maggiori responsabilità".Avete sentito la prima lettura: già un profeta dell’Antico Testamento deve intervenire con termini duri contro l’arroganza, la supponenza, la cattiva gestione del servizio dei sacerdoti. E Gesù, proprio sulla linea dei profeti non ha peli sulla lingua nel rimarcare gli errori dei capi religiosi del suo popolo (non per niente dopo frasi del genere, dette nei loro riguardi, essi decidono di ucciderlo!). Ma Gesù ha ragione: quando il servizio religioso diventa potere è qualcosa di contrario alla fede. E questo vale per gli scribi e i farisei, per i vescovi e per i sacerdoti e per ogni cristiano che, per il nome che porta, per la fede che professa, dovrebbe essere testimone veritiero di ciò che rappresenta. Proviamo ad esaminare questo brano di Vangelo. Direi che possiamo dividerlo in due parti. La prima è l’esame realistico di ciò che succedeva e succede quando i capi religiosi cercano qualcosa di diverso dall’annuncio della fede. La seconda parte è il modo di superare questa tentazione. Prima di tutto gli scribi e i farisei si sono indebitamente appropriati della "sede di Mosè". Non che non siano delle autorità vere infatti Gesù non li accusa di eresia, anzi dice di ascoltare e mettere in pratica quanto dicono, ma questo "appropriarsi di un ruolo" non indica forse che mentre Mosè era stato chiamato da Dio ad essere guida e maestro del popolo, i farisei, senza una chiamata specifica si erano appropriati del ruolo di maestri? Proviamo a pensare a certi personaggi religiosi di oggi che si impalcano da se stessi nei ruoli di guide, di maestri, pensate ad esempio a certe ingerenze di padri spirituali che si permettono di entrare con violenza nella vita interiore di certe persone e si arrogano il compito di dettare loro ciò che devono fare secondo criteri che più che essere evangelici sono solo personali, o pensate anche a certi laici che per aver frequentato qualche ora di aggiornamento religioso si permettono di dettar legge nelle comunità, o a certi superiori religiosi che per nascondere le proprie incapacità di dialogo e di guida si nascondono dietro la richiesta di obbedienze cieche. La prima accusa contro certi religiosi da parte di Gesù è di incoerenza. Tutte le volte che predico, che scrivo ho dentro di me un po’ di tremore, non tanto per eventuali brutte figure che potrei fare, quanto perché sono convinto della verità di quello che dico e che scrivo, ma spesso mi rendo conto che sono io il primo a non mettere in pratica quanto dico e questo qualche volta per incapacità ma altre volte anche per mancanza di volontà. Dovrei stare zitto allora? Penso di no perché la parola di Dio va annunciata "a tempo e fuori tempo", ma se noi predicatori non ci lasciamo coinvolgere in prima persona da ciò che diciamo, rischiamo di essere dei testimoni fasulli e accatastiamo pietre contro noi stessi. La seconda accusa è quella di legare pesi che poi non smuovono neppure con un dito, e direi che qui l’accusa reale è doppia. Il religioso, il testimone, dovrebbe essere uno che, come il Maestro, libera dal giogo delle schiavitù; invece, "legare pesi" (è lo stesso termine che si usa per indicare l’opera del diavolo) significa fare il contrario del Vangelo. Quando la fede smette di essere gioia diventa un peso, quando Dio è presentato come un esattore di tasse non è un Dio amabile, quando si crede di garantire la fede attraverso le inquisizioni o attraverso le paure, invece di conquistare si allontano le persone. Ma c’è anche l’accusa di doppia misura: i pesi che mettiamo sulle spalle degli altri siamo disposti a portarli noi? Ad esempio quando confortiamo un malato dicendogli. "Guarda come sei fortunato: il Signore ti ha scelto per essergli simile nella croce", saremmo altrettanto disposti a sentircelo dire mentre stiamo morendo in una lunga agonia di sofferenze? Dovremo evitare il rigorismo disumano (ah, se in certe cattedre moralistiche e in certi confessionali ci fosse un po' più di competenza. Non intendo la competenza astratta e libresca nella materia specifica, ma la competenza in fatto di vita, di situazioni concrete, di problemi angosciosi, di drammi quali sono vissuti realmente da quei poveracci cui addossiamo certi macigni intollerabili e cui indirizziamo certe sentenze crudeli...). La disumanità, il freddo atto di accusa, il distaccato sentenziare, la rigida applicazione di principi astratti, non promuovono certo la gloria di Dio e costituiscono un tradimento proprio di quella Legge che si vorrebbe far rispettare. Altra accusa è quella della vanagloria, dell’ipocrisia. Si pensa di apparire attraverso le esteriorità. Specialmente certi religiosi dovrebbero convincersi che l'abito non riesce a coprire il vuoto. Noi dobbiamo essere ‘riconosciuti’ per i valori che rechiamo dentro, non per ciò che indossiamo sulle spalle. Secondo il linguaggio dei monaci antichi, un "portatore di abiti" non è necessariamente un "portatore di Dio", qualche volta non è altro che un porta mantelli. Tante volte ce lo siamo detto: l’ipocrisia non serve a nulla; essa può qualche volta ingannare il prossimo (ma come le bugie ha le gambe corte ed emana cattivo odore, facilmente riconoscibile) qualche volta possiamo persino pensare per un certo tempo di aver ingannato noi stessi (ma prima o poi, se abbiamo ancora un briciolo di coscienza, viene a galla la verità) ma non può mai ingannare Dio che conosce i cuori e le motivazioni di ogni scelta umana. Un’ultima accusa, la più terribile è quella dell’ambizione, dell’usare della religione per farsi gli affari propri, per ottenerne vantaggi. E’ il peccato più grave perché è usurpare Dio e prendere il suo posto. Ma in che modo si possono vincere queste tentazioni? Gesù è molto chiaro: bisogna riconvertire quello che è diventato "potere religioso" in servizio. Al quadro negativo di una religiosità vuota, tronfia, pomposa, formalista, caratterizzata dall'esteriorità e da un legalismo inutilmente crudele, dominata da uomini avidi di potere, onori e successi, Gesù offre come esempio se stesso e il quadro di una comunità evangelica, dove emergono le vere, radicali esigenze del suo messaggio; dove i membri si riconoscono fratelli dove non ci sono dei tronfi possessori della verità, ma degli umili e appassionati cercatori; dove c'è abbondanza di "ministri della misericordia del Cristo"; dove i responsabili rivendicano il colossale privilegio di servire; dove la grandezza è misurata dalla... piccolezza; dove la "carriera" è determinata dagli scatti di... carità; dove chi esercita il ruolo dell'autorità non oscura e non ha la pretesa di sostituire la presenza dell'unico Capo, ma la rende visibile, quasi sensibile, con la sua trasparenza e la sua capacità di "scomparire"; dove nessuno tenta di dominare o controllare e manovrare gli altri; dove gli unici titoli validi sono quelli della fede e... del desiderio di diventare sempre più simili a Cristo che "pur essendo di natura divina umiliò se stesso e divenne obbediente fino alla morte e alla morte di croce".

 

 

LUNEDI’ 4 Novembre

SAN CARLO BORROMEO, Vescovo

Parola di Dio: Fil. 2,1-4; Sal. 130; Lc. 14,12-14

 

"QUANDO DAI UN BANCHETTO, INVITA POVERI, STORPI, CIECHI, E SARAI BEATO PERCHE’ NON HANNO DA RICAMBIARTI". (Lc. 14,13)

Si dice: "Nella vita tutto ha un prezzo"; la logica del mondo è quella del "dare per avere". E qualche volta noi abbiamo trasposto questa mentalità anche nel campo della fede: prego perché così Dio mi protegge, faccio la carità così che Dio mi premi perché sono stato buono. Dio non si compra! Con Lui noi siamo sempre debitori. Gesù ci invita ad amare perché è bello amare, è giusto amare. Lui non ha forse fatto così? Ha offerto la sua vita perché eravamo buoni? Ci dà l’Eucaristia perché sa che siamo santi? Ci perdona perché è sicuro che non peccheremo più? Gesù ci ama perché è amore. E’ dunque ora di smetterla di fare le cose per il premio, di voler avere sempre e a tutti i costi una immediata riconoscenza davanti ad un qualcosa di buono che pensiamo di aver fatto. Noi invece soffriamo enormemente a causa dell’ingratitudine: hai aiutato una persona? almeno ti dicesse grazie! Hai creduto di avere un amico vero e per lui ti sei spogliato, hai compromesso il tuo buon nome? Ed egli non solo non ha capito quello che hai fatto, ma addirittura si è allontanato da te e con altri sta sbeffeggiando la tua generosità facendoti passare per un povero imbecille. E l’ingratitudine ci amareggia, ci arrovelliamo sui perché, diventiamo pessimisti, cominciamo a pensare che non vale far del bene. Gesù, in pratica, ci dice: se ti aspetti qualcosa di immediato dal bene che hai fatto, non potrai che essere deluso in tutto o in parte, e allora? Impara a fare il bene perché è bene, non aspettarti nulla dagli uomini, sii contento di te stesso perché hai agito con coscienza e con carità e... "il Padre tuo che vede nel segreto, ti ricompenserà". Oggi facciamo memoria di San Carlo Borromeo. Egli era uno dei più potenti e ricchi uomini della sua epoca. A ventiquattro anni era già vescovo. Con i soldi e con il potere avrebbe potuto comprarsi una vita agiata e grandi benefici umani. Egli invece, profondamente convinto dall’insegnamento di Gesù spende tutto quello che ha per i poveri e in soli 46 anni consuma la sua vita per essi. Per gli uomini calcolatori la sua è una vita sprecata, per il Vangelo egli è un "beato".

 

 

MARTEDI’ 5 Novembre

SANTI ELISABETTA E ZACCARIA

Parola di Dio: Fil. 2,5-11; Sal. 21; Lc. 14,15-24

 

"UN UOMO DIEDE UNA GRANDE CENA E FECE MOLTI INVITI, MA TUTTI COMINCIARONO A SCUSARSI". (Lc. 14, 16-18)

Penso che una delle colpe maggiori che troveremo in noi, al termine della vita, sarà quella di aver perso un mucchio di occasioni propizie. Gesù racconta la parabola degli invitati a nozze e mette in evidenza come, davanti ad un invito gioioso si trovano persone che accampano scuse pur di non partecipare. Dio mi offre il suo perdono… ma andare a confessarsi da un prete, peccatore come me.. e poi, Dio non può perdonare in altri modi? Gesù offre se stesso nella Eucaristia ma io non ho tempo: la domenica è l’unico giorno della settimana in cui posso dormire un po’ di più… Gesù bussa alla mia porta attraverso quell’anziano che ha bisogno di un po’ di compagnia, attraverso quel povero, ma io non ho tempo per loro, devo pensare agli affari miei. Dio bussa al mio cuore attraverso la gioia o attraverso la sofferenza ma io penso alle mie piccole felicità piuttosto che alla sua gioia e io stramaledico e non voglio sentire parlare di sofferenza… E Dio a forza di bussare e di trovare la porta chiusa non andrà forse a bussare da qualcun altro che, gioioso di un Dio che viene a trovarlo e beneficiarlo, lo accoglierà e si lascerà portare al suo banchetto?

 

 

MERCOLEDI’ 6 Novembre

SAN LEONARDO

Parola di Dio: Fil. 2,12-18; Sal. 26; Lc. 14,25-33

 

"CHI DI VOI, SE VUOL COSTRUIRE UNA TORRE, NON SI SIEDE PRIMA A CALCOLARNE LA SPESA, SE HA I MEZZI PER PORTARLA A COMPIMENTO?". (Lc. 14,28)

Ormai mi conosco abbastanza bene per dire che uno dei miei difetti è quello del "fuoco di paglia". Sono facile ad un primo entusiasmo: c’è un’iniziativa? Sono pronto ad infervorarmi! Penso di dover vincere un mio limite? Parto sicuro di riuscirvi. Mi accorgo di dover pregare maggiormente? Ce la metto tutta… per la prima mezzora. Infatti i facili entusiasmo quasi subito si spengono, le prime difficoltà addormentano tutte le velleità e spesso nell’arco di poco tempo mi ritrovo al punto di prima, se non peggio. Gesù mi invita e ci invita a fare bene i conti prima di partire. Essere cristiani, metterci alla sequela di Gesù non è uno scherzo o una semplice passeggiata trionfale. E' una grande gioia, ma anche un grande impegno quotidiano. La veste del cristianesimo non la si indossa solo la domenica insieme al vestito ‘buono’ per andare a Messa. Se vuoi essere cristiano nel mondo della scuola, del lavoro, degli affari, ti troverai a ragionare in modo molto diverso dai tuoi compagni, verrai preso in giro se perdonerai, se vorrai essere sempre onesto il mondo ti darà dell’imbecille e dell’incapace, se difenderai i poveri e gli oppressi ti diranno che è meglio che ti faccia gli affari tuoi, se farai vedere la tua gioia per essere salvato da Dio, il minimo che potrai sentire dire alle tue spalle è: "Da dove arriva questo bel tipo? Da Marte?" Seguire Gesù non è solo entusiasmarsi davanti alla sua parola o davanti alle iniziative di qualche cristiano, è crederci sempre anche nel momento del buio, anche quando sembra che dal cielo tanto invocato non arrivi nessun aiuto. "Siediti un momento, ci dice Gesù, fai prima un po’ di conti". "Ma se faccio un po’ di conti con realismo non partirò mai!". "L’importante è che tu conosca i tuoi limiti, e anche i tuoi pregi. Se hai questa umiltà, che è verità, allora potrai partire non tanto fidandoti esclusivamente di te, ma sapendo che Io non ti lascio mai solo, anche quando sembro lontano o quando sto portando la croce":

 

 

GIOVEDI’ 7 Novembre

SAN VINCENZO GROSSI; SAN ERNESTO

Parola di Dio: Fil. 3,3-8a; Sal 104; Lc. 15,1-10

 

CHI DI VOI SE HA CENTO PECORE E NE PERDE UNA, NON LASCIA LE NOVANTANOVE NEL DESERTO E VA DIETRO A QUELLA PERDUTA, FINCHE’ NON LA RITROVA? RITROVATALA, SE LA METTE IN SPALLA TUTTO CONTENTO, VA A CASA, CHIAMA GLI AMICI E I VICINI DICENDO: RALLEGRATEVI CON ME PERCHE’ HO RITROVATO LA MIA PECORA CHE ERA PERDUTA". (Lc. 15,4-5)

Non credo di essere un dissacratore, né lo voglio essere, ma se guardo la realtà della Chiesa e del mondo di oggi, racconterei questa meravigliosa parabola della misericordia di Dio cambiando alcune cose. Gesù è sempre il Gesù che cerca con amore e dolcezza i peccatori per riportarli al suo amore per poter donare loro la gioia della sua misericordia, e i soliti scribi e farisei continuano ad avere una forma quasi di gelosia per questo suo interessamento verso gli ultimi, quasi che questo togliesse qualcosa a loro. Ma sul numero dei giusti e quello dei peccatori avrei qualche dubbio. Mi sembra che spesso sia il grosso del gregge che si è perso. Milioni di persone si dicono cristiane, hanno ricevuto il Battesimo ma a mala pena conoscono chi sia Cristo e neppure in tutti casi pensano sia davvero il Figlio di Dio. Molti non conoscono la sua voce né la distinguono dalle voci del mondo e del suo modo comune di pensare e di agire; anche la struttura dell’ovile spesso ha pensato più alla costruzione di se stessa , alla difesa dei propri diritti storici acquisiti che ad essere fedele immagine e testimone del suo pastore. E’ giusto, come fa Gesù, andare a cercare il peccatore, il lontano, ma non dimentichiamoci che abbiamo bisogno di conversione anche noi che già ci riteniamo parte del gregge giusto. Gesù offre a tutti la possibilità di conversione, offre a tutti, a quelli del gregge ufficiale e agli scappati di casa, le sue spalle accoglienti per riportaci alla sua casa. Oggi i cristiani, giustamente, fanno piani pastorali, missioni, iniziative varie per riportare a casa i lontani: è un compito missionario che ci deve vedere tutti partecipi in vari modi, ma bisogna anche fare attenzione verso quale casa riportiamo coloro che eventualmente aderiscono a queste nostre iniziative: li portiamo alla casa e all’ovile di Gesù o li riportiamo verso un ovile struttura fatto da norme di uomini, di poteri religiosi, di riti ammuffiti che hanno etichetta Gesù Cristo ma come sostanza potere di uomini religiosi? Che non succeda che lo pseudo - pastore, riportata a casa la pecorella chiami gli altri pseudo - pastori per far festa e… mangiarsi la pecora!

 

 

VENERDI’ 8 Novembre

SAN GOFFREDO

Parola di Dio: Fil. 3,17-4,1; Sal. 121; Lc. 16,1-8

 

"IL PADRONE LODO’ QUELL’AMMINISTRATORE DISONESTO, PERCHE’ AVEVA AGITO CON SCALTREZZA". ( Lc. 16,8)

Attenzione a non confonderci: Gesù lodando un amministratore infedele e ricordandoci la scaltrezza del mondo di certo non vuole darci come modello un imbroglione ma ci ricorda che siamo amministratori dei beni di Dio e dobbiamo farlo con generosità ed intelligenza. Troppe volte, per falsa umiltà, per timidezza, per quieto vivere, abbiamo quasi paura di manifestare e di far portare frutto ai doni che Dio ci ha dato. Noi stessi, a volte, per ottenere ad esempio un migliore posto di lavoro siamo disposti a fare sacrifici, ad usare tutte le nostre doti umane... Chissà come mai, per la fede non siamo altrettanto accorti e pronti? Se il Signore ti ha dato intelligenza, usala per il bene dei fratelli; se hai il dono della sensibilità nei confronti dei malati, non rintanarti in casa tua; se conosci un po’ di Bibbia, non tenertelo per te; se hai il dono della preghiera, inserisci in essa il mondo intero... Essere "furbi" non significa ingannare gli altri ma usare bene dei doni ricevuti, saperli condividere in modo da essere poi accolti nell’altra vita dove sarà Gesù stesso a condividere in maniera totale e definitiva con noi l’amore suo, del Padre, dello Spirito Santo.

 

 

SABATO 9 Novembre

DEDICAZIONE DELLA BASILICA LATERANENSE

Parola di Dio: 1Re 8,22-23.27-30 (1Pt. 2,4-9); Sal. 94; Gv. 4,19-24

 

"E’ GIUNTO IL MOMENTO, ED E’ QUESTO, IN CUI I VERI ADORATORI ADORERANNO IL PADRE IN SPIRITO E VERITA’ ". (Gv. 4,23)

Celebriamo oggi la festa della dedicazione di una grande Basilica romana, ma per ridimensionare quello che potrebbe essere l’orgoglio umano di pensare ad un grande tempio, ad un grande potere religioso, la Chiesa ci fa leggere queste parole di Gesù alla Samaritana. Ci chiediamo allora: "Se Dio lo si adora in Spirito e verità, c’è ancora bisogno delle chiese, dei templi?" "Il tempio di Dio non è forse tutta la creazione e in particolare il cuore dell‘uomo?" Certo, come diceva già Salomone, il costruttore del grande tempio di Gerusalemme: "Ecco, i cieli dei cieli non possono contenerti, tantomeno questa casa che io ti ho costruita". Le chiese, non hanno la prospettiva di "contenere Dio", sono uno dei segni della sua presenza, del suo voler "mettere la sua verità fra noi". Sono un luogo privilegiato di incontro con Gesù, con i suoi Sacramenti, con i fratelli della stessa fede e sono il richiamo a quella Chiesa viva che dobbiamo essere noi "uniti a Cristo pietra viva per formare con Lui un edificio spirituale, un sacerdozio santo". Gesù, dicendo che dobbiamo adorare Dio in Spirito e Verità non voleva escludere il valore del tempio, del luogo dove pregare: lui stesso andava ogni sabato alla preghiera nella sinagoga e nelle grandi feste si recava al Tempio di Gerusalemme. Gesù voleva indicarci il modo valido di incontrare Dio in ogni momento, sia nel quotidiano, sia quando andiamo in chiesa. Dio è ovunque, in Lui "viviamo, ci muoviamo, siamo". Dio lo trovi nel profondo del tuo cuore, Dio lo puoi incontrare adesso che stai leggendo questa pagina; oggi, facendo la spesa come in ufficio, domenica partecipando con i tuoi fratelli all’Eucarestia di Gesù. Dio è libero, non è prigioniero di nessuno e di nessuna istituzione, neanche religiosa. L’importante, però, è essere disponibili a cercarlo, a vederlo, a incontrarlo.

 

 

DOMENICA 10 Novembre - 32^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

SAN LEONE MAGNO, Papa e Dottore della Chiesa

Parola di Dio: Sap. 6,12-16; Sal. 62; 1Tes. 4,13-18; Mt. 25,1-13

 

1^ Lettura (Sap. 6, 12-16)

Dal libro della Sapienza.

La sapienza è radiosa e indefettibile, facilmente è contemplata da chi l'ama e trovata da chiunque la ricerca. Previene, per farsi conoscere, quanti la desiderano. Chi si leva per essa di buon mattino non faticherà, la troverà seduta alla sua porta. Riflettere su di essa è perfezione di saggezza, chi veglia per lei sarà presto senza affanni. Essa medesima va in cerca di quanti sono degni di lei, appare loro ben disposta per le strade, va loro incontro con ogni benevolenza.

 

2^ Lettura (1 Ts. 4, 13-18)

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi.

Fratelli, non vogliamo lasciarvi nell'ignoranza, circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza. Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui. Questo vi diciamo sulla parola del Signore: noi che viviamo e saremo ancora in vita per la venuta del Signore, non avremo alcun vantaggio su quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell'arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, i vivi, i superstiti, saremo rapiti insieme con loro tra le nuvole, per andare incontro al Signore nell'aria, e così saremo sempre con il Signore. Confortatevi dunque a vicenda con queste parole.

 

Vangelo (Mt 25, 1-13)

Dal vangelo secondo Matteo.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: "Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge. Le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell'olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. Ora, mentre quelle andavano per comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora".

 

RIFLESSIONE

 

Alcuni anni fa una trasmissione televisiva titolava: "Che cosa c’è dietro all’angolo" e un altro noto intrattenitore chiedeva a tutti i suoi ospiti: "Dove stiamo andando?" Ogni uomo sulla terra prima o poi si è posto queste domande: "Che senso ha il mio vivere?", "Venire al mondo, crescere, lottare, gioire, amare, soffrire… per che cosa?", "Dietro l’angolo c’è solo la morte che ci aspetta c’è qualcos’altro? " Le tre letture della celebrazione odierna ci danno delle indicazioni preziose per cercare una risposta a queste domande esistenziali. La prima lettura ci parla della sapienza e ci dice che se noi la cerchiamo, possiamo trovarla; cioè, l’uomo della Bibbia ci dice che se cerchiamo il pensiero di Dio sulla nostra vita, lo troveremo proprio perché il nostro Dio non è un Dio nascosto, ma uno che vuole rivelarsi alla sua creatura. Per noi cristiani, la sapienza di Dio ha preso un volto di uomo, nella persona del suo figlio Gesù Cristo. Egli è la sapienza incarnata, venuta a portare agli uomini la conoscenza di Dio, per guidarli sulla via della salvezza. La seconda lettura, proprio rifacendosi a Cristo sapienza incarnata viene a dare una risposta a tutti coloro che pensano che il futuro dell’uomo sia solo la morte. "Fratelli, non vogliamo lasciarvi nell'ignoranza circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza. Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio il radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui. Confortatevi dunque a vicenda con queste parole". Cosa ha da dire dunque la fede cristiana circa la morte? Una cosa semplice e grandiosa: che la morte c’è, che è il più grande dei nostri problemi..., ma che Cristo ha vinto la morte! La morte umana non è più la stessa di prima, un fatto decisivo è intervenuto. Essa ha perso il suo pungiglione, come un serpente il cui veleno ormai è capace solo di addormentare la vittima per qualche ora, ma non di ucciderla. Ma come ha vinto Gesù la morte? Non evitandola, ricacciandola indietro come un nemico da sbaragliare. L’ha vinta subendola, assaporandone in Sé tutta l'amarezza. L’ha vinta dall'interno, non dall'esterno. Nel Getzemani Gesù ha vissuto fino in fondo la nostra esperienza umana di fronte alla morte. "Cominciò a sentire paura e angoscia", dicono i vangeli. Gesù non si è addentrato nella morte come chi sa di avere un asso nella manica - la risurrezione - che tirerà fuori al momento giusto. Il grido sulla croce: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" indica che Gesù si è addentrato nella morte come noi, come chi varca una soglia al buio e non vede che cosa l'attende al di là. Solo lo sosteneva una incrollabile fiducia nel Padre che gli fece esclamare: "Padre, nelle tue mani affido il mio spirito!". Ma che è successo, varcata quella soglia oscura? Quell'umanità nascondeva dentro di Sé il Verbo di Dio che non può morire. La morte ne ha avuto i denti spezzati per sempre. Non ha potuto ‘digerire’ Cristo e ha dovuto restituirlo alla vita, come fece la balena con Giona. La morte non è più un muro davanti al quale tutto si infrange; è un passaggio, cioè una Pasqua. E’ una specie di "ponte dei sospiri", attraverso il quale si entra nella vita vera che non conosce la morte. Gesù infatti, e qui sta il grande annuncio cristiano, non è morto solo per Sé, non ci ha lasciato solo un esempio di morte eroica, come Socrate. Ha fatto ben altro: "Uno è morto per tutti". Poiché noi apparteniamo ormai a Cristo, ne consegue che ciò che è di Cristo ci appartiene. Per cui ci appartiene la sua morte e quindi anche la sua risurrezione. Noi dunque chi attendiamo? Attendiamo Cristo, colui che ha sposato la nostra umanità.. Ed ecco allora il senso della parabola delle ragazze che attendono lo sposo. Noi attendiamo non la morte ma la vita, non il castigatore ma colui che si presenta come lo sposo, la nostra gioia sia terrena che eterna. La parabola ci ricorda che si sa che lo sposo verrà (a prelevare la sposa dalla sua casa) e ogni cosa si illumina di questo pensiero: le orecchie sono alla porta e gli occhi alla finestra; tutti i discorsi parlano di "lui" e si attende che si levi, da un momento all'altro, il grido: "Ecco lo Sposo, uscitegli incontro!". Così è la vita su questa terra, alla luce della fede cristiana: un'attesa. Il cristiano è colui che vive impostando ogni sua azione su questa attesa. Non si tratta, però, di un'attesa inerte, un aspettare che passi il tempo e basta, come fece il servo che seppellì il talento ricevuto e aspettò che il padrone tornasse. Per le vergini della parabola, l'attesa è riempita da due preoccupazioni: quella di tenere la lampada accesa e quella di muovere incontro allo sposo. Trasportato nella nostra vita, ciò significa vivere nella vigilanza e nella fedeltà. Gesù parla spesso di questi tratti distintivi del vero discepolo. Paragona il credente a un "servo fedele" lasciato dal padrone a custodire la casa, che non s'addormenta, non fa man bassa della dispensa, non è prepotente con gli altri servi; si tiene, invece, desto e pronto, per aprire al suo signore appena torna a casa dalle nozze. Ma che significa essere fedele? San Paolo lo spiegava ai primi cristiani dicendo: "Facendo il bene, non lasciamoci prendere da noia o stanchezza: a tempo debito mieteremo, se non allenteremo il nostro impegno. Perciò, finché ne abbiamo l'occasione propizia, pratichiamo il bene verso tutti". Essere fedeli con Dio significa, dunque, essere perseveranti, non abbandonare il campo, anche quando l'attesa si prolunga e l'impegno si fa esigente. Ma vigilare vorrà dire vivere col fiato sospeso, pensando notte e giorno alla morte, quasi paralizzati da questo pensiero? All'opposto! Significa pensare alla vita e a come riempirla di contenuti; significa operare, momento per momento, in conformità alla volontà di Dio, ma operare! Questo è ciò che i Padri vedevano espresso nel simbolismo della lampada accesa: la fede che si alimenta delle buone opere, o, come dice san Paolo, "la fede che si fa attiva nella carità" Certo, questa vita di fede e di operosità evangelica non può andare disgiunta da una certa tensione del cuore verso l'aldílà. In un'epoca in cui tutti parlano di "fedeltà alla terra", e in cui i cristiani sono tentati di adeguarsi in massa, non è male che qualcuno ricordi che c'è anche una "fedeltà al cielo" da preservare; una fedeltà, tra l'altro, che non ostacola la prima, ma ne è come il sale che le impedisce di corrompersi.

 

 

LUNEDI’ 11 Novembre

SAN MARTINO DI TOURS, Vescovo

Parola di Dio: Tito 1,1-9; Sal. 23; Lc. 17,1-6

 

"STATE ATTENTI A VOI STESSI". (Lc. 17,3)

Gesù sta per dare ai discepoli uno degli insegnamenti più ardui di tutto il suo messaggio: quello di perdonare sempre ed è per questo che invita loro e noi a stare in guardia da noi stessi infatti il migliore amico e il peggior nemico che abbiamo siamo noi stessi. In noi sta il bene e il male; il dono prezioso e terribile della libertà ci mette nella situazione di poter indirizzare in un modo o. in un altro tutta la nostra vita. Se guardo il mio istinto, se seguo la mentalità del mondo, se penso unicamente ai miei benefici materiali, alle mie cose, al mio onore… il perdono e impensabile e impossibile. Se dentro di me scopro la mia figliolanza divina, la vera fratellanza, il perdono da me ricevuto da Dio, allora la strada del perdono comincia a diventare, seppur ardua, almeno praticabile. Se abbiamo il coraggio di affidare la nostra libertà alle mani del Signore e della sua legge, siamo sicuri che Lui, il Dio della vita e dell’amore, farà emergere in noi solo il suo bene; se ci affidiamo al nostro orgoglio e ai nostri interessi, da noi uscirà il male che ucciderà la nostra vita e avvelenerà quella degli altri.

 

 

MARTEDI’ 12 Novembre

SAN GIOSAFAT, Vescovo e Martire; SAN RENATO; SANT’AURELIO

Parola di Dio: Tito 2,1-8.11-14; Sal. 36; Lc. 17,7-10

 

"QUANDO AVRETE FATTO TUTTO QUELLO CHE VI E’ STATO ORDINATO ALLORA DITE: SIAMO SERVI INUTILI, ABBIAMO FATTO QUELLO CHE DOVEVAMO FARE". (Lc.17,10)

Gesù, con le parole che oggi prendiamo in considerazione, ci invita a non perdere mai di vista, nelle nostre relazioni con Dio, la sua grandezza e la nostra totale dipendenza. La differenza fra Dio e noi è quella fra il Tutto e il nulla. E soltanto la coscienza di questa verità ci pone nella realtà delle cose. Così, è soltanto affermando questa distanza che noi siamo in grado di dare a Dio la gloria che gli dobbiamo. Mai, infatti, si può dire tanto bene a qualcuno: "Tu sei grande", come quando si afferma la propria piccolezza. Ma è perché ci mettiamo in questa posizione giusta, di verità, vuoti del nostro io, in ogni momento della nostra vita (anche quando siamo tentati di sentirci ricchi di qualche dovere compiuto, meritevoli di qualche ricompensa), che ci possiamo aprire completamente a lui e siamo in grado di accogliere in noi il suo amore: veniamo con ciò a partecipare alla sua ricchezza ed alla sua stessa gloria; raggiungiamo la piena felicità, realizziamo noi stessi anche come uomini. Come, allora, mettere in pratica questa parola? Amando in modo disinteressato, puro. Amando senza pensare di aver fatto tutto quanto potevamo e quindi come avendo diritto a qualcosa. AmandoLo non per avere una ricompensa, non per il paradiso, ma per essere come Lui che è l'Amore. E se riusciamo a fare così, in questo spirito, troveremo anche una grande serenità pratica che ci permetterà di agire non con l’affanno, come se tutto dipendesse da noi, ma con la serenità di offrire a Dio la nostra collaborazione ben sapendo però, che è Lui che secondo la sua volontà e nei suoi tempi porta a compimento il suo regno.

 

 

MERCOLEDI’ 13 Novembre

SAN OMOBONO; SAN DIEGO

Parola di Dio: Tito 3,1-7; Sal. 22; Lc. 17,11-19

 

"NON SI E’ TROVATO CHI TORNASSE A RENDER GLORIA A DIO, ALL’INFUORI DI QUESTO STRANIERO?". (Lc. 17,18)

A tutta prima ci stetti male: ero seduto sul tram e vidi salire un anziano con il bastone che stentava a reggersi in piedi. Vedendo che non c’erano posti a sedere liberi, mi sono alzato e gli ha detto: "S’accomodi". Quello, senza una parola, senza un cenno, col volto duro, si è seduto. Dentro di me dicevo: "Vai a fare un piacere… almeno un mezzo sorriso…" Poi ho cominciato a pensare a "quanto deve starci male" Dio davanti alle nostre ingratitudini. Tutto mi viene dato e gratis e spesso io ho fatto l’abitudine e non mi accorgo che se questa mattina mi sono alzato, se ho un lavoro, se posso incontrare i miei familiari… è tutto dono! Sì, questa mattina ho aperto il breviario ed ho celebrato le "Lodi" ma quanta gratitudine vera c’era nel mio cuore; oggi celebrerò l’Eucaristia, che vuol dire "ringraziamento", ma sarà davvero dire grazie a Dio per il mistero di passione e morte di Gesù, per il mistero della redenzione, o un insieme di riti, magari anche con un po’ di intimismo religioso al momento della Comunione, ma che non suscita in me la voglia di cantare di gioia per i doni meravigliosi di Dio? Spesso mi sono rivolto per delle grazie particolari a Dio per me, per le persone malate, per quanti me lo hanno chiesto e, se sono sincero, devo dire che spesso sono stato esaudito, ma sono tornato indietro a ringraziare come quel lebbroso oppure ho fatto come gli altri miracolati che tutti presi dalle pratiche burocratiche del loro reinserimento nella società civile, poco per volta si sono dimenticati di chi aveva fatto loro il dono della guarigione? Se io mi sento offeso perché uno non mi dice "Grazie!" per un piccolo favore come dovrebbe sentirsi Dio quando continua a beneficiarmi e io gli offro scorie di preghiera, incontentezza perché vorrei sempre di più, ingratitudine e muso lungo perché: "Se fossi io al posto di Dio le cose le farei andare meglio!". Eppure Lui ama perché ama e continua ad amare pienamente, e continua a far sorgere il suo sole sui grati e sugli ingrati… Anche oggi vedo che c’è un bel pezzo di strada che mi si prospetta per imparare da Lui ad amare un po’ di più e un po’ meglio.

 

 

GIOVEDI’ 14 Novembre

SAN GIOCONDO

Parola di Dio: Filemone 7-20; Sal. 145; Lc. 17,20-25

 

"IL REGNO DI DIO NON VIENE IN MODO DA ATTIRARE L’ATTENZIONE".(Lc. 17,20)

Ormai nel nostro mondo tutto si svolge nel nome della fretta. Il Concorde in otto ore ti porta in America, si parla di instaurare dei treni a grande velocità che con i loro duecento o trecento chilometri l’ora non ti permetteranno neppure di vedere il panorama; nonostante i continui e tremendi incidenti dovuti proprio alla velocità si parla di aumentare i limiti di essa sulle autostrade per permetterti di arrivare prima… (a casa o all’ospedale) senza aver visto niente. Alcuni anni fa, andando ogni estate ad accompagnare gruppi di ragazzi ai campi estivi in Val d’Aosta, ero diventato amico di un pastore il quale sapeva che mi dilettavo a scrivere. Lui che certamente non aveva più che la terza media, un giorno mi disse: "Prova a descrivermi il bosco, il torrente e quanto vedi qui intorno". Ce la misi tutta cercando di rifarmi a descrizioni poetiche lette, usando paroloni per fare effetto. Mi lasciò parlare e poi mi disse: "Bravo! Hai descritto molto bene un bosco, un fiume, ma il tuo dire si può adattare a qualunque bosco, a qualunque fiume. Tu hai parlato del bosco, non hai visto questo bosco" Noi spesso anche in campo religioso andiamo avanti di fretta, per abitudini. Sappiamo anche molte cose di Vangelo di Chiesa ma spesso, proprio per fretta, non sappiamo più cogliere i segni del Regno che sta venendo. Pensiamo che per l’annuncio cristiano siano importanti grandi opere, grandi iniziative e non ci accorgiamo di quel gesto di carità che una persona che non va in chiesa da anni sta portando avanti nel nascondimento; costruiamo grandi cattedrali dove si recheranno file di turisti e dimentichiamo il valore di una preghiera semplice ma profonda… Il Regno di Dio viene. Gesù l’ha promesso e le sue promesse sono verità, ma bisogna andare a piedi per accorgersene, I grandi mezzi moderni, anche applicati alla trasmissione della fede, ti fanno andare in fretta, ma attenzione a non fare come quell’uomo che per lavoro aveva girato il mondo almeno cinque volte, ma non solo aveva visto poco, quello che era peggio non aveva capito nulla degli uomini, anche di quelli che abitavano vicino a casa sua.

 

 

VENERDI’ 15 Novembre

SANT`ALBERTO MAGNO, Vescovo e Dottore della Chiesa

Parola di Dio: 2Gv. 1,3-9; Sal. 118; Lc. 17,26-37

 

"MANGIAVANO, BEVEVANO, COMPRAVANO, VENDEVANO, PIANTAVANO, COSTRUIVANO… COSI’ SARA’ NEL GIORNO IN CUI IL FIGLIO DELL’UOMO SI RIVELERA’ ". (Lc. 17,29-30)

Non so se capita anche a voi, ma per me ci sono certe mattinate in cui mi alzo come se avessi davanti una giornata meravigliosa in cui ci sono talmente tante cose da fare che non mi preoccupo per nulla del come e del perché di esse, mentre ci sono altre mattine in cui, ti senti cadere sulle spalle una giornata con tutti i suoi impegni. Avrai da correre, da patire, da affannarti... Ma, perché? Per i figli, la famiglia.., i soldi... e poi? Tutto passa, come questa giornata appena iniziata, e verrà di nuovo sera. In fondo sia in un caso come nell’altro siamo noi che diamo un senso al nostro vivere o ci chiediamo quale esso sia. Gesù, mettendoci in guardia, non fa del terrorismo psicologico o religioso, ci ricorda solo, nella precarietà del nostro vivere, di costruire su qualcosa che duri. Quando le cose, il denaro, la preoccupazione di star bene diventano lo scopo fondamentale della vita, corriamo il rischio di considerare eterne, cose che invece passano e finiscono. Se so che il denaro non può comprare la vita, se conosco che il successo e il potere sono cose effimere, se so che anche le cose belle della natura e degli affetti sono destinati a mutare è molto facile che riesca ad impostare la mia vita, nella fiducia e nella serenità, su valori che so essere eterni e duraturi, non rischiando di trovarmi alla fine della vita con un bel pugno di.. .mosche.

 

 

SABATO 16 Novembre

SANTA GELTRUDE; SANTA MARGHERITA DI SCOZIA

Parola di Dio: 3Gv. 5-8; Sal. 11; Lc. 18,1-8

 

"C’ERA UN GIUDICE CHE NON TEMEVA DIO E NON AVEVA RIGUARDO PER NESSUNO. E C’ERA UNA VEDOVA CHE ANDAVA DA LUI E GLI DICEVA: FAMMI GIUSTIZIA!". (Lc. 18,2-3)

A prima vista, quella che abbiamo letto oggi, sembra una parabola non completamente azzeccata perché se comprendiamo che la preghiera deve essere insistente come quella di questa vedova ci risulta più ostica la figura di quel giudice iniquo, che sotto un certo aspetto dovrebbe rappresentarci Dio, che la esaudisce non per bontà, ma per togliersi una scocciatura dai piedi. Eppure anche da un fatto negativo (e attuale: pensate a quante ingiustizie sono perpetrate nei confronti dei deboli) può esserci un insegnamento positivo. Dio non è un giudice ingiusto, non vuol togliersi dai piedi uomini scoccianti. Dio è Padre, ascolta i suoi figli. Il guaio è che noi non ci ricordiamo neppure di rivolgerci a Lui e spesso quando lo facciamo, come dice la scrittura "non sappiamo neppure ciò che domandiamo". C’è chi nelle sue preghiere è un piagnisteo continuo di richieste e chi non chiede mai perché "intanto Dio sa già tutto e poi, quello che deve capitare capiterà". Eppure Gesù ci ha insegnato la confidenza con Dio. E’ stato lui stesso a dirci di chiedere per ottenere, è ancora Lui a ricordarci che con la fede grande quanto un granello di senapa si possono spostare le montagne. E, anche per quando non sappiamo bene che cosa dire e che cosa chiedere. ricordiamoci che Gesù ha messo in noi il suo Spirito che con "gemiti inenarrabili continua a chiedere per noi ciò che è buono". Il nostro compito, allora, è solo quello di lasciar parlare lo Spirito che è in noi, di fidarci di venire esauditi non per il moltiplicarsi delle nostre parole ma per la bontà di un Dio Padre che vuole la gioia dei suoi figli.

 

 

DOMENICA 17 Novembre - 33^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

SOLENNITA’ DELLA CHIESA LOCALE

SANTA ELISABETTA DI UNGHERIA, Religiosa

Parola di Dio: Prov. 31,10-13.19-20.30,31; Sal. 127; 1Tes. 5,1-6; Mt. 25,14-30

 

1^ Lettura (Pro. 31, 10-13. 19-20. 30-31)

Dal libro dei Proverbi.

Una donna perfetta chi potrà trovarla? Ben superiore alle perle è il suo valore. In lei confida il cuore del marito e non verrà a mancargli il profitto. Essa gli d  felicità e non dispiacere per tutti i giorni della sua vita. Si procura lana e lino e li lavora volentieri con le mani. Stende la sua mano alla conocchia e mena il fuso con le dita. Apre le sue mani al misero, stende la mano al povero. Fallace è la grazia e vana è la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare. Datele del frutto delle sue mani e le sue stesse opere la lodino alle porte della città.

 

2^ Lettura (1 Ts. 5, 1-6)

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi.

Fratelli, riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti voi ben sapete che come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore. E quando si dirà: "Pace e sicurezza", allora d'improvviso li colpirà la rovina, come le doglie una donna incinta; e nessuno scamperà. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno possa sorprendervi come un ladro: voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte, né delle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma restiamo svegli e siamo sobrii.

 

Vangelo (Mt. 25, 14-30)

Dal vangelo secondo Matteo.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: "Un uomo, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti".

 

RIFLESSIONE

 

Se non fosse per il fatto di questa parabola che lo ha reso famoso, il talento sarebbe finito nel dimenticatoio come una delle tante misure di danaro del tempo antico, invece proprio per il fatto che Gesù l’ha usato come misura dei doni affidati ai suoi servi, ancora oggi la parola è di uso comune per indicare le capacità di una persona. In realtà il talento non era una moneta ma un lingotto in argento dal peso variante a seconda dei luoghi da 30 a 60 chili: un bel peso e un bel valore! Nella parabola Gesù racconta che il padrone, prima di partire, distribuisce questi talenti ai suoi servi. Ci è facile capire subito che qui Gesù parla di se stesso e di noi. Gesù sta per morire, risorgerà e salirà al cielo lasciando soli i suoi discepoli, ma prima affiderà loro il suo regno con tutti i suoi doni, la fede, l’amore, i doni dello Spirito Santo, la speranza del Regno futuro, insomma tutto ciò che costituisce la ricchezza dei cristiani. Perché questo comportamento da parte del Signore? Sappiamo: chi ama dona con larghezza e con fiducia, sicuro che gli amici da lui beneficati useranno bene dei suoi doni, li faranno fruttare, e il suo amore un giorno sarà ripagato. Non sarà stato vano. C’è poi il lungo tempo dell’assenza del padrone ed è il tempo della vita in cui ciascuno di noi si trova con i suoi talenti da far fruttificare. Chi ne ha uno, chi due, chi cinque, ma questo non ha importanza. Dio ha dato con abbondanza a ciascuno di noi secondo le nostre capacità e possibilità: ricordate come si conclude la parabola del buon seminatore? Il padrone non pretende che tutte le spighe spuntate nel terreno buono, portino il cento per uno, ma che portino ora il trenta, ora il sessanta, ora il cento per uno. I doni possono essere diversi, le capacità possono essere diverse, ma in fondo il dono è unico perché a ciascuno di noi viene consegnato, secondo l’amore di Dio, il fatto di essere figli di Dio destinati in Cristo alla vita eterna. Dalla conclusione della parabola risulta poi che i primi due servi hanno occupato bene il tempo dell’assenza del padrone, hanno trafficato i talenti ricevuti e li hanno raddoppiati. Cioè hanno accolto la parola di Dio con fede, l’hanno vissuta nella speranza e nella carità concreta ed hanno aiutato il Regno di Dio a venire per sé e per i fratelli. Il terzo servo invece non si rivela fedele, anzi viene chiamato infingardo e malvagio, Egli ha scambiato il regno per una azienda. Non ha capito chi sia il suo Signore e lo ritiene severo e sfruttatore, ha ricevuto il suo talento non tanto come un dono di amore quanto piuttosto con paura e trepidazione, quasi fosse un pericolo o un trabocchetto che il padrone gli tendeva, e allora ha scavato una buca nel terreno e ve lo ha seppellito. Gesù sembra quasi dirgli: "Visto che vivevi nella paura, quello che non sei stato capace a fare per amore avresti almeno dovuto compiere per timore, se non ritenevi di essere capace tu a far fruttare il talento potevi almeno darlo ai banchieri, un piccolo rendimento te lo avrebbero dato". Queste terzo servo ci ricorda che anche tra noi cristiani ci sono delle persone che stentano a riconoscere il Signore per chi Egli è. Non è forse vero che anche noi, spesso rischiamo di considerare Dio solo un padrone, un giudice severo, uno pronto a mandarci all’inferno se non osserviamo alla lettera i suoi insegnamenti? Questo è il più grande torto che possiamo fare a Dio: non accoglierlo nella sua bontà, non riconoscere i suoi doni, limitarci a servirlo per dovere e non per amore. Il pericolo di fare come il terzo servo c’è ancor oggi sia nei singoli che nella Chiesa. Noi sotterriamo i nostri talenti tutte le volte che non lasciamo che Cristo prenda possesso di noi e attraverso noi possa essere annunciato agli altri. Ed anche la Chiesa di Dio rischia qualche volta di sotterrare, direi di imbalsamare, il deposito della Rivelazione per una ingiustificata paura di sottoporlo alle intemperie del tempo. Quando ci si preoccupa solo di mantenere intatta la parola di Gesù, ma la si considera solo come parola ammuffita, ripetuta, incapace di contagiarci, di smuoverci, stiamo seppellendo la nostra fede. Quando con le nostre tristezze facciamo perdere smalto alla buona notizia di Gesù, quando viviamo i Sacramenti come riti e non come incontro con Colui che ci salva, noi stiamo sotterrando i doni di Dio. O non è sempre il timore di perdere qualcosa che spinge tanti cristiani sulla difensiva, che li spinge a rimpiangere i bei tempi andati, a rifugiarsi nelle forme rassicuranti e intimistiche di devozione, senza aprire le porte al vento sempre nuovo e scomodante dello Spirito Santo? Il talento sotterrato può ben simboleggiare i singoli credenti o le comunità cristiane intorpidite, rinunciatarie e paurose di fronte alle sfide della nuova evangelizzazione. Se l’idea che abbiamo di Dio è quella di un Dio duro, che impone in modo inesorabile le sue leggi, uno che pretende troppo, non potremo mai vivere con slancio e gioia la nostra fede, trafficando il talento del regno di Dio che ci è stato affidato. Se invece, come i primi due servi, ci sentiamo presi sul serio, onorati per la stima che Dio ci dimostra affidandoci il suo regno, allora ci impegneremo con slancio a "trafficare" i talenti, e lo faremo soprattutto per ricambiarlo, per fare contento il Signore E se il Signore, venendo, ci troverà impegnati a trafficare i talenti che ci ha affidato, allora sentiremo come rivolte a noi quelle parole che sono allo stesso tempo lode, missione e compimento: "Bene, servo buono e fidato, sei stato affidabile nel poco, ti affiderò ancora di più. Partecipa alla gioia del tuo Signore".

 

 

LUNEDI’ 18 Novembre

DEDICAZIONE DELLE BASILICHE DEI SANTI PIETRO E PAOLO

Parola di Dio: Apoc. 1,1-4;2,1-5; Sal. 1; Lc. 18,35-43

 

"IL CIECO COMINCIO’ A GRIDARE: GESU’ FIGLIO DI DAVIDE ABBI PIETA’ DI ME". (Lc. 18,38)

Sabato, commentando la parabola del giudice iniquo trovavamo qualche difficoltà ad interpretarla in modo retto, oggi Gesù sembra che venga incontro ai dubbi presentando non una parabola ma un fatto. Nel racconto della guarigione del cieco di Gerico ci sono infatti tutti gli elementi della parabola: c’è un malato, un menomato che ha come desiderio la guarigione. Ci sono attorno a questo cieco personaggi per bene e apostoli che, o con un pensiero materialista dicono impossibile la guarigione o che per lo meno sono scocciati dalle urla del cieco e vorrebbero farlo tacere, nasconderlo, e c’è un maestro buono che lascia gridare, ma per far crescere la fede e permettere così che il miracolo avvenga. Visivamente ci vien detto che la preghiera vera sgorga dal riconoscere una necessità e dal credere che qualcuno abbia la possibilità di risolverla. Poi si tratta di gridare, di non lasciarci scoraggiare dal buio che c’è in noi, dalle parole delle "persone per bene" che vorrebbero zittirci, si tratta anche di alzarci, sempre al buio, di lasciare il proprio mantello, le proprie sicurezze materiali, pur di poterci avvicinare a colui che può realizzare il nostro desiderio. Se noi facciamo questi passi non ci troviamo davanti ad un giudice insensibile, ma davanti ad un Dio che è ben felice di vedere in noi la fede che permette al suo dono di raggiungerci e di liberarci dalla prigionia del buio.

 

 

MARTEDI’ 19 Novembre

SAN FAUSTO

Parola di Dio: Apoc. 3,1-6.14-22; Sal. 14; Lc. 19,1-10

 

"ZACCHEO CERCAVA DI VEDERE GESU’, MA NON GLI RIUSCIVA A CAUSA DELLA FOLLA, POICHE’ ERA PICCOLO DI STATURA. CORSE AVANTI E PER POTERLO VEDERE, SALI’ SU UN SICOMORO" (Lc. 19,3-4)

Essere piccolo ha i suoi pregi e i suoi difetti. Di solito la gente guarda alle apparenze e se sei piccolo riesci ad evitare parecchie incombenze, infatti la gente si rivolge ai "grandi" e ai robusti per certi lavori. Da bambino, poi, essere piccolo può anche ispirare tenerezza. Ma essere piccolo ha anche dei difetti: quasi tutti ti prendono in giro, per vederci devi sempre chiedere permesso per arrivare in prima fila o alzarti sulla punta dei piedi.. Se poi capita come a Zaccheo di essere anche mal visto per il suo mestiere di esattore delle imposte, non c’è scampo: se vuoi davvero vedere Gesù, l’unica è salire su una pianta. "Beati i piccoli, i poveri, perché di essi è il Regno dei cieli". Zaccheo non era povero, ma piccolo di statura e piccolo anche nella realizzazione di sé perché legato solo ai soldi, ma non per questo si è chiuso in se stesso. La beatitudine di Gesù si addice a Zaccheo perché ha saputo sfruttare la sua piccolezza, perché non ha avuto paura di perdere la faccia davanti agli altri, perché ha dimostrato di voler vedere Gesù davvero. Tante volte noi ci piangiamo addosso per i nostri limiti: "Io non ho quella dote. Io sono un iracondo. Io riesco poco a pregare con fervore. Io non ho pazienza…" Sono queste e tante altre le nostre piccolezze, ma se vogliamo entrare nel Regno dei cieli non dovremmo cercare di sfruttare al meglio proprio questi nostri limiti? Nella liturgia del sabato santo, cantando al Cristo Redentore, l’ "exultet", guardando al peccato di Adamo, ci fa dire: "Fortunata colpa che meritò un così grande salvatore". Riusciamo allora a capire che addirittura la piccolezza del peccato può portarci ad incontrare la meraviglia di un Dio che ci cerca e ci perdona, e se oltre al desiderio di vedere Gesù, abbiamo anche la disponibilità ad accoglierlo in casa nostra, proprio l’incontro con la sua misericordia ci renderà capaci di conversione.

 

 

MERCOLEDI’ 20 Novembre

SAN FELICE; SAN OTTAVIO; SAN EDMONDO

Parola di Dio: Apoc. 4,1-11; Sal. 15a; Lc. 19,11-28

 

"SIGNORE AVEVO PAURA DI TE CHE SEI UN UOMO SEVERO". (Lc. 19,21)

E’ un grosso rischio considerare Dio solo come un giudice severo e un padrone intransigente. Prima di tutto non rendiamo giustizia a Lui che è Padre e poi lo costringiamo ad essere severo con noi. Questo servo della parabola che con la scusa della paura del padrone non è riconoscente dei doni ricevuti e non ha il coraggio di trafficarli, è un po’ la figura di molti cristiani che "obbediscono a Dio perché ritengono di non poterne fare a meno" e che riducono la fede al minimo indispensabile: "Devo andare a Messa la domenica, devo dire le orazioni al mattino e alla sera, non devo commettere peccati gravi così Dio non ha niente da imputarmi, ma non chiedetemi di fare qualcosa: mica sono un invasato!’. Ma, allora, dove va a finire la gioia cristiana, il Regno che sta venendo, la libertà individuale, il Dio che ha rischiato tutto per noi, Colui che ci chiama ad essere suoi collaboratori? Dio non è il Dio delle mezze misure, colui che si accontenta di risposte obbligate e formali. Non c’è niente di più insultante per Dio e per noi della tiepidezza. Ricordiamoci le parole del libro dell’Apocalisse: "Tu non sei né caldo né freddo perciò io ti vomiterò da me". Dio rischia su di me e su di Te, ci ha affidato, senza alcun merito nostro, dei grandi doni, si aspetta da noi un po’ di entusiasmo. Se dovessimo sbagliare investimento, è perfino disposto a perdonarci, ma ci vuole vedere decisi, gioiosi, disponibili a collaborare al suo Regno.

 

 

GIOVEDI’ 21 Novembre

PRESENTAZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

Parola di Dio: Apoc. 5,1-10; Sal. 149; Lc. 19,41-44

 

"GESU’, QUANDO FU VICINO A GERUSALEMME, ALLA VISTA DELLA CITTA’, PIANSE SU DI ESSA". (Lc. 19,41)

Quando ero ragazzo, in un modo forse semplice e un po’ infantile, ci veniva insegnato che ogni nostro peccato "faceva piangere Gesù". Spesso, crescendo, mi sono chiesto che cos’è che veramente può dispiacere a Dio e, anche per esperienza personale, mi sono reso conto che il grande dispiacere che Dio può provare nei nostri confronti è l’ingratitudine. Gesù piange su Gerusalemme. Quella città e il popolo che vi abitava era stato lungo i secoli testimone delle meraviglie di Dio, Dio davvero aveva amato quel popolo e quella città era il segno visibile del mantenimento delle promesse di Dio, il Tempio era non solo una delle meraviglie architettoniche dell’epoca, ma il segno dell’Alleanza . Dio non solo aveva ricolmato di grazie e di doni questo popolo lungo i secoli, ma, "nella pienezza dei tempi" aveva mandato suo Figlio Gesù che era passato in mezzo a quelle case "facendo bene ogni cosa", guarendo i malati e offrendo la sua nuova Alleanza, il Regno gioioso di Dio. Ma l’Alleanza era scaduta in formule religiose, il tempio spesso era diventato "una spelonca di briganti", i maggiorenti religiosi, coloro che avrebbero dovuto essere i pastori di Israele, erano impegnati a pascere soprattutto se stessi, i profeti che parlavano a nome di Dio avevano fatto una brutta fine ed ora anche il Figlio di Dio venuto per salvare veniva non solo non accettato ma rigettato dalla stessa città, considerato un bestemmiatore di Dio, ucciso fuori le mura di essa perché la città non fosse contaminata da Lui. Capisco allora le lacrime di Gesù. Capisco il dispiacere di Dio davanti alle ingratitudini e alle mie ingratitudini. Dio ci ricolma ogni giorno di ogni bene. Ogni giorno ci dà la vita e noi spesso la disprezziamo, la mettiamo inutilmente a rischio ad esempio correndo alla disperata sulle nostre strade, compriamo e vendiamo la pelle, la dignità e il lavoro di tanti fratelli, vediamo di essa solo gli aspetti materialistici e cerchiamo da essa solo il piacere. Dio ci dà se stesso e noi non abbiamo tempo per Lui, magari passiamo ore davanti ad un televisore e non abbiamo mezz’ora per incontrare Dio che ci vuol regalare la sua parola nella Sacra Scrittura. Dio ci dà i Sacramenti e noi accampiamo scuse per tenercene lontani o facciamo di tutto per ridurli a riti e ad abitudini… Penso siano queste cose a "dare dispiacere a Dio" è come se Dio dicesse: "Peccato! Davvero ho dato tutto a quel mio figlio, l’ho addirittura riscattato con il sangue di Gesù e Lui non si e neppure accorto di quanto voglio il suo bene!"

 

 

VENERDI’ 22 Novembre

SANTA CECILIA, VERGINE E MARTIRE

Parola di Dio: Apoc. 10,8-11; Sal. 118; Lc. 19,45-48

 

"GESU’ ENTRATO NEL TEMPIO COMINCIO’ A SCACCIARE I VENDITORI DICENDO: STA SCRITTO: LA MIA CASA SARA’ CASA DI PREGHIERA. MA VOI NE AVETE FATTO UNA SPELONCA DI LADRI ". (Lc. 19,45)

Per tanti miei amici, credenti o "miscredenti", questa è una delle pagine di Vangelo più gradita. Piace questo Gesù deciso, che si "arrabbia", che mette mano alla sferza per ridare un volto vero alla religione. E molti si augurano che Gesù faccia la stessa cosa oggi, magari con i venditori di medagliette o di ricordini che stazionano davanti ad ogni santuario degno del suo nome, o magari con certi colori rosso porpora e certi cappelli di Vescovi che manifestano ancora troppo potere e ricchezza o con certe istituzioni religiose o parrocchiale che denotano ancora troppo attaccamento al benessere e disprezzo per i poveri. Ma io penso che Gesù dovrebbe aiutarci soprattutto a purificare la nostra religiosità. La religiosità non è sempre sbagliata o ipocrita. Essa dovrebbe essere il linguaggio, la manifestazione della fede. Ma è ancora la fede la base di certe religiosità? Quando vado a chiedere il Battesimo per mio figlio come fosse solo un segno di buon augurio o una convenzione sociale, quando vado a sposarmi in chiesa perché la cerimonia è più bella di quella del comune e le foto vengono meglio? Non è forse falsa religiosità certa pseudo mistica che fa della preghiera e delle sue formule un rifugio e una fuga dalla concretezza dell’impegno? Abbiamo bisogno anche oggi di purificare la nostra religiosità, di smetterla con certe esteriorità che sono vero e proprio paganesimo come anche certe forme di spiritualismo misticheggiante che allontana sempre di più il Dio della rivelazione rendendolo talmente misterioso, nascosto in gesti e riti inaccessibili che allontanano i semplici. Sono molte le forme ipocrite che usiamo nella nostra vita, ma l’ipocrisia religiosa è la più stupida: Dio non lo puoi ingannare. E allora, se è giusto augurarci una riforma religiosa da parte delle Chiesa ufficiale, perché non cominciare a riformare la religiosità di noi che vogliamo essere Chiesa popolo di Dio?

 

 

SABATO 23 Novembre

SAN CLEMENTE I, Papa e Martire – SAN COLOMBANO, Abate

Parola di Dio: Apoc. 11, 4-12; Sal. 143; Lc. 20,27-40

 

"DIO NON E’ IL DIO DEI MORTI, MA IL DIO DEI VIVI; PERCHE’ TUTTI VIVONO PER LUI". (Lc. 20,38)

Spesso noi siamo delle contraddizioni viventi, ci sono infatti cose che desideriamo essere vere e poi le neghiamo bellamente. Per esempio chi di noi non desidera l’immortalità, però, poi, siccome l’uomo muore, ci fermiamo lì e non crediamo a un qualcosa che superi l’impatto della finitezza umana. Tra le affermazioni del nostro "Credo" ce n’è una che noi speriamo, desideriamo essere vera, ma che è anche difficile da accettare: "Credo la risurrezione dei morti". Da sempre l’uomo spera nella vita eterna ma stenta a crederci. Pensate che anche un mondo religioso come quello della Bibbia per secoli ha stentato a credere a questo e ancora molti all’epoca di Gesù affermavano che la vita finiva con la morte. Così non ci stupisca che molti dei cristiani che affermano la domenica di credere nella risurrezione, vivono come se tutto dovesse terminare con la morte terrena. San Paolo, già ai suoi tempi, era conscio di questo e scrivendo, affermava: "Se credessimo in Cristo solo in questa vita saremmo i più sciocchi degli uomini". La risposta al nostro interrogativo non ce la dà la scienza (anche se essa ci ricorda che la morte non è distruzione ma mutazione), non ce la dà la filosofia (che pur con il suo ragionare arriva ad un 50%), non ce la danno neppure certe religioni che parlano (ma con quali prove?) di trasmigrazioni di anime; ce la può dare solo Dio in suo Figlio Gesù che afferma Dio, come Dio della vita. Dio è vita, e creatore della vita, ama la vita. Gesù si fa uomo per dirci il valore della vita, risorge per dirci che la vita è per sempre, ci chiede amore per rispettare l’essenza della vita. In Lui, morto e risorto per noi, i nostri defunti sono nella vita eterna e noi, figli del Dio della vita siamo chiamati a una vita che non ha fine.

 

 

DOMENICA 24 Novembre - FESTA DI CRISTO RE DELL’UNIVERSO

SAN ANDREA DUNG LAC; SANTA FIRMINA; SANTE FLORA E MARIA

Parola di Dio: Ez. 34,11-12.15-17; Sal. 22; 1Cor. 15,20-26.28; Mt. 25,31-46

 

1^ Lettura (Ez 34,11-12.15-17)

Dal libro del profeta Ezechiele.

Così dice il Signore Dio: "Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine. Le ritirerò dai popoli e le radunerò da tutte le regioni. Le ricondurrò nella loro terra e le farò pascolare sui monti d'Israele, nelle valli e in tutte le praterie della regione. Le condurrò in ottime pasture e il loro ovile sarà sui monti alti d'Israele; là riposeranno in un buon ovile e avranno rigogliosi pascoli sui monti d'Israele. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia. A te, mio gregge, dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri".

 

2^ Lettura (1 Cor 15, 20-26.28)

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi.

Fratelli, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza. Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte, E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.

 

Vangelo (Mt 25, 31-46)

Dal vangelo secondo Matteo.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me. Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna".

 

RIFLESSIONE

 

Penso che molti di voi siano stati a Roma in Piazza San Pietro. Entrando nella piazza da Via della Conciliazione, si rimane quasi abbracciati dalla lunga serie circolare di colonne che il Bernini ha voluto per indicare l’abbraccio della Chiesa a tutta l’umanità. Però se voi guardate il susseguirsi delle quattro file di colonne esse sembrano asimmetriche, disordinate. Se vi recate invece in un punto particolare della piazza, indicato anche da un cerchio, voi scoprite che esse hanno un ordine regolare e sono esattamente simmetriche. Penso che la festa di Cristo Re che conclude il cammino dell’anno liturgico sia un po’ come quel punto da cui contemplare e riassumere il cammino di tutto un anno di liturgia, di preghiera, di parola di Dio ma, speriamo, anche di incontro gioioso con il mistero di Cristo Salvatore. Infatti è Cristo il centro della liturgia, dei Sacramenti, della vita di un cristiano. E Cristo ci viene presentato dalle letture odierne con sottolineature diverse. La prima lettura e il salmo ci hanno ricordato che Cristo è il nostro unico pastore. Noi non siamo guidati da una filosofia, da una ideologia, non andiamo dietro a voci suadenti di pastori umani, noi siamo guidati da Dio stesso che ci conosce uno per noi, ci chiama per nome, ci guida a pascoli di erbe fresche, disseta la nostra sete con il dono di se stesso, acqua viva, ci difende dalle insidie del male. Noi sappiamo che il nostro pastore non è un mercenario ma dà la vita per le sue pecore anzi, Lui, il pastore, diventa l’Agnello innocente immolato per la nostra salvezza. Questo nostro pastore è anche re. Egli stesso lo rivendica davanti a Pilato, ma un re ben diverso dai re e dai potenti di questa terra, è un re che ama e annuncia la povertà, non è un re chiuso nel suo castello, anzi: per farsi tutto a noi "Egli che era Dio annientò se stesso", è un re che esercita il suo dominio con pazienza e con dolcezza, è colui che non è venuto a comandare, ma a servire, a lavarci i piedi, a darci coraggio e speranza, il suo regno più che un determinato territorio è il cuore degli uomini a cui con pazienza continua a bussare nella speranza che qualcuno gli apra e lo accolga. Noi grazie al suo amore siamo già entrati nel suo regno. Ricorda un aneddoto che Francesco Giuseppe, l’imperatore d’Austria contro il quale combatterono i nostri nonni nella prima guerra mondiale, in giro per le sue terre, visitò pure una scuola elementare. Conversando con i fanciulli, chiese a quale regno appartengono le montagne. La risposta fu pronta: "Al regno minerale"! Poi chiese: "E l’albero?" "Al regno vegetale!" "Il gatto?" "Al regno animale!" "Ed io, il vostro imperatore?" A questo punto i fanciulli si trovarono in difficoltà: nessuno aveva il coraggio di dire che anch’egli apparteneva al regno animale. Dopo qualche momento di silenzio, un fanciullo ebbe come un lampo di genio e disse sicuro: "Voi appartenete al regno di Dio!" E l’imperatore sorrise contento di quella risposta originale e intelligente. Fratelli, siamo anche noi contenti e felici di appartenere al regno di Dio? Ma c’è ancora una ulteriore immagine con cui Cristo oggi ci è presentato: Gesù è Colui che verrà solennemente alla fine dei tempi per giudicare tutti gli uomini. Ma anche qui la figura del giudice è ben diversa da quella che ci immaginiamo. Non è colui che arbitrariamente decide, non è neanche colui che apre il suo librone per tirare delle somme: tante azioni buone, tante cattive e a seconda del risultato inferno o paradiso, E’ colui che conferma il giudizio che ciascuno di noi si è costruito nella vita con le proprie scelte di amore o di egoismo. Il Vangelo di questa domenica non intende agitare dinanzi a noi lo... spauracchio della condanna. Fare del cristianesimo la religione della paura, sarebbe contrario al vangelo. Il richiamo al "giudizio universale", infatti, è anch’esso "lieta notizia". In che modo? Esso vuol dirci che è possibile per noi anticipare nel nostro "oggi" il giudizio di Cristo Re. E questo, mettendoci subito dalla parte di quelli che Egli elegge. Nel racconto-parabola del Giudizio universale, infatti, emergono soprattutto due elementi. Il primo elemento è l'attenzione ai piccoli. Gesù li chiama "questi miei fratelli più piccoli". Sono loro, i piccoli, il metro su cui vengono giudicati tutti gli uomini. Per Gesù risulta determinante nel giudizio finale l'apertura, la disponibilità, l'accoglienza che nella vita avremo riservato ai piccoli. L'amore operoso e gratuito che avremo avuto verso di loro. Ma c'è di più. Nel racconto c'è un secondo elemento, davvero inatteso, che suscita lo stupore dei popoli radunati ed è questo: quanto viene fatto ai più piccoli, Gesù lo considera fatto personalmente a sé. Diranno: "Ma Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato, assetato. ..?". "Ogni volta che avrete fatto queste cose a uno solo di questi piccoli, l'avete fatto a me". E così Gesù viene a identificare i suoi fratelli più piccoli con se stesso. Gesù non considera il nostro comportamento verso i grandi, i nobili, i potenti, i simpatici, i fortunati, i ricchi, ma ciò che noi facciamo per gli ultimi, i diseredati, gli emarginati, i ragazzi della strada, marocchini, i Vucumprà. Gesù si dichiara solidale con il loro destino. Se dunque vorremmo stare con Cristo per l’eternità dobbiamo imparare già fin da oggi a stare con Lui nei suoi mille "travestimenti". Gesù è presente nel nostro mondo, ma bisogna scoprirlo. Forse una delle grandi mancanze del nostro mondo attuale è proprio la distrazione e la superficialità per cui presi da mille cose passiamo vicino a Gesù e non lo riconosciamo là dove Egli ha fissato la sua dimora. Riconoscere Cristo re dei nostri cuori non è tanto cantare le sue lodi, onorare le sue immagini, è soprattutto imparare a servirlo in coloro che, non avendo nulla, sono però la sua presenza in mezzo a noi.

 

 

 

LUNEDI’ 25 Novembre

SANTA BEATRICE

Parola di Dio: Apoc. 14,1-3.4-5; Sal. 23, Lc. 21,1-4

 

"VIDE UNA VEDOVA POVERA CHE VI GETTAVA DUE SPICCIOLI E DISSE: IN VERITA’ VI DICO QUESTA VEDOVA, POVERA, HA MESSO PIU’ DI TUTTI". (Lc. 21,2)

Un certo tipo di educazione religiosa che ha certamente toccato e influenzato molti di noi che abbiamo una certa età, ci portava a considerare con paura la presenza di Dio. "Dio ti vede" capeggiava nei corridoi dei seminari, nelle corsie degli ospedali gestiti dalle suore, qualcuno aveva perfino avuto il coraggio di scriverlo nelle docce come deterrente per i cattivi pensieri contro ‘la bella virtù’. Tutto questo portava a vedere Dio come un controllore che era lì pronto a cogliere i minimi sbagli per poterli annotare e poi punire. Oggi, grazie al cielo non considero più la presenza di Dio in questo modo, ma la considero come una presenza amica che, proprio perché sa leggere nel cuore, diventa invito ad essere sempre se stessi in modo sincero. Gesù ha visto la fede, la generosità nascosta dietro ai miseri spiccioli della vedova e chissà quante cose buone legge dietro certe parole e certi fatti. Ad esempio non vi è mai capitato di dire una parola senza malizia e di vederla invece interpretata malamente al punto da venir accusati di chissà quale colpa che non era assolutamente nelle vostre intenzioni? Dio vede, Dio sa se siamo ipocriti o sinceri, se il nostro pensiero è limpido o sporco, se il nostro agire è dettato da amore o da interesse. La presenza di Dio non è per la condanna, ma può essere un richiamo alla sincerità. Essa non è per la punizione ma per un incoraggiamento ad agire senza ipocrisia. Essa è garanzia che ogni piccola cosa buona, anche se nascosta, anche se male interpretata dagli uomini, non andrà persa davanti agli occhi e al cuore di Dio.

 

 

MARTEDI’ 26 Novembre

SAN CORRADO

Parola di Dio: Apoc. 14,14-19; Sal.95; Lc. 21,5-11

 

"VERRANNO GIORNI IN CUI DI TUTTO QUELLO CHE AMMIRATE NON RESTERA’ PIETRA SU PIETRA CHE NON VENGA DISTRUTTA". (Lc, 21,6)

La storia degli uomini è scritta nelle pietre. Noi andiamo alla Valle dei templi, vicino ad Agrigento e rimaniamo colpiti da quei ruderi enormi e grandiosi che con le loro pietre ci parlano di civiltà lontane, andiamo a Roma e le pietre del Colosseo o dei fori imperiali ci indicano le grandezze romane, le Piramidi ci parlano della civiltà Egizia e i resti del muro del pianto ci parlano della gloria del tempio di Salomone. Ruderi, pietre che ci dicono del passato, La potenza delle civiltà passa, lo splendore dei ricchi si opacizza presto. Basta una guerra, un terremoto per distruggere una cattedrale. Ci restano solo più pietre. Dov’è la gloria dell’uomo? In quattro ruderi di pietra. E quell’uomo che pensava di governare i popoli, quello che con una parola faceva tremare le genti e decideva la sorte di migliaia di persone? Anche lì una pietra, una lapide con un po’ di ossa sotto. Gesù ancora una volta ci dice: "Fidarsi di un bel palazzo, di un bel vestito, di una borsa piena d’oro, è una stupidaggine, come è assurdo fondare la fede sulla costruzione pur imponente di un tempio." L’uomo è grande perché è fatto a immagine di Dio, è grande perché vale il sangue del Figlio di Dio, è grande perché è il tempio vivente dello Spirito Santo di Dio. Se le nostre pietre ci testimoniano il passato, è solo l’opera di Dio in noi, se l’accettiamo, che ci garantisce un futuro di eternità.

 

 

MERCOLEDI’ 27 Novembre

SAN VIRGILIO

Parola di Dio: Apoc. 15,1-4; Sal. 97; Lc. 21,12-19

 

"METTERANNO LE MANI SU DI VOI E VI PERSEGUITERANNO… QUESTO VI DARA’ L’OCCASIONE DI RENDERE TESTIMONIANZA". (Lc. 21,12-13)

Gesù non ci nasconde che, se vogliamo davvero seguirlo, questo potrà costarci persecuzione. Ecco una testimonianza di fede di una vecchina di cui non conosciamo neppure il nome così come raccontata da Solzenitzyn in Arcipelago gulag. Fermiamoci, specialmente davanti alle ultime parole di questa donna e chiediamoci in sincerità se anche noi saremmo pronti a dire così. "N. Stoljarova ricorda di una sua vicina nella prigione di Butyrki nel 1937, una vecchina. La interrogavano ogni notte. Due anni prima un metropolita fuggito dalla deportazione, di passaggio a Mosca, aveva pernottato da lei. "Mica un ex metropolita, macché, uno vero! Sì, avete ragione, ho avuto l’onore di ospitarlo". "Bene. E da chi andò poi, partendo da Mosca?" "Lo so. Ma non lo dirò". (Il metropolita era fuggito in Finlandia con l’aiuto di una catena di fedeli). I giudici istruttori si alternavano, si riunivano a gruppi, minacciavano la vecchina coi pugni, e lei: "E’ inutile, non mi farete dire nulla, anche se mi faceste a pezzi. Voi avete paura delle autorità, avete paura uno dell’altro, avete paura perfino di ammazzare me (avrebbero perduto la "catena"). Io, invece non ho paura di nulla. Sono pronta a presentarmi al Signore anche subito!"

 

 

GIOVEDI’ 28 Novembre

SAN GIACOMO DELLA MARCA

Parola di Dio: Apoc. 18,1-2.21-23; 19,1-3.9; Sal. 99; Lc. 21,20-28

 

"ALZATEVI E LEVATE IL CAPO PERCHE’ LA VOSTRA LIBERAZIONE E’ VICINA".(Lc. 21.28)

Davanti a Gesù che ci invita a guardare alla nostra liberazione vicina ci possono essere diversi atteggiamenti. Ci può essere qualcuno che non sente affatto il bisogno di essere liberato. Pensa già di essere libero o pensa che la liberazione dell'uomo dipenda soltanto dalle proprie lotte contro i soprusi e le ingiustizie. Poi ci sono coloro che dicono che nessuna liberazione è avvenuta e che nessuna avverrà in quanto l’uomo è sempre uguale, sempre sarà schiavo del tempo, del luogo, di se stesso, delle proprie finitezze, e nessuna liberazione presente o futura potrà renderlo diverso dal povero uomo che è, destinato a soffrire e a morire. Infine c’è chi si sente schiavo di mille padroni: l’egoismo, se stesso, i propri vizi, i limiti, i difetti le malattie, la morte e si accorge che da solo anche con tutta la buona volontà non può porre un rimedio definitivo ai propri mali; costui se riesce a riconoscere in Gesù il Figlio di Dio, mandato e venuto per la nostra salvezza lo accoglie come il liberatore definitivo. E la liberazione che Gesù ci ha portato avviene in due tempi, la prima accogliendolo qui sulla terra e trovando in Lui la capacità di vincere i nostri egoismi e trasformando, grazie a Lui, il male in bene, e la seconda alla fine dei tempi quando Egli porterà a compimento il suo Regno e dove la morte e il male saranno definitivamente vinti. I primi cristiani erano talmente conviti di questo e desiderosi di questa liberazione definitiva che pregavano dicendo: "Vieni presto, Signore Gesù!".

 

 

VENERDI’ 29 Novembre

SAN SATURNINO

Parola di Dio: Apoc. 20,1-4.11-21,2; Sal. 83; Lc. 21,29-33

 

"IL CIELO E LA TERRA PASSERANNO, MA LE MIE PAROLE NON PASSERANNO". (Lc. 21,33)

Noi viviamo in un mondo fatto di parole: ci sono parole per ogni occasione, parole per uccidere e per salvare, per vendere e per comprare, parole di saluto e di maledizione, parole chiacchiere e parole pesanti come macigni che possono cambiare una vita, parole nei negozi, alla scuola, in ufficio, alla televisione, a casa… E ci sono tante parole piene di promesse: "Se fa questo affare con me, stia sicuro come in una botte di ferro", "Si fidi della mia esperienza", "Se ascolta i consigli del mago tal dei tale avrà salute, denaro e amori in abbondanza"… Spesso le parole degli uomini conquistano, qualche volta illudono, sovente le più "sincere promesse" risultano promesse da marinaio…In mezzo a tutto questo mi riempie di gioia il fatto che c’è una Parola che non delude, una promessa che sono sicuro si realizza perché non è parola di uomini ma è Dio stesso. Gesù è la parola definitiva di Dio sul mondo, è il Verbo incarnato, è il Liberatore e il redentore, è Colui che mi ha insegnato a riconoscere in Dio mio Padre, è Colui che mi ha portato la Buona notizia che la morte e il male sono già stati vinti e saranno vinti per me in una eternità con Dio. Di Lui e delle sue parole posso fidarmi. Le tue parole non passeranno, o Gesù. Non passerà la tua promessa di amicizia con gli uomini. Anche se stento a vederlo, il tuo regno di giustizia, di verità, di pace, di amore verrà davvero e pienamente. Chi mangerà il tuo pane vivrà in eterno. Chi ascolta e vive la tua Parola è beato. Tu sei con noi tutti i giorni, sei il buon Pastore che ci conduci alla vita. Grazie, Signore, di questa tua parola immutabile e che ciascuno, amando Te e la tua parola in essa trovi il senso della propria vita.

 

 

SABATO 30 Novembre

SAN ANDREA, Apostolo

Parola di Dio: Rom. 10,9-18; Sal. 18; Mt. 4,18-22

 

"MENTRE CAMMINAVA LUNGO IL MARE DI GALILEA, GESU’ VIDE DUE FRATELLI, SIMONE, CHIAMATO PIETRO E ANDREA, CHE GETTAVANO LA RETE IN MARE. E DISSE LORO. SEGUITEMI, VI FARO’ PESCATORI DI UOMINI". (Mt. 4,18-19)

La festa di Sant’Andrea quest’anno conclude il nostro anno liturgico. Domani con la prima domenica di Avvento comincerà un nuovo ciclo. E allora proprio partendo dal racconto del Vangelo di oggi, mi sembra logico fare un po’ di esame di coscienza. Anche quest’anno, Gesù sei passato lungo il lago della vita dove è la mia residenza. Tu sai benissimo che io da solo non posso venire da te e allora ti sei mosso tu e sei entrato nel tessuto della mia vita. Anche a me come ad Andrea e come a tanti altri hai detto della parole di speranza, hai portato un messaggio di gioia e mi hai invitato a lasciare qualcosa per seguirti. Mi chiedo se ho saputo riconoscere la tua voce, la tua presenza nei tanti avvenimenti di questo anno. Quante volte le persone, i fatti, avrebbero potuto interpellarmi, quante volte avrei dovuto lasciare le reti delle cose fatue per venirti incontro, per aiutare un fratello. Quante volte la tua parola avrebbe dovuto smuovermi, incoraggiarmi, e i tuoi Sacramenti non avrebbero dovuto rendermi disponibile al rinnovamento? Pietro, Andrea e tanti altri hanno lasciato le reti per seguirti. Non per questo hanno capito tutto subito o subito sono diventati Santi, però si sono lasciati conquistare da te. Gesù, io vorrei lasciarmi conquistare totalmente da te, ma anche in quest’anno quante occasioni perdute! Una cosa però riempie il mio cuore di speranza e di gioia: è che se io sono così lento tu non ti lasci scoraggiare e mi vuoi talmente bene che anche nel tempo che la tua bontà vorrà ancora donarmi, tu continuerai a bussare alla porta del mio cuore. Signore fa che ti apra!

 

Proverbi sulla morte

 

L'anima a Dio, il corpo alla terra, la roba a chi tocca.

Quando muore un egoista, mai lacrime sono in vista.

Il bilancio della vita si verifica all'uscita.

A gioco finito, val tanto il re quanto il pedone.

A tutto c'è un rimedio, meno che alla morte.

Altro è parlare di morte, altro è morire.

Anche la morte non si ha gratis: ci costa la vita.

Morire è andar a mangiare l'insalata dalla parte del torsolo

I morti aprono gli occhi ai vivi.

L'ultimo abito ce lo fanno senza tasche.

La morte non guarda soltanto nel libro dei vecchi.

La vita è un banchetto, sul più bello bisogna alzarsi da tavola.

Quando comincia la vita, nasce la morte.

Tutto muore al mondo, tranne la morte.

Vai dove vuoi, la morte ti trova.

O belli i brutti - la sera vien per tutti.

Chi muore giace e chi vive si da pace.

Dal paese della vita/ c'è una sola via d'uscita.

Chi non muore si rivede.

Meglio morire e lasciare che vivere e stentare.

Meglio un asino vivo che un dottore morto.

Un bel morir onora tutta la vita.

Ad ogni dolor rimedia la morte.

A tutto c’è rimedio fuorché alla morte.

Contro la morte non vale armatura.

La morte non guarda in bocca.

Si viaggia, si viaggia e si finisce per ritornare a casa; si vive, si vive e si finisce per morire. (Pr. Africano)

Se Dio non avesse inventato la morte, noi ci mangeremo l'un l'altro. (Pr. Arabo)

La morte è l'amica dei moribondi. (Pr. Danese)

Quando un uomo muore, per lui è la fine del mondo. (Pr. Indiano)

Quando un uomo muore, per lui è la fine del mondo. (Pr. Toscano)

Chi piange il morto indarno s'affatica. Morte non cessa per versar di pianto. (Pr. Toscano)

Al momento della morte nessuno è sospettato di inganno. (Pr. Latino)

Il fatto di morire non è un delitto, così come il fatto di vivere non è un merito. (Pr. Malgascio)

Prendi per guanciale la morte quando vai a dormire e tienila sempre davanti agli occhi quando sei sveglio. (Pr. Musulmano)

Tutti indistintamente dobbiamo concedere un morto a Dio. (Pr. Norvegese)

Si sa dove si nasce ma non si sa dove si muore. (Pr. Piemontese)

La morte arraffa tutto, il bello e il brutto. (Pr. Piemontese)

Con la morte si esce da tutti i crucci. (Pr. Piemontese)

Si passa tante volte vicino al camposanto che alla fine si cade dentro. (Pr. Russo)

Nessuno è così vecchio che possa vivere ancora un anno; e nessuno è così giovane che non possa morire oggi stesso. (Pr. Spagnolo)

Un pugno di terra chiude l'occhio dell'uomo. (Pr. Turco)

La morte è la consolazione del povero. (Pr. Turco)

     
     
 

Archivio